il diritto commerciale d’oggi
    IV.10 – ottobre 2005

GIURISPRUDENZA

 

CORTE D’APPELLO DI MILANO – ordin. 23 luglio 2005; Farmacie Petrone s.r.l. c. Pfizer Italia s.r.l. e Pharmacia Italia s.p.a.
   Sussiste la competenza della corte d’appello ai sensi della legge antitrust, e non delle sezioni specializzate di tribunale in materia di proprietà industriale, qualora un grossista farmaceutico agisca contro un produttore di specialità medicinali, deducendo un abuso di posizione dominante, sotto specie di rifiuto ingiustificato di contrarre.
   Può essere emanato, in sede di tutela cautelare ex art. 700 cod. proc. civ., l’ordine di continuare nell’esecuzione di un contratto di durata in essere tra le parti, nell’ipotesi di recesso costituente abuso di posizione dominante.
   Costituisce abuso di posizione dominante il rifiuto di contrarre discriminatorio opposto da un produttore di specialità medicinali ad un grossista farmaceutico, adducendo generiche esigenze di riorganizzazione della propria rete distributiva.

Commento F. Fabbio

(omissis)
visto il reclamo proposto dalla società Farmacie Petrone S.r.l. nei confronti del provvedimento di rigetto dell’istanza cautelare pronunciato dal consigliere designato in data 20.4.2005, depositata il 26.4.2005 e comunicata il 6.5.2005;
ritenuto che la società Farmacie Petrone aveva chiesto che fosse inibito a Pharmacia Italia S.p.a. e a Pfizer Italia S.p.a. di dare corso al programmato piano di interruzione integrale delle forniture delle proprie specialità farmaceutiche a danno della Farmacie Petrone, con ordine alle stesse di dare esecuzione, alle usuali condizioni, alle richieste di acquisto di medicinali che sarebbero state loro rivolte dalla ricorrente anche successivamente al primo marzo 2005;
ritenuto che la reclamante svolge attività di distribuzione all’ingrosso di prodotti farmaceutici in base ad autorizzazione rilasciata dalla Regione Campania, mentre la società Pharamcia Italia S.p.a., recentemente entrata a far parte del gruppo Pfizer, produce e distribuisce in Italia, anche tramite Pfizer Italia S.r.l., numerosi farmaci contraddistinti con il marchio “PHARMACIA”, forniti anche alla ricorrente fino al giorno1.3.2005, data a partire dalla quale è divenuto efficace il recesso “preavvisatole” da Pharmacia Italia con lettera datata 26.11.2004, ed ivi motivato unicamente sulla base di “valutazioni strategiche” della società produttrice;
ritenuto che la ricorrente ha sostenuto che, con il rifiuto – a suo dire sostanzialmente immotivato – a proseguire nel preesistente rapporto di somministrazione di farmaci, le resistenti avrebbero posto in essere un abuso di posizione dominante in suo danno, discriminandola rispetto alle imprese operanti nella distribuzione all’ingrosso dei farmaci;
ritenuto che, a sostegno di questa tesi, Farmacie Petrone affermava che il mercato rilevante cui far capo per valutare la dedotta fattispecie di abuso dovesse essere definito in quello relativo a ciascuna singola specialità medicinale, e che esso dovesse essere così definito riguardandolo dal lato del grossista, poiché la scelta del medicinale non spetterebbe al consumatore finale, ma al medico prescrivente e, una volta effettuata dal medico, sarebbe irreversibile e non ammetterebbe sostituzioni, essendo necessario fornire da parte delle farmacie, e ancor prima da parte del grossista, proprio e soltanto quel medicinale oggetto di prescrizione e non altri, che pure siano ad esso equipollenti sotto il profilo delle caratteristiche bio-chimiche;
ritenuto che la ricorrente osservava che il grossista è obbligato dalla normativa di settore (in particolare dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 538 di “attuazione della direttiva 92/25/CEE riguardante la distribuzione all’ingrosso dei medicinali per uso umano”) a detenere quantitativi minimali di prodotti farmaceutici (almeno il 90% delle specialità medicinali in commercio) e tale obbligo, che avrebbe carattere pubblicistico, determinerebbe, secondo la ricorrente, un’ablazione della sua libertà negoziale, imponendole un vero e proprio obbligo a contrarre verso le farmacie, obbligo che, però, verrebbe reso di fatto ineseguibile dal rifiuto di fornitura opposto dalle resistenti, sia perché la pur astratta possibilità di acquistare gli stessi prodotti da altri grossisti risulterebbe antieconomica, sia perché questi non avrebbero interesse o convenienza a fornire i medicinali ad un’impresa direttamente concorrente, sia perché non avrebbero disponibilità sufficiente di prodotti, né sarebbero propensi ad esporsi al rischio di contravvenire alle decisioni di Pharmacie/Pfizer volte ad isolare un determinato grossista, di talché resterebbe affievolita la capacità concorrenziale del grossista discriminato e si porrebbero le basi per la sua espulsione – nel medio/lungo periodo – dal mercato;
ritenuto che la ricorrente aveva osservato ancora che, se poi, come potrebbe anche ipotizzarsi, le resistenti avessero solo formalmente giustificato il recesso con valutazioni “strategiche”, volendo invece nella sostanza impedire – allo scopo di realizzare una compartimentazione dei mercati endo-comunitari – la consistente attività di esportazione parallela dei medesimi farmaci svolta da Farmacie Petrone in Paesi esteri, l’illecito potrebbe allora (solo in tal caso) configurare in via subordinata anche una violazione dell’Art. 82 Trattato CE sub specie di abusiva “ritorsione” verso l’importatrice parallela, ed andrebbe quindi sanzionato anche alla stregua di tale norma (ma pur sempre dalla medesima Corte adita, in asserto direttamente legittimata ad applicare il Regolamento UE n. 1/2003);
ritenuto che le resistenti avevano contestato di detenere una posizione dominante sul mercato, tanto meno connotata dal carattere di abusività, tenuto conto anche dell’impossibilità di parametrare il mercato di riferimento a ciascuna singola specialità medicinale;
ritenuto che esse avevano inoltre negato che l’antecedente rapporto di fornitura dei medicinali a Farmacie Petrone potesse nella specie qualificarsi come somministrazione di carattere continuativo e che la decisione di non proseguire nelle singole forniture fosse dettata da motivi diversi da quello formalmente indicato nella missiva 26.11.2004 (ossia la strategica riorganizzazione della propria rete di distribuzione) e in specie dalla volontà di impedire importazioni parallele;
ritenuto che Pharmacia Italia e Pfizer Italia avevano altresì escluso che nel diniego di dar corso ad ulteriori consegne potesse ravvisarsi un comportamento discriminatorio verso Farmacie Petrone, o dannoso per il mercato o per i consumatori, o che dal fatto di produrre farmaci con un certo marchio nascesse automaticamente l’obbligo di rifornire sempre e comunque qualunque grossista, o che la normativa di settore imponesse un vero e proprio obbligo a contrarre a carico del grosssista;
ritenuto che le resistenti avevano, infine, precisato che le specialità medicinali, della cui cessata fornitura la ricorrente si lamentava, erano soltanto quelle che continuavano ad esserle consegnate da Pharmacia Italia pur dopo la interruzione di altre precedenti forniture risalenti ad oltre sei anni fa, e che le specialità effettivamente acquistate dalla ricorrente, su un totale di centosettantanove direttamente commercializzate da Pharmacia Italia (“pari complessivamente a meno del 3,5% del totale delle specialità medicinali della farmacopea italiana”), erano state solo venutno nel 2004 e solo undici nel 2005 (quindi circa lo 0,45% e lo 0,23% del totale dei medicinali in commercio, attualmente pari a cinquemilacentoventi);
ritenuto che le resistenti avevano eccepito che la ricorrente ben avrebbe potuto assolvere all’obbligo di minimale assortimento di medicinali previsto ex lege anche senza acquistare i prodotti di Pharmacia (costituenti peraltro lo 0,14% del fatturato di Farmacie Petrone), ovvero acquisendoli anche presso altri grossisti operanti nella zona di interesse (ben tredici nel territorio napoletano), eventualmente dividendo con essi il margine del 6,65% di utile sul prezzo dei farmaci previsto per legge (come tetto massimo) a favore dei grossisti;
ritenuto che le resistenti avevano anche contestato che Pharmacie Petrone non avrebbe potuto per ciò solo lamentare alcuna sensibile perdita o l’irreparabilità del pregiudizio, peraltro di carattere esclusivamente pecuniario e comunque anche poco rilevante, se rapportato alle considerevoli dimensioni d’impresa;
ritenuto che l’ordinanza reclamata:
