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giugno 2002

Studî e commenti

GIOVANNI CABRAS

Domande tardive e revocazione dei crediti
nel disegno di legge per le modifiche urgenti alla legge fallimentare*

 

     1.
     Tra le innovazioni contenute nel disegno di legge (presentato al
Senato il 14 marzo 2002, n. S-1243) ci sono quelle relative alle domande tardive dei crediti ed alla loro revocazione, ossia gli artt. 29 e 30, volti a modificare altrettanti articoli della legge fallimentare e, precisamente, gli artt. 101 e 102.
     Le modificazioni alla disciplina vigente appaiono minime, quasi inesistenti; ad una prima lettura delle nuove disposizione sembra che si intenda semplicemente adeguare il testo della legge fallimentare alle prescrizioni della Corte Costituzionale (in particolare, per quanto riguarda la decorrenza dei termini processuali dalla comunicazione degli atti) ed al principio del “giusto processo”, fissato dal nuovo art. 111 Cost. In questo senso si è espressa per l'intero disegno di legge la Relazione che lo accompagna, giustificando così, sia l’urgenza della novella, sia la concomitanza con lo studio affidato ad una Commissione di esperti per proporre una riforma della legge fallimentare.
     In realtà, come avviene anche in altre parti del disegno di legge, nelle norme in esame si nascondono innovazioni, che non costituiscono – a dispetto del titolo del disegno di legge – “modifiche urgenti” alla legge fallimentare; d’altro canto, lo stesso Parlamento sembra non aver dato molto credito a quel titolo, tanto è vero che il Senato, pur essendo stato assegnato il disegno di legge immediatamente alla Commissione Giustizia, a distanza di circa 3 mesi non ne ha ancora iniziato l’esame.
     Ritengo che le “urgenze” delle procedure concorsuali siano tante e ben altre da quelle considerate nella proposta governativa; dobbiamo allora chiederci se il disegno di legge assecondi ovvero ostacoli la radicale riforma, ormai indifferibile, della materia. Non voglio, però, trarre anticipatamente le conclusioni, anche perché il giudizio potrà essere espresso più ponderatamente sulla base dell’esame dell’intero disegno di legge e non già di soli due articoli. Intendo esporre soltanto alcune considerazioni, lasciando ad un dibattito più ampio il compito di valutare meglio la questione.

     2.
     Il primo comma dell’art. 101, nella versione contenuta nel disegno di legge, è identico al testo attualmente in vigore nella legge fallimentare; tuttavia, la nozione di domanda tardiva non è la stessa.
     Nella vigente legge fallimentare le domande di ammissione al passivo si distinguono in domande tempestive e domande tardive a seconda che siano presentate fino alla conclusione dell’udienza di verifica ovvero successivamente. Infatti, l’attuale art. 96, 1° comma, seconda frase, legge fall. prevede espressamente che nella verifica dei crediti siano esaminate tutte le domande pervenute nell’adunanza dei creditori; tale disposizione, invece, è soppressa nella nuova versione proposta dall’art. 24 del disegno di legge. Inoltre, il nuovo testo dell’art. 16, n. 4 (previsto dall’art. 6 del disegno di legge) stabilisce che nella sentenza dichiarativa di fallimento sia fissato il termine – non superiore a 7 giorni prima dell’adunanza dei creditori – per la presentazione delle domande dei creditori; e la nuova versione dell’art. 92 (prevista dall’art. 21 del disegno di legge) precisa altresì che le domande non pervenute entro detto termine saranno considerate tardive.
     In definitiva, il disegno di legge prefigura una nozione di domanda tardiva comprendente sia le domande successive al decreto di esecutività dello stato passivo, sia le domande anteriori, qualora presentate dopo la scadenza del termine a ritroso (non superiore a 7 giorni prima dell’adunanza) fissato nella sentenza dichiarativa. La norma proposta intende così risolvere il problema delle domande di ammissione al passivo presentate dai creditori fino alla udienza di verifica, al fine di facilitare – sembra di capire – la verifica dei crediti in tale udienza. Infatti, nella Relazione si precisa che si è voluto evitare «che la presentazione di domande all’ultimo minuto, persino nel corso dell’adunanza per l’esame dello stato passivo, possa costringere ad uno o più rinvii dell’adunanza medesima, allungando i tempi della procedura».

