CODICE CIVILE
LIBRO V DEL LAVORO
CAPO V
SOCIETÀ PER AZIONI
Sezione X Delle modificazioni
dello statuto
La
legge di riforma del diritto societario (D. lgs. 17 Gennaio
2003, n. 6; D. lgs, 17 Gennaio 2003, n.5; entrambi emanati
in attuazione della legge delega 3 Ottobre 2001, n. 366) ha
innovato profondamente il sistema delle modifiche statutarie.
Il principio al quale il legislatore si è ispirato,
in questa materia così come in tutta la nuova legge,
è quello di un modello organizzativo dove prevale l’autonomia
privata su schemi normativi “preconfezionati”
al fine di garantire una gestione societaria sempre più
flessibile.
I punti principali toccati dalla
nuova legge in questa sede, sono i seguenti: le delibere modificative
non sono più di competenza esclusiva dell’assemblea
straordinaria, ma possono essere dallo statuto riservate agli
amministratori, al consiglio di sorveglianza od a quello di
gestione .
Tuttavia ciò è
consentito esclusivamente per quelle delibere che non incidono
in modo negativo sui diritti dei soci, ma si riflettono solo
sulla struttura organizzativa (così la Relazione);
rientrano in questa categoria la delibera di trasferimento
della sede sociale nel territorio nazionale e quella di istituzione
di sedi secondarie, la fusione con società interamente
possedute, o possedute al 90%, e la riduzione del capitale
in caso di recesso (restano invariate le ipotesi di modifiche
statutarie già attribuite agli amministratori dagli
articoli 2420-ter e 2443 cod. civ. vecchio testo).
Sono altresì importanti
i cambiamenti sugli effetti delle modifiche allo statuto sociale:
è stato interamente rivisitato l’istituto del
diritto di recesso, visto non più come rimedio estremo
con il quale si mina l’integrità del capitale
sociale, ma come strumento voluto per una miglior tutela del
socio verso le decisioni della maggioranza, ed infine si è
notevolmente semplificato l’istituto della riduzione
di capitale.
Passiamo adesso all’analisi
dei singoli articoli.
2436 (Deposito, iscrizione
e pubblicazione delle modificazioni)
1. Il notaio
che ha verbalizzato la deliberazione di modifica dello statuto,
entro trenta giorni, verificato l’adempimento delle
condizioni stabilite dalla legge, ne richiede l’iscrizione
nel registro delle imprese contestualmente al deposito e allega
le eventuali autorizzazioni richieste.
2. L’ufficio
del registro delle imprese, verificata la regolarità
formale della documentazione, iscrive la delibera nel registro.
3. Se il notaio
ritiene non adempiute le condizioni stabilite dalla legge,
ne dà comunicazione tempestivamente, e comunque non
oltre il termine previsto dal primo comma del presente articolo,
agli amministratori. Gli amministratori, nei trenta giorni
successivi, possono convocare l’assemblea per gli opportuni
provvedimenti oppure ricorrere al tribunale per il provvedimento
di cui ai successivi commi; in mancanza la deliberazione è
definitivamente inefficace.
4. Il tribunale,
verificato l’adempimento delle condizioni richieste
dalla legge e sentito il pubblico ministero, ordina l’iscrizione
nel registro delle imprese con decreto soggetto a reclamo.
5. La deliberazione
non produce effetti se non dopo l’iscrizione.
6. Dopo ogni
modifica dello statuto deve esserne depositato nel registro
delle imprese il testo integrale nella sua redazione aggiornata.
La
norma conferma in primo luogo l’abolizione del giudizio
di omologazione (abolito con la legge n. 340 del 2000), così
come consentito dalla prima direttiva comunitaria, lasciando
al notaio il compito del controllo di legalità sostanziale
ed al Registro delle Imprese il controllo di legalità
formale.
Il notaio ha infatti il potere
ed il dovere di verificare l’esistenza di tutti i requisiti
legali della delibera e qualora ritenga non si possa procedere
all’iscrizione, avvisa di ciò gli amministratori;
questi ultimi , in base alle nuove norme, potranno o rivolgersi
al tribunale per il reclamo, oppure convocare l’assemblea
per apportare alla delibera le opportune modifiche. In sede
di iscrizione il notaio, unitamente alla delibera, ha l’obbligo
di allegare le eventuali autorizzazioni (si pensi ad esempio
all’autorizzazione della Banca d’Italia per s.p.a.
che esercitano attività bancaria); in caso di iscrizione
in assenza della necessaria autorizzazione, si applica l’articolo
223-quater disposizioni di attuazione (norma che prevede la
possibilità per l’autorità compente a
rilasciare l’autorizzazione a proporre istanza presso
il competente tribunale, per la cancellazione dell’iscrizione).
