il diritto commerciale d’oggi
     IX.1– gennaio-ottobre 2010

STUDÎ & COMMENTI

 

ORSOLA MILANI

Disciplina fiscale degli atti di destinazione: profili problematici

 

   1. Premessa
   L’introduzione, per strumento della Legge 23 febbraio 2006, n. 51, dell’art. 2645 ter c.c., che sancisce la trascrivibilità degli atti di destinazione, nonché l’ampliamento dell’ambito applicativo relativo all’imposta sulle successioni e donazioni, ad opera del Decreto Legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito dalla Legge 24. novembre 2006, n. 286, hanno sollevato numerose questioni, concernenti il regime tributario di una serie di figure negoziali, tipiche e non, presenti nel nostro ordinamento, questioni oggetto di vivaci dispute dottrinarie, come di discordanti pronunzie giurisprudenziali, e, a tutt’oggi, parzialmente irrisolte.
   L’art. 2645 ter c.c. dispone infatti, come è noto, che “Gli atti in forma pubblica con cui beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri sono destinati, per un periodo non superiore a novanta anni o per la durata della vita della persona fisica beneficiaria, alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche ai sensi dell'articolo 1322, secondo comma, possono essere trascritti al fine di rendere opponibile ai terzi il vincolo di destinazione; per la realizzazione di tali interessi può agire, oltre al conferente, qualsiasi interessato anche durante la vita del conferente stesso. I beni conferiti e i loro frutti possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione e possono costituire oggetto di esecuzione, salvo quanto previsto dall'articolo 2915, primo comma, solo per debiti contratti per tale scopo.”.
   La seconda delle norme sopra richiamate prevede, d’altra parte, che “E’istituita l’imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione.”, mentre, sotto il vigore della precedente disciplina, la predetta imposta risultava applicabile ai soli trasferimenti di “[…] beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione”.
L’ampiezza della definizione contenuta nell’art. 2645 ter, e la mancanza di ulteriori specificazioni ad opera della Legge 24. novembre 2006, n. 286, ne rendono incerti i confini operativi, per individuare i quali si rende necessaria un’indagine relativa alle diverse fattispecie negoziali, suscettibili di realizzare la costituzione di un vincolo di destinazione.

