il diritto commerciale d’oggi
     VII.1 – gennaio 2008

D I Z I O N A R I O
a cura di Giovanni Cabras

Sono qui riportate “voci” del diritto commerciale che rappresentano neologismi (ovvero vecchie espressioni che di recente hanno assunto uno specifico significato o hanno posto nuovi problemi), con indicazioni delle relative fonti normative,
nonché di taluni links per l’approfondimento “in rete”.
Ovviamente, non c’è alcuna pretesa di completezza nella raccolta delle voci,
né di sistematicità nella loro illustrazione
voci del dizionario

K
N
Q
U
W
Y
Z

 


Tag along e Drag along (clausole di)

   Clausole che nella pratica degli affari sono inserite in patti parasociali per disciplinare l’ipotesi d’ingresso di nuovi soci di maggioranza nell’assetto proprietario di una società solitamente a ristretta compagine sociale. Con il diritto di tag along (c.d. diritto di co-vendita) si tutela la posizione dei soci di minoranza, ai quali è assicurata una way out e con il diritto di drag along si attribuisce ai nuovi soci di controllo il potere di acquisire l’intero pacchetto azionario senza essere costretti a subire la presenza di soci di minoranza ostili.
   La clausola di tag along obbliga un socio, solitamente, il partner industriale o il socio di maggioranza, che intenda vendere ad un terzo la propria partecipazione, a procurare la vendita delle quote partecipative dell’altro socio (di solito, il socio finanziatore o comunque quello di minoranza), che il terzo acquirente si obbliga ad acquistare alle medesime condizioni.
   Con la clausola del drag along, invece, il socio venditore ha diritto di vendere, insieme alla propria partecipazione, anche le azioni dell'altro socio, solitamente di minoranza, il quale ha comunque diritto alle medesime condizioni contrattuali ed al medesimo prezzo pro quota del socio venditore. Questa clausola è solitamente intesa ad aumentare il valore della partecipazione sociale venduta, consentendo al titolare del diritto di drag along di ottenere migliori condizioni nella negoziazione, considerata la possibilità per l'acquirente di acquistare il 100% del capitale e di non avere scomodi soci di minoranza.
URL: www.bancaditalia.it (Quaderni della ricerca giuridica)


Thin capitalization

   La thin capitalization, o capitalizzazione sottile, nuovo istituto del diritto tributario, introdotto nel nostro ordinamento con l’istituzione dell’IRES (Imposta sul Reddito delle Società, entrata in vigore ex d. lgs. n. 344/2003 il 1° gennaio 2004 al posto dell’IRPEG) ed in sostituzione della dual income tax (detassazione degli utili di impresa reinvestiti).
   La ratio della thin capitalization è duplice: da un lato, contrastare il diffuso fenomeno elusivo praticato per “trasformare” utili di impresa (tassati in misura ordinaria) in interessi soggetti ad una tassazione di imposta cedolare più contenuta e, generalmente, a titolo definitivo; dall’altro, contrastare (come già avveniva con la dual income tax), la sottocapitalizzazione delle imprese, rendendo indeducibili per la società gli interessi passivi a fronte di finanziamenti erogati dal socio qualificato, o una sua parte correlata, eccedenti un dato rapporto tra indebitamento e patrimonio netto.
   Più in particolare, la indeducibilità degli interessi passivi si applica a tutti i soggetti imprenditori, ad eccezione delle imprese con un volume di ricavi inferiore ad € 5.164.569,00 e delle banche e società finanziarie, che hanno un rapporto tra i finanziamenti erogati o garantiti dal socio qualificato (chi direttamente od indirettamente controlla la società ai sensi dell’art. 2359 cod. civ. attraverso una partecipazione del 25% al capitale sociale, comprendendovi anche le partecipazioni detenute da sue parti correlate), o da sue parti correlate (le società controllate dal socio ai sensi dell’art. 2359 cod. civ., nonché coniuge e familiari), e la propria quota di patrimonio netto contabile, maggiore di 4 a 1 per la parte eccedente il predetto rapporto. Qualora ricorrano tutti i ricordati presupposti, si avrà come effetto, ai sensi dell’art. 44, comma 1, lett. e) del TUIR, l’indeducibilità degli interessi passivi per l’erogante e, di converso, l’assimilazione per il socio e le sue parti correlate della remunerazione dei finanziamenti erogati ai dividendi.
Fonti: art. 98 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi.
URL: www.finanze.it