La delibera va iscritta entro
trenta giorni; da notare come non vi sia più identità
di termini con l’atto costitutivo, che invece adesso
s’iscrive entro venti giorni dalla stipulazione dell’atto
costitutivo.
L’iscrizione nel Registro
delle imprese produce gli effetti di cui all’articolo
2448 cod. civ., e cioè l’opponibilità
ai terzi , salva la possibilità di provare che i terzi
ne erano comunque a conoscenza.
2437 (Diritto di recesso)
1. Hanno diritto
di recedere, per tutte o parte delle loro azioni, i soci che
non hanno concorso alle deliberazioni riguardanti:
a) la modifica della clausola
dell’oggetto sociale, quando consente un cambiamento
significativo dell’attività della società;
b) la trasformazione della società;
c) il trasferimento della sede
sociale all’estero;
d) la revoca dello stato di
liquidazione;
e) l’eliminazione di una
o più cause di recesso previste dal successivo comma
ovvero dallo statuto;
f) la modifica dei criteri di
determinazione del valore dell’azione in caso di recesso;
g) le modificazioni dello statuto
concernenti i diritti di voto o di partecipazione.
2. Salvo che
lo statuto disponga diversamente, hanno diritto di recedere
i soci che non hanno concorso all’approvazione delle
deliberazioni riguardanti:
a) la proroga del termine;
b) l’introduzione o la
rimozione di vincoli alla circolazione dei titoli azionari.
3. Se la società
è costituita a tempo indeterminato e le azioni non
sono quotate in un mercato regolamentato il socio può
recedere con il preavviso di almeno centottanta giorni; lo
statuto può prevedere un termine maggiore, non superiore
ad un anno.
4. Lo statuto
delle società che non fanno ricorso al mercato del
capitale di rischio può prevedere ulteriori cause di
recesso.
5. Restano
salve le disposizioni dettate in tema di recesso per le società
soggette ad attività di direzione e coordinamento.
6. È
nullo ogni patto volto ad escludere o rendere più gravoso
l’esercizio del diritto di recesso nelle ipotesi previste
dal primo comma del presente articolo.
Dall’analisi
del primo comma dell’articolo in esame ci si rende immediatamente
conto di come l’istituto del diritto di recesso risulti
totalmente innovato.
In primo luogo tale diritto
è ora attribuito non più solo ai soci dissenzienti
ma anche ai soci astenuti; non essendo più il recesso
istituto di natura eccezionale, ma logica conseguenza di una
modifica statutaria sgradita, si è ritenuto opportuno
tutelare anche il socio che per qualsiasi motivo non sia intervenuto
in assemblea.
Ulteriore innovazione è
la possibilità di recedere parzialmente; si consente
infatti al socio dubbioso di fronte al proporsi di nuovi scenari
all’interno della società, di diminuire la sua
partecipazione di rischio pur mantenendo la propria qualità
di socio.
Passando alla analisi delle
singole cause previste dal legislatore legittimanti l’esercizio
del diritto di recesso, possiamo in primo luogo suddividerle
in tre gruppi ben distinti: cause volontarie, statutarie e
legali.
Definiamo legali le fattispecie
previste dalla lettera “a” alla lettera “g”
dell’articolo in esame poiché ineliminabili per
espressa previsione di legge (l’art. 2437 ultimo comma
dichiara la nullità di ogni patto volto a escludere
o rendere più gravoso l’esercizio del diritto
di recesso; i commentatori del vecchio testo, che riportava
lo stesso principio, ritenevano tuttavia nulli i soli patti
che vietassero il recesso in senso generico; è in ogni
caso possibile la rinuncia al diritto di recesso); sono statutarie
quelle che, se pur previste dal legislatore possono tuttavia
essere eliminate in sede di statuto (proroga del termine e
norme relative alla circolazione dei titoli azionari); infine,
ma solo per le società non quotate, è prevista
la possibilità che lo statuto contenga casi di recesso
ulteriori, liberamente determinabili dall’autonomia
privata dei soci (importante ricordare che le clausole statutarie
di mero gradimento sono inefficaci se non prevedono il diritto
di recesso a favore dell’alienante).
Analizzando nel dettaglio le
ipotesi di recesso regolate dalla norma, si nota come nessuna
innovazione di rilievo, rispetto alla normativa previgente,
venga sancita dalledisposizioni contenute nelle lettere a),
b) e c) – modifica dell’oggetto sociale, trasformazione
della società e trasferimento della sede all’estero
– se non la specificazione che la modifica dell’oggetto
sociale deve essere di notevole incisività, escludendo
quindi espressamente tutti quei cambiamenti che non comportino
un vero e proprio stravolgimento dell’attività
sociale.
