il diritto commerciale d’oggi
     VII.1– gennaio 2008

STUDÎ & COMMENTI

 

LUIGI RUSSI e MARCO DELL’ANTONIA

Offerte pubbliche di acquisto:
l’attuazione della direttiva n. 2004/25/CE da parte del legislatore delegato

 

   1. Introduzione
   La Direttiva n. 2004/25/CE (di seguito, “la direttiva”) è stata definitivamente approvata dal Parlamento Europeo il 21 aprile 2004, completando così la procedura di codecisione richiesta dall’art. 44, c. 1 del Trattato istitutivo della Comunità Europea (di seguito “Trattato CE”) per l’emanazione di atti normativi finalizzati al coordinamento delle garanzie richieste – negli Stati membri – alle società, per proteggere gli interessi dei soci e dei terzi (art. 44, c. 2 lett. g del Trattato CE, richiamato dal primo considerando della direttiva in commento e che ne costituisce la base giuridica).
   Tra i contenuti salienti della direttiva, vanno segnalati: a) taluni principi generali ai quali devono conformarsi le norme nazionali di recepimento (art. 3); b) norme sulla competenza delle autorità di vigilanza dei vari Stati membri nelle offerte pubbliche d’acquisto (di seguito “OPA”) transfrontaliere e sul diritto ad esse applicabile (art. 4); c) regole di base in materia di OPA (che contemplano, ad esempio, le circostanze nelle quali è obbligatorio effettuare un’offerta, i parametri per la determinazione del prezzo della stessa, i contenuti del documento d’offerta redatto dall’offerente, gli obblighi informativi verso i dipendenti delle società coinvolte e il periodo di efficacia dell’offerta) (artt. 5, 6 e 7); c) regole relative alle misure difensive (artt. 9 e 11); d) obblighi di disclosure per le società i cui titoli formino oggetto di un’OPA (art. 8 e 10) e, infine, f) regole relative agli azionisti di minoranza rimanenti in seguito a un’OPA totalitaria (c.d. regole di squeeze-out e sell-out) (artt. 15 e 16).
   All’emanazione, a livello comunitario, della direttiva, ha fatto seguito la l. 18 aprile 2005, n. 62 (c.d. legge comunitaria 2004), che ha conferito la delega al Governo per la sua attuazione. Successivamente, per limitarsi al 2007, dopo la pubblicazione di un documento di consultazione sul sito internet del Ministero dell’Economia e Finanze (di seguito “consultazione 2007”), il Consiglio dei Ministri ha dunque approvato in settembre uno schema di decreto legislativo, poi sfociato nel D. lgs. 19 novembre 2007, n. 229 dopo il vaglio delle commissioni parlamentari competenti [1].
   Alla luce di ciò, si ritiene di sicuro interesse una prima disamina delle scelte attuative del legislatore delegato, onde poter offrire a tutti gli operatori del diritto taluni orientamenti di massima.
   La trattazione a seguire, lungi da pretese di esaustività, si sofferma sui soli pilastri portanti della nuova regolamentazione. In particolare, alla discussione sulla delimitazione dell’ambito applicativo delle nuove norme, si è fatta seguire la trattazione della disciplina di determinazione del prezzo d’offerta, degli obblighi informativi verso i lavoratori delle società coinvolte, delle misure difensive pre-[2] e post-offerta [3] e della disciplina dei diritti c.d. di squeeze e sell out.

   2. Ambito applicativo della nuova disciplina sull’OPA
   Il primo punto che merita la nostra attenzione, è dunque la conformazione dell’ambito applicativo della nuova disciplina sulle OPA.
   Le norme contenute nella direttiva, infatti, si applicano alle OPA relative a titoli di una società di diritto di uno Stato membro, quando anche solo una parte di essi sia negoziata in un mercato regolamentato comunitario (art. 1) e ove per OPA, ai sensi della direttiva, devono peraltro intendersi soltanto le offerte successive o strumentali all’acquisizione del controllo (art. 2, c. 1, lett. a). Non è, invece, prevista alcuna ipotesi di limitazione soggettiva con riferimento alla natura dell’offerente, che può pertanto essere qualsiasi persona fisica o giuridica, tanto di diritto pubblico o privato, anche se sottoposta al diritto di un paese extraeuropeo.
   Ciò premesso, la prima significativa scelta attuativa del legislatore delegato inerisce appunto alla delimitazione dell’ambito applicativo delle nuove norme comunitarie. In generale, infatti, il legislatore ha optato per la più vasta armonizzazione possibile, rendendo applicabili gli obblighi di matrice comunitaria (ad esempio, con riferimento alla disciplina sulle pubblicazione dell’offerta contenuta nel nuovo art. 102 del TUF) a tutte le offerte indiscriminatamente – cioè indipendentemente dall’essere «successive o strumentali all’acquisizione del controllo» –, restringendo a quest’ultima tipologia soltanto l’ambito applicativo di quelle norme della direttiva che nel fine di acquisizione del controllo trovano la propria compiuta ragion d’essere. Ci si riferisce, in particolare, a quelle su informativa ai lavoratori e a quelle, di non poco conto, su passivity e breakthrough rules, sulla clausola di reciprocità [4] e sul riparto di competenze tra diverse autorità di vigilanza nazionali.
