il diritto commerciale d’oggi
    N° 2.1 – gennaio 2003

ARGOMENTI

Patti parasociali artt. 2341-
bis-2341-ter
Assemblea della s.p.a. – artt. 2363-2379-ter
Modelli dualistico e monistico
artt. 2409-octies–
2409-noviesdecies
Patrimoni destinati artt. 2447-bis– 2447-decies
Fusione e scissione artt. 2501– 2506-quater
 

STUDÎ E COMMENTI

Commento al d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, recante la riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative,
in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 366*

a cura di
CONCETTA BRESCIA-MORRA, GIOVANNI CABRAS, ALDO FERRARI,
PAOLO FERRO-LUZZI, ANTONIO GIOVANNONI, RITA GISMONDI,
GIULIANO LEMME, ALESSIA MONTONESE, BARBARA PANSADORO,
MARIA RAFFAELLA SANCILIO

CODICE CIVILE
LIBRO V – DEL LAVORO

CAPO V
SOCIETÀ PER AZIONI

 

Sezione VI-bis. – Dell’amministrazione e del controllo

§ 1. – Disposizioni generali

2380. Sistemi di amministrazione e di controllo
     Se lo statuto non dispone diversamente, l’amministrazione e il controllo della società sono regolati dai successivi §§ 2, 3 e 4.
     Lo statuto può adottare per l’amministrazione e per il controllo della società il sistema di cui al § 5 oppure quello di cui al § 6; salvo che la deliberazione non disponga altrimenti, la variazione di sistema ha effetto alla data dell’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio relativo all’esercizio successivo.
     Salvo che non sia diversamente disposto, le disposizioni che fanno riferimento agli amministratori si applicano a seconda dei casi al consiglio di amministrazione o al consiglio di gestione

     Tra le novità più significative introdotte dallo schema di decreto legislativo in tema di riforma del diritto societario (“Schema di Decreto”), approvato dal Consiglio dei Ministri il 30 settembre scorso, in attuazione della Legge Delega n. 366 del 3 ottobre 2001 (“Legge Delega”), assumono notevole rilevanza le nuove regole in tema di corporate governance delle società per azioni.
     Si è inteso, infatti, dotare la struttura dell’amministrazione e del controllo della società per azioni di una disciplina che garantisca la flessibilità organizzativa e gestionale ed una notevole ampiezza operativa dell’autonomia statutaria. In tal senso l’art. 2380 del Schema di Decreto, in attuazione di quanto previsto dall’art. 4, comma 8, lettera d) della Legge Delega, demanda allo statuto la scelta tra tre modelli di amministrazione e di controllo:
     a) il sistema attualmente vigente, caratterizzato da un organo di amministrazione, formato da uno o più componenti, affiancato da un collegio sindacale;
     b) “il sistema dualistico”, che prevede un consiglio di gestione, nominato e controllato da un consiglio di sorveglianza (eletto dall'assemblea) cui sono attribuiti più ampi poteri rispetto al collegio sindacale;
     c) “il sistema monistico”, caratterizzato dalla presenza di un consiglio di amministrazione all'interno del quale è istituito un comitato preposto al controllo interno sulla gestione, dotato di adeguati poteri di informazione ed ispezione, composto in maggioranza da amministratori non esecutivi in possesso di requisiti di indipendenza.
     Coerentemente con quanto previsto dall’art. 4, comma 8, lettera e) della Legge Delega, si applica automaticamente il modello attualmente vigente, in mancanza di una diversa scelta statutaria.
     La previsione di un doppio sistema di gestione, diverso da quello tradizionale, tiene conto della circostanza che vi sono ordinamenti di Stati membri dell’Unione Europea, quale quello inglese, che prevedono un unico organo amministrativo con compiti di gestione e vigilanza, ed altri ordinamenti, quale quello tedesco, che prevedono un organo di sorveglianza ed un organo di gestione.
     La decisione di rimettere all’autonomia statutaria la scelta tra modello tradizionale, quello dualistico o quello monistico è largamente ispirato al recente Statuto della Società europea (“SE”), emanato con il Regolamento n. 2157/2001 del Consiglio dell’Unione Europea dell’8 ottobre 2001; l’art. 38 del Regolamento demanda allo statuto la scelta tra i due sistemi di gestione vigenti all’interno della Comunità, quello monistico e quello dualistico.