Importante è, invece,
la novità introdotta dalla lettera d) dell’articolo
in esame: il legislatore infatti, accogliendo la revoca dello
stato di liquidazione tra le cause di recesso, interrompe
un’annosa diatriba giurisprudenziale e dottrinaria sulla
natura del diritto alla quota di liquidazione (coloro i quali
attribuivano alla quota di liquidazione natura di diritto
individuale del socio – vedi per tutti Ferrara –
negavano la possibilità di revocare lo stato di liquidazione
a maggioranza, ma solo all’unanimità; il nuovo
testo della norma in esame ha accolto questa teoria)
Sarà perciò adesso
possibile revocare lo stato di liquidazione a maggioranza,
poiché il socio, assente o dissenziente, può
comunque recedere ed ottenere così la sua quota di
liquidazione; e per meglio sottolineare l’introduzione
di questo principio l’articolo 2436 cod. civ. è
ora richiamato dall’art.2487-ter cod. civ. disciplinante
la revoca dello stato di liquidazione «con le maggioranze
richieste per le modifiche dell’atto costitutivo».
Ulteriore innovazione della legge di riforma è la possibilità
di costituire una società di capitali a tempo indeterminato;
in tal caso si è previsto che, ove la società
non sia quotata in borsa, il socio possa in ogni tempo recedere
dando un preavviso di almeno sei mesi, termine questo che
può essere statutariamente portato fino al limite massimo
di un anno.
Appare opportuno in questa sede
richiamare inoltre l’art. 2437-quinquies, ove si prevede
una particolare causa di recesso per le società quotate;
possono infatti recedere in questo caso tutti i soci astenuti
dal deliberare l’esclusione dalla quotazione.
La norma, infine, in chiusura,
richiama espressamente l’art.2497-quater cod. civ.,
ove vengono disciplinate le cause di recesso per le società
che esercitano attività di direzione e di controllo.
Per quanto riguarda le S.r.l.,
vi sono alcune particolarità previste dal legislatore
esclusivamente per questo tipo di società: alle cause
di recesso sopra elencate va aggiunta la fusione, ed inoltre
al diritto di recesso del socio corrisponde il diritto di
esclusione della società nei confronti del socio per
giusta causa (diritto tipico delle società di persone).
Si applicano all’esclusione
le medesime norme previste per la procedura del recesso ,
esclusa la possibilità di ridurre il capitale sociale
2437-bis. Termini
e modalità di esercizio
1. Il diritto
di recesso è esercitato mediante lettera raccomandata
che deve essere spedita entro quindici giorni dall’iscrizione
nel registro delle imprese della delibera che lo legittima,
con l’indicazione delle generalità del socio
recedente, del domicilio per le comunicazioni inerenti al
procedimento, del numero e della categoria delle azioni per
le quali il diritto di recesso viene esercitato. Se il fatto
che legittima il recesso è diverso da una deliberazione,
esso è esercitato entro trenta giorni dalla sua conoscenza
da parte del socio.
2. Le azioni
per le quali è esercitato il diritto di recesso non
possono essere cedute e devono essere depositate presso la
sede sociale.
3. Il recesso
non può essere esercitato e, se già esercitato,
è privo di efficacia, se, entro novanta giorni, la
società revoca la delibera che lo legittima ovvero
se è deliberato lo scioglimento della società.
Il
legislatore della riforma si preoccupa di regolare nel dettaglio
la procedura dell’esercizio del diritto di recesso,
fissandone per l’appunto “termini e modalità”.
In primo luogo l’esercizio
del recesso per la sua validità ad substantiam
richiede la forma scritta; il socio che intende esercitare
tale diritto ha infatti l’onere di inviare una lettera
raccomandata con l’indicazione delle sue generalità
e del numero di azioni per le quali intende esercitare il
diritto stesso.
Se il recesso è determinato
da una delibera assembleare, il termine utile entro il quale
inviare la raccomandata è di 15 giorni dalla iscrizione
nel registro delle imprese della delibera stessa; qualora
invece il recesso sia determinato non da una delibera, ma
da un fatto, il termine è di 30 giorni dalla sua venuta
a conoscenza da parte del socio.
Importante sottolineare come
la società, di fronte ad una dichiarazione di volontà
di recesso, qualora non voglia o non possa liquidare la quota
del socio, sia legittimata a deliberare lo scioglimento della
stessa società o la revoca della delibera che ha dato
luogo al recesso.
2437-ter (Criteri
di determinazione del valore delle azioni)
1. Il socio
ha diritto alla liquidazione delle azioni per le quali esercita
il recesso.