- non ha ravvisato nei precedenti provvedimenti giudiziali intervenuti tra le parti un ostacolo all’ammissibilità della domanda cautelare proposta in questa sede, ai sensi dell’art. 33 della legge antitrust nazionale, mancando una vera e propria identità di prospettazione e di causa petendi, pur nella analogia degli elementi effettuali e storici, su cui era fondata la domanda cautelare;
- ha respinto l’eccezione con cui le resistenti avevano pregiudizialmente sollevato la questione dell’improcedibilità e/o inammissibilità del ricorso cautelare per l’incompetenza funzionale di questa Corte, sia in relazione ad una possibile connotazione “comunitaria” dell’ipotizzato illecito, sia in relazione ad una possibile “interferenza” con diritti o titoli di proprietà industriale;
- ha ritenuto, quanto al merito cautelare, che il mercato rilevante nel caso di specie fosse riferibile, come mercato del prodotto, alle (sole) specialità medicinali, cioè i farmaci precedentemente preparati, commercializzati con un nome specifico ed in una confezione particolare, solo per esse potendo ipotizzarsi – di norma – un diritto di produzione e vendita in esclusiva brevettale, e non invece per i farmaci generici, e, come mercato grografico, al territorio nazionale (o al più al territorio della Regione Campania), considerando il rilievo assorbente della domanda vista dal lato del consumatore finale;
- non ha condiviso l’opinione secondo cui l’ambito merceologico del mercato rilevante potrebbe essere determinato con riferimento a ciascuna specialità, a causa del carattere vincolante della prescrizione da parte del medico curante, prospettata quale elemento idoneo a costituire il presupposto dell’infungibilità/insostituibilità del prodotto, che condizionerebbe le possibilità di scelta del grossista nell’approvvigionamento dell’assortimento “minimale” di farmaci contemplato dal decreto legislativo 538/1992;
- ha escluso che in virtù di tale possibilità di approvvigionamento potesse ravvisarsi una posizione dominante in capo alle resistenti nel mercato di riferimento determinato in conformità dei criteri applicati nel settore e recepiti dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato;
- ha considerato che fosse impossibile valutare l’esistenza di una posizione dominante anche sulla base del fatto che le resistenti producono una frazione percentualmente non sensibile delle specialità medicinali attualmente presenti nella farmacopea italiana (circa il 6%) del totale, delle quali solo una piccola quota era oggetto della cessata fornitura dedotta nel procedimento, la quale era a sua volta parte non sensibile del fatturato della ricorrente e parte non sensibile della quota minimale dell’assortimento di farmaci che la ricorrente doveva detenere;
ritenuto che, per le argomentazioni qui concisamente richiamate, l’ordinanza reclamata ha escluso la sussistenza del requisito del fumus boni juris della proposta domanda cautelare;
tutto ciò esposto, esaminati gli atti e le memorie scambiate tra le parti, sentita la discussione orale,
osserva

§ 1. La questione del difetto di competenza funzionale.
Applicazione del diritto comunitario o del diritto nazionale.
(1) Prima di esaminare i motivi del reclamo dedotti da Farmacia Petrone devono essere risolte le questioni preliminari riproposte dalle società resistenti.
Pharmacia Italia e Pfizer eccepiscono preliminarmente la improcedibilità e la inammissibilità del reclamo per difetto di competenza funzionale del giudice adito. Pharmacia Italia e Pfizer deducono in primo luogo la connotazione comunitaria del preteso illecito fatto valere da Farmacie Petrone ed osservano che nel ricorso cautelare Farmacie Petrone aveva affermato che l’atteggiamento di Pharmacia Italia e Pfizer sarebbe stato idoneo a provocare una “compartimentazione tra mercati”, impedendo le esportazioni parallele, attività in cui Farmacie Petrone si sarebbe distinta negli ultimi anni. Farmacie Petrone avrebbe, quindi, lamentato in via assolutamente principale la violazione di norme comunitarie. Questa prospettazione valeva ad attribuire rilevanza comunitaria all’illecito contestato; tale comportamento era idoneo a produrre una ripercussione nel mercato comune e nei rapporti tra gli Stati membri e non soltanto nel mercato interno nazionale. Il consigliere designato, rilevando la duplice prospettazione della ricorrente, non avrebbe potuto risolvere la questione sulla base della “reazione” delle società resistenti.
(2) Il motivo non può essere accolto.
La speciale competenza della Corte d’appello, stabilita dalla legge n. 287 del 1990, riguarda espressamente le sole intese che non ricadono nell’ambito di applicazione degli articoli 85 e 86 (originari) del Trattato istitutivo della Comunità. Questa competenza eccezionale in unico grado dipende dal presupposto che la controversia promossa si inserisca nell’ambito di applicazione definito dall’art. 1, a norma del quale le disposizioni della legge speciale antitrust “si applicano alle intese, agli abusi di posizione dominanti e alle concentrazioni di imprese che non ricadono nell’ambito di applicazione degli articoli 85 e/o 86 del Trattato istitutivo della Comunità economica europea (CEE), dei regolamenti CEE o di atti comunitari con efficacia normativa equiparata”. Si tratta di competenza avente ad oggetto le sole violazioni che alterano in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del solo mercato nazionale, che non si può estendere ad altre domande, se non legate dal vincolo di accessorietà con la domanda principale.
Per valutare la fondatezza dell’eccezione delle società resistenti, e determinare la competenza, distribuita tra Tribunale, competente per le violazioni anticoncorrenziali di rilevanza comunitaria, e Corte d’appello, competente per le violazioni anticoncorrenziali di rilevanza nazionale interna, è indispensabile valutare la materia dedotta sulla base della prospettazione della parte, giacché la competenza per materia si determina in relazione all’oggetto della domanda proposta dall’attore e ai fatti posti a fondamento della stessa. Non è decisiva la qualificazione che l’attore abbia dato all’azione proposta (che potrebbe essere artificiosamente prospettata allo scopo di sottrarre la controversia al giudice precostituito per legge), mentre le eccezioni del convento possono assumere il ruolo di fonte residuale di convincimento, non di contrapposizione dialettica rispetto alla prospettazione della domanda stessa (cfr. in generale Cass. civ., sez. I, 10.1.2000, n. 152).
(3) Ciò premesso, per escludere la competenza speciale dell’art. 33 legge 287/1990 non può ritenersi decisivo il riferimento fatto dalla società attrice alle norme comunitarie, giacché i principi comunitari non sono esclusivi della regolamentazione europea della materia della concorrenza, ma integrano comunque la disciplina normativa della concorrenza anche nel mercato nazionale interno. Questa regola e espressa dalla prescrizione dell’art. 1, comma quarto, della legge nazionale antitrust, secondo cui “l’interpretazione delle norme contenute nel presente titolo è effettuata in base ai principi dell’ordinamento delle Comunità europee in materia disciplina della concorrenza”.
Essa è confermata in termini vincolanti anche dal Regolamento CE 1/2003 del Consiglio del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli articoli 81 e 82 del Trattato, secondo cui “quando le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri o le giurisdizioni nazionali applicano la legislazione nazionale in materia di concorrenza agli sfruttamenti abusivi vietati dall’articolo 82 del trattato, esse applicano anche l’articolo 82 del trattato”(articolo 3, “Rapporto fra gli articoli 81 e 82 e le legislazioni nazionali in materia di concorrenza”).
(4) Per risolvere la questione sollevata dalle resistenti, è rilevante considerare che Farmacie Petrone ha determinato con precisione gli ambiti di tutela cui intendeva ricorrere, La ricorrente stessa, dopo aver esaminato i diversi profili di asserita illiceità del comportamento di Pharmacia Italia e di Pfizer, ha manifestato in modo univoco e chiaro la propria volontà di agire per la tutela della concorrenza all’interno del mercato nazionale, avendo prospettato senza ambiguità che, a sua opinione, la fattispecie denunciata integrava “una palese violazione dell’art. 3 della Legge 10.10.1990 n. 287, giacché Pharmacia Italia abusa – con il proprio rifiuto di fornitura – della sua posizione dominante all’interno del mercato nazionale” (v. pp. 17 e 18 del ricorso).
