Gestioni patrimoniali garantite
Fondi
di investimento che possono essere istituiti
dalle SGR o da altri intermediari autorizzati
e che prevedono, oltre alla gestione del patrimonio
investito, anche la garanzia a favore dell’investitore
circa la restituzione del capitale investito
o il riconoscimento di un rendimento minimo.
Più precisamente,
tali fondi assumono la gestione (che può
essere tanto individuale, quanto collettiva)
di patrimoni (solitamente di strumenti finanziari),
con l’impegno del gestore a corrispondere
all’investitore, ad una certa data,
oltre agli eventuali rendimenti ulteriori
effettivamente realizzati: una somma equivalente
al capitale iniziale o una percentuale prefissata
del capitale iniziale, ovvero un rendimento
minimo.
I fondi garantiti si differenziano
dai c.d. fondi a capitale protetto, in quanto
questi ultimi “proteggono” il
capitale attraverso l’impiego di specifiche
strategie d’investimento, che permettono
di minimizzare le probabilità di perdita
del capitale investito, pur mantenendo una
esposizione verso i mercati azionari. Viceversa,
nelle gestioni del risparmio collettive “garantite”,
il gestore assume nei confronti dell’investitore
l’impegno di restituire, a una certa
data, il capitale inizialmente investito e/o
di corrispondere un rendimento minimo, indipendentemente
dalla gestione. Su un piano economico, quindi,
attraverso tale impegno si realizza una traslazione
del rischio dell’andamento negativo
(o inferiore alle attese) degli strumenti
finanziari in cui è investito il fondo,
dai sottoscrittori delle quote a un altro
soggetto.
Fonti: art. 15-bis del decreto
minist. 24 maggio 1999, n. 228 (modificato
dal D. M. 31 gennaio 2003, n. 47); regolamento
della Banca d’Italia del 20 gennaio
2003
URL: http://www.bancaditalia.it
(download in formato pdf)
Golden share
Istituto
sorto in Gran Bretagna per riconoscere allo
Stato, nella privatizzazione di imprese operanti
in settori altamente strategici, speciali
diritti di veto o poteri speciali per decisioni
importanti delle società privatizzata:
azioni speciali o d’oro. Tale genere
di azioni sono state utilizzate in altri Paesi
europei (action spécifique,
nell’ordinamento francese) in modo più
ampio, incontrando le reazioni della Comunità
Europea.
In Italia, azioni con “poteri
speciali” (gradimento per l’assunzione
di partecipazioni rilevanti; veto per deliberazioni
di scioglimento della società, di trasferimento
dell’azienda e di fusione; nomina di
alcuni amministratori) sono state previste
nella privatizzazione degli enti pubblici
economici (art. 2 della legge 30 luglio 1994,
n. 474), a tutela di non meglio specificati
«obiettivi nazionali di politica economica
e industriale», poi individuati in «rilevanti
e imprescindibili motivi di interesse generale»
(art. 66 della legge 23 dicembre 1999, n.
488 e decreto del P.C.M 11 febbraio 2000);
con decreto del Presidente del Consiglio 10
giugno 2004 sono stati stabiliti i criteri
di esercizio dei poteri speciali.
La legge finanziaria 2004 (art.
4, commi 227-231, della legge 24 dicembre
2004, n. 350) ha attribuito al Presidente
del Consiglio dei Ministri il potere di individuare,
con decreto, le società operante nel
settore della difesa, dei trasporti, delle
telecomunicazioni, delle fonti di energia,
e degli altri pubblici servizi, nelle quali
lo statuto deve inserire, dopo la perdita
del controllo da parte dello Stato, i “poteri
speciali”, ed ha stabilito che tali
poteri devono essere esercitati, «limitando
il loro utilizzo ai soli casi di pregiudizio
degli interessi vitali dello Stato»,
secondo criteri fissati con decreto del Presidente
del Consiglio.