   2. La nuova portata applicativa dell’imposta sulle successioni e sulle donazioni
   Ai fini di una corretta individuazione dell’ambito di operatività della norma introdotta con la Legge 24 novembre 2006, n. 286, la nuova fattispecie qualificata in termini di presupposto impositivo, rappresentata dal vincolo di destinazione, deve essere delineata con riferimento alla struttura ed alle finalità del tributo sul quale risulta innestata.
   L’imposta sulle successioni e sulle donazioni ha infatti subito, come si è già precisato, un ampliamento della sfera applicativa, ma non un mutamento della sua funzione nell’ambito del sistema fiscale, presente nel nostro ordinamento. I soggetti passivi del tributo continuano, infatti, ad essere individuati negli eredi, legatari, donatari e beneficiari di altre liberalità tra vivi: ai fini della configurabilità del presupposto impositivo risulta, pertanto, necessaria la presenza di un depauperamento patrimoniale, relativo ad un soggetto, ed un correlativo arricchimento a favore di un diverso soggetto, e, conseguentemente, di almeno due sfere giuridiche soggettive, laddove soltanto l’incremento patrimoniale in capo al beneficiario costituisce la manifestazione di capacità contributiva che giustifica, ai sensi dell’art. 53 Cost., l’applicazione dell’imposta.
   Può conseguentemente affermarsi, alla luce delle considerazioni sopra esposte, che non tutti gli atti, che costituiscano vincoli di destinazione, determinano l’applicabilità dell’imposta sulle successioni e donazioni, ma soltanto quelli che determinano un incremento patrimoniale in capo ad un soggetto diverso dal disponente. Le conseguenze di una diversa interpretazione risulterebbero, infatti, paradossali sotto il profilo sistematico, laddove si rischierebbe di assoggettare al tributo una fattispecie concreta estranea, quanto meno nel momento in cui verrebbe posta in essere, e sino ad un effettivo arricchimento dell’eventuale beneficiario, ad una qualsiasi manifestazione di capacità contributiva.
   L’Agenzia delle Entrate sembra, d’altra parte, aver recepito il predetto orientamento: appare opportuno, al riguardo, sottolineare che la circolare n. 3/E del 2008 ha chiarito, da un lato, che per vincoli di destinazione si intendono “[…] i negozi giuridici mediante i quali determinati beni sono destinati alla realizzazione di un interesse meritevole di tutela da parte dell’ordinamento, con effetti segregativi e limitativi della disponibilità dei medesimi”, e che, in determinate ipotesi, la costituzione del vincolo implica altresì “il trasferimento di beni ad un soggetto diverso dal disponente”.
   La circolare in discorso ha, inoltre, evidenziato il rilievo parametrico decisivo, ai fini impositivi, della tipologia dell’atto, a mezzo del quale viene istituito il vincolo di destinazione, precisando che “Le diverse modalità (traslativa e non) con cui l’effetto segregativo viene conseguito rilevano ai fini dell’applicazione delle imposte indirette”, ed ha ulteriormente specificato che “La costituzione di un vincolo di destinazione avente effetto traslativo, sia essa disposta mediante testamento ovvero effettuata per atto inter vivos, è soggetta all’imposta sulle successioni e donazioni. La fattispecie negoziale in esame si sostanzia in un atto dispositivo a titolo gratuito che, privo dello spirito di liberalità proprio delle donazioni, è preordinato non all’arricchimento del destinatario dei beni, ma essenzialmente alla costituzione di un vincolo di destinazione sui beni oggetto di trasferimento. Di regola l’attribuzione dei beni avviene contestualmente alla costituzione del vincolo. In tal caso l’attribuzione dei beni darà luogo all’imposta sulle successioni e donazioni.”.
   La prima, essenziale indagine da compiere ai fini di una corretta impostazione del problema del regime tributario del vincolo di destinazione concerne, pertanto, le modalità per strumento delle quali il vincolo di destinazione medesimo può essere costituito.

   3. L’atto di destinazione come genus
   Appare opportuna, in primo luogo, una breve ricognizione dei risultati, ai quali è pervenuta la dottrina prevalente, supportata da una giurisprudenza che, per quanto limitata ad una casistica ancora sporadica, appare, al riguardo, significativa, in termini di qualificazione giuridica dell’atto di destinazione.
   La presenza, nel nostro sistema giuridico, di una concezione rigorosamente monistica del diritto di proprietà, nella quale non trova posto quel dualismo dominicale, che distingue property in law ed in equity, proprio degli ordinamenti di common law, ha sempre reso difficoltoso l’inquadramento teorico di un atto che, sotto il profilo sostanziale, sembrerebbe interrompere quella corrispondenza biunivoca, tradizionalmente ritenuta caratteristica del rapporto tra proprietario e beni.
   L’atto di destinazione si presenta in grado, in altri termini, di sottrarre uno o più beni alla disponibilità del soggetto che ne rimane formalmente proprietario, a favore dei beneficiari, ovvero di scindere le prerogative, tradizionalmente spettanti ad un unico soggetto, ripartendole tra il conferente e le persone fisiche o giuridiche che possono ricoprire la qualifica di gestori, fiduciari o beneficiari.
   Risulta a questo punto necessario indicare, senza alcuna pretesa di esaustività, alla luce della complessità ed eterogeneità che il panorama dell’atto di destinazione presenta a livello nazionale ed internazionale, le principali tipologie negoziali alle quali è stata attribuita in dottrina e giurisprudenza, nonché da parte dell’Agenzia delle Entrate la natura di atto istitutivo di vincolo di destinazione, il cui minimo comune denominatore è rappresentato dall’effetto segregativo rispetto al patrimonio del conferente, e precisamente:
   a) Il fondo patrimoniale
   b) La destinazione dei patrimoni ad uno specifico affare
   c) I trusts
   d) I negozi fiduciari
   Il decremento, in termini di disponibilità, subito dal patrimonio del settlor, ha generalmente indotto la dottrina ad applicare le tradizionali categorie concettuali privatistiche, proprie degli ordinamenti di civil law, qualificando l’istituzione del vincolo di destinazione alla stregua di un atto dispositivo a titolo gratuito, che produce di volta in volta effetti traslativi a favore dei beneficiari, del trustee o del fiduciario.
   Il regime fiscale, applicabile all’atto di destinazione, andrà, di conseguenza, diversificato a seconda della struttura, che le parti riterranno di conferire all’atto medesimo.