     3.
     Secondo il disegno di legge le domande non pervenute entro il termine prima dell’adunanza dei creditori saranno considerate tardive (nuova versione dell’art. 92 legge fall., prevista dall’art. 21 del disegno di legge). Tale dizione sembra da intendersi nel senso che, trascorso detto termine, sono ammissibili soltanto domande tardive, con l’applicazione della relativa disciplina, costringendo i creditori ad affrontare i maggiori costi di una domanda “tardiva”: basti pensare all’obbligo di ricorrere all’assistenza di un difensore, che non è necessaria per l’accertamento tempestivo, oltre al rischio che l’attivo venga ripartito prima che si concluda l’accertamento delle domande tardive (come è noto, per le domande tardive non è previsto, né nella vigente legge fallimentare, né nel disegno di legge alcun accantonamento nei riparti dell’attivo).
     È probabile che la disciplina prefigurata dal disegno di legge faciliti la verifica dei crediti; di certo non facilita l’accertamento di tutti i crediti, poiché ne deriva un ampliamento della fase contenziosa per molti di essi. Peraltro, con il termine a ritroso “non superiore a 7 giorni” è posto un limite temporale ai creditori, quando nessun limite è posto ai giudici: anzi nel disegno di legge vengono eliminati i limiti attualmente esistenti (sia pure non rispettati). Per l’udienza di verifica il vigente n. 5 dell’art. 16 legge fall. fissa un termine di 50 giorni dalla dichiarazione di fallimento (20 giorni, oltre i 30 per la presentazione delle domande): la norma proposta non prevede al riguardo nessun limite, disponendo soltanto che si proceda ”senza ritardo”.
     Inoltre, pur non essendo mutato sostanzialmente nulla circa la chiusura del fallimento per mancata presentazione di domande di ammissione al passivo (art. 118, n. 1), diversa è la situazione che si presenta nel sistema attuale e nel disegno di legge. Attualmente, infatti, il termine per la presentazione delle domande è considerato ordinatorio, con la conseguenza che solo con la chiusura della adunanza può verificasi l’ipotesi prevista dall’art. 118, n. 1; mentre, secondo il disegno di legge, il termine per la presentazione delle domande tempestive è perentorio e, quindi, il fallimento deve essere chiuso, in mancanza di tali domande, anche prima dell’adunanza (che non si deve neppure tenere), anche se per avventura siano presentate domande tardive nei sette giorni precedenti alla data fissata per l’adunanza.
     Pertanto, il rimedio che si intende introdurre per evitare l’allungamento della procedura non assicura affatto che tale fine sia raggiunto, se si intente la procedura nel suo complesso e non già la sola fase di verifica tempestiva.

     4.
     Circa il procedimento di accertamento dei crediti per le domande tardive, è stabilito che:
     – il creditore deve presentare domanda mediante ricorso;
     – il decreto di fissazione dell’udienza deve essere comunicato al creditore istante (tale obbligo è già operante, in base alle indicazioni della Corte Costituzionale), a cura della cancelleria, almeno 40 giorni prima dell’udienza;
     – il creditore deve notificare il decreto al curatore, come avviene anche oggi, entro il termine perentorio stabilito dal G. D., termine che decorre dalla comunicazione;
     – il creditore deve iscrivere la causa a ruolo almeno 20 giorni prima dell’udienza (attualmente 5 giorni, in base al rinvio all’art. 98, 3° comma), sotto pena dell’estinzione del processo (attualmente solo in via interpretativa e, comunque, non pacificamente – si ritiene che il giudizio si reputi abbandonato, in base al richiamo all’art. 98 legge fall.)
     – all’udienza il curatore può contestare o non contestare il credito ed il G.D., in questo secondo caso, può ammettere il credito con decreto, ovvero fissa l’udienza di prima comparizione per lo svolgimento di un giudizio ordinario;
     – il curatore deve costituirsi in giudizio 10 giorni prima dell’udienza di prima comparizione, sotto pena delle decadenze di cui all’art. 167 cod. proc. civ.
Come si vede da questa esposizione, il procedimento di ammissione tardiva dei crediti ricalca, nelle modifiche proposte dal disegno di legge, quello della opposizione allo stato passivo e della impugnazione dei crediti, introducendo – è questo l’aspetto più importante – tutta una serie di termini processuali, che scandiscono il procedimento, rendendolo complesso e, più precisamente, conformandolo al processo ordinario di cognizione. In più, rispetto a quest’ultimo, c’è qualche trabocchetto, con il quale sembra si voglia sfoltire il numero delle domande tardive: così, la regola dell’estinzione del giudizio, in caso di mancata tempestiva costituzione del creditore, pone una preclusione, di cui non riesco a trovare una giustificazione sostanziale.
     Peraltro, a differenza dell’opposizione allo stato passivo e dell’impugnazione dei crediti ammessi, il disegno di legge volutamente non impone la costituzione del curatore prima dell’udienza. Nella Relazione si spiega che tale soluzione è stata seguita, poiché la prima udienza è riservata alla dichiarazione del curatore; ciò comporta, però, un inutile allungamento della durata del processo. Sarebbe opportuno che le contestazioni del curatore al credito, di cui è chiesta l’ammissione in via tardiva, siano presentate prima della udienza fissata dal giudice, entro un breve lasso di tempo dalla notificazione del creditore, in modo che l’udienza si tenga solo se la fase contenziosa è necessaria, senza che occorra, in caso contrario, fissare una nuova udienza per la prima comparizione delle parti.

