SOMMARIO: 1. La conferma del provvedimento cautelare del 21 maggio 2005. – 2. L’audizione degli amministratori e dei sindaci della società convenuta. – 3. (segue): la mancata audizione quale conseguenza della struttura specifica del periculum in mora. – 4. La legittimazione dei soggetti investiti della controversia – 5. I poteri del giudice cautelare.
1. La conferma del provvedimento cautelare del 21 maggio 2005
Investito del caso “ABN AMRO-Antonveneta”, il giudice designato del Tribunale civile di Padova ha affrontato nel merito la questione riguardante il ricorso ex art. 2378 cod. civ. dalla banca olandese (1), di cui abbiamo avuto modo di discutere in un precedente articolo, e, affrontando alcuni snodi interpretativi non del tutto perspicui, per quanto attiene alle fonti normative applicabili, come era prevedibile, ha confermato il provvedimento cautelare di sospensione del nuovo Consiglio di amministrazione della “Antonveneta”, in quanto la deliberazione assembleare della società creditizia del 30 aprile 2005 era stata assunta con il voto determinante di soci le cui acquisizioni di capitale era avvenuta in spregio dell’obbligo di trasparenza previsto dall’art. 122 TUF.
La decisione del giudice di Padova, come detto, affronta alcune questioni problematiche del procedimento cautelare le quali, in parte già esaminate (2), vengono però chiarite con una certa forza argomentativa.
In primo luogo, ad avviso del giudice designato, è necessario fare chiarezza su due questioni introduttive del procedimento.
La prima riguarda l’unificazione dei due procedimenti, promossi dalla “ABN AMRO (la banca olandese che aveva chiesto l’annullamento della delibera assembleare) e dalla “Consob” la quale, in base al combinato disposto degli artt. 14 e 122 TUF, è legittimata ad agire in giudizio per lo stesso oggetto della controversia. L’unificazione dei due procedimenti è disposta, con norma che non fornisce adito ad interpretazioni difformi, dallo stesso art. 2378, 5° comma cod. civ., in forza del quale «Tutte le impugnazioni relative alla medesima deliberazionee, anche se separatamente proposte (…) devono essere istruite congiuntamente e decise con un’unica sentenza».
La seconda questione è più complessa e riguarda l’individuazione del giudice competente a decidere nel merito il provvedimento preso in sede cautelare (3). Il giudice designato ritiene, a tal proposito, sulla scorta della dottrina prevalente, che il giudice competente nel procedimento cautelare è quello monocratico, «anche se per la causa di merito risulti competente il giudice collegiale ai sensi dell’art. 1 d. lgs. 5/2003».
In effetti, su questo ultimo punto, occorre sottolineare come la dottrina prevalente prima e lo stesso legislatore poi abbiano chiarito la competenza del giudice monocratico.
Più specificatamente, si può osservare che l’art. 12, 1° comma della legge n. 366/2001, con la quale il Parlamento delegava il Governo ad emanare il decreto legislativo sulla riforma del diritto processuale societario, precisava che l’Esecutivo era delegato ad emanare «norme che, senza modifiche della competenza per territorio e per materia» regolassero la materia de qua (4). Conseguentemente, può dirsi che la volontà del legislatore era chiara da questo punto di vista, nel senso di non voler assolutamente modificare le regole stabilite in materia di competenza, né tanto meno di voler introdurre – come avrebbe potuto – sezioni specializzate nei tribunali. Inoltre, per effetto del richiamo operato dall’art. 23, 7° comma d. lgs. n. 5/2003, deve trovare applicazione il principio di cui all’art. 669-ter cod. proc. civ., in forza del quale «prima dell’inizio della causa di merito, la domanda si propone al giudice competente a conoscere del merito» (5). In ogni caso, onde evitare ancora dubbi ed incongruità sul punto, si è intervenuti sostituendo alla parola “giudice” (che può indicare anche l’ufficio e quindi far insorgere questioni interpretative sulla possibile competenza del giudice in sede monocratica o in sede collegiale), la parola “magistrato” (6). Conseguentemente, al giudice del merito patavino non sono sembrate pertinenti le obiezioni mosse, in sede di comparizione e di memorie costitutive, di coloro che eccepivano il difetto di competenza da parte del giudice della cautela in funzione monocratica.2. L’audizione degli amministratori e dei sindaci della società convenuta
Altra questione preliminare che il giudice designato ha dovuto chiarire è quella relativa alla competenza a decidere inaudita altera parte. Il giudice sottolinea il fatto che fra quanto dispone l’art. 2378 cod. civ. e le norme di riferimento contenute nel d. lgs. n. 5/2003 vi sia un difetto di coordinamento logico e sistematico, tanto da consentire alla dottrina una manifestazione di opinioni quanto mai variegate e discordi fra di loro.
Il problema, come noto, verte innanzitutto sulla prevalenza fra le fonti normative applicabili. Infatti, dato il rilevato difetto di coordinamento fra queste, ove prevalga la fonte sostanziale (cioè l’art. 2378 cod. civ.) o la fonte procedimentale (cioè, le norme contenute nel d. lgs. n. 5/2003), il quadro interpretativo subisce non irrilevanti modifiche applicative (7).
Il giudice designato ha ritenuto, in questo contesto, che si debba fornire prevalenza alla disciplina processuale piuttosto che a quella sostanziale disposta dal codice civile, per quanto non in via esclusiva, in base a quanto espressamente dispone l’ultimo comma dell’art. 24 del d. lgs. n. 5/2003.
