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giugno 2002

Studî e commenti

ROSELLA ANTONUCCI ed ALESSANDRO NAPOLITANO

Nuove norme europee in tema di procedure concorsuali*

 

     In data 31 maggio 2002 è entrato in vigore in Italia e negli altri Stati Membri dell’Unione Europea, ad eccezione della Danimarca, il Regolamento del Consiglio CE del 29 Maggio 2000, n. 1346, relativo alle procedure di insolvenza, che ha recepito il contenuto del progetto di Convenzione Europea sul fallimento internazionale, approvata definitivamente il 23 novembre 1995 ma mai entrata in vigore (per ragioni politiche). Il regolamento in esame contiene disposizioni in materia di giurisdizione, riconoscimento ed esecuzione delle sentenze straniere nonché in materia di legge applicabile alle procedure di insolvenza con effetti transnazionali concernenti un debitore avente il proprio centro di interessi principali in uno Stato Membro.
     Il regolamento rappresenta il primo tentativo, da parte dell’Unione Europea, di dettare per gli Stati Membri una disciplina armonizzata in materia di fallimento, integrando un “puzzle” di discipline nazionali che regolavano le procedure concorsuali internazionali che, oltre a un elevato rischio di violazione del principio di parità di trattamento dei creditori nelle diverse giurisdizioni, comportava anche una evidente mancanza di certezza del diritto, in ragione in particolare del fatto che le procedure concorsuali erano espressamente escluse dall’applicazione della Convenzione di Bruxelles del 1982, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale. Inoltre, la tempestività del regolamento è confermata dal crescente numero di fallimenti in Europa Occidentale, che nel 2001 è cresciuta ben del 5,9%, rispetto all’anno precedente.
     Ad ogni buon conto, il regolamento è volto a garantire la massima effettività e il massimo livello di garanzia delle procedure concorsuali internazionali per i creditori che vi sono coinvolti. A tal proposito, di particolare importanza sono le norme che dettano i criteri per la determinazione della competenza giurisdizionale, per il riconoscimento delle procedure negli altri Stati Membri, nonché per l’individuazione della legge applicabile.
     In primo luogo, il regolamento puntualizza il concetto di procedura “principale” e di procedura “secondaria”. Per la procedura principale, ai sensi dell’art. 3, comma 1 del regolamento, la competenza ad aprire la procedura di insolvenza è assegnata ai giudici dello Stato nel cui territorio è situato il centro degli interessi principali del debitore (che, in caso di debitore che si identifichi in una società o altra persona giuridica dovrà presumersi essere, fino a prova contraria, il luogo in cui si trova la sede statutaria). Il regolamento, però, ammette anche la possibilità di condurre, parallelamente alla procedura di insolvenza principale, una procedura secondaria. La previsione di un sistema di procedure distinte, ma coordinate, recepisce chiaramente un’idea di universalità limitata e di collegamento fra più procedure nazionali. Ciò si spiega in base al fatto che il regolamento opera in ambito comunitario, perseguendo finalità di armonizzazione giuridica e di promozione del corretto funzionamento dello spazio giudiziale europeo, ma pur sempre inserendosi in un contesto caratterizzato da notevoli differenze fra i diritti sostanziali dei vari Stati membri, spesso ancorati, in materia fallimentare, al principio di territorialità. È questo, pertanto, il motivo per cui, in una delle premesse dello stesso regolamento, si afferma che non è realistico istituire un’unica procedura di insolvenza avente valore universale per l’intera Comunità.
     Il criterio per determinare la corte competente, quanto alle procedure secondarie, è quello del luogo della dipendenza del debitore insolvente (art. 3, comma 2 del regolamento in esame). Ciò significa che, se il centro degli interessi del debitore è situato nel territorio di uno Stato Membro, i giudici di uno Stato Membro sono competenti ad aprire una procedura di insolvenza nei confronti del debitore solo se questi possiede una dipendenza nel territorio di tale altro Stato Membro, e gli effetti di tale procedura sono limitati ai beni del debitore che si trovano in tale territorio. Per “dipendenza”, il regolamento (art.2, lett. h) intende qualsiasi luogo di operazioni in cui il debitore esercita in maniera non transitoria un’attività economica con mezzi umani o beni. Peraltro, non sarà fuori luogo sottolineare che i criteri di giurisdizione fissati dal regolamento non differiscono da quelli della legge fallimentare italiana, la quale stabilisce come criterio di giurisdizione la sede principale dell’imprenditore, o la sede secondaria, nel caso in cui invece la sede principale sia all’estero. Il regolamento europeo, invece, differisce dalla legge fallimentare italiana nella parte in cui specifica che la procedura secondaria ha effetti necessariamente limitati ai beni del debitore localizzati nello Stato della sede secondaria, ed ha di per sé un carattere ancillare rispetto alla procedura di insolvenza principale. Le procedure secondarie sono aperte in altri Stati Membri, quindi, sostanzialmente al fine di liquidare i beni situati in quegli Stati.
