il diritto commerciale d’oggi
     IX.1– gennaio-ottobre 2010

STUDÎ & COMMENTI

 

CONCETTA BRESCIA MORRA

L’obbligo di “valutare il merito creditizio”
nella nuova disciplina del credito al consumo

 

 

   1.
   Il d.lgs. 13 agosto 2010, n. 141 recepisce la normativa comunitaria (dir. 2008/48/CE) in materia di contratti di credito ai consumatori, modificando il testo unico bancario (d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385). Si tratta di un aggiornamento della previgente disciplina che mira ad aumentare il grado di trasparenza e correttezza dei comportamenti degli intermediari che offrono questo tipo di contratti.
   Il legislatore italiano ha colto l’occasione per regolamentare, in maniera più incisiva rispetto al passato, gli intermediari non bancari che operano nel comparto del credito e, soprattutto, i loro canali distributivi, in specie gli agenti in attività finanziaria e i mediatori creditizi. Con riguardo a questi ultimi aspetti il decreto ridefinisce l’ambito delle attività riservate e cancella la distinzione tra intermediari vigilati (ex art. 107 TUB) e intermediari sottoposti a pochi controlli sulle condizioni di accesso all’attività (ex art. 106 TUB); viene istituito un unico albo in cui sono iscritti tutti gli intermediari finanziari soggetti a vigilanza. Sono previste regole più rigorose in materia di professionalità degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi, accrescendo la loro affidabilità sul piano patrimoniale e organizzativo.

   2.
   Le nuove disposizioni sul credito al consumo hanno come obiettivo l’armonizzazione massima delle regole in Europa. A tal fine, standardizzano l’informativa precontrattuale, elencando in maniera puntuale le informazioni che devono essere incluse nel contratto, e impongono di inserire nel TAEG (Tasso Annuo Effettivo Globale) tutti gli oneri connessi al finanziamento. Le nuove norme stabiliscono un obbligo di consulenza ai clienti prescrivendo che debbano essere forniti alcuni chiarimenti insieme alla consegna dei documenti; al consumatore, inoltre, è attribuito un diritto di ripensamento entro 14 giorni dalla stipula del contratto.
   La disciplina in commento accresce gli oneri degli intermediari nell’ottica di assicurare una tutela uniforme dei clienti sull’intero territorio dell’Unione. Emerge anche un nuovo approccio del legislatore europeo alla tutela dei clienti in campo finanziario: la nuova disciplina non si limita a imporre agli intermediari l’obbligo di fornire più informazioni e in forme più chiare rispetto al passato. Le norme mirano anche ad assicurare che i clienti assumano piena e sostanziale consapevolezza delle condizioni contrattuali sottoscritte e degli oneri e dei rischi che da esse derivano; a tal fine gli intermediari sono tenuti a prestare “consulenza” ai clienti. In altri termini, il rispetto formale degli obblighi informativi non è sufficiente per adempiere correttamente al nuovo disposto normativo. Gli intermediari sono tenuti non solo a fornire l’informazione necessaria, ma anche ad assicurarsi che sia stata ben compresa dalla controparte e che quest’ultima abbia presenti le alternative possibili.
   In questa stessa logica può essere letta un’altra disposizione del decreto 141 del 2010 introdotta nel nostro ordinamento in ossequio al dettato comunitario. Secondo l’art. 124-bis, comma 1, del t.u. bancario “Prima della conclusione del contratto di credito, il finanziatore valuta il merito creditizio del consumatore sulla base di informazioni adeguate, se del caso fornite dal consumatore stesso e, ove necessario, ottenute consultando una banca dati pertinente”. Una lettura affrettata potrebbe indurre a pensare che si tratti di una banale riproduzione di un principio generale che deve ispirare l’attività degli operatori finanziari, ovvero di una declinazione particolare del principio di “sana e prudente gestione”, ricordato in numerose disposizioni del testo unico bancario. In realtà, in quest’ultimo provvedimento legislativo la “sana e prudente gestione” non rappresenta uno specifico obbligo di comportamento degli intermediari, ma un obiettivo che deve essere perseguito dalle autorità creditizie nell’esercizio delle proprie funzioni, ovvero alla cui luce può essere valutata la bontà dell’operato di queste ultime, specie in occasione del rilascio di autorizzazioni a intermediari bancari e creditizi. L’obbligo di “valutare il merito creditizio” dell’affidato non rappresenta una specificazione della “sana e prudente gestione” anche perché le due disposizioni hanno obiettivi diversi. La sana e prudente gestione mira a garantire che la gestione delle banche non sia deviata verso finalità improprie ovvero presenti un grado di rischio non correttamente valutato dai responsabili della gestione che possa comportare difficoltà finanziarie per l’intermediario.