   Venendo dunque al primo termine da definire, quello di “titoli”, il legislatore delegato ha aggiunto, nello schema di decreto da noi analizzato, un nuovo art. 101-bis al d. lgs. 58/98 (di seguito “TUF emendato”), in cui ha stabilito che – ai fini della disciplina sulle OPA contenuta nel relativo capo – debbono intendersi per “titoli”, tutti quegli «strumenti finanziari che attribuiscono il diritto di voto, anche limitatamente a specifici argomenti, nell’assemblea ordinaria o straordinaria».
   Giova a questo punto notare come questa definizione possa risultare più ristretta di quella espressamente fatta propria dalla Direttiva, che parla genericamente di valori mobiliari che attribuiscano «il diritto di voto in una società», definizione nella quale potrebbero astrattamente ricomprendersi anche quegli strumenti finanziari che danno vita ad assemblee speciali – come le azioni di risparmio o le obbligazioni – competenti ad esprimersi con riferimento alle deliberazioni assembleari che pregiudichino i diritti dei relativi possessori. [5]
   Nella consultazione 2007, si affermava inoltre che, pur potendosi ritenere inclusi nella definizione comunitaria, rimanevano fuori da quella contenuta nell’ art. 101-bis del TUF emendato gli strumenti finanziari partecipativi, [6] che «possono essere dotati del diritto di voto su argomenti specificamente indicati e [a cui] in particolare può essere riservata … la nomina di un componente indipendente del consiglio di amministrazione o del consiglio di sorveglianza o di un sindaco» (art. 2351, c.5 C.c.). Tale opzione sembrava in particolare influenzata dall’impostazione teorica, per la verità non da tutti condivisa, [7] per cui i titolari di siffatti strumenti debbano necessariamente esercitare il diritto di voto riuniti in un’assemblea speciale di categoria e al di fuori di quella generale.
   A avviso di chi scrive, tale ultima esclusione risultava priva di ragionevole giustificazione, alla luce della possibilità (rimessa al potere regolamentare della Consob dall’art. 106, c. 3-bis TUF emendato) che gli strumenti finanziari partecipativi siano invece inclusi nel computo della soglia rilevante ai fini dell’obbligo di promuovere un’OPA.
   La soluzione emergente dalla consultazione 2007 avrebbe insomma consentito ad un offerente di consolidare la propria posizione rastrellando strumenti finanziari partecipativi che eventualmente attribuissero il diritto di voto su poche, ma significative materie (ad esempio, a cui fosse riservata la nomina di un amministratore), limitando i propri acquisti di azioni – con il contestuale effetto di contenere gli innalzamenti nel prezzo delle stesse e di ridurne il successivo prezzo di offerta (che, come si vedrà, è fissato al massimo prezzo pagato per una certa categoria di titoli nei dodici mesi precedenti alla promozione dell’offerta stessa) – senza poi essere obbligato ad acquistare gli eventuali residui strumenti finanziari partecipativi e finendo così per attribuire ai venditori di siffatti valori mobiliari un “premio“ per il controllo di categoria (cui, come già detto, può essere riservata la nomina di un amministratore), che non sarebbe però equamente ripartito con i residui portatori di identici strumenti.
   Molto opportunamente, la relazione al decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 229 ha parzialmente eliminato questo imbarazzo, statuendo che la definizione di titoli contenuta nel nuovo art. 101-bis TUF emendato deve intendersi estesa anche agli “strumenti finanziari partecipativi ai quali sia conferito il diritto di voto in assemblea.” Con riferimento a quest’ultima fattispecie, sarebbe stato forse opportuno (per evitare che la soluzione della querelle dottrinale relativa alla sede di esercizio del diritto di voto da parte dei portatori di strumenti finanziari si possa riverberare sulla portata della norma stessa, ingenerando una situazione analoga a quella prospettata appena sopra) prescindere dal dato formale dell’esercizio del diritto di voto nell’assemblea generale o in quella speciale, facendo invece riferimento al profilo sostanziale delle materie in ordine alle quali tale diritto di voto sia attribuito (v. più diffusamente infra, sez. 3) [8].
   Il cerchio si restringe ulteriormente ai fini dell’applicazione delle norme comunitarie su informativa ai lavoratori, passività del board, neutralizzazione delle limitazioni al trasferimento dei titoli o all’esercizio del diritto di voto, reciprocità e riparto di competenze tra autorità di vigilanza, essendo escluse le offerte pubbliche di acquisto e di scambio che non siano successive o strumentali all’acquisizione del controllo, individuate dal legislatore delegato in quelle che a) non abbiano ad oggetto titoli, ovvero che b) abbiano ad oggetto titoli diversi da quelli attributivi del diritto di voto nelle deliberazioni assembleari riguardanti nomina o revoca [9] degli amministratori o del consiglio di sorveglianza o in genere argomenti comunque inclusi – ai fini del computo del capitale rilevante ai fini dell’obbligo di OPA – dalla Consob ai sensi dell’art. 105, c. 3 TUF; c) siano state promosse da chi dispone, individualmente, della maggioranza dei diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria della società o ancora d) che abbiano ad oggetto l’acquisto di azioni proprie.
