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Giurisprudenza |
TRIBUNALE MILANO, sez. pen., ordin. 23 aprile 2002 Presidente Arienti Giudici Busacca e Cairati Varasi ed altri imp.
Esiste una continuità normativa tra lattuale e la precedente normativa relativa al reato di false comunicazioni sociali (artt. 2621 e 2622 cod. civ.), con la conseguenza che, in un processo in corso al momento dell'entra in vigore del D. Lgs. 11 aprile 2001, n. 61, non può essere disposto il proscioglimento degli imputati ex art. 129 cod. proc. pen.
SVOLGIMENTO
DEL PROCESSO La seconda sezione penale del tribunale di Milano sulla
richiesta, avanzata dalle difese alludienza del 17 aprile 2002, di sentenza
di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. perché i fatti
contestati di falsità nelle comunicazioni sociali non sarebbero più
previsti come reato a seguito dellentrata in vigore del D.Lgs. 11 aprile
2002, n. 61;
sentito il parere del pubblico ministero, che
ha chiesto la reiezione della richiesta;
OSSERVA
La
richiesta in esame è stata avanzata sul presupposto che non sarebbe ravvisabile
continuità normativa tra il reato previsto dallart. 2621 cod. civ.
nella precedente formulazione e le fattispecie di cui agli attuali artt. 2621
e 2622, come introdotte dal decreto legislativo sopra citato: in particolare,
secondo la tesi difensiva, il reato di false comunicazioni sociali è
ora sdoppiato in una fattispecie contravvenzionale, che come tale rompe la continuità
con la precedente ipotesi, e una delittuosa, la quale vede mutata, rispetto
al passato, sia la natura oggettiva del reato (laddove si prevede lidoneità
della condotta a indurre in errore i destinatari delle comunicazioni sociali
e il cagionamento di un danno patrimoniale ai soci e ai creditori), sia la natura
soggettiva (laddove è ora richiesto un dolo specifico particolarmente
intenso, consistente nellintenzione di ingannare i soci o il pubblico
e nel fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto) sia,
infine, la tutela giuridica (essendo ora prevista unipotesi di perseguibilità
a querela).
Occorre fin da subito rilevare come le difese
abbiano posto la questione sul piano di confronto formale tra le diverse norme
giuridiche in considerazione, a prescindere dalle caratteristiche in concreto
delle imputazioni contestate nel giudizio: a questa prospettazione si atterrà
evidentemente il collegio, che in questa sede non valuterà quindi la
questione se i singoli fatti contestati quale reato possano continuare a esserlo
in concreto alla stregua della nuova disciplina.
La soluzione del quesito sottoposto allesame
del tribunale non può che prendere le mosse dalla vigenza nel sistema
penale di tre concorrenti principi, enunciati nellart. 2 cod. pen. e in
parte costituzionalizzati nellart. 25 Cost., dellirretroattività
delle nuove norme incriminatrici (comma 1 del citato art. 2), della retroattività
della successiva abolitio criminis (comma 2) e, per il caso di successione
nel tempo di diverse leggi, dellapplicabilità di quella più
favorevole (comma 3), tenendo conto che la ratio di tali principi va
colta nellesigenza di certezza del diritto e di garanzia della libertà
personale del cittadino, assicurandogli che non potrà essere punito,
o non potrà essere punito più gravemente, in conseguenza di una
norma che non esisteva nel momento in cui ha commesso il fatto e della quale
quindi non poteva venire a conoscenza e che non potrà essere punito per
un fatto che al momento dellapplicazione della sanzione non sia più
valutato dallordinamento come meritevole di sanzione penale.
I principi in esame comportano pertanto la necessità
di indagare se dopo lentrata in vigore del D.Lgs. n. 61/2002 sia o meno
configurabile una continuità normativa tra la previgente disciplina penale
avente a oggetto le false comunicazioni sociali e quella risultante dagli artt.
2621 e 2622 cod. civ. nuovo testo.
A questo fine deve anzitutto escludersi che sia
intervenuto un sostanziale mutamento della natura dellinteresse protetto:
invero la Suprema Corte ha costantemente affermato la natura plurioffensiva
del reato di false comunicazioni sociali, il quale offendeva sia linteresse
generale al regolare funzionamento delle società commerciali nellambito
delleconomia del paese, con particolare riferimento alla pubblica fede,
sia gli interessi patrimoniali dei soci e dei terzi che entravano in rapporto
con la società.