Il valore delle azioni è determinato dagli amministratori,
sentito il parere del collegio sindacale e del soggetto incaricato
della revisione contabile, tenuto conto della consistenza
patrimoniale della società e delle sue prospettive
reddituali, nonché dell’eventuale valore di mercato
delle azioni.
2. Il valore
di liquidazione delle azioni quotate su mercati regolamentati
è determinato facendo esclusivo riferimento alla media
aritmetica dei prezzi di chiusura nei sei mesi che precedono
la pubblicazione ovvero ricezione dell’avviso di convocazione
dell’assemblea le cui deliberazioni legittimano il recesso.
3. Lo statuto
può stabilire criteri diversi di determinazione del
valore di liquidazione, indicando gli elementi dell’attivo
e del passivo del bilancio che possono essere rettificati
rispetto ai valori risultanti dal bilancio, unitamente ai
criteri di rettifica, nonché altri elementi suscettibili
di valutazione patrimoniale da tenere in considerazione.
4. I soci hanno
diritto a conoscere la determinazione del valore di cui al
secondo comma del presente articolo nei quindici giorni precedenti
alla data fissata per l’assemblea; ciascun socio ha
diritto di prenderne visione e di ottenerne copia a proprie
spese.
5. In caso
di contestazione da proporre contestualmente alla dichiarazione
di recesso il valore di liquidazione è determinato
entro novanta giorni dall’esercizio del diritto di recesso
tramite relazione giurata di un esperto nominato dal tribunale,
che provvede anche sulle spese, su istanza della parte più
diligente; si applica in tal caso il primo comma dell’articolo
1349.
Il
socio che recede ha diritto ad ottenere la sua quota di liquidazione.
Il legislatore si preoccupa
di regolare le modalità di determinazione della quota
del recedente cercando di tutelare gli interessi di tutte
le parti in causa; quello della società a non veder
leso il capitale sociale e quello del socio a non essere penalizzato
nella valutazione della propria quota.
Due sono i dati ai quali gli
amministratori si devono riferire per il calcolo del valore
della quota di liquidazione: la “consistenza patrimoniale”
e le “prospettive reddituali” della società
(anche il criterio del valore di mercato è preso in
considerazione, se pure in via residuale.).
Si tratta di nozioni nuove,
che vengono ad integrare la figura della situazione patrimoniale,
rendendola in qualche modo più elastica.
Lo statuto può comunque
indicare quali elementi, sia dell’attivo che del passivo,
debbano essere rettificati ed altresì quali criteri
di rettifica utilizzare
In caso di contestazione tra
socio e società sul valore attribuito alla quota di
liquidazione provvede un esperto nominato dal presidente del
tribunale.
Per le società con azioni
quotate in borsa logicamente il valore della quota di liquidazione
sarà determinato secondo criteri certi ed incontestabili
quali la media aritmetica dei prezzi di chiusura degli ultimi
6 mesi.
Per le S.r.l., invece, il legislatore
ha adottato esclusivamente il criterio del valore di mercato.
2437-quater (Procedimento
di liquidazione)
1. Gli amministratori
offrono in opzione le azioni del socio recedente agli altri
soci in proporzione al numero delle azioni possedute. Se vi
sono obbligazioni convertibili, il diritto di opzione spetta
anche ai possessori di queste, in concorso con i soci, sulla
base del rapporto di cambio.
2. L’offerta
di opzione è depositata presso il registro delle imprese
entro quindici giorni dalla determinazione definitiva del
valore di liquidazione. Per l’esercizio del diritto
di opzione deve essere concesso un termine non inferiore a
trenta giorni dal deposito dell’offerta.
3. Coloro che
esercitano il diritto di opzione, purché ne facciano
contestuale richiesta, hanno diritto di prelazione nell’acquisto
delle azioni che siano rimaste non optate.
4. Qualora
i soci non acquistino in tutto o in parte le azioni del recedente,
gli amministratori possono collocarle presso terzi; nel caso
di azioni quotate in mercati regolamentati, il loro collocamento
avviene mediante offerta nei mercati medesimi.
5. In caso
di mancato collocamento ai sensi delle disposizioni dei commi
precedenti, le azioni del recedente vengono rimborsate mediante
acquisto da parte della società utilizzando riserve
disponibili anche in deroga a quanto previsto dal terzo comma
dell’articolo 2357.
6. In assenza
di utili e riserve disponibili, deve essere convocata l’assemblea
straordinaria per deliberare la riduzione del capitale sociale,
ovvero lo scioglimento della società.