   A parte la prima ipotesi, che rappresenta un’ovvia conseguenza della delimitazione dell’ambito di applicazione della direttiva alle sole OPA su titoli, le rimanenti tre offrono spunti di maggior interesse. Per quanto riguarda l’esclusione delle offerte su titoli che non attribuiscano il diritto di voto nelle deliberazioni assembleari a) in tema di nomina o revoca di amministratori o consiglieri di sorveglianza, o comunque b) sugli argomenti indicati dalla Consob, va notata l’ulteriore restrizione rispetto alla definizione generale di titoli contenuta nell’art. 101-bis del TUF emendato, in quanto risultano escluse le azioni a voto limitato che siano prive del diritto di voto nelle materie suindicate [10]. Ci si è, insomma, attestati sulla definizione di capitale rilevante contenuta nel vigente art. 105, c. 2 e 3 TUF ai fini della disciplina dell’obbligo di OPA; nozione che può ritenersi appropriata ove si consideri che lo scopo primo dell’acquisizione del controllo di una società è generalmente quello di favorire un ricambio degli organi amministrativi, al fine di imporre un mutato corso gestionale.
   Relativamente, invece, all’esclusione delle offerte promosse da chi dispone individualmente della maggioranza dei diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria della società, si rende necessario riconciliare il dettato dello schema di decreto con quello della direttiva, la quale si applica alle offerte successive o strumentali all’ottenimento del controllo. In condizioni di normalità, la normativa comunitaria sull’OPA troverà infatti applicazione in sede di acquisizione del controllo. Ove, tuttavia, venga omessa in tale fase, dovrà comunque ricevere applicazione successivamente (si pensi, ad esempio, ad un acquisto in blocco della partecipazione di controllo, da cui discende comunque il sorgere dell’obbligo di OPA), al fine di garantire ai soci e ai terzi posizioni equivalenti in entrambe le situazioni. Alla luce di ciò, l’esclusione operata dal legislatore delegato ha un senso soltanto ove venga riferita a offerte pubbliche c.d. di completamento, vale a dire a) successive ad altre offerte (si pensi ad un’OPA preventiva parziale o totale) nel corso delle quali le norme “di garanzia” riferite alle offerte strumentali all’acquisizione del controllo abbiano già ricevuto applicazione [11] o b) promosse da soggetti che detengano il controllo ab initio, ovvero che lo abbiano acquisito secondo modalità tali da non innescare l’obbligo di promuovere un’OPA.
   Infine, l’esclusione delle OPA relative alle azioni proprie discende banalmente dal fatto che non è possibile, ai sensi dell’art. 2357 C.c., (e sarebbe anzi assurdo oltre che pericolosissimo) che una società acquisisca il controllo di sé stessa, cosicché un’OPA su proprie azioni non può essere inerentemente orientata all’acquisizione del controllo.

   3. Offerte obbligatorie
   Passando al secondo punto della trattazione, cioè la disciplina delle offerte obbligatorie, l’art. 5 della direttiva impone agli Stati membri di introdurre un obbligo di proporre un’OPA su tutti i titoli dell’emittente interessato, qualora «una persona fisica o giuridica, per effetto di propri acquisti o dell’acquisto da parte di persone che agiscono di concerto con essa, detenga titoli di una società … che … le conferiscano, direttamente o indirettamente, diritti di voto in detta società in una percentuale tale da esercitare il controllo della stessa». Incidentalmente, va anche notato che il considerando 11 della direttiva afferma che i “titoli” dal cui acquisto possa scaturire l’obbligo di offerta, debbono considerarsi soltanto quei valori mobiliari che attribuiscano diritti di voto nelle assemblee ordinarie degli azionisti.
   Emerge dunque una differenziazione tra i titoli al cui acquisto deve essere rivolta l’offerta (tutti quelli attributivi del diritto di voto in una società), e quelli dal cui acquisto possa scaturire l’obbligo di promuovere un’offerta (in particolare, resterebbero fuori le azioni a voto limitato attributive del diritto di voto nella sola assemblea straordinaria, ovvero gli strumenti finanziari partecipativi che non consentano l’esercizio del diritto di voto, seppur su specifiche materie, nell’assemblea ordinaria).
   Il legislatore comunitario non ha inoltre ritenuto opportuno fissare una specifica soglia, decisione che è stata suo tempo accolta positivamente da autorevole dottrina, [12] in quanto, a seconda del grado di concentrazione proprietaria tipico di ogni singolo ordinamento, una medesima soglia avrebbe potuto assumere valenze pratiche largamente differenti.
   Con riferimento a queste problematiche, il documento di consultazione 2007 originariamente fissava il presupposto dell’OPA nel solo possesso di “azioni”, scostandosi così dalla definizione di “titoli” contenuta nell’art. 101-bis, c. 2 del TUF emendato.
   Tuttavia, atteso che secondo i redattori del suddetto documento – come osservato sopra – nella definizione generale di titoli di cui all’art. 101-bis non dovevano ritenersi inclusi gli strumenti finanziari partecipativi, i “titoli” ivi menzionati – attributivi del diritto di voto nell’assemblea ordinaria o straordinaria – non potevano che essere azioni.
   La relazione al decreto legislativo approvato dal consiglio dei ministri, invece, stabilisce che la partecipazione rilevante ai fini del controllo è calcolata sulla base dei titoli (come definiti nell’art. 101-bis) che conferiscono diritti di voto nelle deliberazioni assembleari relative alla nomina e alla revoca degli amministratori. Insomma, nella nozione di “titoli” rilevante ai fini della disciplina dell’OPA obbligatoria finiscono dunque anche gli strumenti finanziari partecipativi attributivi del diritto di voto (sulle materie rilevanti ex art 105 TUF) nell’assemblea generale.
