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luglio-agosto 2002

Studî e commenti

ALESSIA BRUSCIA

Nota a Corte Cost. 25 febbraio 2002, n. 29 (in tema di interessi usurai)

 

     La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 29 del 2002, si è pronunciata sulla questione relativa ai problemi di eventuale illegittimità costituzionale posti dal decreto-legge n. 394/2000 di “Interpretazione autentica della legge 7 marzo 1996 n. 108, recante disposizioni in materia d’usura”, convertito con modificazioni nella legge n. 24/2001.  È utile, prima di esaminare la decisione della Consulta, procedere ad una breve analisi del quadro storico-normativo in cui questa è maturata.
     La legge n.108 del 1996 ha introdotto nell’ordinamento, riformando l’articolo 644 cod. pen. e il secondo comma dell’art. 1815 cod. civ., la nuova disciplina in materia di usura. L’intervento del legislatore è il frutto della necessità, sempre più avvertita nel tessuto sociale del Paese e tra gli operatori del diritto, di prevedere strumenti più incisivi per contrastare il fenomeno dell’usura, capaci di rimuovere quegli elementi che ne hanno ostacolato un’adeguata repressione.
Il novellato art. 644 cod. pen. dispone ora che, commette il delitto di usura chi si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità «interessi o altri vantaggi usurari». La legge, precisa espressamente le condizioni affinché un interesse possa definirsi “usurario”, stabilendo che deve essere considerato tale l’interesse superiore al tasso effettivo globale medio risultante dall’ultima rilevazione effettuata trimestralmente dal Ministro del tesoro e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, relativamente a categorie omogenee di operazioni in cui il credito è compreso, aumentato della metà. Risultano modificati, in tal modo, i precedenti fattori di individuazione del reato di usura ove si consideri che l’esosità degli interessi è adesso specificatamente determinata, mentre l’approfittamento dello stato di bisogno rileva come circostanza aggravante del reato e non più come elemento costitutivo dello stesso.
     L’ambito di applicazione della legge n. 108 del 1996, per la peculiarità propria del fenomeno disciplinato, non poteva essere limitata esclusivamente agli aspetti penalistici e ha inciso, infatti, anche sotto il profilo civilistico, con la modifica del comma secondo dell’art. 1815 cod. civ. L’originario meccanismo della riduzione del tasso usuraio alla misura legale, è stato sostituito con la previsione secondo la quale l’eventuale convenzione pattizia di interessi usurari viene considerata nulla «e non sono dovuti interessi». Con tale previsione, il legislatore innalza sotto il profilo qualitativo la portata riformatrice della normativa ove si consideri che viene introdotta nell’ordinamento una deroga al principio della naturale produttività di interessi delle obbligazioni pecuniarie.
     Immediatamente dopo l’entrata in vigore della legge n. 108/96, si sono riscontrate interpretazioni antitetiche tra le associazioni dei consumatori e gli istituti di credito in ordine all’immediata applicazione della stessa a quei contratti di mutuo stipulati precedentemente all’entrata in vigore della novella ma i cui piani di ammortamento non erano ancora giunti ad esaurimento.
     I discordanti pronunciamenti resi in merito dai diversi Tribunali aditi hanno trovato il loro naturale momento di sintesi nell’intervento della Corte di Cassazione, la quale, con la sentenza n. 14899/2000, ha stabilito che per individuare quando un determinato tasso di interesse diviene “usurario” rileva, in buona sostanza, il momento del concreto pagamento della somma a tale titolo dovuta e non quello della stipulazione del contratto. Pertanto, nel prendere in esame la nuova disciplina con riferimento ai contratti di mutuo stipulati prima dell’entrata in vigore della legge n. 108/96, ha considerato quest’ultima di «immediata applicazione nei correlativi rapporti, limitatamente alla regolazione degli effetti ancora in corso, quale, per l’appunto, la dazione degli interessi». Per questi ultimi trovano attuazione, dunque, le nuove disposizioni, in quanto trattasi di prestazioni successive all’entrata in vigore della legge.