   3.
   La valutazione del merito creditizio nella concessione di credito al consumo, peraltro, non appare necessaria in un’ottica di sana e prudente gestione a tutela della solvibilità dell’intermediario. In questi casi, infatti, sia in ragione dell’importo contenuto dei singoli prestiti, sia della circostanza che gli affidati non svolgono attività d’impresa soggetta all’alea dell’andamento economico, appare ragionevolmente prudente la prassi adottata dagli intermediari del settore che si limita a effettuare controlli formali per evitare truffe, senza assumere informazioni specifiche sulla situazione finanziaria dell’affidato.
   In altri termini, normalmente nella concessione del credito al consumo non vengono assunte informazioni atte a valutare la capacità del soggetto che viene finanziato di rimborsare il prestito; appare sufficiente, anche in una logica di prudente gestione, fare affidamento su considerazioni statistiche sul grado di rimborso dei prestiti della specie da parte di persone fisiche. Diversamente, la direttiva prescrive l’obbligo di valutare il merito creditizio e, in particolare, di consultare le banche dati disponibili che possono indicare il grado di indebitamento degli affidati.
   Quest’ultimo elemento è strategico nel caso di concessione di credito a una impresa per valutare la sua situazione finanziaria complessiva, ma è meno significativo rispetto alla capacità del prenditore di credito al consumo di rimborsare il prestito; a tal fine, è più utile valutare, oltre al grado di indebitamento, anche il rapporto fra quest’ultimo e il reddito del debitore. L’aspetto più importante da considerare nella concessione del credito al consumo è proprio l’esistenza di una fonte di reddito stabile.
   Inoltre, va considerato che non sempre esistono banche dati che dispongono di questo tipo di informazioni. In Italia, la Centrale dei rischi bancari, istituita presso la Banca d’Italia per consentire alle banche di limitare i rischi assunti, censisce posizioni di rischio di importo superiore a 30.000 euro, ossia relative a prestiti di ammontare unitario abbastanza elevato, a meno che non si tratti di debiti classificati in sofferenza, ossia per i quali la banca abbia avviato iniziative di recupero (cfr. Circolare della Banca d’Italia, Centrale dei rischi. Istruzioni di vigilanza per gli intermediari, cap. II, sez. 1). Considerato che i prestiti sono qualificati credito al consumo solo se inferiori a 75.000 euro, le informazioni su eventuali altri debiti del richiedente il prestito potrebbero non essere rilevate dalla Centrale dei rischi della Banca d’Italia. Informazioni sull’affidabilità dei piccoli debitori sono reperibili solo su banche dati private (in Italia ve ne sono quattro) che censiscono anche rischi di minore importo, come quelli relativi a operazioni di credito al consumo.