7. Alla deliberazione
di riduzione del capitale sociale si applicano le disposizioni
del comma secondo, terzo e quarto dell’articolo 2445;
ove l’opposizione sia accolta la società si scioglie.
Il
procedimento di liquidazione prevede una serie di ipotesi
così articolate: in primo luogo gli amministratori
devono offrire le azioni del socio receduto in opzione agli
altri soci e, qualora detta offerta non trovi adesioni, devono
collocarle presso terzi.
In caso di mancato collocamento,
occorre procedere al rimborso diretto da parte della società;
per la tutela del capitale sociale, nel rispetto del diritto
dei creditori, si procederà al rimborso, utilizzando
in primo luogo gli utili e, ove non sia sufficiente, le riserve
disponibili.
In ultima ratio sarà
possibile ridurre il capitale con delibera dell’assemblea
straordinaria; resta, tuttavia, salva la facoltà dell’assemblea
in questo caso di deliberare lo scioglimento.
Per le S.r.l. il procedimento
di liquidazione della quota è retto dalle medesime
norme delle società per azioni.
2437-quinquies (Disposizioni
speciali per le società con azioni quotate sui mercati
regolamentati)
1. Se le azioni
sono quotate sui mercati regolamentati hanno diritto di recedere
i soci che non hanno concorso alla deliberazione che comporta
l’esclusione dalla quotazione.
2437-sexies (Azioni
riscattabili)
1. Le disposizioni
degli articoli 2437-ter e 2437-quater si applicano, in quanto
compatibili, alle azioni o categorie di azioni per le quali
lo statuto prevede un potere di riscatto da parte della società
o dei soci. Resta salva in tal caso l’applicazione della
disciplina degli articoli 2357 e 2357-bis.
2438 (Aumento di capitale)
1. Un aumento
di capitale non può essere eseguito fino a che le azioni
precedentemente emesse non siano interamente liberate.
2. In caso
di violazione del precedente comma, gli amministratori sono
solidalmente responsabili per i danni arrecati ai soci ed
ai terzi. Restano in ogni caso salvi gli obblighi assunti
con la sottoscrizione delle azioni emesse in violazione del
precedente comma.
La
norma sostanzialmente non apporta alcuna novità di
rilievo alla disciplina previgente; vi è, tuttavia,
rispetto al vecchio testo, una precisazione terminologica,
che merita di essere sottolineata, poiché mette la
parola fine ad una tormentata questione.
Il nuovo legislatore infatti
non si limita più a vietare genericamente l’emissione
di nuove azioni fino alla integrale liberazione di quelle
già emesse, ma pone invece ora il divieto esclusivamente
sulla eseguibilità della delibera di aumento di capitale
(è noto come la dottrina fosse divisa sull’interpretazione
dell’articolo in esame e perciò sulla possibilità
di adottare una delibera di aumento di capitale senza aver
integralmente librato le azioni precedentemente emesse).
Da sottolineare, tuttavia, il
profondo contrasto creatosi adesso tra l’ipotesi di
aumento di capitale, di cui alla norma in esame, e quella
di emissione di obbligazioni convertibili in azioni di cui
all’articolo 2420-bis cod. civ.
2439 (Sottoscrizione e versamenti)
1. Salvo quanto
previsto nel quarto comma dell’articolo 2342, i sottoscrittori
delle azioni di nuova emissione devono, all’atto della
sottoscrizione, versare alla società almeno il venticinque
per cento del valore nominale delle azioni sottoscritte. Se
è previsto un soprapprezzo, questo deve essere interamente
versato all’atto della sottoscrizione.
2. Se l’aumento
di capitale non è integralmente sottoscritto entro
il termine che, nell’osservanza di quelli stabiliti
dall’articolo 2441, secondo e terzo comma, deve risultare
dalla deliberazione, il capitale è aumentato di un
importo pari alle sottoscrizioni raccolte soltanto se la deliberazione
medesima lo abbia espressamente previsto.
2440 (Conferimenti di beni
in natura e di crediti)
1. Se l’aumento
di capitale avviene mediante conferimento di beni in natura
o di crediti si applicano le disposizioni degli articoli 2342,
terzo e quinto comma, e 2343.
Le
norme confermano il procedimento tipico dell’aumento
di capitale; l’unica differenza è nella diversa
quantità di denaro da versare all’atto della
sottoscrizione dell’aumento, adesso del venticinque
per cento anziché tre decimi.
2441 (Diritto di opzione)
1. Le azioni
di nuova emissione e le obbligazioni convertibili in azioni
devono essere offerte in opzione ai soci in proporzione al
numero delle azioni possedute. Se vi sono obbligazioni convertibili
il diritto di opzione spetta anche ai possessori di queste,
in concorso con i soci, sulla base del rapporto di cambio.