In questo modo, ad avviso del giudice designato il sistema consente una sua coerenza interna che si può riassumere nel modo seguente. Il Presidente del tribunale, nel caso in cui ravvisi le ragioni di urgenza e l’eccezionalità del caso, decide sull’istanza di sospensione della deliberazione di una società, nel contempo fissando l’udienza e il giudice designato per la trattazione nel merito. Al Presidente del tribunale non è concessa alcuna possibilità di acquisire sommarie informazioni, come invece prevede espressamente il secondo comma dell’art. 699-sexies cod. proc. civ. Ciò sta a significare, secondo la decisione del giudice patavino, che «il legislatore, quando ha fatto riferimento alla competenza del Presidente, ha voluto con ciò assicurare un meccanismo processuale rapidissimo, sganciato sia dall’osservanza delle regole ordinamentali (…) sia da ogni altra formalità di natura processuale» (8). Questa, d’altronde, è la ratio essenziale sottesa alla stessa riforma voluta dal legislatore dell’art. 2378 cod. civ., nel senso a suo tempo illustrato di tutela rapida di quelle situazioni il protrarsi delle quali può arrecare grave nocumento ai diritti di talune categorie di soci.
D’altronde, il giudice patavino si spinge ancora più in là, negando perfino che sia necessario, ed anzi utile, nel caso di specie, la stessa audizione degli amministratori e dei sindaci, in base a quanto dispone il 4° comma dell’art. 2378 cod. civ. Egli, infatti, argomentando in base all’art. 699-sexies, 1° comma cod. proc. civ., il quale statuisce che il giudice della cautela può omettere «ogni formalità non essenziale al contraddittorio», sottolinea il fatto che, nella fattispecie de qua, l’audizione dei soggetti citati non è necessaria perché l’oggetto della controversia riguarda «proprio la deliberazione assembleare con la quale sono stati nominati gli organi sociali». Tale audizione, infatti, esprime la sua utilità funzionale alla tutela cautelare in quanto può fornire le necessarie informazioni al giudice procedente. Ma, in ordine alla deliberazione impugnata e alla richiesta di sospensione, ad avviso del giudice patavino, «essa appare priva di utilità pratica, atteso che nel caso di specie si controverte proprio della deliberazione di nomina degli stessi organi sociali». Al contrario, si potrebbe pervenire perfino ad incidere negativamente sulla regolarità del contraddittorio, qualora l’audizione in parola venisse effettuata, perché gli amministratori, nel caso di specie, «sono portatori di un interesse giuridicamente rilevante al mantenimento della delibera, tanto da poter intervenire nel procedimento di impugnazione, seppure ad adiuvandum delle argomentazioni svolte dalla società convenuta» (9).
Il giudice, dunque, con decisione che non mancherà di far discutere, applica un’interpretazione estensiva derivante dalla stessa struttura del procedimento cautelare in materia societaria: fornendo prevalenza a quanto dispone il procedimento cautelare uniforme, rispetto a quanto statuito dalla norma sostanziale (art. 2378, 4° comma cod. civ.), egli ritiene che l’audizione degli amministratori e dei sindaci possa incidere negativamente sulla regolarità del contraddittorio, in quanto, sostanzialmente, data la dinamica della vicenda, i nuovi amministratori della “Antonveneta”, espressione di un nuovo gruppo di comando che si oppone alla scalata tentata dalla banca olandese “ABN AMRO”, non fornirebbero alcuna informazione utile al giudice della cautela, anzi, non potrebbero che incidere sulla controversia in modo unilateralmente pernicioso.
Per quanto, nella sua sostanza decisoria, la statuizione del giudice patavino sia condivisibile, questa parte delle sue argomentazioni non sembra possano essere tralasciate senza la proposizione di qualche dubbio.
Infatti, se è pur vero che l’audizione dei nuovi amministratori della “Antonveneta” non avrebbe aggiunto nulla in senso meramente informativo al giudice cautelare, ai fini del suo libero convincimento, perché gli stessi avrebbero prospettato una realtà adesiva alla composizione del nuovo gruppo di comando, lascia peraltro perplessi il fatto che, in linea generale, e per la fattispecie controversa, il giudice abbia ritenuto “superflua” tale audizione, anzi, addirittura perniciosa sull’esito del contraddittorio. Questa interpretazione specifica del caso sembra, peraltro, urtare contro la dottrina più avveduta, secondo la quale i procedimenti cautelari, nella loro intima essenza, sono strumenti intrinsecamente pericolosi, in quanto «la tutela cautelare, tutta pensata nell’ottica di evitare che la durata del processo torni a danno dell’attore che ha ragione (…) rischia di ritorcersi a danno del convenuto ove questi risulti vittorioso a termine del processo a cognizione piena» (10).
Ora, giusta anche l’acclarata volontà legislativa di rinforzare lo strumento cautelare, per quanto con norme, come abbiamo visto, che rischiano di stratificarsi nel breve corso del tempo, producendo una certa incertezza applicativa ed ermeneutica, sembra non necessaria o quantomeno utile un’interpretazione estensiva dello strumento anticipatorio operato dalla giurisprudenza, anche se giustificato dall’imperativo costituzionale della rapidità ed efficacia della giurisdizione.3. (segue): la mancata audizione quale conseguenza della struttura specifica del periculum in mora
Nelle sue argomentazioni a favore dell’inutilità dell’audizione degli amministratori e sindaci della “Antonveneta”, il giudice patavino ricorre anche ad un’analisi approfondita del periculum in mora, così come esso si presenta strutturalmente nella fattispecie controversa. In altri termini, il giudice opera un collegamento funzionale fra la mancata audizione degli amministratori e sindaci e gli elementi che contraddistinguono, nella specie, il periculum in mora.
