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giugno 2002

Studî e commenti

FRANCESCO VITIELLO

Sulla validità dei patti parasociali contratti a tempo indeterminato Commento a Cass. 23 novembre 2001, n. 14865

 

          La Corte Suprema di Cassazione, con la sentenza 23 novembre 2001, n. 1486, affronta alcune interessanti questioni attinenti alla efficacia ed alla durata dei sindacati di voto (1). Infatti, da una parte, ribadisce il principio della efficacia inter partes dei sindacati di voto, dall’altra, interviene, discostandosi dalla precedente giurisprudenza di legittimità in materia, sulla vexata quaestio della validità di un sindacato di voto relativo alla nomina delle cariche sociali stipulato per tutta la durata della società.
In particolare, la Corte esprime i seguenti principi di diritto: in primo luogo, sostiene la piena validità, in via generale, dei sindacati di voto per il fatto che questi hanno esclusivamente efficacia obbligatoria; in secondo luogo, dichiara la validità dai sindacati di voto indipendentemente dalla loro durata.
Con la prima massima della sentenza in commento, la Corte di legittimità, come detto, riafferma il principio della efficacia meramente obbligatoria dei patti parasociali. A differenza delle clausole consacrate nell’atto costitutivo, che, vincolando tutti i soci presenti e futuri, hanno efficacia erga omnes, i contratti parasociali, infatti restano separati ed autonomi formalmente rispetto all’atto costitutivo, vincolano soltanto i soci che li hanno sottoscritti e non anche i soci futuri, a meno che questi ultimi non vi aderiscano espressamente.
     Tali accordi, di per sé, non possono essere opposti, pertanto, né a terzi né alla società (2).
È proprio della asserita efficacia meramente obbligatoria (3) che la Corte, con la sentenza de qua, fa discendere la validità, in via generale, dei sindacati di voto.
     L’efficacia meramente obbligatoria dei patti parasociali si pone, nell’ottica della Corte di Cassazione, quale presupposto fondamentale per affermare la validità dei patti stessi. Questi, infatti, sono contratti atipici meritevoli di tutela in quanto, operando, appunto, su un piano esterno rispetto a quello relativo alla organizzazione sociale, non contrastano con alcuna norma fondamentale di diritto societario e non pregiudicano, in particolare, in alcun caso, il diritto del socio di determinarsi liberamente in assemblea. A tal proposito, argomento fondamentale per giungere ad affermare la validità dei patti parasociali è il fatto che l’eventuale voto contrario agli accordi di sindacato non può incidere sulla validità della deliberazione espressa in sede assembleare (4). Il trasgressore della disposizione pattizia, infatti, potrà soltanto essere espulso dal sindacato e nei suoi confronti gli altri soci sindacati potranno esperire azione di risarcimento dei danni qualora sia dimostrabile un pregiudizio derivato dal suo comportamento (5).
     È la netta indifferenza tra “il parasociale” e “il sociale” a rappresentare, secondo la decisione della Suprema Corte che si commenta, la causa del riconoscimento della liceità dei sindacati di voto. Pertanto, data questa premessa (ritenuta necessaria per affermare la validità dei patti parasociali), è certo che non può ritenersi valido quel patto che “imponga” al socio sindacato di votare in assemblea secondo quanto stabilito a livello parasociale. In particolare, ed è questa la fattispecie presa in esame dalla Corte con la sentenza citata, devono ritenersi leciti i sindacati di voto aventi ad oggetto la nomina e la revoca degli amministratori della società in quanto questi non derogano alla imprescindibile competenza in materia dell’organo assembleare, prevista dalla norma di cui all’art. 2383 del codice civile.
     Pur condividendo il principio generale della liceità dei sindacati di voto così come riaffermato dalla sentenza in questione, appare quanto meno discutibile il procedimento logico cui si è servita la Suprema Corte per giungere a tale conclusione. Si dà, infatti, per principio assunto ciò che in realtà deve essere dimostrato: in altri termini, il presupposto per la validità dei sindacati di voto è, per la sentenza qui commentata, il principio della libera ed incondizionata formazione della volontà sociale in sede assembleare.