   Può tutt’al più sottolinearsi il parziale vuoto normativo lasciato con riferimento a quegli strumenti finanziari partecipativi sì attributivi del diritto di voto su specifiche materie (e principalmente sulla nomina di un consigliere di amministrazione), ma il cui esercizio debba, per previsione statutaria, spiegarsi in seno ad un’assemblea speciale, risultando in virtù di quest’ultima previsione esclusi dalla nozione di “titoli” ex art. 101-bis TUF emendato.
   Da un lato, infatti, la Consob, nell’esercizio del potere regolamentare previsto dall’art. 106, c.3-bis del TUF emendato, potrebbe includere nel calcolo della soglia di partecipazione rilevante ai fini dell’obbligo di OPA anche agli strumenti finanziari partecipativi che, a prescindere dal luogo di esercizio del diritto di voto, conferiscano quest’ultimo con riferimento alle materie indicate dall’art. 105 TUF “in misura tale da attribuire un potere complessivo di voto equivalente a quella di chi detenga la partecipazione di cui al comma 1 [30% dei titoli con diritto di voto nelle materie di cui all’art. 105 TUF]”.
   D’altro canto, gli stessi strumenti finanziari che sarebbe dunque possibile conteggiare ai fini del sorgere dell’obbligo di OPA alla luce della previsione testé riportata, potrebbero invece non costituire “titoli” al cui acquisto debba essere diretta l’offerta stessa (in quanto non attributivi del diritto di voto nell’assemblea generale), così da aprire il campo ad operazioni speculative, consistenti nel “rastrellamento” di strumenti attributivi del diritto di voto nelle materie ex art 105 TUF, esercitabile al di fuori dell’assemblea generale, senza poi essere tenuti ad estendere anche ai residui portatori dei medesimi strumenti l’offerta di acquisto, con l’ulteriore effetto di contenere gli acquisti di altri titoli, che invece rilevino sia ai fini dell’innesco dell’obbligo di OPA sia quale oggetto della stessa (ad es. azioni ordinarie), così da tenerne basso il prezzo.
   In sostanza, e soprattutto con riferimento all’OPA obbligatoria, sarebbe invece forse stato più opportuno distaccarsi dalla definizione dell’art. 101-bis, ancorata al “luogo” di esercizio dei diritti di voto, e qualificare invece come “titoli”, anche ai fini delle determinazione dell’oggetto dell’OPA, tutti gli strumenti finanziari partecipativi che conferissero il diritto di voto su determinate materie, a prescindere dal “luogo” di esercizio di detto diritto (che è invece richiamato dall’art. 101-bis).
   D’altronde, ove ad una categoria di strumenti finanziari si colleghi il diritto di concorrere alla nomina/revoca di componenti dell’organo amministrativo, possono ad essa estendersi tanto le esigenze di partecipazione al “premio di maggioranza” – in virtù dell’idoneità degli strumenti di siffatta categoria a consentire l’acquisizione del controllo sulla gestione dell’attività economica svolta dalla società [13] – che quelle di trasparenza, alle quali la disciplina dell’OPA obbligatoria offre adeguata protezione.
   Va inoltre aggiunto che l’art. 106 del TUF emendato connette l’obbligo di promuovere un’OPA all’acquisizione di una partecipazione superiore al trenta per cento per effetto di “acquisti” e non più di “acquisti a titolo oneroso”, come stabilito nella normative previgente. La giustificazione della limitazione, nel sistema previgente, dell’obbligo di OPA agli acquisti a titolo oneroso discendeva dalla convinzione che una delle principali funzioni dell’istituto fosse quella di preservare la parità di trattamento degli azionisti nell’attribuzione del premio di maggioranza. L’estensione dell’obbligo di OPA a qualsivoglia trasferimento del controllo, comunque attuato, rende detto istituto piuttosto funzionale alla soluzione dei problemi di agency che seguono al trasferimento del controllo “sul presupposto che sarà assai probabile un conflitto tra soci di maggioranza e quelli di minoranza, conced[endo] a questi ultimi la possibilità di uscire dalla società prima che tale conflitto si verifichi.” [14]
   Al di fuori di queste annotazioni, i presupposti dell’offerta risultano sostanzialmente immutati, atteso che la soglia è tuttora fissata in una percentuale di capitale rilevante detenuta superiore al trenta per cento.