Come noto, il periculum in mora, unitamente al fumus boni iuris, è il parametro oggettivo cui il giudice della cautela deve ancorare la sua decisione. Esso consiste nella «probabile sussistenza di un danno che può derivare all’attore dalla durata, o anche a causa della durata, del processo a cognizione piena» (11).
Nella decisione anticipatoria e nel relativo decreto di sospensione della delibera assembleare, il periculum in mora era stato ravvisato espressamente nell’esigenza di una sana ed oculata gestione della società che, con le conseguenze prodotte dal “patto occulto” perpetrato da un gruppo di soci, che erano riusciti ad acquistare più del 30% delle azioni della società-bersaglio, era palesemente messa a rischio. Inoltre, la nuova composizione del Consiglio di amministrazione della “Antonveneta” rifletteva un comportamento dichiaratamente negativo nei confronti del tentativo di scalata da parte della banca olandese “ABN AMRO”: la nuova composizione del Cda, infatti, avrebbe potuto rendere operative tecniche di difesa che, invece, il vecchio Cda non aveva ritenuto necessarie, avendo giudicato l’offerta pubblica di acquisto della banca olandese come “scalata non ostile” alla banca veneta.
Ora, asserisce il giudice del merito, nelle more del procedimento è intervenuto un fatto nuovo: la costituzione in giudizio della CONSOB, che ha anch’essa impugnato la delibera della “Antonveneta” per violazione dell’art. 122 TUF. Questo fatto, di per sé, ad avviso del giudice patavino, arricchisce il parametro del periculum in mora, anzi lo rafforza a tal punto da renderlo decisivo nell’accoglimento della sospensiva.
La legittimazione ad impugnare la delibera societaria da parte della CONSOB, avviene in forza del combinato disposto degli artt. 122, 4° comma, ultima parte e 14, 6° comma TUF (12). La ratio sottesa a queste norme, sottolinea il giudice di Padova, riveste nel procedimento la massima importanza, in quanto la legittimazione speciale dell’Organo di controllo della Borsa traduce quello che può definirsi un interesse che trascende quello meramente sociale, al punto da assoggettare la società ad un’impugnativa della deliberazione anche quando la deliberazione è vantaggiosa ed è invece dannosa l’impugnazione, per fatti addebitabili non alla società ma al comportamento dei soci. In altre parole, statuisce il giudice, «l’interesse perseguibile dalla Consob attraverso l’impugnazione è espressione di esigenze di trasparenza del mercato e di correttezza della gestione societaria, della cui tutela l’autorità indipendente è investita». Da ciò discende il corollario, fondamentale nel giudizio sul parametro rappresentato dal periculum in mora, per cui «l’interesse del mercato ad una completa e corretta informazione prevale sull’interesse dell’impresa in sé considerato».
Ciò, in pratica, spazzerebbe via anche la preoccupazione, pur avvertibile, che la sospensione di una delibera assembleare possa arrecare un danno alla persona giuridica che vi è coinvolta. È pur vero che il “cuore pulsante” dell’intero procedimento regolato dall’art. 2378 cod. civ. risiede nell’apertura del 4° comma, dove il legislatore ha imposto al giudice quella valutazione comparativa del pregiudizio che «subirebbe il ricorrente dalla esecuzione e quello che subirebbe la società dalla sospensione dell’esecuzione della deliberazione» e che, dunque, a tale obbligo il giudice deve sottostare, non svalutando, diciamo così, la portata afflittiva di una decisione che, in pratica, può bloccare le strategie economiche e di sviluppo di un’impresa industriale (13). Ma, controverte il giudice patavino, nel caso di specie si è assistito ad una violazione così grave di un principio che può riconnettersi senza dubbio a quelli rientranti nel concetto di “ordine pubblico”, vale a dire la trasparenza del mercato e, aggiungeremo noi, la libera contendibilità delle imprese in un contesto di globalizzazione e di libertà di intrapresa economica, che perfino il “cuore pulsante” del sistema processuale societario, cioè l’esigenza della comparazione fra gli interessi contrapposti, finisce per essere sminuito e perdere gran parte della sua importanza funzionale. Si ha, quindi, «l’attenuazione della misura del giudizio comparativo imposto dall’art. 2378 cod. civ., fino quasi a perdere di rilevanza giuridicamente apprezzabile la valutazione del pregiudizio che subirebbe la società dalla sospensione dell’esecuzione della deliberazione».
D’altronde, la coerenza del sistema normativo in materia di controllo dei mercati regolamentati e dei soggetti che vi operano impone un’interpretazione della legittimazione ad impugnare una delibera societaria da parte della CONSOB che chiaramente trascende il “particulare” di guicciardiniana memoria, insito nella legittimazione dei soci e dello stesso interesse societario a non vedere sospesa la sua attività manageriale, per rafforzare, invece, l’aspetto pubblicistico di tutela del mercato, dove sono coinvolti gli interessi di una pluralità di soggetti-risparmiatori sul cui affidamento poggiano direttamente le stesse fondamenta del sistema (14). Conseguentemente, la norma che dispone la legittimazione ad impugnare un atto deliberativo da parte dell’Organo di controllo, ad avviso del giudice patavino, «è stato concepito non tanto in funzione di eliminare il vizio di un atto i cui effetti sia incompatibili in via diretta ed immediata con gli interessi di cui sono portatori i due organi di vigilanza, quanto, piuttosto, nella prospettiva di sanzionare comportamenti scorretti, così da fungere da vero e proprio deterrente per analoghi comportamenti».