2. L’offerta
di opzione deve essere depositata presso l’ufficio del
registro delle imprese. Salvo quanto previsto dalle leggi
speciali per le società quotate sui mercati regolamentati,
per l’esercizio del diritto di opzione deve essere concesso
un termine non inferiore a trenta giorni dalla pubblicazione
dell’offerta.
3. Coloro che
esercitano il diritto di opzione, purché ne facciano
contestuale richiesta, hanno diritto di prelazione nell’acquisto
delle azioni e delle obbligazioni convertibili in azioni che
siano rimaste non optate. Se le azioni sono quotate sui mercati
regolamentati, i diritti di opzione non esercitati devono
essere offerti in borsa dagli amministratori, per conto della
società, per almeno cinque riunioni, entro il mese
successivo alla scadenza del termine stabilito a norma del
secondo comma.
4. Il diritto
di opzione non spetta per le azioni di nuova emissione che,
secondo la deliberazione di aumento del capitale, devono essere
liberate mediante conferimenti in natura. Nelle società
con azioni quotate sui mercati regolamentati lo statuto può
altresì escludere il diritto di opzione nei limiti
del dieci per cento del capitale sociale preesistente, a condizione
che il prezzo di emissione corrisponda al valore di mercato
delle azioni e ciò sia confermato in apposita relazione
dalla società incaricata della revisione contabile.
5. Quando l’interesse
della società lo esige, il diritto di opzione può
essere escluso o limitato con la deliberazione di aumento
di capitale, approvata da tanti soci che rappresentino oltre
la metà del capitale sociale, anche se la deliberazione
è presa in assemblea di convocazione successiva alla
prima.
6. Le proposte
di aumento di capitale sociale con esclusione o limitazione
del diritto di opzione, ai sensi del primo periodo del quarto
comma o del quinto comma del presente articolo, devono essere
illustrate dagli amministratori con apposita relazione, dalla
quale devono risultare le ragioni dell’esclusione o
della limitazione, ovvero, qualora l’esclusione derivi
da un conferimento in natura, le ragioni di questo e in ogni
caso i criteri adottati per la determinazione del prezzo di
emissione. La relazione deve essere comunicata dagli amministratori
al collegio sindacale o al consiglio di sorveglianza e al
soggetto incaricato del controllo contabile almeno trenta
giorni prima di quello fissato per l’assemblea. Entro
quindici giorni il collegio sindacale deve esprimere il proprio
parere sulla congruità del prezzo di emissione delle
azioni. Il parere del collegio sindacale e la relazione giurata
dell’esperto designato dal tribunale nell’ipotesi
prevista dal quarto comma devono restare depositati nella
sede della società durante i quindici giorni che precedono
l’assemblea e finché questa non abbia deliberato;
i soci possono prenderne visione. La deliberazione determina
il prezzo di emissione delle azioni in base al valore del
patrimonio netto, tenendo conto, per le azioni quotate in
borsa, anche dell’andamento delle quotazioni nell’ultimo
semestre.
7. Non si considera
escluso né limitato il diritto di opzione qualora la
deliberazione di aumento di capitale preveda che le azioni
di nuova emissione siano sottoscritte da banche, da enti o
società finanziarie soggetti al controllo della Commissione
nazionale per le società e la borsa ovvero da altri
soggetti autorizzati all’esercizio dell’attività
di collocamento di strumenti finanziari, con obbligo di offrirle
agli azionisti della società, con operazioni di qualsiasi
tipo, in conformità con i primi tre commi del presente
articolo. Nel periodo di detenzione delle azioni offerte agli
azionisti e comunque fino a quando non sia stato esercitato
il diritto di opzione, i medesimi soggetti non possono esercitare
il diritto di voto. Le spese dell’operazione sono a
carico della società e la deliberazione di aumento
del capitale deve indicarne l’ammontare.
8. Con deliberazione
dell’assemblea presa con la maggioranza richiesta per
le assemblee straordinarie può essere escluso il diritto
di opzione limitatamente a un quarto delle azioni di nuova
emissione, se queste sono offerte in sottoscrizione ai dipendenti
della società o di società che la controllano
o da cui è controllata. L’esclusione dell’opzione
in misura superiore al quarto deve essere approvata con la
maggioranza prescritta nel quinto comma.
Anche
in questo caso la disciplina è rimasta la medesima;
solo per le società quotate in borsa è stata
apportata una modifica consistente nella possibilità
di escludere il diritto di opzione nei limiti del dieci per
cento, sempre che il prezzo di emissione corrisponda al valore
di mercato delle azioni.