     In realtà, bisogna distinguere il piano dell’efficacia meramente obbligatoria dei sindacati di voto e quello del corretto funzionamento dell’assemblea: a mio avviso, dare efficacia al valido impegno assunto dal socio di esprimere il voto in un determinato modo, non significa affatto svuotare l’assemblea delle proprie funzioni, né questa può ritenersi inficiata se si arriva alla medesima con una decisione già preconfezionata. Il funzionamento dell’assemblea rimane salvo anche se si fa ricorso a mezzi che preventivamente stabiliscano il modo di votare. L’assemblea non è un mero “simulacro” ad esempio, né nell’ipotesi di socio unico di società di capitali (in cui si ritiene unanimemente che l’assemblea debba tenersi con tutti i crismi del metodo collegiale), né nell’ipotesi di voto per corrispondenza in una società quotata espresso dal socio di maggioranza (in cui evidentemente al momento della costituzione dell’assemblea il voto della maggioranza è stato già espresso, appunto per corrispondenza).
     Non è certo la questione della validità generalizzata dei patti parasociali che, in queste brevi note, si vuol mettere, in qualche modo, in discussione. Ciò che non si condivide è, invece, il modus procedendi della Suprema Corte. Non si può, infatti, sostenere che il presupposto ontologico della validità dei sindacati di voto sia da individuare nel principio di libera formazione del voto in assemblea che, come tale, non ha alcun fondamento normativo; il socio, in assemblea, può disporre del voto come vuole e se lo vuole: può votare, non votare, votare a caso, disinteressarsi del tutto agli affari della società, vincolarsi preventivamente all’esercizio del voto. Unico limite espresso alla libertà di esercizio del diritto di voto dell’azionista è costituito dalla disciplina del conflitto di interessi, secondo la quale il socio portatore di un interesse personale potenzialmente contrastante con l’interesse della società ha, secondo la migliore dottrina (6), l’alternativa fra il non votare ed il votare in modo da non recare un danno alla società, esponendosi in caso contrario all’annullamento della delibera.
     Con la seconda massima della sentenza in esame, la Corte di Cassazione analizza la questione, assai dibattuta in dottrina come in giurisprudenza, della ammissibilità o meno di un sindacato di voto con durata coincidente con quella della società. Tale problematica, a cui va equiparata quella più generale dell’ammissibilità dei sindacati a tempo indeterminato (7), merita di essere rivalutata alla luce del riesame compiuto, con la sentenza de qua, dalla giurisprudenza di legittimità.
     Con la decisione in commento, la Corte di Cassazione afferma, per la prima volta, la validità dei sindacati di voto anche se stipulati a tempo indeterminato ovvero per l’intera durata della società. La Corte Suprema, in particolare, discostandosi dal precedente di legittimità del 1995 (8) e confermando un sentenza della corte di Appello di Milano del 1998 (9), dichiara, in altri termini, la piena legittimità dei sindacati indipendentemente dalla loro durata.
     Con la fondamentale decisione del 20 settembre 1995 n. 9975, la Suprema Corte affermò, da un lato, la validità in via di principio, dei sindacati di voto, dall’altro la loro nullità per mancata determinazione della durata del contratto. Con tale sentenza, la Corte di Cassazione, in particolare, aveva considerato valida ed efficacia, se di durata prefissata, la convenzione tra alcuni soci aventi ad oggetto la designazione dei componenti del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale, mentre aveva dichiarato nulla la pattuizione attinente alla nomina di cariche sociali senza alcuna indicazione del termine di scadenza.
     La Corte di Cassazione nel 1995, quindi, aveva affermato la nullità ex art. 1322 codice civile di patti privi di un termine di scadenza in quanto contrastanti con il principio generale, secondo cui è vietato assumere obbligazioni di durata indefinita; l’indeterminatezza della durata, o una durata non ragionevolmente contenuta, di una convenzione di voto, secondo tale sentenza, determinava inevitabilmente la caduta del patto nell’area di sfavore che circonda le obbligazioni destinate a durare indefinitivamente nel tempo. La Corte, allora, ritenne che essendo inammissibile nel nostro ordinamento giuridico, un vincolo obbligatorio perpetuo, la risposta dovesse essere quella della assoluta nullità dello stesso. Il ricorso al recesso ad nutum, poi, secondo la sentenza del 1995, non era ammissibile in quanto contrastante con la volontà delle parti di soggiacere ad un vincolo giuridico stabile nel tempo.
     Nel 1998, la Corte, di appello di Milano, aveva criticato la decisione della Cassazione, dichiarandosi favorevole alla tesi, secondo la quale, in caso di sindacati di voto privi del termine di scadenza doveva trovare spazio il principio generale della recedibilità ad nutum. Secondo la Corte milanese, pertanto, la sanzione della nullità deve considerarsi del tutto eccezionale per le ipotesi relative a contratti stipulati a tempo indeterminato: se l’accordo è a tempo indeterminato (o a tempo eccessivamente lungo) non vi è altra soluzione all’infuori del principio generale del recesso ad nutum.