La conclusione cui perviene il giudice è che «il venir meno del giudizio di comparazione nel caso di specie determina, quale ulteriore corollario, l’inutilità dell’audizione degli amministratori in funzione informativa nei termini sopra riferiti».
Come si vede, il giudice del merito utilizza il fatto stesso che la CONSOB abbia impugnato la delibera come una sorta di “cuneo” per semplificare e velocizzare il procedimento, coerentemente con le finalità di fondo del sistema procedimentale della cautela, sul presupposto che la violazione di norme fondamentali del sistema, perpetrato da soggetti anche istituzionali (come una banca che agisce nel mercato della contendibilità delle imprese concorrenti), assurga a causa giustificativa ed evidente per sanzionare comportamenti adottati in violazione di quelle stesse norme.4. La legittimazione dei soggetti investiti della controversia
Il giudice patavino è stato chiamato anche a risolvere una questione di legittimazione da parte della “Banca popolare di Lodi” e di quei soci che erano stati nominati nel Consiglio di amministrazione il cui incarico era stato sospeso dal giudice cautelare.
Per comprendere questo punto, occorre dapprima osservare che la parte convenuta nel processo cautelare, cioè la “Antonveneta”, nella sua memoria consegnata agli atti, aveva formulato una richiesta al giudice (cui aveva aderito anche la parte attrice), chiedendo contestualmente di modificare il decreto di sospensione. Indubbiamente, l’adesione del curatore speciale della “Antonveneta” alle tesi prospettate nel ricorso ha creato, di fatto, una situazione per cui il vero convenuto non era più la “Banca Antonveneta” ma quei soci che si erano resi protagonisti della “controscalata” per ostacolare quella annunciata dalla banca olandese. Id est: il vero interesse alle controdeduzioni e ad ostacolare sul piano processuale il ricorso presentato dalla Banca olandese si è venuto ad esprimere soprattutto nella posizione dei soci protagonisti della “controscalata”, piuttosto che nella persona fisica rappresentante speciale della “Antonveneta”.
Situazione per molti versi particolare e curiosa, che però il magistrato giudicante ha ricondotto con grande intelligenza nell’alveo del diritto processuale sostanziale. Infatti, atteso che la legittimazione della CONSOB avviene per effetto del combinato disposto degli artt. 14, 6° comma e 122, 3° comma TUF, i quali richiamano la disciplina generale in materia di annullabilità delle deliberazioni contenuta nell’art. 2377 cod. civ. e che quest’ultima risulta collegata strutturalmente a quanto dispone, in materia cautelare, l’art. 2378, 3° comma cod. civ., tanto da potersi affermare che entrambi gli articoli del codice civile sono «espressione della medesima ratio sottesa alla disciplina codicistica richiamata dal d. lgs. 58/98, per cui le due norme del codice civile devono considerarsi intimamente connesse», con l’ulteriore conseguenza che «il richiamo operato dal TUF deve intendersi implicitamente esteso alla norma cautelare», il giudice del merito si sofferma a delimitare la posizione processuale delle parti, onde stabilire con esattezza i limiti delle argomentazioni da esse proponibili.
Ora, afferma il giudice, non è dubbio che, in base all’art. 2377 cod. civ., la legittimazione passiva spetti esclusivamente alla società, «nella cui sfera giuridica è destinato a produrre i propri effetti giuridici tipici e diretti il provvedimento giudiziale» (15), dato che, come evidenzia la dottrina maggioritaria (16), l’oggetto del giudizio di annullamento è individuabile esattamente nel rapporto che nasce dal negozio il cui annullamento si richiede. Conseguentemente, il socio (o i soci) possono esprimere solamente la veste e le funzioni di titolari di un rapporto giuridico.
Ma se l’individuazione dell’interesse giuridico che consente al socio (o ai soci) l’intervento nel procedimento è quello dianzi delineato, allora è evidente che essi non possono che esprimere una posizione di secondo grado rispetto a quello della società, vale a dire una «posizione derivata», come si esprime il giudice patavino, almeno nel caso di specie (17). Conseguentemente, si deve affermare che la Banca popolare di Lodi e Paolo Sinigaglia sono legittimati ad intervenire nella causa quali soggetti investiti di un intervento adesivo dipendente, previsto dall’art. 105, 2° comma cod. proc. civ.
In dottrina e giurisprudenza emerge chiaramente una maggioranza di opinioni che circoscrive il potere di allegazione da parte dell’intervenuto adesivo dipendente ex art. 105, 2° comma cod. proc. civ. e il giudice patavino si conforma a questo indirizzo. Infatti, dopo un certo periodo di incertezza sui reali poteri che l’intervento volontario nel processo civile fosse in grado di esercitare, successivamente alla comparsa di costituzione presentata ai sensi dell’art. 267 cod. proc. civ., in dottrina si ritiene che il soggetto in questione possa proporre ed allegare deduzioni ed eccezioni nei limiti di quanto presentato dalla parte adiuvata e che, in questo senso, si possa dire che costui può chiedere l’accoglimento della domanda della parte adiuvata (18). In particolar modo, la giurisprudenza ritiene che il potere della intervenuto adesivo dipendente esprima poteri processuali ridotti, che non possono contrastare con la parte adiuvata (19).