     Quanto ai rapporti fra procedura principale e procedura secondaria, e all’ordine temporale fra le due, il punto più rilevante è che la procedura secondaria, necessariamente limitata al territorio dello Stato in cui viene aperta, solitamente presuppone l’apertura di una procedura principale, salvi, ai sensi dell’art. 3, comma 4 del regolamento, i casi in cui:
     (a) l’apertura della procedura principale non sia ammessa dalla legge dello Stato del centro degli interessi principali del debitore, ovvero
     (b) l’apertura della procedura di insolvenza secondaria sia richiesta da un creditore domiciliato nello Stato Membro in cui si trova la dipendenza in questione del debitore, ovvero il cui credito derivi dall’esercizio di tale dipendenza.
     È comunque esclusa la possibilità di due procedure principali parallele.
     Lo scopo dell’istituzione delle procedure secondarie, evidentemente, è garantire la tutela di interessi “locali”, soprattutto, presumibilmente, in casi in cui sarebbe eccessivamente complesso o antieconomico assoggettare ad una procedura unitaria tutti i beni del debitore. Nel caso in cui, ad esempio, l’applicazione della legge dello Stato di apertura in un altro Stato Membro comportasse degli inconvenienti di ordine pratico, il curatore sarebbe legittimato a presentare un’istanza per l’apertura di una procedura secondaria. È evidente che una disciplina di tal fatta presuppone un altissimo grado di collaborazione e di scambio di informazioni fra curatori ed autorità giudiziarie coinvolte nelle procedure nazionali tra loro collegate.
     Salvo alcune limitate eccezioni, si applica alla procedura di insolvenza e ai suoi effetti la legge dello Stato Membro nel cui territorio è aperta la procedura, secondo quanto dispone l’art. 4, comma 1 del regolamento. Inoltre, l’art. 16 dispone che la decisione di apertura della procedura di insolvenza da parte di un giudice competente è riconosciuta in tutti gli altri Stati membri non appena essa produce effetto nello Stato in cui la procedura è aperta, anche qualora il debitore non può essere assoggettato ad una procedura di insolvenza negli altri Stati Membri, e fermo restando che tale riconoscimento non osta in alcun modo all’apertura di una procedura secondaria da parte di un giudice di un altro Stato Membro. Il riconoscimento può essere rifiutato soltanto, ai sensi dell’art. 26, qualora possa produrre effetti palesemente contrari all’ordine pubblico dello Stato richiesto, ma dal regolamento emerge chiaramente che, di norma, gli effetti del fallimento dichiarato all’estero si estendono in modo automatico e tendenzialmente pieno ai beni del fallito situati in Italia.
     Un altro punto di fondamentale importanza riguarda i poteri del curatore fallimentare (art. 18 del regolamento): questo è designato dal giudice competente, e può esercitare anche nel territorio di un altro Stato Membro tutti i poteri che gli sono attribuiti dalla legge dello Stato di apertura, finché non siano aperte procedure secondarie di insolvenza. In particolare, salvo particolari eccezioni, il curatore può trasferire i beni del debitore fuori dal territorio dello Stato Membro in cui si trovano, purché, com’è ovvio, rispetti la legge dello Stato Membro nel cui territorio intende agire, specialmente per ciò che concerne le modalità di liquidazione dei beni.
     Il principio generale che dispone l’applicabilità della legge dello Stato di apertura in tutti gli Stati Membri è però derogato ratione materiae in alcuni casi specificamente previsti dagli artt. 5 e seguenti, ad esempio in caso di diritti reali di terzi (i quali non sono in alcun modo pregiudicati dall’apertura della procedura, quando hanno ad oggetto beni che sono situati in altri Stati Membri, essendo governati dalla lex situs), di compensazione (che continua a poter essere invocata dal creditore, se consentita dalla legge applicabile al credito del debitore insolvente), di riserva di proprietà (che non è pregiudicata dall’apertura della procedura, qualora il bene che ne è oggetto si trovi nel territorio di uno Stato diverso dallo Stato di apertura), di beni immobili (che continuano, anche agli effetti della procedura fallimentare ad essere disciplinati esclusivamente dalla legge dello Stato Membro nel cui territorio il bene è situato), di contratti di lavoro (che sono disciplinati esclusivamente dalla legge dello Stato Membro applicabile al contratto di lavoro), e soprattutto di sistemi di pagamento e mercati finanziari.