È soltanto in subordine che Farmacie Petrone ha dedotto che, “ove si ritenesse” che la finalità ritorsiva rispetto alla minaccia delle importazioni parallele connotasse in senso comunitario il comportamento di rifiuto denunciato, vi sarebbe stata violazione dell’art. 82 del Trattato istitutivo della Comunità, da ritenersi comunque applicabile ai sensi del Regolamento 1/2003 anche dalla Corte d’appello.
Dunque, la domanda cautelare proposta non implicava affatto la prospettazione in linea principale di una violazione del mercato comunitario, ma al contrario era rivolta alla tutela della quota di mercato interno, nel cui ambito la Petrone opera, essendo chiaro che ai fini dell’interpretazione della domanda giudiziale deve darsi rilievo alla soggettiva intenzione della parte attrice, quando essa sia stata esplicitata in modo talmente chiaro, da consentire di cogliere l’effettivo contenuto della domanda formulata nei termini indicati. È decisivo il riferimento alla dedotta estensione puramente nazionale degli effetti dell’attività anticoncorrenziale denunciata, poiché questo costituisce il petitum sostanziale proposto, su cui non incide il riferimento ad eventuali ipotetici motivi, puramente interni e soggettivi, che potevano avere determinato Pharmacia a deliberare la comunicazione della disdetta dal rapporto negoziale preesistente.
(5) Alla stessa conclusione conduce, nel caso in esame, la valutazione del mercato geografico rilevante nel settore del commercio dei farmaci (cioè la “zona geograficamente circoscritta dove, dato un prodotto, o una gamma di prodotti considerati tra loro sostituibili, le imprese che forniscono quel prodotto si pongono fra loro in rapporto di concorrenza”).
In questa materia non può prescindersi dalle valutazioni espresse dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, secondo cui, per la definizione del mercato geografico, è rilevante considerare l’esistenza di normative diverse tra i vari Paesi della UE, per quanto concerne, ad esempio, le licenze, i margini sui prodotti, i tempi di consegna e l’obbligo di assortimento, elementi, questi, che inducono a ritenere, innanzitutto, che il mercato geografico abbia un’estensione non superiore a quella del territorio nazionale.
Si è considerato, inoltre, dal momento che tali distributori intermedi devono rifornire le farmacie in tempi estremamente rapidi, come la rete distributiva dei grossisti sia normalmente organizzata, all’interno di ciascun Paese, a livello regionale. Infatti, i grossisti dispongono solitamente di uno o più magazzini ubicati in modo da assicurare le consegne alle farmacie comprese all’interno di una regione o al massimo di più regioni limitrofe. Tale peculiarità del sistema distributivo intermedio dei prodotti farmaceutici e parafarmaceutici ha portato la Commissione e l’Autorità, in diverse decisioni, a restringere il mercato geografico rilevante a livello infranazionale, molto spesso coincidente con il territorio regionale che presenta tutte le caratteristiche di un mercato distinto.
Peraltro, anche considerando il alto dell’offerta, la presenza non omogenea dei distributori intermedi tra le varie regioni ha indotto a ritenere che il mercato geografico rilevante debba essere circoscritto a livello regionale, anche se si evidenzia la possibile parziale sovrapposizione tra regioni, dal momento che talune farmacie si riforniscono anche da grossisti localizzati in regioni limitrofe, e si osserva che, a seguito di un ampio processo di riorganizzazione del settore della distribuzione intermedia dei farmaci, alcune imprese, risultano operare con posizioni significative a livello nazionale (cfr. provv. n. 14227 C697 del 13.4.2005 – Comifar Distribuzione/Farmaceutica Bolognese).
L’autorità nazionale ha da tempo considerato che due, infatti, sembrano essere i fattori che portano a “segmentare” il mercato geografico a livello nazionale: le politiche sanitarie dei singoli Paesi (per tali intendendosi regolamentazione dei prezzi, delle modalità di rimborso, della classificazione dei medicinali, dei canali distributivi ecc.) e i regimi di accesso (ovvero i regimi di brevettazione e di autorizzazione all’immissione in commercio).
Se da un lato, la progressiva armonizzazione dei regimi di accesso al mercato ridurrà sempre più le differenze a livello europeo, dall’altro, l’esistenza di politiche sanitarie estremamente diverse renderà comunque difficoltoso il superamento della definizione del mercato geografico rilevante a livello nazionale.
Vi è anche da aggiungere che le abitudini di consumo contraddistinguono e differenziano ciascun Paese; e ciò rafforza ulteriormente la definizione del mercato geografico sopra individuata (provv. n. 5728 C1332 del 26.2.1998 – Byk Gulden Italia/Istituto Gentili Pubblicazione).
(6) Alla stregua dei criteri esposti, deve essere condivisa la soluzione data alla questione dal primo giudice, giacché nel caso in esame, come ha esattamente rilevato l’ordinanza reclamata, Farmacie Petrone ha denunziato asseriti illeciti concorrenziali discendenti da infrazioni alla legge nazionale antitrust.
La delimitazione del mercato della distribuzione dei farmaci nel mercato regionale, o al più nazionale, e le sue connotazioni geografiche determinano il carattere puramente interno del pregiudizio lamentato. Non risultano dimostrati o dedotti efficaci ed attuali collegamenti che siano idonei a rendere questo particolare mercato, per tutta la sua estensione, comune tra gli Stati membri dell’Unione. Quando non è fornita una prova siffatta, e gli elementi indiziari acquisiti siano, invece, significativi per caratterizzare gli effetti della pratica concorrenziale come limitati ad una porzione ben definita del solo mercato interno di un singolo Stato, qui in effetti ristretto all’area geografica di una regione italiana, l’eventuale violazione dei divieti a tutela della concorrenza forma oggetto della cognizione rimessa alla competenza funzionale della Corte d’appello, ai sensi dell’art. 33, secondo comma, della legge n. 287 del 1990, e non deve essere valutata e decisa secondo le competenze della giurisdizione ordinaria di duplice grado, nell’ambito del potere giurisdizionale riaffermato a favore dei diversi giudici nazionali dal Regolamento CE n. 1/2003 del Consiglio del 16 dicembre 2002.
Per le considerazioni esposte, poiché la società Farmacia Petrone ha dichiarato di voler denunziare quei comportamenti denunziati dalle resistenti, di cui intende dolersi esclusivamente nei limiti dei riflessi “all’interno del mercato nazionale” (cfr. art. 2 della legge n. 287 del 1990), l’eccezione di “improcedibilità ed inammissibilità” della domanda e del reclamo deve essere respinta, e deve essere confermata la competenza in unico grado di questa Corte, ai sensi dell’art. 33, secondo comma, della legge 287 del 1990.

§ II. La questione della competenza delle sezioni specializzate.
(1) Secondo le resistenti, siccome il ricorso cautelare presenterebbe in più parti una connessione/afferenza con titoli di proprietà industriale (stante il richiamo ivi contenuto al potere evocativo e distintivo del marchio d’impresa), il ricorso dovrebbe essere devoluto alla competente sezione specializzata di diritto industriale, da individuarsi nell’ambito di quelle istituite dal D.Lgs. 27 giugno 2003, n. 168, in forza di quanto previsto dagli artt. 120, quarto comma, e 134, primo e terzo comma, del Codice della Proprietà Industriale di recente emanazione (D.Lgs. 10.2.2005, n. 30).
(2) Questo Collegio ritiene che l’eccezione sia infondata.
Viene in proposito invocata la disposizione prevista dall’art. 134, primo e terzo comma, del Codice menzionato, laddove esso prevede la devoluzione alle sezioni specializzate anche dei procedimenti giudiziari “in materia di illeciti afferenti all’esercizio di diritti di proprietà industriale ai sensi della legge 10 ottobre 1990, n. 287, e degli articoli 81 e 82 del Trattato UE, la cui cognizione è del giudice ordinario”.