La tesi proposta al giudice dalla “Banca popolare di Lodi” e da Paolo Sinigaglia si fondava sul fatto che, essendosi “appiattite” le posizioni processuali della “ABN AMRO” e della Banca “Antonveneta”, nella figura del suo curatore speciale, veniva a mancare al procedimento cautelare una parte investita di poteri autonomi in grado di assurgere ad un ruolo effettivo nel contraddittorio. Tale prospettazione non viene accolta dal giudice per un doppio vizio logico: «da un lato, l’interveniente si fa interprete esclusivo ed autentico dell’interesse sostanziale della società e, dall’altro, finisce per sovvertire i principi e le regole che presiedono alla determinazione dell’ambito soggettivo ed oggettivo della domanda giudiziale». Ed invero, non si può non concordare con questa decisione. Posto che la “Banca popolare di Lodi” e Paolo Sinigaglia esprimevano un interesse giuridicamente rilevante nei confronti degli esiti del procedimento cautelare, purtuttavia non potevano sostituire in acun modo la parte convenuta in una sorta di interversione delle parti necessarie. Se pure, come sostenevano gli intervenuti volontari, le posizioni processuali di attore e convenuto si erano appiattite su questioni fondamentali, questa evenienza appartiene strutturalmente alla meccanica e alla dinamica del processo civile ed anzi, come noto, essa è sovente prodromica alla composizione stragiudiziale della materia del contendere.5. I poteri del giudice cautelare
La domanda proposta dal curatore speciale della Banca “Antonveneta” chiedeva al giudice del merito di modificare il decreto di sospensione emesso il 21 maggio in modo tale da eliminare una sua lettura riduttiva, tramite la quale si confinava l’effetto della sospensione alla sola ricostituzione del Consiglio di amministrazione e non anche alla cessazione dei vecchi amministratori. L’intento del curatore speciale era evidentemente quello di chiedere, nell’interesse della società, una statuizione in forza della quale il vecchio Consiglio di amministrazione potesse entrare nuovamente in possesso dei suoi poteri, giusta la decisione emessa in via cautelare dal giudice di merito.
Quest’ultimo conferma in tutto e per tutto le motivazioni espresse nel citato decreto, sottolineando che la sospensione de qua è ammissibile in quanto investa delibere self executing, atti di volizione da parte dell’organo collegiale che non hanno bisogno di ulteriore esecuzione per essere perfezionate e la cui efficacia è perdurante nel tempo. L’unico limite sostanziale alla tutela cautelare espressa dal decreto di sospensione di una delibera sociale risiede nel caso in cui la medesima delibera abbia prodotto un’efficacia oramai consumata, sulla quale la tutela anticipatoria cautelare non può incidere in alcun modo.
Conseguentemente, sottolinea il giudice patavino, «il risultato pratico del provvedimento cautelare che investa deliberazioni self-executing, ovvero che abbiano già avuto materiale esecuzione, è la sospensione della situazione effettuale che la volontà espressa dalla delibera è intesa a creare». In altri termini, la sospensione dell’efficacia ha effetto ex tunc e produce quanto previsto dall’art. 2385, 2° comma cod. civ., in forza del quale «La cessazione degli amministratori per scadenza del termine ha effetto dal momento in cui il Consiglio di amministrazione è stato ricostituito». Da ciò si ricava che la sospensione ex tunc della deliberazione assembleare con la quale, fra le altre cose, era stato nominato il nuovo Consiglio di amministrazione della “Antonveneta” consente il ripristino del vecchio Consiglio di amministrazione, secondo l’applicazione di un principio di ultrattività delle sue funzioni predisposto dal 2° comma dell’art. 2385 cod. civ.
L’interpretazione suggerita dal giudice appare condivisibile, alla stregua di quanto affermato dalla dottrina e dalla giurisprudenza maggioritarie, secondo le quali la ratio del 2° comma dell’art. 2385 cod. civ. è ravvisabile nella necessità di fornire stabilità alla conduzione delle società di capitali. Il principio dell’ultrattività del Consiglio di amministrazione si estende, infatti, fino al momento in cui si abbia l’accettazione della maggioranza dei nuovi amministratori (20). Peraltro, secondo la giurisprudenza, nell’eventuale periodo di prorogatio del vecchio Consiglio di amministrazione, quest’ultimo conserva gli stessi poteri e le medesime funzioni (21).
Tuttavia, per quanto il giudice abbia suggerito il principio cui attenersi, in relazione alla prorogatio del vecchio Consiglio di amministrazione, esso non può essere statuito dalla decisione nel merito, attesa la tipicità e l’esclusività della misura cautelare predisposta dall’art. 2378 cod. civ.
NOTE
(1) Trib. Padova, decr. 21 maggio 2005, in questa rivista, reperibile alla URL www.dircomm.it/2005/n.6/06.html.
(2) A. Giovannoni, La tutela cautelare ex art. 2378 cod. civ. ed il caso “ABN AMRO-Antonveneta, in questa rivista, reperibile alla URL www.dircomm.it/2005/n.6/02.html.