   3. Le fattispecie controverse
   3.1 Il trust
   Occorre, in primo luogo, considerare la fattispecie, rappresentata dal trust non operativo, considerato dalla dottrina prevalente, della quale è possibile rinvenire un riscontro normativo, alla stregua di un atto dispositivo a titolo gratuito, compiuto dal settlor.
   Il valore dei beni, oggetto del trust, andrà, conseguentemente, tassato in capo al trustee, con riferimento al trust bilaterale, contestualmente alla formalizzazione dell’atto istitutivo, applicando un’aliquota che potrà variare a seconda del rapporto, sussistente tra il settlor ed il trustee; si può specificare, a titolo esemplificativo, come l’aliquota risulti più bassa, in caso di parentela in linea retta, ed aumenti proporzionalmente alla “distanza” sussistente tra i due soggetti, sopra richiamati.
   Nell’ipotesi, poi, di trust trilaterale, ossia con designazione di beneficiari, per la determinazione di aliquote e franchigie sarà necessario fare riferimento al rapporto tra settlor e beneficiario/i, e non a quello tra settlor e trustee.
   Occorre, al riguardo, considerare come la ratio legis, sottesa alla normativa richiamata, sembri riflettere maggiormente la preoccupazione di evitare comportamenti di natura elusiva, rispetto alla necessità di elaborare un sistema di tassazione il più possibile aderente alla struttura ed alla funzione del trust: il carattere dispositivo, indirettamente attribuito dal legislatore tributario all’atto istitutivo di trust, appare infatti, alla luce delle argomentazioni sopra esposte, il frutto di un aprioristico inquadramento dell’istituto nell’ambito delle categorie concettuali, proprie dei regimi di civil law, più che di una analisi di tipo comparatistico.
   Per quanto concerne, infine, l’istituzione di un trust operativo, nell’ipotesi più ricorrente, rappresentata dalla circostanza che i beni oggetto del trust costituiscano un complesso aziendale, la disciplina applicabile risulta quella relativa ai trasferimenti d’azienda.
   La Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 48/E del 2007 ha, infatti, chiarito che, nell’ipotesi prospettata, troverà applicazione l’art. 58, comma 1, del TUIR, che esclude il realizzo di plusvalenze nelle ipotesi di trasferimento di azienda mortis causa, ovvero a titolo gratuito.
   L’operazione potrà, conseguentemente, essere effettuata in regime di neutralità fiscale, a condizione che il trustee assuma il complesso dei beni agli stessi valori, fiscalmente riconosciuti in capo al settlor.

   3.2. Segue: il contributo della giurisprudenza
   Possono verificarsi, d’altra parte, ipotesi in cui l’atto istitutivo del trust non integra un fenomeno traslativo, laddove alla sottrazione di uno o più beni alla disponibilità del settlor può non corrispondere un effettivo arricchimento del patrimonio, facente capo ai beneficiari.
   La Commissione tributaria provinciale di Lodi è giunta, al riguardo, a conclusioni che sembrano pacificamente condivisibili, con particolare riferimento all’iter logico-giuridico seguito per dichiarare dovuta l'imposta fissa di registro.
   Il contribuente (il notaio unico destinatario dell'avviso di liquidazione) ha impugnato l'atto con il quale l'Agenzia delle Entrate di Lodi ha applicato l'imposta di donazione ad un atto istitutivo di trust con il quale il disponente aveva trasferito il proprio patrimonio al trustee affinchè quest'ultimo procedesse alla liquidazione di una società nell'interesse dei creditori e dei soci.
   Il trust non si presentava, pertanto, espressamente previsto come atto soggetto all'imposta di donazione, laddove i giudici ribadiscono come il trust "avendo solamente scopo liquidatorio, non era atto di liberalità, mancando dell’animus donandi e dell'arricchimento patrimoniale del beneficiario".

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