   Ritornando sulla disciplina comunitaria e sulla sua attuazione nel diritto interno, una delle sue principali innovazioni, foriera di possibili notevoli ripercussioni in quanto innalza, in sostanza, il costo dell’OPA, è – come si anticipava – quella per cui l’offerta debba avere ad oggetto non solo le azioni ordinarie, ma tutti i titoli quotati (ma non si specifica che questi debbano comunque attribuire il diritto di voto nelle materie menzionate dall’art. 105 TUF) e il “prezzo equo” a cui questi debbano essere acquistati è quello più alto pagato nei dodici mesi anteriori alla promozione dell’offerta (è questa l’opzione del legislatore delegato, all’interno della finestra tra i sei e i dodici mesi consentita dalla Direttiva). È inoltre degna di nota la disposizione, presente nella Direttiva (art. 4, c. 1 in fine), per cui, ove l’offerente faccia degli acquisti di titoli in pendenza dell’offerta ad un prezzo superiore a quello più alto pagato nei mesi precedenti la promozione dell’offerta stessa, il prezzo di quest’ultima si debba adeguare al successivo innalzamento. La disciplina di questa fattispecie è stata rimessa in sede di attuazione alla disciplina regolamentare della Consob (art. 106, c. 3, lett. d) TUF emendato). In merito a ciò, è questa la sede appropriata per osservare l’importanza di una previsione regolamentare, come l’art. 43 Reg. Emittenti, che – onde preservare la parità di trattamento tra i detentori di strumenti finanziari oggetto dell’offerta – consenta anche ai detentori di titoli che abbiano aderito all’offerta prima del suo successivo innalzamento (e che si vedrebbero di conseguenza svantaggiati nella distribuzione del premio di maggioranza a fronte di un incremento ex post del prezzo di offerta) di giovarsi della maggiorazione di prezzo.
   Proseguendo con riferimento al decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 229 una scelta condivisibile è quella di consentire, in particolari circostanze (ove, ad esempio, il prezzo più alto pagato sia frutto di eventi eccezionali o frutto di manipolazioni), alla Consob di abbassare il prezzo dell’offerta al di sotto di quello richiesto dalla direttiva (art. 106, c. 3, lett. c) TUF modificato), quale contrappeso alla rigidità del meccanismo di “prezzatura” ivi previsto.
   A seguito della promozione di un’offerta pubblica, sia essa obbligatoria o volontaria, diretta all’acquisizione del controllo, la normativa comunitaria ha poi introdotto una serie di obblighi informativi.
   È, infatti, prevista la comunicazione della decisione o del sorgere dell’obbligo di promuovere l’offerta, oltre che alla Consob, anche al mercato al fine di ridurre i rischi di insider trading (art. 6, c. 1 Direttiva recepito dall’art. 102, c. 1 TUF modificato). Il legislatore delegato ha opportunamente specificato nella relazione di accompagnamento che per “decisione” dovrà inoltre intendersi «una decisione adottata dall’organo competente in base alle regole del diritto societario applicabile all’offerente».
   Dovrà quindi seguire la trasmissione alla Consob del documento di offerta (atto costituente la formale promozione della stessa) per l’approvazione da parte di quest’ultima, richiesta dalla direttiva per il riconoscimento di detto documento anche negli altri Paesi membri, cui ne farà seguito la pubblicazione.
   Promossa l’offerta, spetta poi all’organo amministrativo della società emittente la redazione di un comunicato, contenente ogni dato utile per l’apprezzamento dell’offerta e la propria valutazione della medesima.
   Per le offerte specificamente «dirette all’acquisizione del controllo», sono poi previsti, in capo agli organi amministrativi delle società offerente ed emittente, ulteriori obblighi di comunicazione – ai rappresentanti dei lavoratori o in mancanza ai rispettivi lavoratori – a) della decisione (o del sorgere dell’obbligo) di promuovere l’offerta e b) del documento di offerta, una volta che siano stati resi pubblici. La società emittente deve inoltre indicare, nel proprio comunicato, gli effetti che l’offerta avrà su azionisti e altri stakeholders, oltreché sull’occupazione e sui siti produttivi, ed è tenuta a comunicare tale documento ai propri lavoratori.

   4. Misure difensive
   I punti di diritto sui quali tuttavia maggiore è stata la battaglia politica in sede di redazione della direttiva sono rappresentati dalle misure difensive che una società, i cui titoli abbiano formato oggetto di un’OPA, può opporre onde ostacolare l’iniziativa dell’offerente.
   Un primo tipo di misure difensive è dato da quelle adottate successivamente al momento in cui l’offerta è formulata o al momento in cui, comunque, si diffondano rumors su una possibile OPA. Tali misure possono, ad esempio, consistere nell’acquisto di azioni proprie sul mercato, nell’acquisto o vendita di rilevanti cespiti al fine di influenzare il valore delle azioni, o ancora nell’aumento di capitale sociale, che finisce per diluire la partecipazione dell’offerente, facendo salire, per questi, il costo dell’acquisizione. Tenendo a mente che uno dei primi effetti di un cambiamento nella posizione di controllo è proprio quello della sostituzione degli amministratori, può allora comprendersi come l’avversione del board dell’emittente al possibile takeover possa talora contrastare anche con gli stessi interessi degli azionisti. Pertanto, sul presupposto che spetti agli azionisti, in quanto proprietari, decidere delle sorti della loro società in presenza di un’offerta concreta, l’art. 9 della Direttiva introduce la c.d. passivity rule, peraltro già contemplata all’art. 104 TUF, in base alla quale l’organo di amministrazione è tenuto ad ottenere l’autorizzazione preventiva, dalla assemblea ordinaria o straordinaria, per compiere «atti od operazioni che possano contrastare il conseguimento degli obiettivi dell’offerta», tra i quali la direttiva stessa si premura di includere l’emissione di azioni che possano impedire durevolmente all’offerente di acquisire il controllo della società emittente.