Sulla materia, non sembra che le diffuse e persuasive argomentazioni svolte nell’ordinanza reclamata possano essere disattese, ed anzi di esse questo Collegio ritiene debba farsi peino richiamo. A prescindere dalla seria considerazione che la suddetta previsione sembra essere stata “aggiunta ex novo dal Governo nell’esercizio della potestà legislativa delegatagli, nessuna norma regolando anteriormente, né in modo esplicito, né implicito, l’ipotesi di interferenza dei titoli di proprietà industriale con le fattispecie antitrust ai fini di un riparto di competenza funzionale”, appare decisivo l’argomento – anch’esso fondatamente rilevato nel provvedimento ora reclamato – secondo cui l’interpretazione della norma deve essere condotta in termini restrittivi. Come ha considerato il primo giudice “la prima norma, infatti, come si è visto, utilizza sintomaticamente ben due distinte modalità espressive per attrarre alla cognizione delle sezioni specializzate le fattispecie anticompetitive connesse ai titoli di proprietà industriale, impiegando sia il concetto di “non interferenza” sia quello di “afferenza”, e mentre il primo sembra imporre un’interpretazione estensiva di massima latitudine, convogliando tutte le possibili fattispecie di concorrenza sleale con esclusione solo di quelle che non presentino alcun contatto, neppure occasionale, con i titoli di proprietà industriale; viceversa il secondo sembra imporre – per contrasto semantico – un’interpretazione ben più restrittiva, circoscrivendo l’area delle ipotesi attratte alla competenza delle sezioni specializzate in base al rilievo che il titolo di proprietà industriale possa assumere come elemento costitutivo della causa petendi della domanda che sia stata proposta per sanzionare un illecito antitrust di rilevanza nazionale oppure comunitaria, di talché il titolo stesso sia causa, e non mera occasione, dell’illecito antitrust.”
(3) Al di fuori di quest’ipotesi di “afferenza” causale così intesa, che radicherebbe la competenza delle dodici sezioni specializzate di diritto industriale previste dalla legge, resta dunque preservata la competenza funzionale esclusiva in primo ed unico grado delle (e di tutte le) corti d’appello territorialmente competenti per le azioni cautelari e di merito (nullità o risarcimento del danno) riguardanti illeciti antitrust di rilevanza nazionale ex art. 33, 2° comma, l. 287/90.
Ed in conclusione deve rilevarsi come sulla base dell’interpretazione esposta, la fattispecie contenziosa dedotta non possa essere ricondotta all’ipotesi eccepita da Pharmacia e Pfizer, poiché in ogni caso la ricorrente non ha affatto inteso porre un titolo di proprietà industriale (il marchio d’impresa delle resistenti), a fondamento causale del dedotto illecito di abuso di posizione dominante. Questo illecito non è stato certo fatto dipendere da un uso improprio o recettivo di un marchio, o posto in relazione alla capacità evocativa o distintiva del segno, ma è stato fatto discendere dal rifiuto, reputato discriminatorio, della continuazione delle forniture dei propri farmaci a Farmacie Petrone.
(4) Manca, dunque, il presupposto della prospettazione che il marchio sia parte del fondamento causale dell’illecito; Farmacie Petrone si è lamentata dell’interruzione della fornitura e questa fattispecie non rientra nella previsione dell’art. 134, che – a quanto può ritenersi pur nella difficoltà interpretativa data dall’uso di espressioni astratte e generiche, prive di significato univoco (afferenza) – sembra far rientrare nella competenza delle sezioni specializzate i soli casi di abusi dei diritti di proprietà industriale che siano idonei a determinare un abuso di posizione dominante.
Che in questo modo si svuoti di contenuto il riferimento alla materia antitrust “afferente” alla proprietà industriale non è problema che deve essere risolto in questa sede, ove è assorbente considerare che non è chiarito con argomentazioni persuasive come il rifiuto di fornitura contestato da Farmacie Petrone possa essere “afferente alla proprietà industriale”, ovvero afferente all’esercizio dei diritti di proprietà intellettuale.

§ III. La questione della incoercibilità di un facere infungibile. L’ordine di esecuzione di atti negoziali.
(1) Pharmacia Italia e Pfizer eccepiscono l’inammissibilità e l’improcedibilità del reclamo e delle domande cautelari anche in relazione al contenuto delle domande proposte, di provvedimento inibitorio e di ordine di esecuzione alle usuali condizioni, delle richieste di acquisto di medicinali.
Due sono le obiezioni principali delle resistenti. Pharmacia Italia e Pfizer contestano che il procedimento cautelare possa essere esperito al fine di ottenere una prestazione di facere infungibile, giacché questa non sarebbe coercibile e non sarebbe suscettibile di esecuzione forzata. Deducono inoltre che le richieste cautelari non potrebbero mai volgersi ad ottenere – tramite ordini giudiziali – la costituzione di nuovi rapporti giuridici. Le società resistenti negano di avere mai avuto in essere alcun rapporto di somministrazione, ed oppongono che si sarebbe sempre trattato di singoli ordini, per i quali, di volta in volta, le parti avevano concordato quantità e prezzi. Negano che Farmacie Petrone possa, quindi, chiedere la continuazione di rapporti in essere o il ripristino del contratto.
(2) L’eccezione di inammissibilità proposta non può essere accolta.
È incontestabile che l’attribuzione alla Corte d’appello della competenza ad emettere provvedimenti d’urgenza non può esser considerata separatamente dalla contestuale previsione che attribuisce alla stessa la competenza a conoscere, esclusivamente, delle azioni di risarcimento del danno e di nullità derivanti dalla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV della legge 10 ottobre 1990, n. 287.
Le misure cautelari che possono essere dunque adottate debbono comunque correlarsi funzionalmente all’accertamento di situazioni antigiuridiche che possano dar vita ad una futura azioni di merito volta a far dichiarare la nullità di un atto concorrenziale o a far condannare l’autore di un illecito anticoncorrenziale al risarcimento del conseguente danno o che comunque siano strettamente connesse ad una di tali domande.
Dalla necessità che si riscontri un rapporto funzionale e strumentale tra provvedimento cautelare richiesto ed effetti prefigurabili della domanda di merito, risarcitoria o di nullità, tuttavia non consegue una preclusione a qualsiasi possibilità di intervento repressivo o inibitorio (e ciò sull’implicito argomento che il giudizio di merito non possa concludersi, in difetto di specifiche attribuzioni in tal senso, in una inibitoria definitiva).
Nulla, infatti, impedisce l’adozione di provvedimenti inibitori, se strumentali alle azioni di risarcimento e nullità, finalizzati alla conservazione del diritto che si teme esposto ad irreparabile pregiudizio, ovvero ad eliminare o limitare gli effetti pregiudizievoli derivanti dalla condotta lesiva in atto. In tema di applicazione dell’art. 700 c.p.c., si riconosce che il provvedimento cautelare assolve anche una funzione preventiva, volta ad impedire che la violazione sia realizzata, oppure che la protrazione della condotta foriera di pregiudizio progressivamente accentui la portata dell’evento dannoso. Il coordinamento di tale principio con la ricordata esigenza di rispettare un rapporto di inerenza e strumentalità fra provvedimento cautelare e giudizio di merito porta a concludere che il potere tipico affidato al giudice dell’urgenza di adottare, a seconda del caso, i provvedimenti più opportuni per preservare il diritto leso dalla condotta produttrice di danno comprenda anche la possibilità di emettere provvedimenti inibitori, che possono anche tradursi – in ipotesi di illeciti realizzati con comportamenti omissivi – in ordini aventi contenuto positivo; ma ciò in funzione della protezione di diritti nascenti da rapporti giuridici esistenti tra le parti, giacché ove il provvedimento di tutela si muovesse nella prospettiva di creare nuovi vincoli contrattuali, ovvero di modificare l’assetto degli interessi convenzionalmente stabiliti dalle parti, verrebbe a determinarsi un’insuperabile incongruenza fra esso e gli effetti possibili del giudizio di merito.
(3) Per negare l’ammissibilità di una richiesta inibitoria non è decisivo l’argomento che si tratterebbe di provvedimento incoercibile.
