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ALESSIA BRUSCIA
Nota a Corte Cost. 25 febbraio 2002, n. 29 (in tema di interessi usurai)
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 29 del 2002, si è pronunciata sulla questione relativa ai problemi di eventuale illegittimità costituzionale posti dal decreto-legge n. 394/2000 di Interpretazione autentica della legge 7 marzo 1996 n. 108, recante disposizioni in materia dusura, convertito con modificazioni nella legge n. 24/2001. È utile, prima di esaminare la decisione della Consulta, procedere ad una breve analisi del quadro storico-normativo in cui questa è maturata.
La legge n.108 del 1996 ha introdotto nellordinamento, riformando larticolo 644 cod. pen. e il secondo comma dellart. 1815 cod. civ., la nuova disciplina in materia di usura. Lintervento del legislatore è il frutto della necessità, sempre più avvertita nel tessuto sociale del Paese e tra gli operatori del diritto, di prevedere strumenti più incisivi per contrastare il fenomeno dellusura, capaci di rimuovere quegli elementi che ne hanno ostacolato unadeguata repressione.
Il novellato art. 644 cod. pen. dispone ora che, commette il delitto di usura chi si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità «interessi o altri vantaggi usurari». La legge, precisa espressamente le condizioni affinché un interesse possa definirsi usurario, stabilendo che deve essere considerato tale linteresse superiore al tasso effettivo globale medio risultante dallultima rilevazione effettuata trimestralmente dal Ministro del tesoro e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, relativamente a categorie omogenee di operazioni in cui il credito è compreso, aumentato della metà. Risultano modificati, in tal modo, i precedenti fattori di individuazione del reato di usura ove si consideri che lesosità degli interessi è adesso specificatamente determinata, mentre lapprofittamento dello stato di bisogno rileva come circostanza aggravante del reato e non più come elemento costitutivo dello stesso.
Lambito di applicazione della legge n. 108 del 1996, per la peculiarità propria del fenomeno disciplinato, non poteva essere limitata esclusivamente agli aspetti penalistici e ha inciso, infatti, anche sotto il profilo civilistico, con la modifica del comma secondo dellart. 1815 cod. civ. Loriginario meccanismo della riduzione del tasso usuraio alla misura legale, è stato sostituito con la previsione secondo la quale leventuale convenzione pattizia di interessi usurari viene considerata nulla «e non sono dovuti interessi». Con tale previsione, il legislatore innalza sotto il profilo qualitativo la portata riformatrice della normativa ove si consideri che viene introdotta nellordinamento una deroga al principio della naturale produttività di interessi delle obbligazioni pecuniarie.
Immediatamente dopo lentrata in vigore della legge n. 108/96, si sono riscontrate interpretazioni antitetiche tra le associazioni dei consumatori e gli istituti di credito in ordine allimmediata applicazione della stessa a quei contratti di mutuo stipulati precedentemente allentrata in vigore della novella ma i cui piani di ammortamento non erano ancora giunti ad esaurimento.
I discordanti pronunciamenti resi in merito dai diversi Tribunali aditi hanno trovato il loro naturale momento di sintesi nellintervento della Corte di Cassazione, la quale, con la sentenza n. 14899/2000, ha stabilito che per individuare quando un determinato tasso di interesse diviene usurario rileva, in buona sostanza, il momento del concreto pagamento della somma a tale titolo dovuta e non quello della stipulazione del contratto. Pertanto, nel prendere in esame la nuova disciplina con riferimento ai contratti di mutuo stipulati prima dellentrata in vigore della legge n. 108/96, ha considerato questultima di «immediata applicazione nei correlativi rapporti, limitatamente alla regolazione degli effetti ancora in corso, quale, per lappunto, la dazione degli interessi». Per questi ultimi trovano attuazione, dunque, le nuove disposizioni, in quanto trattasi di prestazioni successive allentrata in vigore della legge.