§ 2. – Degli amministratori

     Molte e profonde sono le innovazioni introdotte dal nuovo decreto alla disciplina in tema di amministratori. Nel commentare tali novità, saremmo portati a dividerle sostanzialmente in tre gruppi:
     a. rafforzamento e chiarimento del ruolo degli amministratori;
     b. trasparenza;
     c. tutela delle minoranze.

2380-bis. Amministrazione della società
     Gli amministratori hanno l’esclusiva responsabilità della gestione dell’impresa e compiono tutte le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale.
     L’amministrazione della società può essere affidata anche a non soci.
     Quando l’amministrazione è affidata a più persone, queste costituiscono il consiglio di amministrazione.
     Se lo statuto non stabilisce il numero degli amministratori, ma ne indica solamente un numero massimo e minimo, la determinazione spetta all’assemblea.
     Il consiglio di amministrazione sceglie tra i suoi componenti il presidente, se questi non è nominato dall’assemblea.

     Al gruppo di novità riguardanti rafforzamento e chiarimento del ruolo degli amministratori appartengono una serie di articoli aventi formulazione a volte radicalmente diversa rispetto alle norme previgenti.
     Innanzitutto, l’art. 2380-bis ha introdotto, al primo comma, una definizione dell’attività di amministrazione, che comporta la “esclusiva attività di gestione dell’impresa” con il compimento di “tutte le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale”.
     Per la verità, una definizione dell’attività di gestione era precedentemente contenuta nel primo comma dell’art. 2384 cod. civ.; tuttavia, la nuova formulazione enfatizza ben maggiormente il ruolo degli amministratori, sia per collocazione sistematica della norma (all’inizio del paragrafo sull’amministrazione) sia per l’uso significativo dell’aggettivo “esclusiva”. Inoltre, mentre il disposto del vecchio art. 2384 cod. civ. riferiva l’attività di gestione ai soli amministratori aventi la rappresentanza della società, la nuova formulazione si riferisce, senza fare distinzione, a tutti i membri dell’organo amministrativo.

2381. Presidente, comitato esecutivo e amministratori delegati
     Lo statuto determina i poteri e i compiti del presidente del consiglio di amministrazione.
     Se lo statuto o l’assemblea lo consentono, il consiglio di amministrazione può delegare le proprie attribuzioni ad un comitato esecutivo composto da alcuni dei suoi componenti, o ad uno o più dei suoi componenti.
     Il consiglio di amministrazione determina il contenuto, i limiti e le eventuali modalità di esercizio della delega; può sempre impartire direttive agli organi delegati e avocare a sé operazioni rientranti nella delega. Sulla base delle informazioni ricevute valuta l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società; quando elaborati, esamina i piani strategici, industriali e finanziari della società; valuta, sulla base della relazione degli organi delegati, il generale andamento della gestione.
     Non possono essere delegate le attribuzioni indicate negli articoli 2420-ter, 2423, 2443, 2446, 2447, 2501-ter e 2506-bis.
     Gli organi delegati curano che l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile sia adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa e riferiscono al consiglio di amministrazione e al collegio sindacale, con la periodicità fissata dallo statuto e in ogni caso almeno ogni sei mesi, sul generale andamento della gestione e sulla sua prevedibile evoluzione nonché sulle operazioni di maggior rilievo, per le loro dimensioni o caratteristiche, effettuate dalla società e dalle sue controllate.
     Gli amministratori sono tenuti ad agire in modo informato; ciascun amministratore può chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite informazioni relative alla gestione della società.

     Di notevole impatto è la riscrittura dei rapporti tra l’organo amministrativo in generale e gli amministratori delegati o il comitato esecutivo.
     A prescindere dall’allargamento dell’ambito delle funzioni non delegabili (ora estese all’emissione di obbligazioni, alla fusione ed alla scissione), è stato significativamente prevista la facoltà per i deleganti di impartire direttive ai delegati, anche sulla base delle informazioni che questi ultimi debbono fornire, con periodicità almeno semestrale, ai primi.
     Dunque, se da un lato viene chiarito il ruolo dei delegati, viene senza dubbio notevolmente rafforzato il ruolo del consiglio nel suo complesso. In particolare, anche per il principio icasticamente espresso dall’ultimo comma del nuovo articolo 2381 cod. civ. (“Gli amministratori sono tenuti ad agire in modo informato”) viene meno la possibilità che la delega si risolva in una sorta di abdicazione del consiglio dalla gestione della società. Ciò si dovrebbe tradurre, nell’applicazione giurisprudenziale, in un rafforzamento del profilo della culpa in vigilando, in base al quale anche gli amministratori all’oscuro degli atti compiuti dai delegati venivano ritenuti responsabili nei confronti della società e dei terzi.