L’argomento non considera che i provvedimenti d’urgenza hanno natura strumentale e funzione cautelativa del tutto provvisoria, in quanto volti ad evitare che la futura pronunzia del giudice possa restare pregiudicata nel tempo necessario per ottenerla, e sono destinati a perdere ogni efficacia a seguito della decisione emessa nel successivo giudizio di merito nella quale rimangono assorbiti e caducati, con l’esaurimento della funzione cautelare che li caratterizza. Non può negarsi che la pronuncia di un provvedimento cautelare dello stesso contenuto richiesto da Farmacie Petrone sia funzionale a preservare gli effetti di una pronuncia di nullità della disdetta intimata, o di un eventuale risarcimento del danno. Premesso che il danno temuto è prospettato in relazione al pericolo di una lesione della capacità concorrenziale di Farmacie Petrone e di una perdita di clientela, deve rilevarsi che, se il provvedimento cautelare non fosse eseguito e poi si accertasse nel giudizio di merito la fondatezza dell’azione esercitata, la mancata esecuzione del provvedimento cautelare non precluderebbe – in caso di accoglimento delle domande di nullità e di risarcimento del danno – di procedere alla liquidazione dei danni secondo i criteri e le regole ordinarie della materia, queste essendo le sole pronunzie consentite alla Corte dalla disposizione dell’art. 33 della legge nazionale antitrust. Se, invece, l’eventuale provvedimento inibitorio fosse spontaneamente ottemperato, il provvedimento cautelare produrrebbe l’immediato effetto di prevenire l’aggravamento dei danni che dovrebbero essere poi liquidati con la decisione di merito e dimostrerebbero in tal modo la funzionalità della richiesta rispetto al giudizio di merito e la sua conseguente ammissibilità. Tale ammissibilità non può poi essere contestata con l’assolutezza dell’eccezione opposta dalle resistenti, considerato che quando l’ordinamento non appresta una forma di tutela tipica tale da assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione di merito, non può che consentirsi che lo stesso risultato sia conseguito, in via d’urgenza, con il ricorso alla tutela innominata prevista dagli artt. 700 ss. c.p.c.
(4) Non ritiene il Collegio che un tale provvedimento cautelare, per il contenuto dell’ordine richiesto, non solo inibitorio, ma anche rivolto all’esecuzione di atti negoziali, assuma in concreto, aspetti di inammissibilità, quasi fosse una anticipazione degli effetti di una – non consentita – pronunzia costitutiva, oggettivamente preordinata a modificare i rapporti giuridici patrimoniali tra le parti.
La domanda cautelare proposta tende allo scopo di rimuovere gli effetti di una condotta fattuale – il rifiuto, dal primo marzo 2005, di ulteriori forniture di medicinali – che inciderebbe sull’esecuzione di un contratto preesistente. Non si rileva, quindi, l’esistenza di vincoli preclusivi all’adozione del provvedimento cautelare, giacché esso non si porrebbe quale intervento del giudice costitutivo di nuovi rapporti negoziali, ma solo come strumento volto ad impedire l’aggravamento di un fatto derivante da una scelta unilaterale che avrebbe avuto ad oggetto un ingiustificato inadempimento delle controparti.
(5) Negano le resistenti che possa essere configurato tra le parti un rapporto di somministrazione, tale da rendere compatibili con la natura ed i limiti del procedimento in pronuncia i provvedimenti cautelari richiesti.
In questa sede di sommario esame, deve tuttavia rilevarsi che per l’ammissibilità dell’istanza non è indispensabile che la ricorrente fornisca la prova rigorosa e scritta della conclusione tra le parti di un vero e proprio contratto tipico di somministrazione, secondo la disciplina del contratto nominato regolato dagli artt. 1559 ss. c.c.
Non risulta che il rapporto di collaborazione commerciale intrattenuto tra le parti sia stato regolato con un atto scritto. Peraltro è ammesso – e può in ogni caso presumersi, ai soli fini provvisori di questo accertamento sommario – che le forniture di medicinali effettuate da Pharmacia e Pfizer a Farmacie Petrone realizzassero l’esecuzione di un impegno assunto sulla base di un accordo-quadro perfezionato in forma verbale ed è pacifico che – non essendo inquadrabile in una specifica fattispecie legale – esso potesse costituire un contratto di distribuzione di prodotti farmaceutici. Potrebbe in effetti ritenersi che l’esistenza di questo rapporto quadro fosse implicitamente confessata dalla stessa fornitrice con la lettera datata 26.11.2004. Con tale lettera Pharmacia Italia aveva preavvisato il recesso dalle forniture (non sulla base di trascorsi inadempimenti di Farmacie Petrone, ma unicamente sulla base di “valutazioni strategiche” della società produttrice). Se Pharmacia Italia aveva ravvisato i presupposti che giustificavano la formalizzazione del suo recesso dal rapporto con Farmacia Petrone, significa che essa riconosceva che le forniture eseguite non rappresentavano la semplice esecuzione di singoli ordini di volta in volta concordati, in assenza di qualunque impegno, ma costituivano adempimento di un vincolo negoziale avente un oggetto ben più esteso rispetto a quello dell’esecuzione discrezionale di episodiche forniture.
(6) Sembrerebbe più appropriato richiamare quella figura negoziale innominata, di cui si sono occupati diversi autori, cioè il contratto di distribuzione o “contratto di concessione di vendita”, nella quale un soggetto, detto concedente, concede ad un altro soggetto, detto concessionario, una posizione favorevole nella commercializzazione del prodotto, attribuendogli il potere di distribuire i propri prodotti dopo averli acquistati. La concessione di vendita fa nascere un rapporto complesso di scambio e di collaborazione, connessi l’uno con l’altro, in cui l’oggetto caratteristico dell’attività del concessionario consiste nell’acquisto e nella rivendita in nome e per conto proprio dei beni di produzione del concedente; il concedente consente di vendere al concessionario i propri prodotti e si impegna a rifornirlo in modo da soddisfare i fabbisogni normali del concessionario, tenuto conto delle circostanze e dell’estensione in particolare del territorio eventualmente determinato, in cui il concessionario intende curare la distribuzione dei prodotti acquistati.
(7) Nell’ambito di questa figura negoziale, le prestazioni del concedente non si esauriscono in un’unica prestazione di vendita, ma comprendono anche l’impegno del concedente, per tutta la durata del contratto di rifornire in futuro il concessionario di una quantità di prodotti idonea a soddisfare le esigenze commerciali del concessionario stesso, in proporzione alla sua capacità di penetrazione nel mercato o secondo le intese concordate. Tale impegno di collaborazione è di contenuto simile a quello di un contratto di somministrazione. Il contratto che è innominato ed atipico, presenta dunque una causa mista, in cui l’attività di scambio si accompagna alla collaborazione tra le due imprese nella distribuzione anche futura dei prodotti della concedente. Sicché la disciplina del contratto, per quanto non diversamente stabilito dalle parti, permette che il negozio sia assoggettato alla disciplina anche dei contratti tipici, di cui abbia, in tutto od in parte, recepito la causa.
Ne discende, per quanto interessa nel caso in esame, ove si discute delle modalità del recesso dal contratto, che potrebbe in effetti giudicarsi ammissibile, in caso di contratto a tempo indeterminato, l’applicazione delle disposizioni del codice civile sulla somministrazione, ed in particolare dell’art. 1569 c.c. (il quale prevede che “ciascuna delle parti può recedere dal contratto, dando preavviso nel termine stabilito dagli usi o, in mancanza, in un termine congruo …”). Nella specifica materia contrattuale potrebbe essere applicata la regola generale che nei contratti di durata è possibile il recesso ad nutum, salvo l’osservanza di un termine congruo che assicuri il contemperamento dei contrapposti interessi delle parti.
(8) Dalla possibilità che i rapporti commerciali intercorsi tra le parti siano suscettibili di una qualificazione giuridica nel senso menzionato discendono due considerazioni.