Tale impostazione appare nella novella formalmente
mantenuta attraverso lo sdoppiamento della fattispecie in un reato contravvenzionale
a tutela del menzionato interesse generale e in un delitto a tutela dellinteresse
patrimoniale dei singoli: infatti nella relazione al D.Lgs. n. 61/2002 si precisa
che la prima fattispecie (rubricata False comunicazioni sociali)
«continuerà a salvaguardare quella fiducia che deve poter essere
riposta da parte dei destinatari nella veridicità dei bilanci o delle
comunicazioni dellimpresa organizzata in forma societaria», mentre
la seconda fattispecie (rubricata False comunicazioni sociali in danno
dei soci e dei creditori) è posta «a tutela esclusiva del
patrimonio».
Ciò stabilito, lindagine dellinterprete
deve ora essere focalizzata sul confronto tra le strutture delle fattispecie
vecchie e nuove, onde accertare se tra i rispettivi elementi costitutivi sussista
o meno sufficiente omogeneità sul piano della tipicità formale.
Come è noto, lart. 2621 previgente
configurava un reato proprio, di pericolo e a dolo specifico il quale, espresso
dal ricorso allavverbio fraudolentemente, era costituito dalla
volontà di trarre in inganno i soci o i terzi in ordine alleffettiva
situazione patrimoniale della società, accompagnata dal proposito di
conseguire un ingiusto profitto per sé o per altri, senza peraltro che
occorresse lo scopo di cagionare un danno, essendo sufficiente la previsione
di questo come correlativo al profitto: su questultimo punto, tuttavia,
la giurisprudenza più recente ha espresso un diverso orientamento, richiedendo
il dolo di danno per la società.
La nuova normativa, lasciando quasi invariato
lambito dei soggetti attivi dellillecito (ne vengono esclusi solo
i promotori e i soci fondatori, non essendo più previste, tra le comunicazioni
punibili, quelle concernenti la costituzione della società), ha mantenuto
fermo il riferimento alle relazioni ai bilanci, mentre ha fornito una specificazione
delle «altre comunicazioni sociali oggetto dellincriminazione, che
ora possono essere costituite solo da quelle «previste dalla legge, dirette
ai soci o al pubblico», e includendo espressamente tra le stesse quelle
contenenti informazioni sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria
del gruppo, nonché le informazioni rese in riferimento a beni posseduti
o amministrati dalla società per conto di terzi; si prevede inoltre che
tra «i fatti materiali non rispondenti al vero» devono comprendersi
anche le valutazioni, così recependo lorientamento formatosi in
dottrina e giurisprudenza in relazione al vecchio testo.
La novella ha poi, come si è detto, sdoppiato
lincriminazione, introducendo:
una contravvenzione (art. 2621 cod. civ.), che resta reato di pericolo,
divenuto concreto in quanto tra i requisiti oggettivi viene compresa lidoneità
ingannatoria delle condotte integranti le false comunicazioni sociali;
un delitto di danno (art. 2622 cod. civ.), posto che la norma prevede
il cagionamento del danno patrimoniale ai soci o ai creditori quale elemento
costitutivo del reato; allinterno di questa fattispecie sono previste
due ipotesi, a seconda che il reato concerna società non quotate o quotate,
che si differenziano in ordine alla procedibilità del reato (a querela
nel primo caso, officiosa nellaltro) e al trattamento sanzionatorio (più
severo nel caso di società quotata); anchesso prevede una concreta
idoneità ingannatoria delle condotte in esame (requisito di dubbia interpretazione
attesa la configurazione del delitto come fattispecie di danno e non di pericolo).
Sia la contravvenzione sia il delitto sono a dolo specifico, costituito dal
«fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto»
e intenzionale, consistente nella «intenzione di ingannare i soci o il
pubblico». Sono infine introdotte soglie quantitative di punibilità
del fatto (art. 2621, commi 3 e 4 e art. 2622, commi 5 e 6, cod. civ.).