      Ora, con la sentenza in esame, la Corte suprema di Cassazione, perviene ad una soluzione opposta a quella della decisione del 1995, confermando, come detto, l’orientamento della Corte di Appello di Milano ed affermando la «irrilevanza della dimensione temporale della clausola ai fini della sua validità».
     Così, riconoscendo la piena validità anche di un sindacato di voto a tempo indeterminato, la sentenza in commento giudica la sanzione della nullità applicata al patto parasociale “eccessiva ed eccentrica”, ritenendo applicabile al patto parasociale a tempo indeterminato (o stipulato per tutta la durata della società) il «principio generale della risolubilità ad nutun di un contratto atipico a tempo indeterminato quale è un patto parasociale-convenzione di voto».
     È il ricorso allo strumento del recesso ad nutum, secondo la sentenza in esame, ad assicurare la temporaneità del vincolo negoziale e la conformazione del contratto alla buona fede, che si impone in fase esecutiva in virtù della norma di cui all’art. 1375 del codice civile. Il recesso ad nutum, con preavviso o senza preavviso, a seconda se sussista o meno una giusta causa, diviene principio generale «estensibile ai patti gravanti nell’area del fenomeno societario». Tale principio, del resto, rileva da una serie di ipotesi legislativamente disciplinate; il recesso unilaterale ad nutum, infatti, è previsto dal codice civile in alcuni casi di contratti a tempo indeterminato. A titolo esemplificativo, tale regola si manifesta nel codice civile in tema di somministrazione a tempo indeterminato (art. 1569), in tema di locazione a tempo indeterminato (art. 1596), in tema di affitto (artt. 1616, 1627, 1630), in tema di appalto (artt. 1660, 1671, 1674), in tema di mandato (artt. 1722, 1723, 1724), in tema di contratto di lavoro a tempo indeterminato (art. 2118) e così via.
     Come sostiene autorevole dottrina (10), per i contratti tipici a tempo indeterminato la regola generale è data dal recesso unilaterale; pertanto, da tale disciplina può desumersi un principio generale del sistema, secondo il quale pure per i contratti a tempo indeterminato, per i quali non vi è un’espressa disciplina legislativa, le parti sono libere di recedere unilateralmente, anche in mancanza di un’espressa pattuizione al riguardo, con preavviso o senza preavviso.
     Altra ipotesi espressamente prevista di recesso si ha in tema di associazioni; l’art. 24 del codice civile, infatti, al secondo comma, sancisce la regola secondo cui l’associato, «se non ha assunto l’obbligo di farne parte per un tempo determinato» può sempre recedere dall’associazione. Quella descritta da tale norma è, come l’ha definita la Corte Costituzionale con la sentenza n. 62 del 1969, la così detta libertà negativa di associazione, secondo la quale, tra l’altro, il limite temporale posto da tale norma può riguardare solo il recesso ad nutum e non anche quello per giusta causa.
     Se, poi, si analizza più da vicino il diritto societario, il principio della recedibilità si impone con ancor più rilevanza: l’art. 2285 del codice civile, in tema di società di persone, infatti, prevede il recesso quale una delle cause di scioglimento del singolo rapporto sociale. In particolare, nell’ipotesi di società a tempo indeterminato o contratta per tutta la vita in uno dei soci, ogni socio può recedere liberamente, anche se il recesso va comunicato a tutti gli altri soci con un preavviso di almeno tre mesi, divenendo produttivo di effetti giuridici al decorso di tale termine.
     La stessa Corte Suprema di Cassazione è intervenuta, sia pure in altri contesti rispetto a quello dei sindacati di voto, più volte sulla questione, circa la possibilità, in mancanza di una specifica previsione di legge o pattizia, di recedere da un contratto a tempo indeterminato a causa della necessaria temporaneità dei vincoli obbligatori. A titolo meramente esemplificativo, si ricordano le pronunce n. 6354 del 28 novembre 1981 e n. 6427 del 1° luglio 1998. Secondo la prima decisione, l’esistenza di un termine finale preclude la possibilità del recesso unilaterale, pur se quest’ultimo è previsto quale regola generale per i contratti senza alcuna determinazione di tempo. Più di recente, la giurisprudenza di legittimità, con la seconda sentenza ricordata, ha affermato il principio secondo cui «il recesso unilaterale rappresenta una causa estintiva ordinaria di qualsiasi rapporto di durata a tempo indeterminato, rispondendo all’esigenza di evitare la perpetuità del vincolo obbligatorio, la quale è in sintonia con il principio di buona fede nell’esecuzione del contratto».
