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giugno 2002

Studî e commenti

ALESSIA MONTONESE

Il falso in bilancio tra vecchia e nuova disciplina
Commento a Trib. Milano, 23 aprile 2002

 

     La decisione del Trib. Milano, 23 aprile 2002 affronta la dibattuta questione della continuità normativa tra attuale e precedente normativa in tema di reati societari. Come è noto, l’intera materia degli illeciti penali ed amministrativi, è stata recentemente modificata dal D. lgs. n. 61 del 2002 (1), ma ciò che interessa analizzare è in particolare il reato di falso in bilancio o in altre comunicazioni sociali.
     Premesso che il Tribunale di Milano si è schierato a favore della sussistenza della continuità normativa, è interessante analizzare le motivazioni che lo stesso ha esposto nel respingere la richiesta avanzata dagli imputati. Questi ultimi avevano sostenuto che non sarebbe ravvisabile la continuità normativa tra il reato previsto dall’art. 2621 cod. civ. nella precedente formulazione e le fattispecie di cui agli attuali artt. 2621 e 2622 del codice civile, come introdotte dal decreto legislativo sopra citato; in particolare, secondo la tesi difensiva, il reato di false comunicazioni sociali è da considerarsi sdoppiato in una fattispecie contravvenzionale, che come tale rompe la continuità con la precedente ipotesi, e una delittuosa, la quale vede mutata, rispetto al passato, sia la natura oggettiva del reato (laddove si prevede l’idoneità della condotta a indurre in errore i destinatari delle comunicazioni sociali e il cagionamento di un danno patrimoniale ai soci e ai creditori), sia la natura soggettiva (laddove è ora richiesto un dolo specifico particolarmente intenso, consistente nell’intenzione di ingannare i soci o il pubblico e nel fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto) sia, infine, la tutela giuridica (essendo ora prevista un’ipotesi di perseguibilità a querela).
     Nell’ordinanza il Tribunale ha seguito un percorso volto a comprendere l’applicazione dei tre concorrenti principi, enunciati nell’art. 2 cod. pen. e in parte costituzionalizzati nell’art. 25 Cost., dell’irretroattività delle nuove norme incriminatrici (comma 1 del citato art. 2), della retroattività della successiva abolitio criminis (comma 2) e, per il caso di successione nel tempo di diverse leggi, dell’applicabilità di quella più favorevole (comma 3), tenendo conto che la ratio di tali principi va colta nell’esigenza di certezza del diritto e di garanzia della libertà personale del cittadino, assicurandogli che non potrà essere punito, o non potrà essere punito più gravemente, in conseguenza di una norma che non esisteva nel momento in cui ha commesso il fatto e della quale quindi non poteva venire a conoscenza e che non potrà essere punito per un fatto che al momento dell’applicazione della sanzione non sia più valutato dall’ordinamento come meritevole di sanzione penale.
     Sul punto in dottrina e giurisprudenza le posizioni sono divise.
     La tesi a favore della continuità normativa sostiene che non vi sia differenza tra le fattispecie della attuale e precedente normativa, ritenendo di conseguenza punibile ciò che già era considerato punibile. In questo senso si è recentemente pronunciato il Tribunale di Napoli (2), che nonostante la riconosciuta continuità normativa, ha comunque assolto gli imputati per estinzione del reato per avvenuta prescrizione. Nella sentenza, che concerne un reato di false comunicazioni sociali si legge che:
     a) vi è sostanziale identità dell’interesse protetto dalla norma con l’unica differenza ravvisabile nel fatto che a carattere inizialmente plurioffensivo dell’illecito fa seguito, attualmente, uno sdoppiamento del reato in due distinte fattispecie poste autonomamente a tutela in modo separato dei beni in considerazione: interesse alla compiutezza e veridicità dell’informazione societaria (art. 2621) ed interesse all’integrità del patrimonio del patrimonio dei soci e dei creditori (art. 2622);
     b) l’originaria disciplina del reato di false comunicazioni sociali contemplava un illecito proprio di pericolo ed a dolo specifico, la nuova regolamentazione si limita ad aggiungere alcuni elementi specializzanti (soglie qualitative e danno patrimoniale);
     c) non vi sono espresse previsioni nel decreto 61/2002 in merito all’abrogazione delle precedenti fattispecie e viene peraltro previsto un termine per la proponibilità della querela con riferimento ai reati commessi prima della data in vigore del decreto a dimostrazione del nesso di continuità esistente tra le condotte succedutesi nel tempo.
      Per tale orientamento non vi sarebbe infatti nessun effetto abrogativo ed in tal senso si segnala anche l’ordinanza della Corte di Appello di Milano depositata il 10 maggio 2002 (3). La Corte d’Appello di Milano ha infatti affermato la continuità normativa, ritenendo integrata nella nuova fattispecie anche la condotta di coloro che i quali espongono fatti non rispondenti al vero sulla costituzione o sulle condizioni economiche della società, circostanze che nella precedente versione dell’art. 2621 cod. civ. erano espressamente contemplate.
     Di diversa opinione è la dottrina e la giurisprudenza che si è schierata verso la discontinuità normativa. Secondo tale orientamento le fattispecie previste dall’attuale normativa sono da considerarsi distinte dalle fattispecie della precedente normativa (4).
     Nel caso del reato di falso in bilancio, ad esempio, si sostiene che sia da considerarsi abrogata la disposizione di legge generale dell’art. 2621 cod. civ. e che siano state introdotte al suo posto due disposizioni speciali (attuali artt. 2621 e 2622 cod. civ.). Considerando i criteri che sino ad ora sono stati seguiti dalla Corte di Cassazione, tale orientamento sostiene che ogni volta che vi sia disomogeneità strutturale (5) vi è abolitio criminis.
     In una decisione del Tribunale di Napoli (6) si è riconosciuta l’impossibilità di stabilire la continuità normativa tra vecchi e nuovi illeciti, nel caso di reato di false comunicazioni sociali. In tale sentenza si legge che:
     a) il principale elemento che farebbe venir meno la citata continuità, sarebbe rappresentato dalla nuova configurazione del reato come delitto di danno che richiede un quid pluris, in precedenza non previsto ed ora essenziale all’esistenza del reato;
     b) altro elemento caratterizzante, secondo i giudici, sarebbe inoltre rappresentato dalla idoneità della condotta ad indurre in errore i destinatari.
     Nell’attesa di un orientamento univoco e prevalente, le ipotesi che possono prospettarsi sono di:
     1. illeciti soppressi, che costituivano reato in base alla precedente normativa e che non sono più considerati tali alla luce del nuovo decreto: non saranno più perseguibili per il principio del favor rei;
     2. illeciti soppressi, che costituivano reato in base alla vecchia normativa e che sono rimasti tali alla luce del nuovo decreto: sono punibili ma con le sanzioni attuali, più favorevoli al reo;
     3. fatti, che non costituivano reato in base alla precedente normativa ed ora costituiscono illeciti: non potranno essere perseguiti in base al principio per cui nessuno può essere punito per un fatto che al tempo in cui è stato commesso non costituiva reato.
     Nelle prime due ipotesi bisognerà attendere le pronunce definitive della Cassazione, volte a stabilire se sussiste o meno il principio di continuità normativa con la precedente normativa.
     Potrà dunque accadere che:
     1. per procedimenti pendenti l’imputato sia assolto perché il fatto non costituisce più reato;
     2. per procedimenti in fase di indagini preliminari il pubblico ministero debba richiedere l’archiviazione al G.I.P.;
     3. se la polizia giudiziaria dovesse rilevare tali illeciti, possa omettere di comunicarli al P.M. in quanto non costituenti più reato.