2382. Cause di ineleggibilità e di decadenza
     Non può essere nominato amministratore, e se nominato decade dal suo ufficio, l’interdetto, l’inabilitato, il fallito, o chi è stato condannato ad una pena che importa l’interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici o l’incapacità ad esercitare uffici direttivi.

 

2383. Nomina e revoca degli amministratori
     La nomina degli amministratori spetta all’assemblea, fatta eccezione per i primi amministratori, che sono nominati nell’atto costitutivo, e salvo il disposto degli articoli 2351, 2449 e 2450.
     Gli amministratori non possono essere nominati per un periodo superiore a tre esercizi, e scadono alla data dell’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio relativo all’ultimo esercizio della loro carica.
     Gli amministratori sono rieleggibili, salvo diversa disposizione dello statuto, e sono revocabili dall’assemblea in qualunque tempo, anche se nominati nell’atto costitutivo, salvo il diritto dell’amministratore al risarcimento dei danni, se la revoca avviene senza giusta causa.
     Entro trenta giorni dalla notizia della loro nomina gli amministratori devono chiederne l’iscrizione nel registro delle imprese indicando per ciascuno di essi il cognome e il nome, il luogo e la data di nascita, il domicilio e la cittadinanza, nonché a quali tra essi è attribuita la rappresentanza della società, precisando se disgiuntamente o congiuntamente.
     Le cause di nullità o di annullabilità della nomina degli amministratori che hanno la rappresentanza della società non sono opponibili ai terzi dopo l’adempimento della pubblicità di cui al quarto comma, salvo che la società provi che i terzi ne erano a conoscenza.

 

2384. Poteri di rappresentanza
     Il potere di rappresentanza attribuito agli amministratori dallo statuto o dalla deliberazione di nomina è generale.
     Le limitazioni ai poteri degli amministratori che risultano dallo statuto o da una decisione degli organi competenti non sono opponibili ai terzi, anche se pubblicate, salvo che si provi che questi abbiano intenzionalmente agito a danno della società.

     Un’altra novità introdotta dalla riforma è quella relativa alla rappresentanza, che ora, come risulta dalla abrogazione implicita del 6° co. dell’art. 2383 cod. civ. e dalla formulazione del primo comma dell’art. 2384, è attribuita a tutti gli amministratori, ed è generale.
     Di particolare impatto, tra le novità afferenti il ruolo degli amministratori, risulta l’eliminazione dell’art. 2384 bis, che regolava l’inopponibilità di fronte ai terzi in buona fede dell’estraneità all’oggetto sociale degli atti compiuti dagli amministratori. Dunque, in base alla nuova norma, diviene nuovamente possibile per la società eccepire, anche di fronte ai terzi di buona fede, che gli amministratori hanno agito ultra vires. Bisogna infatti dire che la norma dell’art. 2384 bis era divenuta di applicazione pratica piuttosto problematica, atteso che il problema degli atti estranei all’oggetto sociale si poneva in maniera evidente quando gli amministratori compissero atti illeciti; nel qual caso, peraltro, era difficile ipotizzare una buona fede dei terzi, in quanto l’estraneità all’oggetto sociale dell’illecito è in re ipsa (si pensi, tanto per fare un esempio di frequente verificazione pratica, al caso dell’amministratore che costituisse fondi neri attraverso prestazioni non fatturate da parte di un terzo; si poteva anche solo ipotizzare che il terzo fosse “in buona fede”, e che pertanto non potesse venirgli opposta l’estraneità dell’atto all’oggetto sociale).