     Ebbene, con la sentenza in commento, coerentemente, la Corte di Cassazione esprime il seguente principio di diritto: se l’accordo è stipulato a tempo indeterminato (e il sindacato di voto è un accordo atipico come gli altri), ciascuna parte ha il diritto di recedere liberamente, salvo un congruo preavviso, dall’accordo medesimo.
      La sanzione della nullità rappresenta, infatti, una sanzione eccezionale alle ipotesi di contrattazione a tempo indeterminato. Tale sanzione è, ad esempio, richiamata dal legislatore negli artt. 1379 e 2125 del codice civile: nella prima ipotesi, il legislatore ha optato per la nullità in quanto la norma riguarda un’obbligazione insuscettibile di adempimento continuato o periodico (è la fattispecie del divieto di alienare che deve essere contenuto entro “convenienti limiti di tempo” e rispondere ad “un apprezzabile interesse di una delle parti”); nella seconda ipotesi la nullità si spiega con le norme parallele in tema di cessione d’azienda e di concorrenza in generale (è il patto di non concorrenza con l’ex dipendente che deve essere limitato nel tempo).
     La sentenza in esame, poi, analizza la problematica che si pone quando il patto di sindacato di voto contenga anche una clausola espressa che preveda limitazioni alla libera trasferibilità delle partecipazioni sindacate (c.d. sindacato di blocco). In caso di “stretta connessione” tra il vincolo relativo all’esercizio del voto e il vincolo gravante sulla trasferibilità delle azioni a terzi, la Cassazione, con la sentenza commentata, afferma il principio secondo il quale l’eventuale invalidità di quest’ultimo, in quanto contrastante con l’art. 1379 del codice civile non comporta necessariamente l’invalidità dell’intero patto contratto a tempo indeterminato, ma soltanto la nullità della clausola limitativa del potere di disposizione delle azioni sindacate.
     Circa il tema centrale della validità dei sindacati di voto a tempo indeterminato, è necessario, infine, soffermarsi, sia pur brevemente, sui recenti provvedimenti legislativi in tema di società quotate e di delega per la riforma delle società non quotate.
     Il legislatore nel 1998, con il Testo Unico delle disposizioni in materia intermediazione finanziaria (Decreto Legislativo 24 febbraio 1998 n. 58, c.d. Decreto Draghi o TUF), oltre a richiedere specifici adempimenti informativi e di pubblicità, ha anche dettato una disciplina per quanto riguarda la durata dei sindacati di voto nelle società quotate (11). Il secondo comma dell’art. 123 del medesimo decreto legislativo, infatti, prevede, per le società quotate in mercati regolamentati e per le società controllanti le società quotate, la ammissibilità di patti parasociali, tra cui rilevano i sindacati di voto, a tempo indeterminato; in tal caso, come afferma testualmente la norma, ciascun contraente ha il diritto di recedere con un preavviso di sei mesi (12). Nel caso di patto stipulato a tempo determinato, come stabilità dal primo comma dell’art. 123, i patti non possono avere durata superiore a tre anni (13), ma sono rinnovabili (anche tacitamente) alla scadenza; se è previsto un termine maggiore, il patto si intende stipulato sempre per tre anni.
     Il secondo comma dell’art. 123 del TUF riconosce, pertanto, la validità dei patti parasociali senza indicazione del termine di scadenza attribuendo correlativamente a ciascuno dei soci aderenti al patto il diritto di recesso, la cui efficacia è soggetta agli stessi oneri pubblicitari cui è sottoposto il medesimo patto di sindacato. Non sarebbe valida, quindi, l’eventuale pattuizione con cui i soci contraenti rinunciassero al diritto di recesso, nonostante la stipulazione del patto di sindacati senza prefissione di un termine.
     Pertanto, prima ancora che la Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, si esprimesse a favore dei patti senza alcuna indicazione del termine di scadenza, il TUF già ne riconosceva la validità, attribuendo a ciascuno dei soci aderenti il relativo diritto di recesso.
     In sede di riforma del diritto societario, l’articolo 4, comma 7, lett. C ), legge 3 ottobre 2001 n. 366, ha previsto che i sindacati di voto delle società per azioni e loro controllate, quindi anche società di tipo diverso da s.p.a. (ma non anche delle società a responsabilità limitata, alle società cooperative e alle società di persone che non siano controllanti di società per azioni o di società quotate) debbano avere una durata massima di cinque anni .