 

NOTE

     (1) Il decreto legislativo n. 61 dell’11 aprile 2002 dà attuazione alla delega al Governo, contenuta nell’art. 11 della legge n. 366 del 2001, in materia di riforma della disciplina degli illeciti penali e amministrativi riguardanti le società commerciali. Il provvedimento è stato approvato dal Consiglio dei ministri del 28 marzo 2002 ed è entrato in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione (Gazzetta Ufficiale del 15 aprile 2002, n. 88).
     Il Decreto, che va a sostituire il Titolo XI del Libro V del Codice civile, ha riflessi anche sul codice penale (prevedendo degli inserimenti nelle aggravanti, art. 622 cod. pen.) e sulla legge fallimentare, integrando peraltro alcune disposizioni vigenti, quali ad esempio il D.Lgs. 231 del 2001 (responsabilità amministrativa delle società) ed abrogandone altre del D.Lgs. n. 58 del 1998 (TUF) e del D.Lgs. 385 del 1993 (TUB).

     (2) Sentenza Trib., Milano, XI sez., 29 maggio 2002.

     (3) Il caso concerne un socio promotore che nell’atto costitutivo di una società a responsabilità limitata, dichiarata poi fallita, ha falsamente attestato che la stessa potesse disporre di un capitale versato di 20 milioni.
     L’analisi si è divisa in due piani: il primo volto a negare la continuità normativa tra il vecchio ed il nuovo reato di bancarotta fraudolenta. Il nuovo articolo della legge 223 stabilisce che debba rispondere di reato chi abbia causa o concorso a causare il dissesto della società: in questo caso si tratta di un nuovo reato, poiché il nuovo decreto interviene modificando la condotta, e non è possibile rivendicare legami con il passato
     Diversa è la posizione per il reato di false comunicazioni sociali. Secondo la nuova normativa la categoria del socio promotore non più punibile, come non è più condotta penalmente rilevante l’ipotesi riguardante la costituzione della società.

     (4) Una recente sentenza della Corte di Cassazione (sent. 15099, depositata il 22 aprile 2002) si è pronunciata sull’ammissibilità del concorso dei due reati (falso in bilancio e frode fiscale), ritenendo possibile la coesistenza dei due diversi atteggiamenti psicologici che caratterizzano i distinti reati.

     (5) Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione desumono la disomogeneità strutturale sulla base di alcuni indici, quali: la diversa natura dell’illecito, la previsione di un dolo specifico e la realizzazione di un evento

     (6) Trib. Napoli, IX sez., 28 maggio 2002.

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