     5.
     L’art. 30 del disegno di legge disciplina il procedimento di revocazione dei crediti ammessi o delle garanzie di tali crediti, innovando – rispetto alla disciplina vigente – oltre che in adeguamento ad indicazioni della Corte Costituzionale, anche con una forte conformazione al processo ordinario.
     È opportuno ricordare che la revocazione dei crediti ammessi e delle loro garanzie è prevista dall’art. 102 legge fall. come estremo rimedio, quando l’ammissione del credito o della garanzia sia stata determinata da falsità, dolo o errore essenziale di fatto, ovvero si rinvengano documenti prima ignorati. Come ha notato la dottrina, in questa azione si cumulano due distinte azioni del codice di rito: la revocazione vera e propria (art. 395 cod. proc. civ.) e l’opposizione di terzo (art. 404, 2° comma, cod. proc. civ.); infatti, per la revocazione in sede fallimentare sono legittimati, tanto il curatore, quanto i creditori (poiché il 1° comma dell’art. 102, che non è modificato dal disegno di legge, parla di “qualunque creditore”, rimane il dubbio se siano legittimati solo i creditori ammessi ovvero, come sembra preferibile, tutti i creditori che vi abbiano interesse).
     Innanzitutto, il disegno di legge sembra voler attribuire una autonoma posizione processuale al curatore, ovviamente nel caso in cui non sia ricorrente. Nel testo vigente dell’art. 102 è previsto che il ricorso ed il decreto di fissazione dell’udienza devono essere notificati anche al curatore e che «il curatore può intervenire in giudizio» (3° comma). Nella versione del disegno di legge, la prima disposizione è rimasta, ma non la seconda; è stabilito, invece, che il curatore debba comparire all’udienza, assumendo perciò la posizione di litisconsorte necessario, anche se non abbia alcuna domanda, autonoma o adesiva, da proporre.
     Inoltre, il disegno di legge scandisce precisi termini per gli adempimenti processuali:
     – presentazione del ricorso;
     – decreto del giudice delegato di fissazione dell’udienza di comparizione e del termine per la notificazione del ricorso e del decreto al creditore contestato ed al curatore;
     – comunicazione del decreto al ricorrente da parte della cancelleria, almeno 40 giorni prima dell’udienza;
     – notificazione del ricorso e del decreto al creditore contestato ed al curatore entro il termine fissato dal giudice e decorrente dalla comunicazione;
     – iscrizione della causa almeno 20 giorni prima dell’udienza, sotto pena dell’estinzione del giudizio;
     – costituzione del creditore contestato e del curatore almeno 10 giorni prima dell’udienza, pena le decadenze di cui all’art. 167 cod. proc. civ.;
     – istruzione della causa secondo il rito del giudizio ordinario di cognizione;
     – termini di 15 giorni (anziché 30) per l’appello e di 30 giorni (anziché 60 giorni) per il ricorso in Cassazione.
     Al riguardo valgono le osservazioni svolte per le domande tardive. In definitiva, anche per la revocazione in sede fallimentare il disegno di legge ha allungato i termini della fase introduttiva e di quella istruttoria del giudizio, mentre ha diminuito soltanto i termini per le impugnazioni.