   4.
   In realtà, proprio la norma che indica come buona prassi la consultazione di banche dati che possano fornire informazioni su eventuali altre esposizioni del cliente indica che l’obbligo di valutare il merito creditizio mira, in realtà, a tutelare il cliente dal pericolo che assuma un livello di indebitamento non compatibile con il suo reddito o con la sua situazione patrimoniale e finanziaria complessiva. La lettura dei considerando della direttiva 2008/48 conferma quest’interpretazione.
   Secondo il considerando 26, “Gli Stati membri dovrebbero adottare le misure appropriate per promuovere pratiche responsabili in tutte le fasi del rapporto di credito, tenendo conto delle specificità del proprio mercato creditizio. Tali misure possono includere, per esempio, l’informazione e l’educazione dei consumatori e anche avvertimenti sui rischi di un mancato pagamento o di un eccessivo indebitamento. In un mercato creditizio in espansione, in particolare, è importante che i creditori non concedano prestiti in modo irresponsabile o non emettano crediti senza preliminare valutazione del merito creditizio, e gli Stati membri dovrebbero effettuare la necessaria vigilanza per evitare tale comportamento e dovrebbero determinare i mezzi necessari per sanzionare i creditori qualora ciò si verificasse”.
   La preoccupazione del legislatore comunitario è, quindi, l’eccessivo indebitamento dei consumatori, ovvero quella che viene definita con un termine anglosassone over-indebtedness. Si tratta di una risposta normativa a un fenomeno che ha caratterizzato la crisi finanziaria mondiale recente, in particolare nel mercato statunitense. All’origine della crisi, secondo una parte importante dei commentatori vi è la degenerazione del mercato delle cartolarizzazioni, specie di mutui immobiliari.
   L’utilizzo su larga scala di quest’operazione da parte delle banche americane per ottenere liquidità, ha comportato un abbassamento della qualità dei crediti. Le banche, sapendo che non avrebbero conservato in bilancio i crediti, e quindi i correlativi rischi, perché oggetto di cessione allo special purpose vehicle, hanno concesso il credito senza la necessaria valutazione del merito creditizio a soggetti che palesemente non erano in grado di rimborsarlo.
   Questa prassi non si è risolta in un danno per l’intermediario che aveva concesso il credito (che appunto cedendolo se ne è liberato), ma del buon funzionamento del mercato nel suo insieme. L’enorme massa di titoli delle cartolarizzazioni è divenuta di difficile valutazione; per la verità, le ragioni dell’opacità del mercato delle cartolarizzazioni sono legate non tanto alla circostanza che i mutui erano stati concessi “avventatamente”, ma per errori delle agenzie di rating nella loro valutazione, spesso afflitta da conflitti di interesse, e per la complessità che queste operazioni avevano raggiunto.
   Di rado le cartolarizzazioni erano realizzate in maniera semplice; spesso i titoli erano oggetto a loro volta di cartolarizzazioni, di secondo e terzo grado che rendevano difficile valutare il loro prezzo correttamente. Nonostante queste obiezioni, possiamo ritenere che proprio l’esperienza delle cartolarizzazioni negli USA abbia indotto il legislatore comunitario a considerare un fattore di pericolo per la stabilità del sistema, non solo la cattiva gestione degli intermediari, ma anche un livello eccessivo di indebitamento della clientela.
Il perseguimento di quest’obiettivo attraverso l’imposizione di un preciso obbligo di comportamento agli intermediari, peraltro, rappresenta una soluzione che offre una tutela paternalistica ai consumatori che, se può giustificarsi in un particolare momento storico, non appare tecnicamente corretta.

   5.
   La violazione di un obbligo di comportamento, oltre a dare luogo a sanzioni amministrative, come nel caso di specie se il titolare dell’obbligo è sottoposto ad un sistema pubblico di vigilanza, comporta la possibilità che il soggetto nel cui interesse è posto quest’obbligo, possa chiedere il risarcimento del danno alla controparte che non adempia correttament. Nel caso in esame, quindi, il cliente che si sia indebitato, senza aver prudentemente valutato la sua capacità di rimborsare il prestito, ovvero perché soggetto a una mania compulsiva all’acquisto “a rate”, potrebbe chiedere alla banca, o all’intermediario che ha effettuato il prestito un risarcimento del danno subito.
   Non è chiaro, peraltro, quale possa essere il danno subito dal cliente, oltre alla circostanza di trovarsi in una situazione socialmente riprovevole, ovvero di aver dovuto sostenere spese legali per cercare di resistere alle pretese dei creditori.
   In conclusione, ci sembra che la previsione secondo cui gli intermediari che offrono credito al consumo debbano “valutare il merito creditizio” degli affidati, sia il frutto di un legislatore un po’ sciatto o, forse, più attento a fare affermazioni di principio per andare incontro agli umori sociali del momento, che a stabilire un assetto di regole coerente con gli obiettivi.

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