     Nei progetti di legge che hanno preceduto la legge delega (progetto Mirone, disegni di legge Castelli e Fassino) non si stabiliva una precisa durata dei patti parasociali, ma si demandava al legislatore delegato il compito di individuare il limite massimo di durata degli stessi.
     Ebbene, l’aver determinato tale limite massimo appare assai criticabile. La scelta di determinare il termine in cinque anni è, innanzitutto, arbitraria e non razionale, in quanto sarebbe stato più opportuno pensare ad un termine basato sulla normale durata dei mandati gestori: tre anni, come disposto dal TUF per le società quotate, o sei anni se si fosse ritenuto congruo ampliare il termine per le società non quotate. Tale scelta, in secondo luogo, è di eccessiva rigidità in quanto sembra non consentire al legislatore delegato di articolare la durata del patto a seconda del contenuto, degli effetti e degli obiettivi del patto stesso. Ad esempio, nell’ipotesi di patti che introducono vincoli parasociali in accordi di risanamento di società in crisi, sarebbe utile, per soddisfare questa finalità, inserire nel patto medesimo un termine più elevato di quello previsto normalmente per i patti con finalità di controllo dell’impresa sociale.
     La scelta operata nella legge delega, infine, è insufficiente in quanto, ed è ciò che più interessa ai fini della nostra analisi, non tiene in alcun modo conto della problematica dei patti parasociali a tempo indeterminato. È chiaro, comunque, che non si può certo pensare, specie alla luce della sentenza della Corte di Cassazione qui in commento e della disciplina prevista per le società quotate dal TUF, che i patti parasociali a tempo indeterminato non siano più ammissibili. Se, infatti questi ultimi sono previsti per le società che fanno istituzionalmente appello al pubblico risparmio, non può non concludersi nel senso della loro ammissibilità anche nelle società non quotate, nelle quali, rispetto a quelle quotate, evidentemente, minori sono le esigenze di limitazione della durata complessiva dei rapporti parasociali.
     È presumibile, pertanto, che il legislatore delegato non si discosterà da quanto stabilito dal TUF per i patti nelle società quotate (o loro controllanti) circa la liceità dei patti senza termine di durata, con la precisazione che ogni partecipante al patto avrà il diritto di recedere liberamente con preavviso di almeno sei mesi o comunque con un diverso preavviso che si riterrà opportuno indicare.
     Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione giunge, conformandosi alla posizione più moderna della dottrina (14), ad ammettere la piena ed incondizionata validità dei sindacati di voto, anche se stipulati a tempo indeterminato.
     Il lungo percorso seguito dalla Suprema Corte ha portato la stessa a contrastare quanto, in un primo tempo sostenuto. Infatti, dapprima, la Corte escluse in assoluto la validità dei sindacati di voto, poi incominciò a dichiararne, via via, sempre di più, l’ammissibilità, con una serie, però, di limitazioni e di distinguo (15); infine, con la “storica” pronuncia in esame, ha aperto definitivamente la porta ai patti tout court.
     La Corte di legittimità ha compiuto, quindi, un’evoluzione che l’ha portata a sostenere la piena legittimità dei sindacati di voto, ritenendo invalidi solo quelli nei quali l’oggetto contrasti con specifiche norme inderogabili. Ad esempio, rileva il caso deciso dalla Cass. 27 luglio 1994, n. 7030 (16), in cui si era sancita l’invalidità di un patto parasociale nel quale i contraenti si impegnavano a non deliberare l’azione di responsabilità contro gli amministratori.
     Nel confronto tra la presunta nullità dei contratti parasociali a tempo indefinito, affermata dalla Cassazione del 1995, e la presunta attribuzione di un diritto di recesso, sancito dalla Corte Suprema nel 2001, ci pare preferibile optare per la seconda. La soluzione adottata dalla Cassazione, con la sentenza in commento, sembra, infatti, non soltanto adeguarsi alla prassi che, specie per le società con grandi dimensioni, fa grande uso dei sindacati di voto, anche a tempo indeterminato, ma, ed è certamente l’aspetto più significativo, sembra essere più coerente con i principi generali del nostro ordinamento giuridico.
     Come detto, da numerose ed incisive norme che prevedono i diritto di recesso può enuclearsi un principio generale di recedibilità dai contratti a tempo determinato. Del resto, sciogliere il vincolo obbligatorio sine die attraverso tale diritto si ispira al principio fondamentale della conservazione dei negozi giuridici che, sancito dall’articolo 1367 del codice civile, ha una portata generale e che, come tale, non può soffrire, nei limiti consentiti dalla legge, di alcuna eccezione di sorta.