2442 (Passaggio di riserve
a capitale)
1. L’assemblea
può aumentare il capitale, imputando a capitale le
riserve e gli altri fondi iscritti in bilancio in quanto disponibili.
2. In questo
caso le azioni di nuova emissione devono avere le stesse caratteristiche
di quelle in circolazione, e devono essere assegnate gratuitamente
agli azionisti in proporzione di quelle da essi già
possedute.
3. L’aumento
di capitale può attuarsi anche mediante aumento del
valore nominale delle azioni in circolazione.
2443 (Delega agli amministratori)
1. Lo statuto
può attribuire agli amministratori la facoltà
di aumentare in una o più volte il capitale fino ad
un ammontare determinato e per il periodo massimo di cinque
anni dalla data dell’iscrizione della società
nel registro delle imprese. Tale facoltà può
prevedere anche l’adozione delle deliberazioni di cui
al quarto e quinto comma dell’articolo 2441; in questo
caso si applica in quanto compatibile il sesto comma dell’articolo
2441 e lo statuto determina i criteri cui gli amministratori
devono attenersi.
2. La facoltà
di cui al secondo periodo del precedente comma può
essere attribuita anche mediante modificazione dello statuto,
approvata con la maggioranza prevista dal quinto comma dell’articolo
2441, per il periodo massimo di cinque anni dalla data della
deliberazione.
3. Il verbale
della deliberazione degli amministratori di aumentare il capitale
deve essere redatto da un notaio e deve essere depositato
e iscritto a norma dall’articolo 2436.
2444 (Iscrizione nel registro
delle imprese)
1. Nei trenta
giorni dall’avvenuta sottoscrizione delle azioni di
nuova emissione gli amministratori devono depositare per l’iscrizione
nel registro delle imprese un’attestazione che l’aumento
del capitale è stato eseguito.
2. Fino a che
l’iscrizione nel registro non sia avvenuta, l’aumento
del capitale non può essere menzionato negli atti della
società.
L’importante
novità, che si può riscontrare rispetto alla
disciplina precedente, è un considerevole aumento dei
poteri attribuiti, in caso di delega, agli amministratori
per effettuare l’aumento di capitale; questi infatti
adesso, in sede di attuazione della delega, possono anche
escludere il diritto di opzione, quando lo ritengano opportuno
e con i limiti di cui all’articolo 2441, 6° comma,
cod. civ.
2445 (Riduzione del capitale
sociale)
1. La riduzione
del capitale sociale può aver luogo sia mediante liberazione
dei soci dall’obbligo dei versamenti ancora dovuti,
sia mediante rimborso del capitale ai soci, nei limiti ammessi
dagli articoli 2327 e 2413.
2. L’avviso
di convocazione dell’assemblea deve indicare le ragioni
e le modalità della riduzione. La riduzione deve comunque
effettuarsi con modalità tali che le azioni proprie
eventualmente possedute dopo la riduzione non eccedano la
decima parte del capitale sociale.
3. La deliberazione
può essere eseguita soltanto dopo tre mesi dal giorno
dell’iscrizione nel registro delle imprese, purché
entro questo termine nessun creditore sociale anteriore all’iscrizione
abbia fatto opposizione.
4. Il tribunale,
quando ritenga infondato il pericolo di pregiudizio per i
creditori oppure la società abbia prestato idonea garanzia,
dispone che la riduzione abbia luogo nonostante l’opposizione.
Il
nuovo testo dell’articolo in esame elimina la riduzione
per esuberanza, prendendo atto della evanescenza di una tale
definizione ed altresì della innegabile realtà
che alla riduzione del capitale si possa giungere anche per
motivi diversi dalle perdite o dall’esuberanza (si pensi
alla riduzione per recesso o per annullamento di azioni proprie).
In ogni caso, il capitale può
essere ridotto solo per “giusta causa”: l’avviso
di convocazione deve infatti contenere la motivazione della
riduzione medesima, ed il procedimento di riduzione resta
sottoposto a due limiti ben precisi: il rispetto del limite
legale del capitale (modificato ora in 120.000 euro) e quello
delle obbligazioni non rimborsate.
Per le società quotate
invece l’articolo 2369 cod. civ. ha diminuito il quorum
deliberativo necessario per la delibera di riduzione in terza
convocazione: da più di un terzo ad un quinto.
Di estremo interesse è
poi la novità di cui all’articolo 2379-ter in
tema di invalidità delle deliberazioni di aumento o
di riduzione del capitale; qualora, infatti, queste siano
viziate ex articolo 2379 cod. civ., è prevista
una speciale decadenza dall’azione di nullità,
distinta a seconda che si tratti di società quotate
o meno. Nel primo caso la delibera non può più
essere impugnata dopo che ad essa sia stata data esecuzione
anche parziale, nel secondo caso invece l’azione di
impugnazione è sottoposta al limite temporale di sei
mesi dalla iscrizione della delibera nel registro imprese.