   Una rilevante presa di posizione della Direttiva è poi quella relativamente al momento a partire dal quale acquisti efficacia la c.d. passivity rule (art. 9, c. 2, recepito all’art. 104 TUF modificato), che pone fine a una lunga querelle di diritto interno. In una prima fase applicativa della normativa interna sull’OPA, infatti, la Consob aveva ritenuto che l’obbligo di neutralità dell’organo amministrativo rispetto ad un’offerta decorresse non dalla pubblicazione del documento di offerta, ma dal momento della prima comunicazione dell’intenzione dell’offerente di lanciare l’offerta stessa, comunicazione che doveva essere trasmessa (secondo la normativa secondaria allora vigente) senza indugio e contestualmente all’emittente, al mercato e alla Consob. Peraltro, non essendo precisamente individuato un limite massimo di tempo intercorrente tra la comunicazione e il termine iniziale di durata dell’offerta, si finiva per ingessare oltremodo l’organo amministrativo dell’emittente. A fronte di talune prese di posizione del Consiglio di Stato e della dottrina, che avevano sottolineato come il riconnettere l’operatività della passivity rule alla mera comunicazione dell’offerta – dichiarazione questa priva delle informazioni necessarie per pervenire ad un fondato giudizio sull’offerta – finisse per pregiudicare l’esigenza di garantire agli azionisti un diritto di voice – suscettibile di avere concrete ripercussioni anche sugli esiti dell’offerta – l’autorità di vigilanza aveva parzialmente temperato la soluzione iniziale, modificando la normativa secondaria attraverso la previsione di una comunicazione “riservata” alla Consob (art. 37 Regolamento Emittenti), del cui adempimento deve successivamente essere data “senza indugio” notizia al mercato e all’emittente (dovendo indicare, tra l’altro, gli elementi essenziali e le finalità dell’offerta), momento quest’ultimo che costituirebbe allora il termine iniziale di operatività della passivity rule.
   Alla luce del dibattito precedente, la soluzione comunitaria non si presenta come particolarmente innovativa, atteso che torna a far decorrere gli obblighi del board dalla mera comunicazione al mercato della decisione o dell’obbligo di promuovere l’offerta. Momento, questo, in cui le informazioni necessarie per pervenire ad un fondato giudizio sull’offerta potrebbero non essere ancora disponibili, atteso che un’espressa previsione in tal senso è riferita soltanto al documento di offerta, di successiva pubblicazione. Rispetto alla prima esperienza applicativa della normativa sull’OPA nel nostro ordinamento descritta brevemente sopra, il TUF emendato (art. 102) presenta comunque talune significative differenze, che rendono apprezzabile lo sforzo compiuto dal legislatore delegato. L’art. 6 della Direttiva prescrive infatti, al comma 2, che il documento di offerta venga redatto “in tempo utile”, e l’art. 17 della stessa richiede che siano previste sanzioni “efficaci, proporzionate e dissuasive” a presidio delle violazioni delle norme sull’OPA. La concreta traduzione normativa di questi indirizzi da parte del legislatore italiano riflette appunto una consapevolezza degli errori passati, fissando non solo un termine di venti giorni [15] per la presentazione dell’offerta [16], ma presidiandone il rispetto con il divieto “di promuovere un’ulteriore offerta avente a oggetto prodotti finanziari del medesimo emittente nei successivi dodici mesi.” Con riferimento a quest’ultima previsione, in particolare, va rammentato come la promozione dell’offerta coincida, secondo il legislatore delegato, e come confermato nella relazione di accompagnamento allo schema di decreto attuativo, con la presentazione alla Consob del documento di offerta. Ne consegue che la mancata presentazione del documento nel termine prescritto equivale a una mancata presentazione dell’offerta stessa. Alla luce di ciò, potrebbe risultare fuorviante l’utilizzo della locuzione “ulteriore offerta” nella formulazione della sanzione, che potrebbe far pensare ad un divieto di proporre offerte pubbliche di acquisto ulteriori rispetto a quella la cui decisione (o il cui obbligo) siano già stati comunicati alla Consob e al mercato. In realtà, la sanzione in parola sarebbe più correttamente da intendersi in termini di decadenza dal potere di proporre l’offerta per i successivi dodici mesi, pena una forte diminuzione della sua portata dissuasiva, ove la prima offerta, magari anche grazie al dilazionamento nel tempo della presentazione del documento (che abbia sortito l’effetto di prolungare l’obbligo di passivity del board dell’emittente) sia andata a buon fine, facendo venire meno la necessità di proporre nuove offerte su titoli del medesimo emittente. L’interpretazione qui proposta serve dunque ad evitare che la sanzione comminata dal legislatore delegato degradi a una mera preclusione di eventuali OPA di completamento. Alla sanzione testé commentata si aggiunge, nei casi di OPA obbligatoria, la tutela predisposta dall’art. 110 TUF, il quale impedisce l’esercizio del diritto di voto relativo all’intera partecipazione, oltre ad un obbligo di alienazione delle partecipazioni in eccesso rispetto alla soglia per la promozione dell’OPA.
   Alla luce di quanto precede, può dunque ritenersi che i presidi normativi che sono stati affiancati alla previsione della decorrenza della passiviy rule dalla mera comunicazione dell’offerta siano tali da scongiurare il protrarsi dell’immobilizzazione del board dell’emittente per un periodo eccessivo, tale da “ostacolare indebitamente la società nella sua attività normale” (Considerando 16 della Direttiva).