 

Note

     (1) I sindacati di voto, accordi sulle modalità del diritto di voto, vanno distinti dalla vendita del voto, che può ovviamente aversi anche al di fuori di un sindacato. Sul punto Jaeger, nota a Cass. 22 Ottobre 1996 n. 9191, in Giur. Comm. 1997, II, 237, Ammissibilità e limiti dell’accordo di cessione del voto in cambio di corrispettivo. In generale, sull’argomento dei sindacati azionari vedi: Oppo, Contratti parasociali, 1942; Campobasso, Diritto Commerciale vol. 2, Torino, 2002, 352 ss.; Di Sabato, Manuale delle società, Torino, 1995, 458 SS., Cottino, Le convenzioni di voto nelle società commerciali, Milano, 1958; Farenga, I contratti parasociali, Milano, 1987; Galgano, Le società per azioni, in Trattato di diritto commerciale e diritto pubblico dell’economia, Padova, 1988; Bonelli-Jaeger, Sindacati di voto e sindacati di blocco, Milano, 1993; Rescio, I sindacati di voto, in Trattato delle società per azioni, Torino, 1994; Santoni, Patti parasociali, Napoli, 1985; Ferrara jr.- Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, 2001.

     (2) Cfr. Cass. 21 novembre 2001, n. 14629, in Le società, 2002, 179 secondo cui: «in tema di società per azioni, il patto cosiddetto parasociale con il quale alcuni soci coordinino tra loro condizioni e modalità di sottoscrizione di un aumento del capitale sociale vincola, per definizione, esclusivamente i soci contraenti, e non anche la società che è, rispetto al patto stesso, terza».

     (3) Sono definiti sindacati c.d. ad efficacia reale quelli che prevedono l’intestazione di tutte le azioni sindacate, o comunque il rilascio di un mandato irrevocabile, ad un terzo. In argomento, vedi: A. Nuzzo, Il vincolo di voto nelle società per azioni. In Riv. Soc., 1991, 478.

     (4) La presenza di un sindacato di voto, secondo la più autorevole dottrina (per tutti Campobasso, in op. cit.), può comunque incidere sulla validità delle deliberazioni assembleari; quando, infatti, uno o più soci sindacati versino in una situazione di conflitto di interessi con la società, il conflitto stesso si estende anche agli altri partecipanti al sindacato poiché questi sono da considerarsi portatori “per conto altrui” di un interesse in conflitto con quello sociale; così nella prova di resistenza, condizione necessaria per l’applicazione della situazione disciplinata dall’articolo 2373 del codice civile, dovranno tenersi in considerazione tutti i voti sindacati.

     (5) Proprio in quanto il patto di sindacato, nei rapporti interni agli azionisti sindacati, non produce effetto nei confronti della società, non è pensabile né una richiesta di esecuzione coattiva in forma specifica nei confronti dell’aderente recalcitrante, né, in caso di voto difforme da come stabiliva il sindacato, una impugnazione della delibera assembleare in cui il suo voto fosse stato determinante di una maggioranza diversa.