(3) Vedi, per un commento sistematico alla questione dell’individuazione del giudice designato G. FRUS, Provvedimenti cautelari anteriori alla causa, in S. CHIARLONI, (a cura di) Il nuovo processo societario, Bologna, 2004, 656 ss.
(4) Vedi, sui limiti e l’ambito applicativo della delega: A. PROTO PISANI., Dodici anni di riforme per la giustizia civile, in Foro it., 2001, V, 94; P. DALMOTTO, Del procedimento cautelare, in Il nuovo diritto societario, Commentario diretto da G. Cottino, G. Bonfante, O. Cagnasso, P. Montalenti, Bologna, 2004, 429 ss.; P. MARINELLI, Note in tema di tutela cautelare nel nuovo diritto societario, in Corr. giur., 2004. 1248 ss.; D. COSTANTINO, Il nuovo processo commerciale: la tutela cautelare, in Riv. dir. proc., 2003, 651 ss.
(5) Sul punto, vedi essenzialmente: G. ARIETA.-F.DE SANTIS, Diritto processuale societario, Padova, 2004, 382
(6) L’intervento correttivo sul d. lgs. n. 5/2003 è stato possibile senza che il Parlamento abbia dovuto nuovamente approvare una legge di delegazione. Infatti, nella originaria legge delega era previsto che, entro un anno, l’Esecutivo potesse emanare decreti legislativi di mera correzione e integrazione di quello originario. Complessivamente sono state emanate, sfruttando tale possibilità offerta dal legislatore, le integrazioni e correzioni contenute in G.U. del 4 luglio 2003 (per quanto concerne il d. lgs. n. 6/2003) e in G.U. 9 settembre 2003 (per quanto concerne il d. lgs. n. 5/2003). Questi interventi, unitamente ad altri elementi che scaturiscono da una disamina obiettiva della riforma del diritto processuale societario, hanno sollevato numerosi dubbi in dottrina circa la costituzionalità complessiva dell’impianto voluto dal legislatore. Vedi sul punto, fra gli altri: G. CONSOLO, Esercizi imminenti sul c.p.c.: metodi asistematici e penombre, in Corr. giur., 2002, 1543, il quale sottolinea come la legge delega n. 366/2001 non contemplava e, quindi, non consentiva l’apprestamento di una sorta di “minicodice” di procedura processuale in materia societaria, come, in pratica, poi, il legislatore delegato ha posto in essere. Sul punto, vedi anche G. TARZIA, Interrogativi sul nuovo processo societario, in Riv. dir. proc., 2003, 241 ss. Se a ciò si aggiunge che il d.l. 14 marzo 2005 (c.d. “decreto sulla competitività”, convertito nella legge 14 maggio 2005, n. 80) ha operato una riforma non trascurabile del processo cautelare uniforme, di cui agli artt. 699 ss. cod. proc. civ., si ha un quadro completo del travaglio legislativo che lo strumento cautelare in materia di procedimento societario ha subito negli ultimi anni.(7) Infatti, l’art. 2378, 2° comma cod. civ. prevede la possibilità, concessa in casi eccezionali e di motivata urgenza, che il Presidente del tribunale può provvedere sull’istanza con decreto motivato, inaudita altera parte, designando al contempo il giudice per la trattazione della causa nel merito e la fissazione dell’udienza, entro quindici giorni, per la conferma, la revoca o la modifica dei provvedimenti emanati con il decreto. Sulla fattispecie incide la disciplina processuale introdotta con l’art. 24 del d. lgs. n. 5/2003, come espressamente previsto dall’ultimo comma dell’articolo citato. In particolare, il secondo comma dell’art. 24 statuisce che «Il giudice designato, se la domanda cautelare e' proposta anteriormente al decreto di cui all'articolo 12, con lo stesso decreto che fissa l'udienza di comparizione delle parti davanti a sé, le invita a depositare i documenti che ritiene rilevanti anche in relazione alla decisione della causa a norma dei commi 4 e seguenti. Può anche fissare termini per il deposito di documenti, memorie e repliche». Il comma successivo dispone che «Il giudice designato procede a norma dell'articolo 669-sexies del codice di procedura civile. In ogni caso, l'estinzione del giudizio di merito non determina l'inefficacia dei provvedimenti d'urgenza o degli altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare provvisoriamente gli effetti della decisione di merito».
(8) Si può qui evidenziare come la sospensione debba intendersi primariamente quale strumento che impedisce che si producano gli effetti propri della delibera. In questo senso, la sospensione anticipa gli effetti dell’annullamento, in quanto incide concretamente sulla possibilità che la compagine sociale possa essere disciplinata dalla deliberazione assunta in violazione della legge o dello statuto, con modalità che non sono diverse dalla pronuncia di merito (vedi su questo punto, ampiamente, E. CARRATTA, Procedimento d’impugnazione, in Il nuovo processo societario, Commentario diretto da S. Chiarloni, cit., 1156 ss.; P. CANAVESE, Provvedimenti cautelari in corso di causa, ivi, 735 ss.). Ciò che appare strutturalmente diverso, dunque, è la qualità del provvedimento che, nel caso disciplinato dall’art. 2378 cod. civ. è solamente provvisorio (per quanto non perda di efficacia nel caso di estinzione del giudizio di merito), mentre nell’altro caso è destinato, salvo revoca nel secondo grado di giudizio, a regolare definitivamente la fattispecie sottoposta a giudizio.