La Corte di Giustizia CE,
con sentenza del 2 giugno 2005, ha dichiarato
illegittima la norma sulla sospensione automatica
del diritto di voto nelle società pubbliche
privatizzate per le partecipazioni di privati
eccedenti il 2% del capitale (decreto-legge
25 maggio 2001, n. 192, convertito nella legge
20 luglio 2001, n. 301); nel contempo la Commissione
Europea ha invitato l’Italia a modificare
la legge sull’esercizio dei poteri speciali
(attualmente previsti in varie società,
quali ENI, ENEL, Telecom Italia, Finmeccanica,
SNAM Rete GAS; ecc.), ritenendo quei criteri
inidonei a giustificare il controllo pubblico
sull’assetto proprietario e sulla gestione
e tali da configurare una restrizione ingiustificata
della libera circolazione dei capitali e del
diritto di stabilimento.
Il legislatore italiano è
ora nuovamente intervenuto nella materia,
disponendo che lo statuto delle società
privatizzate può prevedere «categorie
di azioni … che attribuiscono all’assemblea
speciale dei relativi titolari il diritto
di richiedere l’emissione, a favore
dei medesimi, di nuove azioni, anche al valore
nominale, o di nuovi strumenti finanziari
partecipativi muniti di diritti di voto nell’assemblea
ordinaria e straordinaria», azioni e
strumenti finanziari partecipativi che possono
essere emessi dall’assemblea, senza
che i soci dissenzienti possano esercitare
il recesso (art. 1, commi 381-284 della legge
finanziaria 2006). In tal modo, dalle golden
shares si è passati a vere e proprie
pillole avvelenate (poison pills)
antiscalata; peraltro, secondo le nuove norme,
le azioni che danno diritto alla relativa
assemblea speciale di emettere ulteriori azioni
o strumenti finanziari partecipativi possono
essere emesse «a favore di tutti gli
azionisti ovvero, a pagamento, a favore di
uno o più azionisti, individuati anche
in base all’ammontare della partecipazione
detenuta».
Fonti: art. 2 della legge
30 luglio 1994, n. 474 e successive modificazioni;
art.
1, commi 381-284 della legge finanziaria
2006, legge 23 dicembre 2005, n. 266
URL:
Grey Market
Con
tale termine si indica il mercato non ufficiale
(c.d. mercato grigio) dei titoli non quotati,
nel quale sono contrattati titoli di prossima
emissione, ossia nel periodo compreso tra
la data di annuncio di una emissione e quella
in cui si fissa il primo prezzo sul mercato
ufficiale (data di primo regolamento dell’emissione).
Tali contrattazioni determinano il valore
di un titolo prima ancora della sua quotazione,
indicando così quale potrà essere
il valore del titolo una volta quotato nel
mercato ufficiale.
Nel grey market
la prassi finanziaria presenta, sia negoziazioni,
sia sottoscrizioni dei titoli da parte di
investitori istituzionali. In particolare,
nell’ambito di tale mercato gli intermediari
possono vendere strumenti finanziari prima
della loro effettiva esistenza, con negoziazioni
sottoposte alla condizione sospensiva che
l’operazione (annunciata e lanciata)
sia effettivamente posta in essere nei termini
indicati (tale condizione è posta con
la clausola “if and when issued”);
se il lead manager (banca capofila),
d’accordo con l’emittente, ritenga
opportuno ritirare l’emissione dei titoli
entro la chiusura del collocamento, tutte
le contrattazioni sono prive di efficacia.
Attraverso la vendita dei
titoli nella fase del grey market,
gli investitori professionali ottengono, prima
ancora che l’emissione obbligazionaria
si perfezioni, un immediato trasferimento
in capo alla clientela retail dei rischi legati
ai titoli stessi, primo tra tutti del rischio
di insolvenza dell’emittente.
La Banca d’Italia
(nel Bollettino n. 43 del 2001) ha esplicitamente
affermato che nella fase del grey market
possono avvenire, sia l’iniziale sottoscrizione
dei titoli da parte dell’investitore
istituzionale, sia la negoziazione degli stessi
con la clientela che ne faccia richiesta.
Nel citato Bollettino dell’Autorità
di Vigilanza si legge che la sequenza “assunzione
a fermo” (ovvero, l’acquisto da
parte di una banca di titoli obbligazionari
quotati su un mercato europeo e collocati
agli investitori professionali, in esenzione
alla procedura di appello al pubblico risparmio,
esenzione espressamente prevista dall’art.