     Tale orientamento della Suprema Corte ha accentuato il disappunto tra gli operatori del credito, i quali avevano sin dall’inizio evidenziato le lacune di una legge che, non prevedendo una norma di salvaguardia dei rapporti giuridici preesistenti, aveva creato un preoccupante clima di incertezza.
     Allo scopo di evitare le possibili conseguenze negative che anche sul piano patrimoniale si andavano iniquamente profilando per gli istituti di credito, il legislatore è nuovamente intervenuto sulla materia con il decreto-legge n. 394 del 2000, successivamente convertito nella legge n. 24/2001, prevedendo che, ai fini dell’applicazione dell’articolo 644 del cod. pen. e dell’articolo 1815 del cod. civ., «si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento» (art. 1, comma primo); inoltre, per talune tipologie di mutuo a tasso fisso, divenuti eccessivamente onerosi, a danno dei mutuatari, a causa «dell’eccezionale caduta dei tassi d’interesse verificatasi in Europa e in Italia nel biennio 1998-1999», è stato previsto un tasso di sostituzione, più favorevole, applicabile ai ratei scaduti successivamente al 2 gennaio 2001 (art. 1, secondo comma).
     La Consulta, chiamata a pronunciarsi sulla questione di legittimità costituzionale del primo comma dell’art. 1 della legge n. 24/2001 (sollevata dai Tribunali di Benevento e Taranto ), ha ritenuto la stessa infondata. Nel motivare il suo provvedimento di rigetto la Corte si è sostanzialmente rifatta alla propria giurisprudenza, secondo la quale «non può ritenersi precluso al legislatore adottare norme che precisino il significato di precedenti disposizioni legislative, pur a prescindere dall’esistenza di una situazione di incertezza nell’applicazione del diritto o di contrasti giurisprudenziali, a condizione che l’interpretazione non collida con il generale principio di ragionevolezza» (cfr., le sentenze n. 525/00 e n. 229/99).
     In particolare, per quanto concerne i tassi di interesse la Corte ha confermato la piena legittimità dell’interpretazione resa dal legislatore, secondo cui l’usurarietà di questi si misura al momento della stipula del contratto e non al momento della dazione, dunque le sanzioni penali e civili di cui agli articoli 644 cod. pen.. e 1815 cod. civ., comma secondo, trovano applicazione per le sole pattuizioni che sin dall’origine erano da considerarsi usurarie, ritenendola un’interpretazione che si presenta “chiara e lineare”, perfettamente compatibile con la ratio della legge n. 108/1996, che è appunto quella di scoraggiare e sanzionare il fenomeno dell’usura.
     La Consulta ha invece ritenuto illegittima la legge n. 24/2001 nella parte in cui stabilisce che la sostituzione dei vecchi tassi usurari con i nuovi più bassi avrebbe avuto decorrenza dal 3 gennaio 2001. I nuovi tassi si sarebbero, infatti, dovuti applicare per i ratei scaduti al 31 dicembre 2000, data di entrata in vigore del decreto legge n. 394/2000. I giudici costituzionali hanno ritenuto irragionevole che, per i mutui stipulati prima dell’entrata in vigore della legge antiusura del 1996, la norma prevedesse la sostituzione di un tasso più favorevole da applicarsi, però, due giorni dopo l’entrata in vigore del decreto legge in questione. Il legislatore avrebbe in tal modo protratto una riscontrata situazione di ingiustizia per i mutuatari, rendendo la norma lesiva del generale canone di ragionevolezza di cui all’articolo 3 della Costituzione.
     Nonostante le critiche che da più parti, soprattutto dalle associazioni dei consumatori, si sono mosse nei confronti del D.L. 394/00 prima, e della pronuncia della Consulta dopo, non può essere negato il valore di tali interventi in una materia che stava producendo effetti distorsivi nella certezza dei rapporti giuridici posti in essere dagli operatori del credito. L’intervento della Consulta ha così escluso ogni possibilità di interpretare in maniera retroattiva la legge antiusura del 1996, confermando un principio cardine del diritto sulla base del quale ogni parte contraente potrà fare affidamento su regole certe e sull’osservanza degli accordi reciprocamente assunti.

 

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