     6.
     L’esposizione delle innovazioni previste dal disegno di legge per le domande tardive e per la revocazione dei crediti ammessi e delle loro garanzie può dirsi esaurita. Lascio a voi il compito di valutarne le conseguenze, positive o negative, per il processo di fallimento. Voglio soltanto, in conclusione, esprimere qualche considerazione di carattere generale circa la regolamentazione di questi e degli altri procedimenti, che compongono la procedura fallimentare, in adeguamento – come è precisato nella Relazione – ai princìpi del nuovo art. 111 Cost. («il giusto processo regolato dalla legge»).
     Questo adeguamento è stato inteso, a mio avviso, in un unico senso, ossia con una conformazione quasi pedissequa al giudizio ordinario di cognizione, come se questo sia l’unico processo regolamentato nel nostro ordinamento processuale. Peraltro, tale scelta è quanto mai discutibile, in quanto l’accertamento dei crediti con le domande tardive ha effetti solo endofallimentari e, quindi, il creditore potrebbe essere costretto a svolgere due processi ordinari di cognizione, uno nel corso del fallimento ed uno eventualmente dopo la sua chiusura. A questo punto è legittimo domandarsi quanto sia coerente tutto ciò; infatti, se si intende seguire il sistema del giudizio ordinario di cognizione per le domande tardive e per le revocazioni dei crediti ammessi (nonché per le opposizioni allo stato passivo o per le impugnazioni dei crediti ammessi), tanto vale attribuire a tale accertamento un valore pieno e non solo nell’ambito della procedura concorsuale. In ogni caso, viene meno la ragione della concentrazione di tali giudizi davanti al foro fallimentare.
     Mi sembra allora che l’adeguamento della vigente disciplina concorsuale all’art. 111 Cost. imponga modificazioni assai più profonde ad essa, considerato che la novella costituzionale non richiede soltanto una specifica regolamentazione per ogni procedimento o la previsione di termini a difesa per ogni parte processuale (sono questi gli aspetti essenzialmente tenuti in considerazione dal disegno di legge), ma richiede, oltre che un rafforzamento della “terzietà del giudice”, di assicurare una “ragionevole durata” del processo, princìpi che non sono pienamente rispettati dalla vigente legge fallimentare, senza che il disegno di legge cerchi di porvi effettivo rimedio.
     In particolare, per la eccessiva durata delle procedure concorsuali (oltre che per la loro inefficienza), l’attuale legge fallimentare viola il diritto costituzionalmente garantito al “giusto processo”; violazione tanto più grave, a causa degli effetti che si producono con la dichiarazione di fallimento e che perdurano per tutta la durata dello stesso fallimento, senza possibilità di sospenderli (in caso di fondata opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento).
Soprattutto, la eccessiva durata delle procedure concorsuali, oltre a costituire violazione del diritto di ogni cittadino alla tutela giurisdizionale, va vista alla luce di altri princìpi di rango costituzionale, quali il riconoscimento della proprietà privata e la libertà dell’iniziativa economica, nonché il principio di economia di mercato aperta ed in libera concorrenza, posto dal Trattato della Comunità Europea. Infatti, la lunga durata della procedura distrugge il valore dei beni del fallito e, correlativamente, sminuisce e, comunque, ritarda la soddisfazione dei creditori, producendo una sorta di “espropriazione” dei loro crediti. Inoltre, una procedura fallimentare inefficiente incide negativamente sul mercato in cui opera l’impresa dichiarata fallita, non consentendo la riallocazione concorrenziale delle risorse in essa rimaste bloccate (capitali, attrezzature, avviamento, personale, crediti, ecc.).
     La Comunità Europea finora si è occupata del problema ai fini del coordinamento per le procedure di insolvenza transfrontaliere (regolamento CE del 29 maggio 2000, n. 1346/2000, entrato in vigore il 31 maggio 2002); ritengo, tuttavia, che il tema delle procedure concorsuali in relazione alla concorrenza possa interessare direttamente la Commissione Europea, non solo, come è avvenuto finora, sotto l’aspetto degli aiuti di Stato.

     * Relazione svolta a Roma, nella riunione di Ri.P.Di.Co. (Rivista Parlata di Diritto Concorsuale, diretta da Umberto Apice) del 10 giugno 2002

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