2385. Cessazione degli amministratori
     L’amministratore che rinunzia all’ufficio deve darne comunicazione scritta al consiglio d’amministrazione e al presidente del collegio sindacale. La rinunzia ha effetto immediato, se rimane in carica la maggioranza del consiglio di amministrazione, o, in caso contrario, dal momento in cui la maggioranza del consiglio si è ricostituita in seguito all’accettazione dei nuovi amministratori.
     La cessazione degli amministratori per scadenza del termine ha effetto dal momento in cui il consiglio di amministrazione è stato ricostituito.
     La cessazione degli amministratori dall’ufficio per qualsiasi causa deve essere iscritta entro trenta giorni nel registro delle imprese a cura del collegio sindacale.

 

2386. Sostituzione degli amministratori
     Se nel corso dell’esercizio vengono a mancare uno o più amministratori, gli altri provvedono a sostituirli con deliberazione approvata dal collegio sindacale, purché la maggioranza sia sempre costituita dagli amministratori nominati dall’assemblea. Gli amministratori così nominati restano in carica fino alla prossima assemblea.
     Se viene meno la maggioranza degli amministratori nominati dall’assemblea, quelli rimasti in carica devono convocare l’assemblea perché provveda alla sostituzione dei mancanti.
     Salvo diversa disposizione dello statuto o dell’assemblea, gli amministratori nominati ai sensi del comma precedente scadono insieme con quelli in carica all’atto della loro nomina.
     Se particolari disposizioni dello statuto prevedono che a seguito della cessazione di taluni amministratori cessi l’intero consiglio, l’assemblea per la nomina del nuovo consiglio è convocata d’urgenza dagli amministratori rimasti in carica; lo statuto può tuttavia prevedere l’applicazione in tal caso di quanto disposto nel successivo comma.
     Se vengono a cessare l’amministratore unico o tutti gli amministratori, l’assemblea per la nomina dell’amministratore o dell’intero consiglio deve essere convocata d’urgenza dal collegio sindacale, il quale può compiere nel frattempo gli atti di ordinaria amministrazione.

 

2387. Requisiti di onorabilità, professionalità e indipendenza
     Lo statuto può subordinare l’assunzione della carica di amministratore al possesso di speciali requisiti di onorabilità, professionalità ed indipendenza, anche con riferimento ai requisiti al riguardo previsti da codici di comportamento redatti da associazioni di categoria o da società di gestione di mercati regolamentati. Si applica in tal caso l’articolo 2382.
     Resta salvo quanto previsto da leggi speciali in relazione all’esercizio di particolari attività.

     Come accennato, un altro gruppo di norme introduce o rafforza i principi di trasparenza dell’azione amministrativa.
     Va anzitutto segnalata, in proposito, l’introduzione di particolari requisiti (sia pure subordinati all’adozione di una specifica norma statutaria) che gli amministratori debbono possedere per accedere all’incarico. La norma del nuovo art. 2387 riecheggia le analoghe norme introdotte per le società esercenti attività particolari (cfr., ad esempio, l’art. 26 del Testo Unico Bancario), ma riteniamo che, al di là della indubbia opportunità della sua introduzione, non dovrebbe produrre un impatto significativo sull’ordinamento societario.

2388. Validità delle deliberazioni del consiglio
     Per la validità delle deliberazioni del consiglio di amministrazione è necessaria la presenza della maggioranza degli amministratori in carica, quando lo statuto non richiede un maggior numero di presenti. Lo statuto può prevedere che la presenza alle riunioni del consiglio avvenga anche mediante mezzi di telecomunicazione.
     Le deliberazioni del consiglio di amministrazione sono prese a maggioranza assoluta dei presenti, salvo diversa disposizione dello statuto.
     Il voto non può essere dato per rappresentanza.
     Le deliberazioni che non sono prese in conformità della legge o dello statuto possono essere impugnate solo dal collegio sindacale e dagli amministratori assenti o dissenzienti entro novanta giorni dalla data della deliberazione; si applica in quanto compatibile l’articolo 2378. Possono essere altresì impugnate dai soci le deliberazioni lesive dei loro diritti; si applicano in tal caso, in quanto compatibili, gli articoli 2377 e 2378.
     In ogni caso sono salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione delle deliberazioni.

