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Studî e commenti |
FABRIZIO LEMME
La perdurante tutela penale del diritto dautore per opere di autori viventi
Commento a Corte Cost. 10 maggio 2002, n. 173
1. Nella formazione del Testo Unico dei Beni Culturali ed Ambientali, approvato con D.Lgs. 29 ottobre 1999 n. 490, il legislatore delegato ha seguito, fra laltro, la tecnica di premettere allintero primo Titolo (quello relativo ai Beni Culturali: artt. 1-137) una norma definitoria (art. 2), ove è specificato quali siano «i beni culturali disciplinati a norma di questo titolo». La norma si conclude con un VI comma, che recita: «Non sono soggette alla disciplina di questo Titolo... le opere di autori viventi o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni».
Il Testo Unico include anche le norme penali previste dalla c.d. Legge Pieraccini (1062 del 1971), le cui disposizioni incriminatrici (artt. 3 e 4) sono raggruppate nelle varie lettere dellart. 127/1. E, in quanto tale norma fa parte del primo Titolo del T.U., la disposizione definitoria si estende anche ad essa, escludendo dalla sua area di applicabilità le opere di autori viventi o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni. La Legge Pieraccini risulterebbe, pertanto, completamente stravolta. Essa, infatti, estendeva la sua tutela anche ai beni culturali appartenenti allattualità, la cui contraffazione risulta più agevole perché, come è noto, lessenza del prodotto artistico attuale è più nellinvenzione che nella ricerca qualitativa: un taglio sulla tela (il famoso concetto spaziale di Lucio Fontana) può essere contraffatto in maniera servile molto più di una composizione barocca, popolata di figure. Daltra parte, è noto che il Senatore Pieraccini propose la sua legge proprio ad istanza di numerosi artisti viventi, che lamentavano lelevato numero di contraffazioni del loro prodotto artistico, sempre più presenti sul mercato. E tale stravolgimento della Legge Pieraccini si pone in contrasto con la legge delega (8 ottobre 1997 n. 352), che consentiva al legislatore delegato esclusivamente le modificazioni per il coordinamento formale e sostanziale delle norme raccolte in Testo Unico, escluso ogni loro mutamento strutturale.
Di qui il dubbio di legittimità costituzionale sollevato dal Giudice a quo e risolto dal Giudice delle leggi con una sentenza interpretativa di rigetto (Corte Cost., 10 maggio 2002, n. 173). In essa si afferma che il legislatore delegato ha solo peccato sul piano del coordinamento formale ma la Legge Pieraccini mantiene intatta la sua portata repressiva, perché questo si evince dalla voluntas legis, fatta palese non solo dalla ripetuta manifestazione di rispetto verso i limiti della delega, ma anche dal mantenimento (art. 166/1 T.U.) degli artt. 8 e 9 della Legge Pieraccini.
La seconda norma, in particolare, prevedendo nellart. 9/2 che «nei casi di opere darte moderna e contemporanea il Giudice è tenuto ad assumere come testimone lautore a cui lopera darte sia attribuita, o di cui lopera stessa rechi la firma», ha un senso solo ove la portata repressiva dellart. 127 si ritenga estesa anche allarte vivente.2. Nel commentare la sentenza del Giudice delle leggi, si deve, innanzitutto, chiarire, sul piano concettuale, quale sia la portata, sul precetto penale (anzi, sui precetti penali), della norma definitoria recata nellart. 2 T.U..
A nostro avviso, tale disposizione non può intendersi come una norma esegetica in tema di punibilità, bensì come contributo essenziale alla determinazione delloggetto materiale del reato (anzi, dei reati).
La disposizione, infatti, incide nella definizione delloggetto materiale, riducendone drasticamente larea o lambito: molto di più, dunque, di un limite esegetico, che sia circoscritto a chiarire la portata di un precetto autosufficiente, ad evitare discussioni in sede interpretativa.
Concorrendo a determinare loggetto materiale, la norma concorre a formare il tipo descrittivo del fatto punibile ed assume, pertanto, una funzione essenziale, anche garantista, nella ricostruzione della fattispecie.