Tale orientamento della Suprema Corte ha accentuato il disappunto tra gli operatori del credito, i quali avevano sin dallinizio evidenziato le lacune di una legge che, non prevedendo una norma di salvaguardia dei rapporti giuridici preesistenti, aveva creato un preoccupante clima di incertezza.
Allo scopo di evitare le possibili conseguenze negative che anche sul piano patrimoniale si andavano iniquamente profilando per gli istituti di credito, il legislatore è nuovamente intervenuto sulla materia con il decreto-legge n. 394 del 2000, successivamente convertito nella legge n. 24/2001, prevedendo che, ai fini dellapplicazione dellarticolo 644 del cod. pen. e dellarticolo 1815 del cod. civ., «si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento» (art. 1, comma primo); inoltre, per talune tipologie di mutuo a tasso fisso, divenuti eccessivamente onerosi, a danno dei mutuatari, a causa «delleccezionale caduta dei tassi dinteresse verificatasi in Europa e in Italia nel biennio 1998-1999», è stato previsto un tasso di sostituzione, più favorevole, applicabile ai ratei scaduti successivamente al 2 gennaio 2001 (art. 1, secondo comma).
La Consulta, chiamata a pronunciarsi sulla questione di legittimità costituzionale del primo comma dellart. 1 della legge n. 24/2001 (sollevata dai Tribunali di Benevento e Taranto ), ha ritenuto la stessa infondata. Nel motivare il suo provvedimento di rigetto la Corte si è sostanzialmente rifatta alla propria giurisprudenza, secondo la quale «non può ritenersi precluso al legislatore adottare norme che precisino il significato di precedenti disposizioni legislative, pur a prescindere dallesistenza di una situazione di incertezza nellapplicazione del diritto o di contrasti giurisprudenziali, a condizione che linterpretazione non collida con il generale principio di ragionevolezza» (cfr., le sentenze n. 525/00 e n. 229/99).
In particolare, per quanto concerne i tassi di interesse la Corte ha confermato la piena legittimità dellinterpretazione resa dal legislatore, secondo cui lusurarietà di questi si misura al momento della stipula del contratto e non al momento della dazione, dunque le sanzioni penali e civili di cui agli articoli 644 cod. pen.. e 1815 cod. civ., comma secondo, trovano applicazione per le sole pattuizioni che sin dallorigine erano da considerarsi usurarie, ritenendola uninterpretazione che si presenta chiara e lineare, perfettamente compatibile con la ratio della legge n. 108/1996, che è appunto quella di scoraggiare e sanzionare il fenomeno dellusura.
La Consulta ha invece ritenuto illegittima la legge n. 24/2001 nella parte in cui stabilisce che la sostituzione dei vecchi tassi usurari con i nuovi più bassi avrebbe avuto decorrenza dal 3 gennaio 2001. I nuovi tassi si sarebbero, infatti, dovuti applicare per i ratei scaduti al 31 dicembre 2000, data di entrata in vigore del decreto legge n. 394/2000. I giudici costituzionali hanno ritenuto irragionevole che, per i mutui stipulati prima dellentrata in vigore della legge antiusura del 1996, la norma prevedesse la sostituzione di un tasso più favorevole da applicarsi, però, due giorni dopo lentrata in vigore del decreto legge in questione. Il legislatore avrebbe in tal modo protratto una riscontrata situazione di ingiustizia per i mutuatari, rendendo la norma lesiva del generale canone di ragionevolezza di cui allarticolo 3 della Costituzione.
Nonostante le critiche che da più parti, soprattutto dalle associazioni dei consumatori, si sono mosse nei confronti del D.L. 394/00 prima, e della pronuncia della Consulta dopo, non può essere negato il valore di tali interventi in una materia che stava producendo effetti distorsivi nella certezza dei rapporti giuridici posti in essere dagli operatori del credito. Lintervento della Consulta ha così escluso ogni possibilità di interpretare in maniera retroattiva la legge antiusura del 1996, confermando un principio cardine del diritto sulla base del quale ogni parte contraente potrà fare affidamento su regole certe e sullosservanza degli accordi reciprocamente assunti.