(9) Specularmente opposta si pone una recentissima sentenza del giudice di Catania (vedi Trib. Catania, 4 maggio 2005, inedita), per fattispecie relativa all’azione di responsabilità, per la quale era stata chiesta la tutela cautelare. Il giudice della cautela di Catania ha infatti disposto che «La regola valevole in generale per i procedimenti camerali bilaterali societari, secondo cui, in caso di eccezionale e motivata urgenza, il presidente provvede “inaudita altera parte”, non si applica nel procedimento di denuncia al tribunale per gravi irregolarità nella gestione quando attraverso la richiesta del provvedimento presidenziale si intendano conseguire i risultati dell’ispezione sull’amministrazione, che può essere disposta solo dopo aver sentito amministratori e sindaci e cioè solo dopo l’instaurazione del contraddittorio tra le parti. Nella specie, deve dunque essere respinta l’istanza rivolta al presidente perché disponga in via d’urgenza ed a contraddittorio differito, strumentalmente rispetto a richieste formulate nell’alveo di un procedimento ex art. 2409 cod. civ., del libro giornale, delle fatture acquisti e vendite, del libro paga e matricola di una società cooperativa».
(10) A. PROTO PISANI, Procedimenti cautelari, in Enc. giur. Treccani, vol. XXIV, Roma, 1990, § 4, il quale sottolinea che «la pericolosità – ineliminabile ed intrinseca alla tecnica della tutela cautelare – ne è risultata esaltata in quanto sono quantitativamente aumentati di molto i casi in cui gli effetti del provvedimento cautelare o siano per loro natura irreversibili in quanto destinati ad incidere su interessi non patrimoniali o prevalentemente non patrimoniali della controparte, ovvero non essendo in astratto reversibili, non lo siano in concreto in quanto le condizioni economiche del destinatario attivo del provvedimento non consentono di fare ricorso alla controcautela della cauzione».
(11) A. PROTO PISANI, Procedimenti cautelari, cit., § 2.1. L’autorevole dottrina distingue, poi, «a seconda che il periculum in mora assurga o no agli estremi della irreparabilità del pregiudizio», a seconda, cioè, che «il danno derivante all’attore dalla durata (…) del processo a cognizione piena consista o no in un danno irreparabile, cioè in un danno insuscettibile di essere riparato adeguatamente a posteriori nella forma della tutela risarcitoria o per equivalente monetario».
(12) L’art. 122, 4° comma TUF legittima la CONSOB ad impugnare la delibera, entro il termine di 180 giorni dalla data della deliberazione o dalla data di iscrizione della stessa nel registro delle imprese (art. 14, 6° comma TUF).
(13) Il problema della portata concreta del decreto di sospensione di delibera societaria è affrontato e variamente risolto in dottrina. La sospensione di una delibera dell’assemblea dei soci e, nella specie, la sospensione della delibera con cui la società nomina i rappresentati nel suo Consiglio di amministrazione significa, nella sua fase cautelare, la perdita di efficacia provvisoria, anche se immediatamente esecutiva, di un disposto della maggioranza dei soci di una persona giuridica. La conferma di tale sospensione dovrebbe indurre la società a ripristinare la situazione quo ante, ovvero una nuova deliberazione, che escluda i soci il cui voto è affetto da vizio derivante da un acquisto di azioni in violazione di una norma imperativa. Conseguentemente, una delle soluzioni che può prospettarsi per la normale prosecuzione dell’attività imprenditoriale è la convocazione di un’altra assemblea dei soci e la nomina di un nuovo Consiglio di amministrazione. Si vedrà più avanti come il giudice di Padova, su questo punto, prospetti una soluzione alternativa, maggiormente aderente al dettato codicistico. D’altronde, come fa giustamente notare il giudice del merito di Padova, è lo stesso sistema codicistico che prevede una sorta di “autoemenda” da parte della società, disposto con la norma di cui all’art. 2377, 8° comma cod. civ. laddove si statuisce che l’annullamento della delibera non può avere luogo «se la deliberazione impugnata è sostituita con altra presa in conformità della legge e dello statuto». Su questo punto, la maggioranza della dottrina e della giurisprudenza ritiene che sia sanabile la delibera anche nel suo contenuto (in tal senso, vedi D. MEO, Gli effetti delle deliberazioni assembleari invalide, Milano, 1998, e, in giurisprudenza, Cass. 16 febbraio 1988, n. 1673, in Le soc., 1988, 473 ss.); una parte minoritaria della dottrina ritiene, invece, che la sanabilità possa riguardare solamente vizi del procedimento (vedi G. ZANARONE, L’invalidità delle deliberazioni assembleari, in Trattato delle società per azioni, diretto da G.E. Portale-G.B. Colombo, vol. III, t. 2, Torino, 2000, 371). Resta da aggiungere che, almeno in linea di principio, la sostituzione della delibera invalida lascia impregiudicato il diritto di impugnazione del socio o dei soci, laddove anche la delibera sostitutiva dovesse ripresentare elementi dannosi per il socio impugnante (sul punto, D. REVIGLIOLO, Brevi note in tema di conflitto di interessi e di “sostituzione” di deliberazione assembleare invalida, in Giur. it., I, 2, 1994, 875 ss.).(14) In materia di interesse pubblicistico e di mercati regolamentati, nell’esperienza italiana e comparatistica, vedi: M. BESSONE, I mercati mobiliari, Milano, 2002, 4 ss.; P.H. CONAC, La régulation des marchés boursiers par la Comission des operations de bourse (COB) e la SEC, Parigi, 2002, 43 ss.; W. IDE, Post-Enron Corporate Governance Opportunities:Creating a Culture of Greater Collaboration and Oversingt, in «Mercer Law Review», 2003, 289 ss.