La prima considerazione attiene alla questione dell’ammissibilità dell’ordine di dare esecuzione alle richieste di acquisto di medicinali che la società reclamante potrà rivolgere alle resistenti anche dopo la scadenza del termine indicato nella comunicazione di recesso. Vi sono elementi documentali che indicano – quanto meno ai fini cautelari – la probabilità che tra le parti esistesse un contratto di distribuzione; tali elementi indiziari si ricavano dal tenore stesso della comunicazione di recesso, che non avrebbe avuto ragione alcuna di essere inviata nei termini in cui è stata, se non fosse preesistito tra le parti alcun contratto-quadro giuridicamente vincolante. Dunque, l’ordine di dare esecuzione, in via cautelare e d’urgenza, alle future richieste di acquisto di medicinali rivolte da Farmacie Petrone non rappresenterebbe una violazione abnorme della regola che vieta, nell’ambito dei giudizi previsti dall’art. 33 della legge nazionale antitrust, l’adozione di pronunzie di natura costitutiva; più semplicemente, un ordine siffatto imporrebbe di continuare l’esecuzione del rapporto negoziale secondo le modalità della prassi instaurata tra le parti, realizzando lo scopo di prevenire aggravamenti dei danni temuti in conseguenza del denunciato inadempimento delle obbligazioni di forniture assunte e riconosciute sulla base di un comportamento concludente.
La seconda considerazione riguarda poi l’ammissibilità del sindacato giudiziale dell’atto di recesso. Esso, ai fini strettamente civilistici, deve semplicemente rispondere ai parametri di congruità, nell’osservanza della regola generale della buona fede come canone principale che disciplina le modalità di esecuzione del contratto (ex art. 1375 c.c.). Questo resta l’unico limite al potere discrezionale di recesso consentito alle parti.
In questa sede speciale, tuttavia, l’atto negoziale del recesso comunicato da Pharmacia deve essere sottoposto all’ulteriore controllo di liceità che la reclamante richiede nel merito, ai fini dell’applicazione delle regole che governano la materia della concorrenza e che, in base alle disposizioni dell’articolo 3 della legge n. 287 del 1990, vietano l’abuso da parte di una o più imprese, di una posizione dominante all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante.

§ IV. Il mercato rilevante del prodotto.
(1) È preliminare rispetto all’esame della sussistenza dell’abuso anticoncorrenziale denunciato l’esame della questione della definizione del mercato rilevante del prodotto. Secondo la ricorrente, il mercato rilevante da considerare per valutare la dedotta fattispecie di abuso sarebbe relativo a ciascuna singola specialità medicinale, da riguardare in tale ambito dal lato del grossista. Vi sarebbe perciò un mercato per ciascuna specialità. Se il mercato rilevante si potesse configurare in rapporto ad ogni specialità medicinale che le resistenti producono e/o commercializzano in esclusiva, automaticamente dovrebbe desumersene che su tale mercato elementare, o mono-prodotto, esse sono in una posizione dominante (ed anzi necessariamente monopolistica). Una posizione siffatta sarebbe assai difficilmente dimostrabile, se il mercato si parametrasse su un ampio settore merceologico, comprendente tutti i farmaci di un certo tipo, intercambiabili o equipollenti in relazione alle loro componenti o alle loro proprietà.
(2) Il provvedimento reclamato non ha condiviso questa possibilità ed ha ritenuto che non fosse stata comunque fornita la prova dell’insostituibilità oggettiva del farmaco anche dal lato della domanda espressa – a livello intermedio della catena distributiva – dal grossista. L’onere probatorio non è stato ritenuto adempiuto nemmeno in relazione alla diversa e prevalente opinione che individua l’insostituibilità del farmaco dal lato del consumatore finale o anche del medico, qualora costui si considerasse “mediatore” del primo quanto meno in relazione alla necessità di prescrizione delle specialità. È stato in particolare osservato che non è stata fornita la prova che anche solo uno dei farmaci del gruppo Pfizer/Pharmacia oggetto di precedente fornitura a Farmacie Petrone fosse insostituibile o infungibile per la cura di determinate patologie.
(3) La società reclamante ripropone l’argomento secondo cui, una volta che la scelta dei medicinali sia stata effettuata dal medico, il mercato del prodotto non potrebbe che essere costituito – anche per il consumatore – dalla sola specialità oggetto di prescrizione medica. In sintesi, la società reclamante deduce che occorre distinguere tra due situazioni di mercato: il mercato della prescrizione e il mercato dell’approvvigionamento a valle della prescrizione. Il mercato della prescrizione sarebbe caratterizzato dall’esistenza di una concorrenza di prodotto tra tutte le specialità che presentano effetti terapeutici identici o equivalenti. Qui la domanda è espressa dal medico, che seleziona – tra i prodotti concorrenti con finalità terapeutiche equivalenti – quello che reputa più appropriato per il paziente.
Il mercato dell’approvvigionamento si origina a valle di questa scelta ed è caratterizzato dalla domanda rigorosamente vincolata di tutti i protagonisti della catena distributiva, perché la domanda, vincolata, si riferisce alla specialità prescritta nominativamente dal medico al momento della scelta sul mercato della prescrizione e trova un unico sostituto, ove esso sia presente sul mercato, nel generico. Se vi è il farmaco generico, il farmacista può dispensare il generico in luogo della specialità e può chiedere al grossista il prodotto generico. In nessun altro caso il consumatore, il farmacista ed il grossista potrebbero derogare alla prescrizione medica. Ne dovrebbe conseguire che ciascuno farmaco brand o di marca (coperto da brevetto o comunque non in concorrenza con alcun generico) rappresenta un mercato separato singolarmente considerato, in quanto in questo mercato la scelta non spetta liberamente al consumatore (definito acquirente prigioniero della specialità prescritta), bensì al medico prescrivente e, una volta effettuata dal medico, essa sarebbe irreversibile e non ammetterebbe sostituzioni.
Aggiunge la società reclamante che la gran parte dei farmaci presenti nel listino di Pharmacia/Pfizer sono medicinali brand. In un caso come quello in esame sarebbe, dunque, rilevante il potere assoluto che compete a ciascuna impresa farmaceutica sul mercato dell’approvvigionamento a valle della prescrizione con riguardo alla singola specialità, sia rispetto al grossista rivenditore, sia rispetto all’acquirente finale, prigioniero di una scelta fatta da altri. Consumatore deve ritenersi anche il grossista che deve rivolgersi al produttore, e che “non ha alcuna possibilità di ricorrere a prodotti sostitutivi rispetto alla singola specialità che ha per legge l’obbligo di detenere”.
(4) Il Collegio, richiamata la natura sommaria e meramente provvisiona che contraddistingue il giudizio richiesto in questa sede cautelare, ritiene che le argomentazioni della società reclamante offrano elementi idonei a determinare la riforma del provvedimento reclamato.
È assai dubbio che la materia della determinazione dei mercati di prodotti medicinali possa essere rigidamente definita nei rigidi termini di sostituibilità ricavati dai noti riferimenti alle diverse classi terapeutiche.
In generale, l’individuazione di un insieme di prodotti farmaceutici tra loro sostituibili può esser effettuata, conformemente ad una prassi consolidata nella giurisprudenza nazionale e comunitaria, facendo riferimento alle classi terapeutiche ovvero all’azione chimica ed allo scopo terapeutico del farmaco. L’individuazione di tali classi viene realizzata facendo ricorso all’Anatomical Therapeutic Classification (ATC, sistema di classificazione dei farmaci, a cura del Nordic Council of Medicines di Uppsala, adottato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità – WHO Collaborating Centre for International Drug Monitoring), secondo il quale i farmaci sono suddivisi in base ad una classificazione di tipo alfa-numerico, individuando cinque livelli gerarchici. Tali livelli individuano classi di medicinali aventi le stesse proprietà terapeutiche e, quindi, prodotti sostituti in quanto destinabili alla cura della stessa patologia.
(5) Questi riferimenti alle diverse classificazioni delle proprietà terapeutiche possono tuttavia risultare non adeguati alle specificità di singoli casi.
Occorre formulare una prima considerazione, precisando che i mercati interessati presentano significative barriere all’entrata che derivano dalla circostanza che gli operatori ivi presenti offrono farmaci coperti da privative industriali ovvero farmaci per cui non esiste un libero commercio di principi attivi.
Accanto a questa considerazione, rilevante nel caso in esame, in cui le specialità che Pharmacia e Pfizer fornivano a Farmacie Petrone, includono – com’è pacifico – prodotti medicinali per i quali non è in commercio un farmaco generico fondato sullo stesso principio attivo ed equivalente, deve rilevarsi che l’interpretazione anche delle autorità nazionali e comunitarie non è ferma alla semplice classificazione ATC.