     L’ultimo gruppo di norme è quello volto alla tutela delle minoranze assembleari, dei soci e dei terzi. Tra queste predominano, anche in senso sistematico, quelle sull’azione di responsabilità; tuttavia, una norma non meno significativa è stata introdotta all’art. 2388 cod. civ., il quale ha stabilito l’impugnabilità delle delibere del consiglio.
     La novità è doppia: anzitutto, in quanto introduce il principio della impugnabilità delle delibere consiliari in ogni caso, e non, come in precedenza, nel solo caso di conflitto di interessi; secondariamente, in quanto la possibilità di impugnativa viene estesa anche ai soci, in tutti i casi nei quali la delibera consiliare illegittima leda i loro diritti.
     Sono molte le implicazioni della nuova norma. Anzitutto, andrà infatti valutato il rapporto tra impugnativa del socio ed azione ex art. 2395 cod. civ., in quanto, in entrambi i casi, si verterebbe in tema di azione contro gli amministratori per lesione diretta dei diritti dei soci.
     Orbene, ci sembra indubbio sia configurabile una qualche sovrapposizione tra le due azioni; il discrimine, peraltro, è costituito dal fatto che mentre l’azione ex art. 2395 cod. civ., come è noto, è tesa al risarcimento del danno extracontrattuale causato dalla lesione diretta degli interessi del socio, l’azione ex art. 2388 cod. civ. non presuppone un danno di natura patrimoniale, ma la semplice lesione dei diritti del socio, diritti che, ad esempio, potrebbero concernere la possibilità di partecipare all’assemblea, e non avere alcun contenuto patrimoniale diretto.
     In secondo luogo, si noterà che la nuova disciplina richiama esplicitamente le norme in tema di annullabilità delle delibere assembleari (ivi compreso il relativo procedimento, il che fa concludere per la possibilità di ottenere la sospensiva della delibera impugnata). Rimane dunque aperta la questione se le delibere possano essere impugnate per nullità, situazione astrattamente tutt’altro che infrequente (si pensi alla delibera consiliare che stabilisca la conclusione di un affare palesemente illecito, come ad esempio la costruzione di un immobile senza il rispetto della normativa urbanistica). Ebbene, anche se l’art. 2379 cod. civ. non è direttamente richiamato, riteniamo che sia senz’altro possibile impugnare per nullità la delibera consiliare, non essendo giustificato che il vizio più grave non venga sanzionato, e quello meno grave si.
     Piuttosto, bisogna chiedersi quale sia il termine per esercitare l’azione di nullità. Infatti, vi sono tre possibili alternative: che il termine sia lo stesso previsto per l’azione di annullamento (90 giorni), che sia lo stesso previsto dal nuovo art. 2379 cod. civ. (tre anni), ovvero che si applichi l’art. 1422 cod. civ., e dunque l’azione sia imprescrittibile.
     Riteniamo di dover aderire alla seconda ipotesi; infatti, se ci sembra indubbio che sia applicabile per analogia la disciplina dell’art. 2379 cod. civ., pur non richiamata direttamente dalla nuova norma, evidentemente il termine per l’esercizio dell’azione deve essere quello di tre anni. D’altra parte, non avrebbe senso richiamare la disciplina generale in tema di contratto, atteso che le delibere consiliari sono atti giuridici, e non contratti. Infine, non potrebbe in alcun caso applicarsi il termine breve di 90 giorni, dal momento che l’ordinamento, non solo in tema di delibere societarie, ma anche in tema di negozio giuridico, stabilisce costantemente termini differenti per l’azione di annullamento e per quella di nullità.

2389. Compensi degli amministratori
     I compensi spettanti ai membri del consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo sono stabiliti all’atto della nomina o dall’assemblea.
     Essi possono essere costituiti in tutto o in parte da partecipazioni agli utili o dall’attribuzione del diritto di sottoscrivere a prezzo predeterminato azioni di futura emissione.
     La rimunerazione degli amministratori investiti di particolari cariche in conformità dello statuto è stabilita dal consiglio di amministrazione, sentito il parere del collegio sindacale. Se lo statuto lo prevede, l’assemblea può determinare un importo complessivo per la remunerazione di tutti gli amministratori, inclusi quelli investiti di particolari cariche.