     Quanto a quest’ultima fattispecie, specificamente disciplinata dall’art. 9 del regolamento, è evidente che anche il regolamento riconosce la particolare esigenza di protezione che strutturalmente connota questo tipo di realtà economica. Le relative transazioni (si pensi ad una vendita di titoli e alle garanzie correlate, a titolo di esempio), in caso di avvio di una procedura di insolvenza, sono disciplinate esclusivamente dalla legge dello Stato Membro applicabile al sistema di pagamento o al mercato in questione. Come noto, la disciplina speciale sulla definitività degli ordini immessi in un sistema di pagamento è volta ad evitare che i meccanismi relativi al pagamento, alla liquidazione o alla compensazione di queste operazioni siano in qualsiasi modo alterati dal fallimento. La specialità della disciplina è pertanto giustificata dall’estrema delicatezza della materia in esame, tanto che la Direttiva 98/26/CE (recepita in Italia nel 2001) sulla definitività degli ordini immessi in un sistema di pagamento o di regolamento titoli contiene delle disposizioni speciali che è necessario armonizzare, anche in via interpretativa, con le regole generali della legge fallimentare italiana.
     Un ultimo punto su cui riteniamo opportuno focalizzare l’attenzione dei lettori riguarda l’insinuazione al passivo dei crediti: tutti i creditori della società, infatti, dovunque risiedano, ai sensi dell’art. 39 possono richiedere l’ammissione dei proprio crediti al passivo nell’ambito della procedura principale: conseguentemente, anche la ripartizione del ricavato della vendita dei beni soggetti alla procedura fallimentare deve essere coordinata al fine di assicurare la par condicio creditorum, senza disparità legate al luogo di residenza di questi ultimi.
     In conclusione, appare evidente che il regolamento europeo comporta un’ampia serie di benefici, sia per i creditori che per la società assoggettata al fallimento. Per quanto concerne i creditori, i principali vantaggi consistono nella maggiore snellezza della procedura di insinuazione al passivo; nella riduzione del contenzioso con il curatore (che finora era condizionato anche dal diverso trattamento riservato ai creditori a seconda delle giurisdizioni di appartenenza); nella maggiore facilità, per il curatore, di identificare e recuperare i beni in tutti gli Stati Membri coinvolti e nella ripartizione del ricavato; nella maggiore garanzia del rispetto della par condicio, assicurata dalla non limitazione del soddisfacimento delle loro pretese ai soli beni situati nello Stato di appartenenza; e, non ultimo, nella riduzione dei costi complessivi della procedura di fallimento internazionale, che comporta ovviamente un aumento del ricavato derivante dalla stessa. Per quanto riguarda, invece, la società assoggettata al fallimento, in primo luogo è finalmente stata fatta chiarezza circa il regime legale applicabile alla procedura fallimentare. Inoltre, il regolamento garantisce un altissimo grado di coordinamento delle procedure, anche qualora esse siano condotte in Stati Membri differenti quali procedure secondarie: ciò, a nostro parere, non è affatto trascurabile, in quanto garantisce uno svolgimento ordinato ed armonico della liquidazione dei beni della società, ed incentiva senz’altro, per il futuro, una più facile riorganizzazione degli assetti della stessa.
     Ci auguriamo unicamente che le nuove norme siano, all’occorrenza, opportunamente invocate e applicate, con ciò contribuendo effettivamente a tutelare i diritti delle parti in occasione di procedure concorsuali che, com’è noto,si sono spesso rivelate i frangenti meno adatti per consentire un’ampia tutela giurisdizionale dei diritti coinvolti dalla crisi dell’impresa.


     * Parte delle presenti riflessioni sono già state anticipate in due articoli pubblicati, a cura degli stessi Autori, sul quotidiano “Il Sole 24 Ore” del 31 maggio 2002, in occasione dell’entrata in vigore del detto regolamento CE.

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