   Non si è invece avvalso il legislatore della possibilità di anticipare l’obbligo di neutralità dell’organo amministrativo al momento in cui quest’ultimo venga a conoscenza della mera imminenza (e non ancora della comunicazione) dell’offerta, pur consentita dall’art. 9, c. 2 della Direttiva. Scelta prudente, atteso che la (probabile) mancata indicazione di un simile termine da parte degli altri Stati membri finirebbe per indebolire le imprese italiane rispetto a quelle comunitarie, sul piano della “resistenza” ad eventuali acquisizioni.
   Va inoltre aggiunto che persino le eventuali decisioni prese prima della comunicazione dell’offerta, e la cui attuazione sia ancora in fieri nel momento in cui quest’ultima venga formulata, necessitano di un’apposita autorizzazione per il proprio proseguimento, a condizione che si tratti di decisioni ricadenti al di fuori del “corso normale delle attività della società”, e la cui attuazione possa contrastare il successo dell’offerta. Con riferimento a quest’ultima ipotesi, può solamente rilevarsi l’ambiguità della locuzione “corso normale delle attività della società”, che funge da spartiacque tra le decisioni ante-offerta che necessitino di un’ulteriore specifica autorizzazione al proseguimento e quelle che non la richiedano.
   Non deve inoltre ritenersi ammissibile un’autorizzazione preventiva dell’assemblea all’organo amministrativo ad adottare misure difensive, atteso che dal complesso delle disposizioni contenute nella direttiva risulta chiaro come sia necessaria un’autorizzazione dell’assemblea in pendenza dell’offerta per l’attuazione di qualsivoglia tipo di misura difensiva, in qualunque momento approvata.
   È stata infine mantenuta la necessità dell’approvazione delle misure difensive da parte di una maggioranza rafforzata (trenta per cento del capitale), suscettibile tuttavia di temperamento in applicazione della regola di reciprocità (v. più diffusamente infra, sez. 5).

   5. Regola di neutralizzazione (breakthrough rule)
   Accanto alle misure difensive adottabili dagli amministratori, il legislatore comunitario si è ugualmente preoccupato di tutti i vincoli in essere prima dell’offerta che, come dei campi minati, possono a loro volta ostacolare il processo di acquisizione. Si aggiunga poi che la conformazione che siffatti vincoli possono assumere dipende in buona parte dalle singole normative nazionali (si pensi, ad esempio, alla possibilità di emettere azioni a voto plurimo, vietata in Italia dall’art. 2351, c. 4 C.c., ma ammessa in altri ordinamenti europei). Al fine di eliminare possibili squilibri, legati alle singole normative nazionali, nella geografia della contendibilità delle imprese, si è allora introdotta la c.d. breakthrough rule, che, proseguendo con la metafora bellica adoperata sopra, attua uno “sminamento” dell’emittente da preesistenti vincoli pregiudizievoli all’esecuzione dell’offerta.
   In particolare, le restrizioni al trasferimento di titoli o all’esercizio del diritto di voto (caso, quest’ultimo, in cui l’inefficacia di cui si dirà è peraltro limitata alle sole deliberazioni di misure difensive) contenute negli statuti societari o in accordi parasociali (conclusi successivamente all’entrata in vigore della direttiva) risultano inefficaci – rispetto al solo offerente – durante il periodo di pendenza dell’offerta, e i titoli a voto plurimo conferiscono soltanto un voto (sempre ai fini della sola deliberazione di misure difensive). Secondariamente, spetta all’offerente, che sia riuscito a conseguire almeno il 75% del capitale votante, il diritto di convocazione di un’assemblea generale per l’adozione delle opportune modifiche statutarie o dei provvedimenti di nomina/revoca dei membri dell’organo amministrativo. In tale sede risultano inoltre nuovamente inefficaci eventuali restrizioni all’esercizio del diritto di voto contenute nello statuto o in accordi parasociali, così come eventuali supermaggioranze o diritti di voto plurimo.
   Passando alle scelte attuative effettuate in materia del legislatore delegato, degna di nota è la nuova disciplina sull’efficacia dei patti parasociali in caso di OPA. Con riferimento a quelli che limitino la libera trasferibilità dei titoli è previsto debba applicarsi unicamente l’art. 123, c. 3 TUF, attributivo di diritto di recesso ex lege in caso di offerta promossa ai sensi degli articoli 106 o 107 (che, secondo la migliore dottrina, contemplano non solo le offerte totalitaria successiva e volontaria preventiva parziale, ma anche quella volontaria preventiva totalitaria), onde consentire ai paciscenti di aderire all’offerta stessa.