Può, allora, affermarsi che quando come certamente nella specie vi sia un manifesto conflitto fra tipo descrittivo e volontà del Legislatore, questa debba prevalere, restringendo od ampliando larea della punibilità? Si noti: in questo caso, linterpretazione correttiva amplia, non restringe, larea del fatto punibile e quindi non può certamente ritenersi ispirata a favor rei.
Sotto questo profilo, la sentenza annotata desta veramente le più ampie perplessità.3. Sono ormai decenni che un maestro del diritto come Nicola Coviello (Manuale di Diritto Civile Italiano, Milano, S.E.I., IV ed., 1929, pp. 64-66) affermava, con pagine tuttora insuperate: «Dire recisamente che lo spirito della legge si identifichi con la volontà del Legislatore, non è conforme alla realtà delle cose, specie avuto riguardo alla formazione della legge negli Stati odierni». La legge è «effetto della volontà di più persone» che, quandanche siano daccordo nel risultato finale, «spesso non hanno la piena e chiara coscienza di quel che vogliono». In sintesi, lo spirito della legge non è altro che la volontà del Legislatore, solo in «quanto si desume dalla legge obiettivamente considerata».
Quindi, quando dalla norma incriminatrice risulti un tipo descrittivo limitato nelloggetto materiale, è contrario ad ogni logica interpretativa far prevalere la voluntas legis, contro le sue risultanze obiettive. Specie ove si consideri la essenziale funzione garantista cui il tipo descrittivo è preposto nellambito della cornice costituzionale del diritto punitivo: in altri termini, secondo princìpi di civiltà giuridica con i quali, del tutto acriticamente, la sentenza annotata finisce per porsi in contrasto.
Se un Giudice potesse impunemente ampliare la portata oggettiva di una norma incriminatrice, includendo nellarea della punibilità fatti che dalla stessa fossero esclusi, che fine farebbe il principio di riserva assoluta di legge, così rigorosamente proclamato dallart. 25/2 Cost.?
Questo potere di allargare unincriminazione non è riconosciuto né riconoscibile in favore della giurisdizione. Ma nemmeno a quella del Giudice delle leggi, che taccia di errore interpretativo la pronunzia con la quale il Giudice a quo si è rifiutato di riconoscere alla legge formale una diversa valenza obiettiva, rispetto a quanto risultava dal suo dettato.
In sostanza, la Corte Costituzionale rimprovera al Giudice Ordinario proprio quello che va massimamente esaltato nella sua opera: lossequio formale al dettato normativo e la ricostruzione di questo dal senso delle parole, più che in quello espresso da una voluntas legis suscettibile di manipolazioni e, comunque, di opinabilità.
Né può valere a rendere legittima questa interpretazione il disposto dellart. 9 della Legge Pieraccini, mantenuto in vita nonostante labrogazione delle altre norme di questa, rifluite nel T.U..
Infatti, da un lato, lart. 9 ha una pluralità di disposizioni: in particolare, oltre quella prima riportata, vi è anche il primo comma, che detta dei precetti processuali in tema di perizia. È, pertanto, lecito il dubbio se il richiamo allart. 9 sia nella sua integralità, o limitatamente alle disposizioni compatibili. Dallaltro lato, non è lecito inferire, da una disposizione meramente processuale, criteri interpretativi su una disposizione sostanziale.4. In conclusione, si esprime il più fermo dissenso sulla sentenza interpretativa di rigetto della Corte Costituzionale.
Essa costituisce «precedente autorevole al quale, in mancanza di validi motivi, i Giudici sono tenuti ad uniformarsi, in mancanza di validi motivi contrari, rispetto ai quali sussiste lobbligo di fornire adeguata spiegazione» (Cass. SS.UU., 16.12.1998, n. 25, Cass. Pen., 1999, 1405).
Ma, nella specie, i validi motivi contrari esistono in abbondanza e ci auguriamo che altri Giudici, esprimendo il loro dissenso, contribuiscano alla formazione di un diritto vivente di segno contrario, imponendo al Giudice delle leggi una diversa e più corretta interpretazione.