Si è considerato che le diverse classi terapeutiche così individuate creano segmenti di mercato distinti, per cui la sostituibilità è molto bassa. Di fatto, molti prodotti sono presenti in più di una classe terapeutica e non tutti quelli all’interno di una stessa classe sono diretti concorrenti. Di conseguenza, si rende in diversi casi necessario individuare il mercato del prodotto aggregando più classi terapeutiche del terzo livello o considerare il principio attivo scendendo al quarto. Ciò si verifica in particolare quando farmaci appartenenti a diverse classi terapeutiche sono utilizzabili l’uno in sostituzione dell’altro o, viceversa, solo medicinali con identico principio attivo, all’interno di una determinata classe terapeutica, possono essere impiegati come trattamento per la patologia diagnosticata. La necessità di considerare sottoclassi rispetto a quella situata al terzo livello deriva dal fatto che, ai fini di una corretta definizione del mercato rilevante, non ci si può fermare alla constatazione che prodotti differenti possano curare le stesse patologie.
Come è stato anche di recente indicato nei provvedimenti dell’autorità nazionale, si devono prendere in considerazione anche ulteriori parametri, quali:
a) le modalità di azione del farmaco (ossia il modo in cui il farmaco produce i propri effetti terapeutici);
(b) i diversi effetti collaterali che possono derivare da ciascun farmaco;
(c) la differenza dell’impatto di tali effetti sui diversi individui e nelle diverse situazioni cliniche;
(d) il rapporto costo-efficacia dei diversi farmaci;
(e) in alcuni casi, l’elasticità dei prezzi.
La sostituibilità tra diversi prodotti farmaceutici va correlata, infatti, alla valutazione che, in questo senso, viene effettuata, di volta in volta, dal medico sulla base delle specificità del paziente e della situazione clinica. Ha osservato in particolare l’autorità nazionale (cfr. AGCM, proc. A364 – Meck-Principi attivi – provv. n. 14388 del 15.6.2005) che nel caso Ciba-Gaigy la Commissione ha ritenuto che “contro una più ampia delimitazione del mercato potrebbero ad esempio militare un diverso grado di tolleranza del medicinale da parte del paziente e differenze di prezzo. Perciò la delimitazione del mercato non può essere basata sul criterio che medicinali differenti vengono prescritti per la stessa malattia ossia per uno stesso gruppo di indicazioni. Ciò che è determinante è che la prescrizione sia basata essenzialmente sugli stessi motivi medicali”.
Analogamente nel caso Astra/Zeneca la Commissione affermato che la decisione di usare un’anestesia generale e locale per uno stesso paziente è tipicamente determinata da fattori clinici che vanno valutati caso per caso dei medici.
Nel caso Sanofi/Synthelabo, la Commissione ha ritenuto altresì che diversi gradi di efficienza e appropriatezza di differenti farmaci, cui vengono genericamente attribuite le stesse indicazioni terapeutiche, possono richiedere una loro collocazione in mercati rilevanti distinti. In particolare, in quell’occasione si è ritenuto dimostrato che “è opportuno segmentare i due mercati di prodotti differenti nella misura in cui l’attività terapeutica, l’estensione dell’utilizzazione, la data di immissione in commercio permettono di distinguere i prodotti di prima scelta da quelli di seconda scelta …”
La stessa giurisprudenza comunitaria ha affermato, in più occasioni, che la possibilità che farmaci diversi possano avere impieghi parzialmente coincidenti non è sufficiente ad includere tali prodotti in un medesimo mercato rilevante. Ciò è tanto più vero, quanto più la sovrapposizione nell’impiego è, in realtà, legata al fatto che uno dei farmaci è destinato ad essere impiegato, quando l’altro non sia in grado di dare l’esito sperato.
(6) Nel contesto dell’interpretazione esposta, in cui la definizione del mercato del prodotto deve essere essenzialmente basata sulla considerazione degli effettivi bisogni del consumatore, la tesi prospettata dalla società reclamante sembra più attendibile e coerente con i contributi interpretativi della materia offerti dagli interventi delle autorità nazionali e comunitarie. Essa è argomentata sull’esatta considerazione della rigidità del sistema della prescrizione medica. Tale sistema deve essere valutato considerando come esso costituisca un elemento fondamentale nel trattamento sanitario ed assistenziale prestato dal medico prescrivente a ciascun singolo paziente. È il singolo paziente consumatore del farmaco il destinatario finale del prodotto medicinale, sicché alla definizione del mercato rilevante non può essere estranea la modalità con cui è esercitata la prestazione professionale del sanitario, e deve considerarsi insostituibile ogni indicazione elettiva fatta dal medico, poiché – come è doveroso – questa indicazione rappresenta il frutto di un giudizio diagnostico finale, che esprime il risultato dell’adempimento dell’obbligo di diligenza professionale, a cui è tenuto il medico curante, vincolato, per i principi etici della professione e per gli obblighi giuridici assunti con il contratto d’opera professionale, non ad effettuare semplici comparazioni tra principi attivi e prodotti chimici, bensì a porre l’attenzione alle esigenze terapeutiche soggettive ed insostituibili, personalizzando la scelta finale della terapia più adeguata come quella necessitata per la cura della patologia diagnosticata. Ed è chiaro che la prescrizione del medico che individua la specialità farmaceutica più rispondente alle esigenze del paziente è unica, insostituibile e non sindacabile ad opera del grossista o del farmacista o del produttore.
Deve essere dunque condivisa l’opinione che in questo mercato i prodotti non sono fungibili, a meno che non siano generici.

§ V. L’abuso di posizione dominante.
(1) Non sembra rilevante che il prodotto farmaceutico possa esser fornito da un soggetto diverso dal produttore della specialità medicinale. Questa possibilità non elimina la discriminazione abusiva, ma rappresenta semplicemente un’opportunità per l’impresa discriminata, che per questa via potrebbe esperire iniziative commerciali preordinate ad impedire l’aggravamento del danno temuto dall’interruzione delle forniture. Ed è plausibile ritenere che l’interruzione delle forniture denunciata da Farmacie Petrone costituisca un comportamento abusivo, perché il produttore della specialità medicinale, quando sul mercato non siano in commercio i farmaci generici, che sono prodotti sostituti del tutto equivalenti per identità dei principi attivi, detiene rispetto al singolo prodotto una posizione di monopolio che equivale, per definizione, ad una posizione dominante.
L’impresa in posizione dominante ha una speciale responsabilità, in ragione della quale le è fatto divieto di porre in essere qualsiasi comportamento atto a ridurre la concorrenza o ad ostacolarne lo sviluppo nei mercati in cui, proprio per il fatto che vi opera un’impresa dominante, il grado di concorrenza è già ridotto. “Un’impresa la quale detenga una posizione dominante per la distribuzione – che goda del prestigio di un marchio noto ed apprezzato dai consumatori – non ha facoltà di sospendere le forniture ad un vecchio cliente, ligio agli usi commerciali, se gli ordini di detto cliente non presentano alcunché di anomalo. Un siffatto comportamento è in contrasto con le finalità enunciate dall’art. 3, lett. f), del Trattato e che trovano più precisa espressione nell’art. 86, ed in specie alle lettere b) e c), poiché il rifiuto di vendita limita gli sbocchi a danno dei consumatori e non provoca una discriminazione che può spingersi fino all’eliminazione di un operatore commerciale dal mercato considerato” (CGE, 14.2.1978, C-27/76, “United Brands”; cfr. anche CGE, 13.2.1979, C-85/76, “Hoffmann La Roche”).
La stessa Pharmacia ammette, nella sua lettera di disdetta, che la decisione di porre fine ai rapporti commerciali non era imputabile ad inadempimenti di Farmacie Petrone, sicché non appare ingiustificata l’opinione – qui espressa solo ai fini del giudizio sommario richiesto e sufficiente in questo procedimento cautelare – che la disdetta stessa realizzi e manifesti un comportamento discriminatorio ed anticoncorrenziale.
(2) Tale comportamento non sembra adeguatamente giustificato dalla motivazione riferita alla scelta di operare una “revisione e riorganizzazione della propria rete distributiva” (cfr. lettera di disdetta).