Alla luce di questo raffronto risulta difficile
contestare che le nuove condotte siano strutturalmente assimilabili a quelle
della normativa previgente, in quanto il nucleo centrale del fatto permane fondamentalmente
il medesimo pur essendo la nuova formulazione evidentemente tesa a ridurre larea
dellillecito penale, attraverso le modifiche sopra esaminate. Può
dirsi in sintesi che le attuali incriminazioni aggiungono agli elementi costitutivi
della fattispecie precedente alcuni elementi specializzanti, realizzando così
uno dei modelli tipici di successione nel tempo di fattispecie incriminatrici
delineati da dottrina e giurisprudenza.
Quanto allelemento soggettivo, si noti infatti
che la novella ha introdotto il dolo di danno (peraltro già richiesto
dalla giurisprudenza più recente), limitandosi per il resto a recepire
linterpretazione corrente dellavverbio fraudolentemente
contenuto nella vecchia norma. Così anche il cagionamento del danno,
elemento cui le difese hanno attribuito particolare rilievo nellottica
della loro tesi, non era del tutto avulso dal precedente contesto normativo
ma era contemplato, se di gravità rilevante, quale circostanza aggravante,
ex art. 2640 cod. civ. Su questo punto è evidente il ridisegnamento della
fattispecie operato dalla novella che, lungi dallintrodurre un elemento
eterogeneo rispetto al passato, ha inserito il cagionamento del danno nella
struttura del reato previsto dallart. 2622 cod. civ., modificando in tal
modo la precedente fattispecie complessa (reato base più aggravante);
contestualmente si è eliminata la previsione dellaggravante in
precedenza contemplata nellart. 2640, articolo che nella nuova formulazione
contempla la circostanza attenuante dellavere cagionato unoffesa
di particolare tenuità.
Quanto agli altri elementi di novità introdotti
dalla novella, si rileva che, secondo linsegnamento dottrinale e giurisprudenziale,
le innovazioni legislative relative ai profili della punibilità, al mutamento
del titolo del reato, alla degradazione del fatto da delitto a contravvenzione
sono pienamente compatibili con il fenomeno della successione di leggi meramente
modificative. Deve pertanto concludersi che la tesi interpretativa proposta
dalle difese collide con la formulazione della disciplina positiva, che ha ridisegnato
il reato di false comunicazioni sociali.
Ma la prospettazione difensiva contrasta anche
con linequivoca volontà del legislatore, palesata dai seguenti
indici: il riferimento nel testo non già labrogazione bensì
alla sostituzione di fattispecie; il mantenimento della medesima collocazione
normativa, pur con lo sdoppiamento del reato in due articoli di legge contigui;
lutilizzazione dello stesso nomen iuris (false comunicazioni)
con differente specificazione secondo la duplice impostazione di cui si è
parlato; e soprattutto la previsione di un regime transitorio assolutamente
incompatibile con lintroduzione di unincriminazione nuova, laddove
è stata contemplata espressamente la possibilità di proporre querela
in ordine ai «reati perseguibili a querela ai sensi del presente decreto
legislativo, commessi prima della data di entrata in vigore dello stesso»
(art. 5).
In proposito, non può non rilevarsi come
le Sezioni unite, allorché hanno escluso la sussistenza di continuità
normativa tra alcune fattispecie di reato a seguito della novella in materia
tributaria, lo hanno fatto attribuendo rilievo fondamentale alla volontà
del legislatore, che in quelloccasione avrebbe palesemente inteso disegnare
il fenomeno normativo in termini di radicale alternatività rispetto al
pregresso modello (cfr. sent. 25 ottobre 2000, n. 27 e 13 dicembre 2000, n.
35).
Si vuole infine sottolineare come la presente
decisione si collochi sulla linea tracciata dalle Sezioni unite in materia di
successione di leggi penali nel tempo: si veda per esempio la sentenza 20/6/1990
che, occupandosi della riforma dei reati dinteresse privato e abuso innominato
dufficio attuata con la legge 86/90, ha ritenuto la sussistenza di continuità
normativa tra vecchie e nuove ipotesi sulla base di indici analoghi a quelli
qui considerati.
Ne consegue che la richiesta avanzata dalle difese
in questa sede non può essere accolta: conformemente a quanto affermato
in premessa, rimane allo stato impregiudicata ogni valutazione in ordine alla
conformità al nuovo modello normativo delle concrete fattispecie contestate
nel giudizio.
P.Q.M.
Visto lart 2 cod. pen. e il
D.Lgs. 11 aprile 2002, n. 61,
RIGETTA
Le richieste di applicazione dellart. 129 cod. proc. pen., come sopra
proposte dalle difese.