     Infine, tra le novità della riforma concernenti, sia pure in senso lato, il ruolo degli amministratori, va segnalata la possibilità che il loro emolumento non solo comprenda, come già prima era possibile, una partecipazione agli utili, ma anche un diritto di opzione su azioni di futura emissione.

2390. Divieto di concorrenza
     Gli amministratori non possono assumere la qualità di soci illimitatamente responsabili in società concorrenti, né esercitare un’attività concorrente per conto proprio o di terzi, né essere amministratori o direttori generali in società concorrenti, salvo autorizzazione dell’assemblea.
     Per l’inosservanza di tale divieto l’amministratore può essere revocato dall’ufficio e risponde dei danni.

 

2391. Interessi degli amministratori
     L’amministratore deve dare notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale di ogni interesse che, per conto proprio o di terzi, abbia in una determinata operazione della società, precisandone la natura, i termini, l’origine e la portata; se si tratta di amministratore delegato, deve altresì astenersi dal compiere l’operazione, investendo della stessa l’organo collegiale.
     Nei casi previsti dal precedente comma la deliberazione del consiglio di amministrazione deve adeguatamente motivare le ragioni e la convenienza per la società dell’operazione.
     Le deliberazioni del consiglio o del comitato esecutivo adottate con il voto determinante dell’amministratore interessato o nel caso in cui non sia stato osservato quanto disposto nel primo comma del presente articolo, qualora possano recare danno alla società, entro novanta giorni dalla loro data possono essere impugnate dagli amministratori e dal collegio sindacale. In ogni caso sono salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione.
     L’amministratore risponde dei danni derivati alla società dalla sua azione od omissione.
     L’amministratore risponde altresì dei danni che siano derivati alla società dalla utilizzazione a vantaggio proprio o di terzi di dati, notizie o opportunità di affari appresi nell’esercizio del suo incarico.

     Un impatto addirittura dirompente riveste viceversa la nuova formulazione dell’art. 2391 cod. civ., fin dalla rubrica, che ha sostituito alla precedente “conflitto d’interessi” la nuova espressione “interessi degli amministratori”.
     La nuova norma, anche alla luce del sostanziale fallimento della precedente disciplina nell’assicurare una reale tutela della società, ha riformulato la disciplina del conflitto, strutturandola in base ad alcune linee guida. Il primo scopo della norma è quello di garantire la trasparenza in tutti i casi nei quali gli amministratori possano avere, per conto proprio o di terzi, un interesse nell’operazione. L’obbligo di informativa sussisteva anche nella precedente formulazione dell’art. 2391 cod. civ., ma solo in caso di conflitto di interessi, mentre ora l’obbligo viene esteso a qualsiasi situazione di interesse, anche non confliggente.
     Ricevuta l’informativa dal consigliere di amministrazione (o dall’amministratore delegato, il quale deve obbligatoriamente astenersi dal compiere l’operazione) il consiglio deve adeguatamente motivare le ragioni e la convenienza per la società dell’operazione.
     Dunque, la norma assicura una doppia tutela: alla società, che non si vede impedito il compimento di operazioni ove il conflitto sia meramente potenziale, ma non effettivo; ed ai soci e i terzi, i quali hanno la possibilità di conoscere le situazioni di conflitto.
     Si ritiene quindi che la nuova disciplina non solo risolverà il problema della sostanziale inefficacia della precedente, ma potrà gettare le basi anche per un effettivo contemperamento tra interesse del management ed interesse dei soci, che ha ispirato molte norme della riforma (quale, ad esempio, quella relativa ai requisiti minimi per l’impugnazione delle delibere assembleari).
     Si noti bene: anche nel caso in cui il conflitto non vi fosse, la delibera adottata dal consiglio senza la procedura di trasparenza sopra indicata è illegittima, e può pertanto essere impugnata (nel termine di novanta giorni) dagli amministratori e dal collegio sindacale.

2392. Responsabilità verso la società
     Gli amministratori devono adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richieste dalla natura dell’incarico, e sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza di tali doveri, a meno che si tratti di attribuzioni proprie del comitato esecutivo o di uno o più amministratori.
     In ogni caso gli amministratori, fermo quanto disposto dal comma terzo dell’articolo 2381, sono solidalmente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose.
     La responsabilità per gli atti o le omissioni degli amministratori non si estende a quello tra essi che, essendo immune da colpa, abbia fatto annotare senza ritardo il suo dissenso nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio, dandone immediata notizia per iscritto al presidente del collegio sindacale.