Una scelta siffatta non appare giustificata da esigenze obiettive e meritevoli di immediata tutela, ove si consideri la natura del sistema distributivo in Italia, in cui la distribuzione all’ingrosso di prodotti farmaceutici, disciplinata da atti normativi (D.Lgs. 538 del 1992), dimostra il carattere essenziale della presenza sul mercato di operatori all’ingrosso, la cui attività consiste nel procurarsi, detenere, fornire o esportare medicinali, esclusa la fornitura di medicinali al pubblico effettuata dalle farmacie.
L’attività del grossista appare indispensabile all’ordinato svolgimento del sistema distributivo e si integra con quella dei produttori, giacché è stabilito che il distributore debba detenere almeno: a) i prodotti di cui alla tabella 2 della Farmacopea Ufficiale della Repubblica Italiana; b) il 90% delle specialità medicinali in commercio; c) almeno un medicinale preconfezionato prodotto industrialmente per ciascuna delle formulazioni comprese nel formulario nazionale della Farmacopea che risultino in commercio (art. 7). È inoltre previsto che la fornitura dei medicinali nell’ambito territoriale di competenza deve avvenire con la massima sollecitudine e, comunque, entro le dodici ore lavorative successive alla richiesta.
È lo stesso sistema distributivo regolato dalla legge che prevede come necessaria la presenza sul mercato dei farmaci dei distributori all’ingrosso; in siffatto contesto, l’intenzione di razionalizzare il proprio sistema distributivo da parte del produttore non può consistere nell’espulsione dal mercato di un grossista, di cui si sia utilmente servito per anni senza denunciarne irregolarità.
Per le considerazioni esposte, manca, allo stato, la possibilità di ravvisare elementi indiziari che permettano di valutare sin da ora che la discriminazione operata a danno di Farmacie Petrone (oltre che di taluni altri grossisti), rispetto agli altri grossisti ammessi ancora alle forniture di Pharmacia, sia un’eccezione giustificata al divieto di abuso espressamente sanzionato dall’art. 3 della legge nazionale antitrust.

§ VII. Il pericolo nel ritardo.
(1) La controversia riguarda anche la sussistenza dei presupposti per la concessione nel merito delle misure cautelari richieste, e si riferisce in particolare anche all’elemento del periculum in mora.
Farmacie Petrone contesta le argomentazioni svolte dal primo giudice e ritiene che il comportamento delle resistenti, avendo dato causa all’interruzione delle forniture dal primo marzo 2005, abbia immediatamente realizzato conseguenze dannose a suo carico. La mancata fornitura delle specialità Pharmacia/Pfizer è indicata come idonea a produrre un aggravio dei suoi costi e capace di determinare una situazione, nella quale vi sarebbe il pericolo per la reclamante di non ottenere i quantitativi di prodotti necessari allo svolgimento della sua attività in Italia o all’estero.
Alle argomentazioni di Farmacie Petrone le resistenti replicano, riproponendo gli argomenti già accolti nel provvedimento reclamato, in cui è stata considerata determinante la modesta incidenza dei farmaci Pharmacia rispetto al totale delle specialità medicinali in commercio ed è stato rilevato che Farmacie Petrone sarebbe comunque in grado di assolvere il proprio obbligo di rifornimento minimo anche senza acquistare alcun prodotto Pharmacia e potrebbe comunque approvvigionarsi anche di prodotto Pharmacia facendo ricorso a fonti alternative.
(2) Il Collegio ritiene che gli argomenti dedotti dalle resistenti siano pertinenti alla questione della determinazione e del risarcimento del danno ed abbiano rilevanza ai fini della decisione del futuro giudizio di merito, ma non possiedano valore risolutivo ai fini dell’accertamento dei necessari presupposti per l’adozione di provvedimenti cautelari.
La norma dell’art. 3 della legge 287 del 1990 tende ad impedire che una posizione di monopolio, una volta raggiunta, tolga competitività al mercato, ledendo la sua essenziale struttura concorrenziale e, quindi, il diritto degli altri imprenditori a competere con il dominante.
Non è affatto rilevante che, allo stato, non siano state fornite prove di danno già attuali e non sia stata documentata, ad esempio, la riduzione di fatturato o la perdita di clientela. Nella materia dell’illecito concorrenziale, l’idoneità della condotta, quale qualificazione intrinseca delle sue modalità, ad arrecare o un pregiudizio specifico (discredito commerciale) o un pregiudizio generico come danno patrimoniale ed economico, è situazione sufficiente a delineare con completezza la fattispecie, indipendentemente dal fatto che un danno effettivo si sia attualmente verificato. La reazione che l’ordinamento fa conseguire al giudizio di disvalore rispetto a condotte cui accede la qualificazione dell’illecito, non è necessariamente di carattere successivo all’evento di danno già realizzato, con l’obbligo risarcitorio regolato dall’art. 2043 c.c. per gli illeciti extracontrattuali (tutela peraltro non esclusa qualora al pericolo sia conseguito il danno effettivo), ma integra anche una tutela preventiva con la previsione dell’inibitoria della continuazione della condotta (cfr. art. 2599 c.c.), ed una sanzionatoria, con funzione risarcitoria specifica per il danno verificatosi. La legge predispone, cioè, una tutela concorrenziale che non guarda solo al passato (soccorrendo la vittima con il risarcimento del danno), ma guarda anche al presente, preoccupandosi di ricostituire l’interesse leso (neutralizzazione degli effetti anticoncorrenziali), nonché al futuro, mirando ad impedire la continuazione o il ripetersi dell’illecito già compiuto (cfr. Cass., ss.uu., 23.11.1995, n. 12103).
(3) Il bene protetto, che rappresenta un valore fondamentale e tutelato dall’ordinamento costituzionale (art. 41 Cost.), attiene alla libertà economica dell’impresa concorrente, ed il danno temuto, nel caso in cui si deduca che un’impresa dominante ha tenuto un comportamento abusivo ed anticoncorrenziale, si riflette su questa specifica posizione dell’impresa nel mercato.
L’abuso della posizione dominante, con il rifiuto della prosecuzione di forniture, è sempre idoneo a recare pregiudizi gravi ed irreparabili, perché non incide semplicemente su valori patrimoniali, ma si estende all’intera relazione dei rapporti commerciali intrattenuti dall’impresa discriminata, ledendone il nome, precludendo determinati sbocchi e creando barriere aggiuntive, pregiudicandone l’avviamento commerciale ed influendo sul comportamento delle imprese concorrenti ed in particolare degli altri distributori all’ingrosso.
A causa della discriminazione, i distributori all’ingrosso, in particolare, possono arbitrarsi di effettuare o rifiutare forniture a Farmacie Petrone secondo meri calcoli di convenienza individuale, così come i farmacisti possono essere indotti, in considerazione dell’eventuale impossibilità, per Farmacie Petrone, di eseguire, con la sollecitudine richiesta, determinati approvvigionamenti, a rivolgersi ad altri grossisti anche per specialità diverse.
Poiché sono indicati come presenti nella regione campana almeno tredici grossisti, il timore paventato da Farmacie Petrone appare fondato. In una situazione siffatta, esiste con carattere di attualità il pericolo che i beni più importanti dell’impresa reclamante, il suo nome, l’avviamento commerciale e la sua clientela, possano essere compromessi dalle scelte discriminatorie di Pharmacia e Pfizer, poiché tali scelte sono idonee a consegnare la capacità concorrenziale di Farmacie Petrone nelle mani di coloro che ne sono i principali concorrenti.
(4) Le domande cautelari di Farmacie Petrone devono essere dunque accolte. Non vi sono preclusioni neppure di ordine pratico all’adozione dei provvedimenti richiesti, poiché gli elementi integrativi delle condizioni delle nuove forniture potranno essere determinati, oltre che dalle condizioni dettate dai provvedimenti legislativi e amministrativi che disciplinano la materia, anche tenendo conto del fatto che le nuove forniture potranno essere rimesse in conformità dei comportamenti e delle prassi antecedenti delle parti, ed in cui la quantità dei prodotti sarà quella idonea a soddisfare le normali esigenze commerciali del concessionario stesso, in proporzione alla sua capacità di penetrazione del mercato o secondo le intese concordate.
Le spese processuali di questa fase d’urgenza saranno regolate secondo l’esito definitivo del giudizio di merito.
[omissis].

Top

Home Page