100, lettera a del TUF) - “negoziazione
sul mercato secondario” non implica
la violazione dell’obbligo di prospetto,
neppure in presenza di attività propositive
da parte degli intermediari, e neppure quand’anche
tale attività di negoziazione su base
individuale avvenga nella fase cosiddetta
di grey market (fase che va dall’annuncio
dell’emissione dei titolo (launch
day) alla data di regolamento degli stessi
e di versamento del ricavato all’emittente
(closing day), e che dura generalmente
dalle due alle quattro settimane, durante
le quali gli investitori professionali da
una parte acquistano i titoli dalle banche
collocatrici facenti parte del consorzio,
dall’altra possono legittimamente negoziarli
alla clientela che ne faccia richiesta).
Il tema è stato recentemente
oggetto di numerose pronunce giurisprudenziali
con esiti differenti. In alcuni casi la vendita
è stata dichiarata nulla (Tribunale
di Milano sentenza n. 3858 del 6 aprile 2005)
in altre pronunce è stata dichiarata
incontestabile la legittimità della
vendita di cosa futura ex art. 1472
cod. civ. (Trib. Roma sentenza n. 29207 del
2004 e Trib. Monza sentenza n. 218 del 2005).
Fonti: Bollettino Banca d’Italia
n. 43 del 2001
Gruppo cooperativo paritetico
Insieme
di imprese cooperative sottoposte alla direzione
e coordinamento di una o più di esse.
Poiché nelle
società cooperativa a causa della loro
struttura (e, in particolare, del c.d. “voto
capitario”) non è possibile formare
di gruppo con a capo una holding
che controlli altre società, partecipando
al loro capitale in misura maggioritaria o
comunque idonea ad esercitare una influenza
dominante nell’assemblea ordinaria (art.
2359, nn. 1 e 2, cod. civ.), la riforma del
diritto societario con il nuovo art. 2545-septies
cod. civ. ha consentito che il gruppo di società
(o imprese) cooperative si formi con un contratto
di dominio (finora ritenuto inammissibile
nel nostro ordinamento, sia per le societrà
lucrative, sia per quelle mutualistiche),
con il quale alcune cooperative si impegnano
a seguire le direttive di un’altra cooperativa,
la quale esercita un controllo, indipendentemente
dalla partecipazione nelle società
che compongono il medesimo gruppo.
Il contratto di dominio,
con cui si forma un “gruppo cooperativo
paritetico”, deve essere depositato
nell’albo delle società cooperative
e deve indicare, tra l’altro, la durata,
i poteri attribuiti alla o alle capogruppo,
nonché i criteri per equilibrare tra
le società partecipanti i reciproci
vantaggi e svantaggi, con facoltà di
ogni società partecipante di recedere
dal contratto, senza alcun onere, qualora
le condizioni dello scambio mutualistico siano
pregiudizievoli per i propri soci (art. 2545-septies,
2° c.).
Essendo un contratto
volto ad esercitare la direzione ed il coordinamento
di società, sembrano applicabili ad
esso anche le norme previste, in generale,
nella riforma del diritto societario per l’attività
di direzione e coordinamento (artt. 2497-2497-sexies),
salvo diversa disposizione nella disciplina
del gruppo cooperativo o, comunque, in quanto
compatibili con quest’ultima disciplina.
In particolare, sembra operante la responsabilità
della capogruppo nei confronti dei soci delle
società controllate per il pregiudizio
recato al valore della partecipazione sociale,
qualora la capogruppo abbia agito nell’interesse
proprio o altrui in violazione dei principi
di corretta gestione societaria e imprenditoriale
delle società “controllate”
e purchè ricorrano le altre condizioni
previste dal medesimo art. 2497. Analogamente
sembra applicabile l’obbligo per le
società “controllate” di
motivare analiticamente le decisioni influenzate
dall’attività di direzione e
coordinamento (art. 2497-ter cod.
civ.).
Fonti: art. 2545-septies cod.
civ.