 

2393. Azione sociale di responsabilità
     L’azione di responsabilità contro gli amministratori è promossa in seguito a deliberazione dell’assemblea, anche se la società è in liquidazione.
     La deliberazione concernente la responsabilità degli amministratori può essere presa in occasione della discussione del bilancio, anche se non è indicata nell’elenco delle materia da trattare, quando si tratta di fatti di competenza dell’esercizio cui si riferisce il bilancio.
     L’azione può essere esercitata entro cinque anni dalla cessazione dell’amministratore dalla carica.
     La deliberazione dell’azione di responsabilità importa la revoca dall’ufficio degli amministratori contro cui è proposta, purché sia presa col voto favorevole di almeno un quinto del capitale sociale. In questo caso l’assemblea stessa provvede alla loro sostituzione.
     La società può rinunziare all’esercizio dell’azione di responsabilità e può transigere, purché la rinunzia e la transazione siano approvate con espressa deliberazione dell’assemblea, e purché non vi sia il voto contrario di una minoranza di soci che rappresenti almeno il quinto del capitale sociale o, nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, almeno un ventesimo del capitale sociale.

     Come si accennava, le modifiche delle norme in tema di azione sociale di responsabilità costituiscono una vera e propria piccola rivoluzione rispetto a quelle previgenti, anche se una anticipazione della nuova “filosofia” era già contenuta nel d.lgs. 58/98 (Testo Unico dell’Intermediazione Finanziaria).
     Tra tali modifiche, una delle meno apparenti, ma non per questo di poco momento, è quella concernente il tipo di diligenza richiesto dagli amministratori. Infatti, se in precedenza si faceva semplicemente riferimento alla diligenza del mandatario, il nuovo primo co. dell’art. 2392 cod. civ. rimanda alla “natura dell’incarico”.
     L’espressione potrebbe dettare una sorta di regola generale per il negozio gestorio, valida dunque per tutte le società, oppure una regola flessibile. In quest’ultimo senso, la “natura dell’incarico” si riferirebbe non tanto all’incarico di amministratore di una qualsiasi società per azioni, bensì alla nomina in quella particolare società gestita dall’amministratore.
     Anche se quest’ultima tesi appare senza dubbio affascinante, e se aprirebbe prospettive totalmente nuove in tema di responsabilità gestoria, ci sembra azzardato ipotizzare un grado di diligenza “graduato”, minimo per le società di piccole dimensioni, e massimo per quelle di notevoli dimensioni. Tuttavia – e questo già avveniva nella pratica – la nuova formulazione consente senza dubbio un minor grado di rigidità nella valutazione della diligenza dell’organo amministrativo; fermo restando, ovviamente, che le piccole dimensioni della società amministrata non giustificano certo la negligenza dell’amministratore.
     La nuova formulazione dell’art. 2393 cod. civ. contiene una importante precisazione (l’azione di responsabilità può essere esercitata, senza inclusione all’ordine del giorno, dall’assemblea che approva il bilancio, solo quando i fatti che hanno cagionato la responsabilità siano di competenza dell’esercizio cui il bilancio si riferisce) ed una differenziazione del regime di transazione dell’azione, in base al fatto che la società sia o meno quotata.

2393-bis. Azione sociale di responsabilità esercitata dai soci
     L’azione sociale di responsabilità può essere esercitata anche dai soci che rappresentino almeno un quinto o, nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, un ventesimo del capitale sociale, o la minore misura prevista nello statuto.
     La società deve essere chiamata in giudizio e l’atto di citazione è ad essa notificato anche in persona del presidente del collegio sindacale.
     I soci che intendono promuovere l’azione nominano, a maggioranza del capitale posseduto, uno o più rappresentanti comuni per l’esercizio dell’azione e per il compimento degli atti conseguenti.
     In caso di accoglimento della domanda, la società rimborsa agli attori le spese del giudizio e quelle sopportate nell’accertamento dei fatti che il giudice non abbia posto a carico dei soccombenti o che non sia possibile recuperare a seguito della loro escussione.
     I soci che hanno agito possono rinunciare all’azione o transigerla; ogni corrispettivo per la rinuncia o la transazione deve andare a vantaggio della società.
     Si applica all’azione prevista dal presente articolo l’ultimo comma dell’articolo precedente.