(15) Si deve sottolineare, peraltro, che l’annullabilità delle deliberazioni assembleari rappresenta la “forma generale di invalidità” di questo tipo di deliberazioni (vedi sul punto, F. DI SABATO, Manuale delle società per azioni, Torino, 2002, 264 ss.; vedi anche F. FERRARA e F. CORSI, Imprenditori e società, Milano, 2000, 489 ss.), mentre la nullità si ha solamente nei casi previsti espressamente dalla legge. Il legislatore, dunque, in questo caso ha completamente rovesciato la logica delle invalidità normalmente previste per i negozi giuridici, per i quali è prevista la nullità come invalidità generale e l’annullabilità quale invalidità speciale. La logica sottesa a questa scelta legislativa è quella di assicurare alle deliberazioni assembleari una maggiore stabilità, dato che l’annullabilità può essere sanata in base a quanto espressamente previsto dall’ult. comma dell’art. 2377 cod. civ. In altri termini, come scrive un’autorevole dottrina, la ratio del sistema delle invalidità delle delibere assembleari va ravvisato nell’interesse «a che le deliberazioni assembleari – anche quelle contrarie e norme imperative – non siano in perpetuo esposte all’azione di nullità di un qualsiasi interessato e restino, quindi, in una condizione di perenne incertezza» (F. GALGANO, Il negozio giuridico, in Trattato di diritti civile e commerciale, diretto da F. Messineo e A. Cicu, continuato da L. Mengoni, vol. III, t. 1, Milano, 1988, 253). Sulle ragioni economiche di questa speciale disciplina del codice, vedi F. GALGANO, Diritto commerciale, vol. II, Le società, Bologna, 2002, 244. Vedi in argomento anche G. GRIPPO, Deliberazioni inesistenti e metodo assembleare, in Riv. soc., 1971, 887 ss. Infine, in dottrina si sottolinea come, a prescindere dalle ipotesi relative alla invalidità delle deliberazioni assembleari, vige una sorta di “clausola generale”, in materia di correttezza, che troverebbe compiuta espressione anche nell’organo di volizione delle società di capitali, massimamente in quelle assoggettate al regime speciale previsto in caso di quotazioni di Borsa. Così, si sostiene che «tutte le attività rappresentative che vengono ad incidere sull’affidamento, sulle aspettative degli investitori devono essere costantemente integrate dalla normativa di correttezza, come normativa che rende congrui e conformi allo spirito delle norme determinati obblighi e adempimenti». In questo senso, la “clausola generale” della correttezza nell’adozione di delibere assembleari assumerebbe il significato non di «un canone etico generale» ma quale «esigenza di adeguamento, di aderenza dei comportamenti alla regole generali» (in tal senso, F. ALCARO, Principio di correttezza e deliberazioni assembleari, in Assemblea degli azionisti e nuove regole del governo societario, «Scuola di notariato Cino da Pistoia», Padova, 1999, 75. Sembra quanto mai evidente l’aderenza di quanto asserito dalla dottrina da ultimo citata alla violazione perpetrata dai soci del “patto occulto” nel caso che qui si commenta.
(16) Vedi sul punto specifico: F. CHIOMENTI, La revoca delle deliberazioni assembleari, Milano, 1969, 190 ss.
(17) Infatti, il giudice precisa che in altri casi, è possibile prevedere un interesse diretto del socio all’annullamento della delibera sociale, come avviene, ad esempio, quando la delibera abbia deciso la distribuzione o meno degli utili o limiti al diritto di voto degli azionisti.
(18) Vedi, la tradizionale e risalente dottrina, A. SEGNI, L’intervento adesivo, Roma, 1919, 195 ss.; nella dottrina più recente questo indirizzo sembra comunque prevalere, E.T. LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile, vol. IV, Milano, 1992, 97; G. FABBRINI, Contributo alla dottrina dell’intervento adesivo, Milano, 1964, 259 ss.
(19) Cass. 16 maggio 1973, n. 1391, in Giust. civ., I, 1973, 1101 ss., soprattutto per quanto concerne i poteri di impugnazione. Il giudice di Padova, peraltro, conformemente a quanto sostiene Cass. 4 luglio 1994, n. 6309 e Cass. 16 aprile 1994, n. 3616, ritiene l’attività dell’intervento adesivo dipendente ex art. 105, 2° comma cod. proc. civ. subordinata a quella della parte adiuvata, fatto salvo il potere di eccepire fatti posti a fondamento di eccezioni rilevabili d’ufficio. Sul punto si tenga anche conto dell’autorevole opinione di chi ha ritenuto la parte de qua una figura intermedia fra le parti necessarie e il terzo (vedi F. CARNELUTTI, Diritto e processo, Milano, 1958, 103).
(20) Così, G. CASELLI, Vicende del rapporto di amministrazione, in Trattato delle società per azioni, diretto da G.E. Portale-G.B. Colombo, vol. IV, cit., 43.
(21) Cass. 20 ottobre 1979, n. 6454, in Foro it. rep., 1979, n. 4438.