Titoli strutturati

   Titoli che uniscono in un unico strumento finanziario le caratteristiche di una obbligazione e di un contratto derivato. I flussi di pagamento per interessi sono indicizzati all’andamento del parametro sottostante alla componente derivata; a seconda del tipo di indicizzazione delle cedole e/o del pagamento del capitale a scadenza, i titoli strutturati sono diversamente denominati: le equity linked sono indicizzate all’andamento di titoli o indici azionari; nelle fixed reverse floaters l’indicizzazione è collegata in maniera complessa all’andamento dei tassi di interessi.
   Per una particolare tipologia di titoli strutturati, denominati reverse convertible e consistenti – di fatto – nella vendita all’investitore di una put option su specifici titoli azionari, il valore di rimborso può risultare inferiore a quello di sottoscrizione. La caratteristica dei titoli reverse convertible è quella di prevedere:
   – la corresponsione di un tasso di interesse fisso;
   – un diritto di opzione a favore dell’emittente che gli conferisce la facoltà di rimborsare il capitale alla scadenza mediante la consegna fisica di un predefinito numero di azioni di una determinata società.
   Si tratta di titoli strutturati aventi normalmente durata pari o inferiore all’anno.
Fonti: Regolamento Consob n. 11522 del 1° luglio 1998, modificato con deliberazione 6 agosto 2002, n. 13710; art. 2411 cod. civ. (nel testo modificato dal d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 6).
URL: www.consob.it (percorso: pubblicazioni e commenti/ Quaderni di Finanza/ n. 35)


Topping up (accordo di)

   Accordo che interviente tra un ente creditizio, una sua succursale in un altro Stato della Unione Europea ed un sistema di garanzia dei depositi dello Stato in cui opera la succursale. Con tale accordo il sistema di garanzie dei depositi del Paese ospitante stabilisce le condizioni alle quali si impegna a fornire alla succursale estera una copertura supplementare per integrare quella del Paese d’origine.
   Presupposto degli accordi di topping up è che uno Stato membro applichi per i depositi bancari una garanzia superiore al minimo legale (90% dei depositi, fino al livello minimo di garanzia di EUR 20.000); in tal caso la direttiva 94/19/CE (art. 4, n. 2), al fine di stimolare la competitività fra enti creditizi, ha stabilito che il sistema di garanzia dei depositi del Paese ospitante offra la possibilità di una garanzia supplementare alle succursali estere che intendano aumentare la propria copertura.
   La Commissione europea ha analizzato (Rapporto della Commissione COM 2001 – 595) il funzionamento del sistema di copertura supplementare dei depositi, rilevando che tale sistema ha trovato scarsa applicazione (5 accordi bilaterali, nessun pagamento erogato), a causa non solo dell’allineamento che si è avuto in seno all’UE delle condizioni minime relative alla garanzia dei depositi (solo 3 Stati membri su 15, ovvero Francia, Italia e Danimarca, concedono garanzie superiori al minimo), ma anche dei potenziali problemi di riservatezza che la stipula di simili clausole può comportare per succursali e società madri, in termini di informazioni addizionali da fornire allo Stato membro ospitante. Tuttavia, la Commissione ha consigliato di mantenere la copertura supplementare, tramite accordi di topping up, in vista soprattutto della prossima adesione all’Unione di nuovi Stati all’Unione Europea; infatti, le succursali estere di enti creditizi stabiliti nei paesi candidati potrebbero richiedere una copertura supplementare agli Stati membri ospitanti al fine di integrare la garanzia fornita dai loro Stati d’origine, qualora venga loro accordato un periodo transitorio per l’adeguamento agli standard minimi previsti dalla direttiva 94/19/CE.
Fonti: direttiva 94/19/CE (art. 4, n. 2)
URL: www.europa.eu.int