     La novità più rilevante è l’introduzione, anche per le società ordinarie, dell’azione di responsabilità esercitata dai soci, già consentita dal TUIF per le società quotate.
     In base al nuovo regime (introdotto dall’art. 2393 bis cod. civ.) i soci che rappresentino il 20% del capitale (il 5% nelle quotate) possono autonomamente esercitare l’azione di responsabilità. Anche se la norma non lo dice esplicitamente, sembra di poter concludere che i requisiti minimi di capitale possano essere raggiunti unendo più soci che individualmente non li raggiungerebbero: infatti, il 3° co. dell’art. 2393 bis prevede che i soci debbano nominare un rappresentante comune per l’esercizio dell’azione. Non si comprende, peraltro, se la nomina del rappresentante è obbligatoria in ogni caso (come ci sembrerebbe più logico), ovvero solo nel caso in cui i soci individualmente non raggiungano il capitale minimo richiesto.
     Per evitare qualunque tipo di strumentalizzazione, è previsto che in caso di transazione ogni vantaggio pattuito debba essere a favore della società.
     L’impatto della nuova norma è certamente dirompente, perchè consente alla minoranza assembleare di poter sottoporre all’autorità giudiziaria il comportamento degli amministratori, evitando che la regola maggioritaria possa consentire loro di gestire la società a proprio piacimento. D’altro canto, le limitazioni poste all’esercizio dell’azione (non tanto quella relativa al quorum minimo, quanto quella dell’impossibilità di conseguire dalla transazione un vantaggio diretto patrimoniale), oltre alla prospettiva di condanna al pagamento delle spese in caso di rigetto della domanda, dovrebbero costituire un deterrente alle azioni temerarie; anche se, è inutile nasconderselo, non saranno inimmaginabili accordi “sottobanco” tra maggioranza e minoranza assembleare per la rinuncia all’azione.

2394. Responsabilità verso i creditori sociali
     Gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale.
     L’azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti.
     La rinunzia all’azione da parte della società non impedisce l’esercizio dell’azione da parte dei creditori sociali. La transazione può essere impugnata dai creditori sociali soltanto con l’azione revocatoria quando ne ricorrono gli estremi.

  

2394-bis. Azioni di responsabilità nelle procedure concorsuali
     In caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa o amministrazione straordinaria le azioni di responsabilità previste dai precedenti articoli spettano al curatore del fallimento, al commissario liquidatore e al commissario straordinario.

 

2395. Azione individuale del socio e del terzo
     Le disposizioni dei precedenti articoli non pregiudicano il diritto al risarcimento del danno spettante al singolo socio o al terzo che sono stati direttamente danneggiati da atti colposi o dolosi degli amministratori.
     L’azione può essere esercitata entro cinque anni dal compimento dell’atto che ha pregiudicato il socio o il terzo.

     Per il resto, va segnalata solo l’esplicita previsione del termine di cinque anni per l’esercizio dell’azione ex art. 2395 cod. civ.; previsione forse inutile, in quanto il termine quinquennale di prescrizione derivava comunque dalla qualificazione dell’azione come extracontrattuale (art. 2947 cod. civ.), ormai accettata dalla dottrina e dalla giurisprudenza.
     Complessivamente, la riforma del diritto societario, per quanto riguarda le norme sugli amministratori, propone un modello moderno e ben più flessibile di gestione, rafforzando nel contempo sia la tutela della minoranza, che la trasparenza gestionale. Il tempo ci dirà se, nell’applicazione pratica, la riforma consentirà il contemperamento tra efficacia di gestione e repressione degli abusi.

2396. Direttori generali
     Le disposizioni che regolano la responsabilità degli amministratori si applicano anche ai direttori generali nominati dall’assemblea o per disposizione dello statuto, in relazione ai compiti loro affidati, salve le azioni esercitabili in base al rapporto di lavoro con la società.

 


* Per una migliore comprensione del commento, questo è posto in calce ai singoli articoli o gruppi di articoli annotati (riportati su sfondo crema) del codice civile novellato.

 

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