Resta comunque salvo il diritto dei terzi e dei soci ad ottenere
il risarcimento del danno.
Infine, una ulteriore novità
è contenuta nell’ultimo comma dell’articolo
in esame; infatti mentre il vecchio testo prevedeva che, in
caso di opposizione, il tribunale, ove adito, potesse consentire
alla riduzione solo nel caso in cui la società prestasse
idonea garanzia, è, invece, ora attribuito al giudice
un proprio potere di valutazione in ordine alla meritevolezza
dell’operazione di riduzione e della non pericolosità
nei confronti degli opponenti, indipendentemente dal versamento
della cauzione.
2446 (Riduzione del capitale
per perdite)
1. Quando risulta
che il capitale è diminuito di oltre un terzo in conseguenza
di perdite, gli amministratori o il consiglio di gestione,
e nel caso di loro inerzia il collegio sindacale ovvero il
consiglio di sorveglianza, devono senza indugio convocare
l’assemblea per gli opportuni provvedimenti. All’assemblea
deve essere sottoposta una relazione sulla situazione patrimoniale
della società, con le osservazioni del collegio sindacale
o del comitato per il controllo sulla gestione. La relazione
e le osservazioni devono restare depositate in copia nella
sede della società durante gli otto giorni che precedono
l’assemblea, perché i soci possano prenderne
visione. Nell’assemblea gli amministratori devono dare
conto dei fatti di rilievo avvenuti dopo la redazione della
relazione.
2. Se entro
l’esercizio successivo la perdita non risulta diminuita
a meno di un terzo, l’assemblea ordinaria o il consiglio
di sorveglianza che approva il bilancio di tale esercizio
deve ridurre il capitale in proporzione delle perdite accertate.
In mancanza gli amministratori e i sindaci o il consiglio
di sorveglianza devono chiedere al tribunale che venga disposta
la riduzione del capitale in ragione delle perdite risultanti
dal bilancio. Il tribunale provvede, sentito il pubblico ministero,
con decreto soggetto a reclamo, che deve essere iscritto nel
registro delle imprese a cura degli amministratori.
3. Nel caso
in cui le azioni emesse dalla società siano senza valore
nominale, lo statuto, una sua modificazione ovvero una deliberazione
adottata con le maggioranze previste per l’assemblea
straordinaria possono prevedere che la riduzione del capitale
di cui al precedente comma sia deliberata dal consiglio di
amministrazione. Si applica in tal caso l’articolo 2436.
Molti
sono gli argomenti di rilevante interesse offerti dalla presente
norma: in primo luogo il nuovo obbligo imposto agli amministratori
di dover dare conto all’assemblea dei fatti di rilievo
avvenuti dopo la redazione della relazione prevista nel precedente
capoverso.
Inoltre nell’ipotesi di
cui al secondo comma (mancato ripianamento della perdita a
meno di un terzo entro l’esercizio successivo) si attribuisce
espressamente all’assemblea ordinaria il potere di procedere
alla riduzione del capitale per perdite (il vecchio testo,
invece, parlando di «assemblea che approva il bilancio»,
lasciava nel dubbio circa la competenza dell’assemblea
ordinaria o straordinaria), mentre all’ultimo comma,
con una norma forse non chiarissima, tale potere si attribuisce
al consiglio di amministrazione nel caso in cui le azioni
emesse dalla società non abbiano l’indicazione
del valore nominale.
2447 (Riduzione del capitale
sociale al disotto del limite legale)
1. Se, per
la perdita di oltre un terzo del capitale, questo si riduce
al disotto del minimo stabilito dall’articolo 2327,
gli amministratori o il consiglio di gestione e, in caso di
loro inerzia, il consiglio di sorveglianza devono senza indugio
convocare l’assemblea per deliberare la riduzione del
capitale ed il contemporaneo aumento del medesimo ad una cifra
non inferiore al detto minimo, o la trasformazione della società.
La
disposizione in esame non ha subito modifiche importanti;
se la perdita di oltre un terzo comporta la violazione del
limite minimo di 120.000 euro gli amministratori o il consiglio
di gestione, a secondo di quale sistema abbia adottato la
società, devono o ricostituire il capitale mediante
il procedimento di abbattimento e contestuale aumento oppure
possono deliberare la trasformazione. Unica novità
la previsione della mancata convocazione “senza indugio”
da parte dell’organo amministrativo: in tal caso provvede
il consiglio di sorveglianza.
Paola Pastore