Trust

   Istituto giuridico, tipico del diritto anglosassone e dotato di grandissima flessibilità.
   Attraverso l’atto di trust, un soggetto – detto settlor (disponente) – trasferisce la proprietà di alcuni beni o la titolarità di diritti ad un altro – detto trustee (fiduciario) – il quale assume l’obbligazione di amministrarli per un determinato periodo, secondo le istruzioni del disponente, a favore di determinati beneficiari. Può essere, inoltre, previsto un guardiano ovvero un comitato dei creditori che vigilano sull’integrità patrimoniale del trust, e che, tra l’altro, possono proporre azione di responsabilità nei confronti del trustee. L’effetto più rilevante che si ottiene con la costituzione del trust è la totale segregazione patrimoniale dei beni in esso immessi rispetto al patrimonio del disponente, del trustee, dei beneficiari e di loro eventuali creditori.
   In particolare, il settlor è il soggetto (individuo o società) che crea un trust con il trasferimento di patrimonio al trustee. Tale trasferimento è documentato da un atto )atto di trust), comprovante che il settlor non è più il proprietario dei beni. Il trustee è il soggetto (individuo o società) che diviene l’effettivo proprietario dei beni oggetto del trust ed è responsabile per l’amministrazione degli stessi, nei termini stabiliti nell’atto e dalla legge applicabile a quello specifico trust. I beneficiari sono i soggetti (individui o società) a cui vengono erogati i redditi prodotti dai beni oggetto del trust e, al termine del trust, i beni stessi (tra i beneficiari può esservi anche il settlor). I beneficiari non devono necessariamente essere identificabili per mezzo del nome, è sufficiente che siano accertabili tramite un riferimento.
    L’ordinamento giuridico italiano (nel quale vi sono istituti giuridici per taluni aspetti affini, ma non analoghi, ai trusts: patrimoni destinati ad un unico affare; negozio fiduciario; intestazione fiduciaria di titoli a società fiduciarie; fedecommesso) non ha una propria disciplina sui trusts, ma riconosce gli effetti dei trusts con la legge 16 ottobre 1989 n. 364 (ratifica della Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985 sulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento). Tuttavia, si sta diffondendo l’opinione secondo cui il riconoscimento non è limitato ai trusts esteri, ma anche a quelli interni (purché non contrastanti con norme imperative o principi di ordine pubblico e privi di intenti abusivi o fraudolenti).
   Le obiezioni a tale impostazione, finora costituite essenzialmente dalla mancanza di una regolamentazione e dall’impossibilità di trascrivere il vincolo di destinazione, sono superate dall’art. 2645-ter cod. civ. (introdotto dalla legge Dl n. 273/2005 (c.d. decreto mille proroghe), che riconosce la trascrivibilità degli “atti di destinazione” nei pubblici registri, sancendo così l’ammissibilità dei trust – pur non nominanto espressamente – tra cittadini italiani e riferiti a beni ubicati in Italia.
   Il nuovo art. 2645-ter prevede la possibilità di destinare beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri per realizzare “interessi meritevoli di tutela” (esemplarmente, gli interessi di un minore, di un disabile e di ogni altra persona o ente, pubblico o privato), con un vincolo che non può eccedere i 90 anni (se il beneficiario è una persona fisica, per un periodo non superiore alla sua vita)
   L’atto di destinazione, stipulato per atto pubblico, è soggetto a trascrizione, al fine di opporre ai terzi il vincolo impresso sui beni destinati ad un determinato scopo. In tal modo si realizza l’isolamento di un bene nel patrimonio del soggetto che ne è titolare, per formare un patrimonio destinato a specifiche finalità (rese pubbliche, con l’iscrizione dell’atto di destinazione) e reso insensibile alle pretese dei creditori personali, salvo si tratti di debiti contratti per perseguire le finalità che il disponente mira a realizzare.
Fonti: Convenzione dell’Aja del 1°luglio 1985; legge 16 ottobre 1989 n. 364; art. 2645-ter cod. civ.
URL: www.il-trust-in-italia.it
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