     (6) Per tutti, Campobasso in op. cit.

     (7) I contratti parasociali, ove non abbiano una durata determinata si “sciolgono” alla scadenza del contratto di società. Tale risultato si raggiunge in virtù dell’istituto del collegamento negoziale (Santoni, Farenga, Oppo). È, infatti presumibile che le parti, nei casi in cui non abbiano determinato la durata del patto, lo intendono coesteso alla loro partecipazione alla società; tale interpretazione ha, evidentemente, natura residuale in quanto l’efficacia del collegamento negoziale soccombe laddove il negozio parasociale, in quanto negozio autonomo, presenti degli elementi di determinazione temporale che siano di per sé sufficienti (ad esempio, se il patto è finalizzato ad una determinata operazione o fase sociale, il termine potrà essere, in via interpretativa, desunto in relazione al completamento di esse).

     (8) La decisione della Cassazione 20 settembre 1995, n.9975 ( che risulta pubblicata, tra l’altro, in Corriere giuridico, 1996, 193) è del seguente tenore: «In una società per azioni, la convenzione tra alcuni soci avente ad oggetto la designazione dei componenti del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale, valida ed efficace se di durata prefissata, è nulla per conflitto con il principio generale della invalidità delle obbligazioni di durata indefinita se non contiene una data di scadenza».

     (9) Sentenza del App. Milano 24 luglio 1988 risulta pubblicata in Giur. it., 1988, 2336.

     (10) Cfr. De Nova, in Sacco - De Nova, Il contratto, II, Torino, 1996, 697. Nello stesso senso, tra gli altri, Bianca, Diritto civile vol. 3, Milano, 1987, 705.

     (11) La disciplina prevista dal TUF per i sindacati di voto si applica anche ai sindacati di preventiva consultazione, ai sindacati c.d. di blocco e a tutti quelli elencati dall’art. 122, 5° comma del TUF.

     (12) L’articolo 123, 3° comma del TUF prevede, inoltre, un particolare motivo di recesso senza preavviso quando l’azionista intenda aderire ad una offerta pubblica obbligatoria di acquisto o di scambio, tale dichiarazione di recesso ha una efficacia condizionata ex lege al perfezionamento del trasferimento delle azioni; così, se l’OPA non va a buon fine, la dichiarazione di recesso è tamquam non esset.

     (13) È stata la prima volta che, su un piano generale, il Legislatore ha previsto un termine di durata ai patti parasociali. Precedentemente diverse erano state le proposte di legge volte ad introdurre un limite di durata alla validità delle convenzioni di voto. In particolare, fu proposto il limite di due anni nel progetto d’Amelio (1925); di cinque anni nel progetto Asquini (1940) e nel progetto elaborato dalla C.I.S.G. (1959); tre anni, infine, nel progetto De Gregorio (1966).

     (14) L’opinione che, in via di principio, ritiene consentiti anche i sindacati a maggioranza ed a tempo indeterminato è, fra gli altri, quella di Ferri, Graziani, Di Sabato, Farenga, Jaeger, Libonati, Santoni, Rescio e Campobasso.
Contestano, fra gli altri, invece, la validità dei sindacati a maggioranza nonché di quelli a tempo indeterminato: Ascarelli, Buonocore, Salanitro e Nuzzo. Cottino è per l’invalidità anche dei sindacati di voto all’unanimità.

     (15) La Corte di Cassazione ha ammesso, per la prima volta, la validità dei sindacati azionari purché deliberanti all’unanimità con sentenza 31 luglio 1949, n. 2079 in foro Italiano, 1949, I, 920.
     La Cassazione sez. un. 24 luglio 1962 n. 2080, in Giustizia civile, 1963, I, 61 ha così deciso: «La validità dei sindacati di voto è esclusa quando, attraverso il patto stesso, o l’assemblea della società risulta prevalentemente svuotata di funzioni e di contenuto, o quando venga ad essere soppressa la libertà del voto con la possibilità della formazione di maggioranze assembleari fittizie, o quando il voto risulta vincolato ad interessi con la società stessa».

     (16) Sentenza pubblicata in Giurisprudenza commerciale, 1997, II, 99.

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