   Un maggiore rimaneggiamento si è invece reso necessario con riferimento ai sindacati di voto, atteso che il diritto di recesso ex art 123, c. 3 TUF spetterebbe solo ove il titolo venisse trasferito al termine dell’offerta. Il legislatore delegato ha però correttamente tenuto conto della situazione del detentore di titoli dell’emittente che desideri favorire la scalata dell’offerente, pur conservando la propria partecipazione, in quanto ritenga, ad esempio, che la linea gestionale che quest’ultimo si ripropone di attuare possa ulteriormente incrementare il valore di mercato della propria partecipazione. Per favorire il libero esercizio di diritti di voto da parte anche di siffatta categoria di detentori di titoli, il legislatore delegato ha dunque incluso una previsione di limitata inefficacia, rispetto all’offerente, dei sindacati di voto in pendenza dell’offerta (art. 104-bis TUF modificato). È, ancora, previsto che, in caso di successo dell’offerta, l’offerente sia tenuto ad indennizzare i titolari di un diritto che sia stato “leso” per effetto dell’applicazione della regola di neutralizzazione, in quanto scaturente da un limite statutario alla circolazione dei titoli, o da una limitazione, statutaria o parasociale, all’esercizio del diritto di voto.
   Apprezzabile è, infine, anche la scelta del legislatore nostrano di non avvalersi della possibilità di applicazione meramente facoltativa di passivity e breakthrough rule, che pure è consentita nella direttiva. Segnatamente, infatti, l’art. 12 di quest’ultima ammette la possibilità per i singoli Stati a) di rimettere alle sole scelte statutarie l’applicazione delle due summenzionate regole in caso di OPA. Alternativamente, è parimenti consentito renderle obbligatorie, b) subordinandone però l’applicazione nel caso concreto alla condizione di reciprocità (vale a dire a condizione che l’offerente sia a sua volta tenuta a rispettarle) o, ancora, c) tout court, vale a dire senza alcuna condizione di reciprocità. Il decreto legislativo di recepimento si è quindi orientato sulla posizione sub b) (art. 104-ter TUF emendato), sicuramente più costruttiva della prima, sotto il profilo del contributo all’integrazione comunitaria. Peraltro, il c. 3 dell’art. 104-ter TUF emendato disciplina anche il caso di “equivalenza parziale” nell’applicazione della passivity rule, che si verifica qualora l’offerente applichi detta regola, ma l’assemblea sia costituita e deliberi secondo quorum meno rigorosi di quelli richiesti dall’articolo 104, c. 1 TUF emendato. In tale situazione è consentito all’emittente, pur non disapplicando l’articolo 104, di deliberare misure difensive con i quorum ordinari stabiliti dal codice civile per l’assemblea ordinaria e straordinaria.

   6. Squeeze out e sell out
   Venendo all’ultimo punto di questa trattazione, un accenno meritano le regole relative al diritto di squeeze out (lett. “spremere fuori”) dell’offerente, consistente nel diritto di acquistare, a certe condizioni, le azioni degli azionisti di minoranza e a quello, simmetrico, di sell out di questi ultimi.
   Con riferimento al secondo, in particolare, la ratio può rinvenirsi nella necessità di ridurre la c.d. pressure to tender, e cioè quella pressione, frutto delle dinamiche di azione collettiva degli azionisti dell’emittente, ad aderire all’offerta in previsione della possibilità che il prezzo delle azioni di minoranza al termine della stessa si abbassi, e che paradossalmente finisce per facilitare il successo di offerte di acquisto che non incrementano il valore della società e a cui dunque non sarebbe neppure nel migliore interesse degli azionisti aderire [17]. Pertanto, consentendo all’azionista di minoranza di fare acquistare, a seguito di un’OPA totalitaria, le proprie azioni dall’offerente ad un giusto prezzo – identificato all’art. 108 del TUF modificato con il corrispettivo dell’offerta (in assenza di circostanze sopravvenute) – si riduce l’incentivo a vendere indiscriminatamente per sola paura di trovarsi in possesso, al termine dell’offerta, di azioni dal valore sensibilmente ridotto. Il legislatore delegato, in particolare, ha fissato la soglia per il sorgere di tale diritto nel 95% (la direttiva lasciava una finestra tra il 90 e il 95%) del capitale rappresentato da titoli, dovendosi però specificare che, in presenza di più categorie di titoli, tale diritto sorge solo in capo ai possessori di titoli nelle cui classi l’offerente abbia effettivamente superato la soglia del 95%. Incidentalmente, è interessante notare come la soglia fosse definita a livello comunitario con il doppio riferimento ad una certa percentuale di capitale e di diritti di voto, per tenere conto delle azioni a voto plurimo, non ammesse nel nostro ordinamento.
   Simmetricamente, all’offerente è attribuito un diritto di squeeze out nei confronti degli azionisti di minoranza (art. 111 TUF modificato), ove a seguito di un’OPA totalitaria venga a detenere almeno il 95% del capitale rappresentato da titoli ovvero , in presenza di più categorie, di una singola classe di titoli (alla quale sarà anche limitato il diritto di squeeze out).
   Concludendo, può infine apprezzarsi la scelta del legislatore delegato di prevedere (art. 108, c. 2 TUF emendato) un ulteriore l’obbligo di acquisto in capo all’offerente da chi ne faccia richiesta dei titoli residui a fronte del superamento della soglia del 90% del capitale rappresentato da titoli quotati (o, limitatamente ai detentori di titoli di una determinata categoria, a fronte del superamento della soglia del 90% all’interno della stessa), qualora non venga ripristinato un flottante sufficiente. L’esigenza tutelata da quest’ultimo istituto, infatti, non è quella di ridurre la pressione ad accettare l’offerta da parte degli azionisti, quanto piuttosto quella di garantire ad essi, anche – in teoria – qualora il valore delle rispettive azioni si sia innalzato a seguito del mutamento del controllo, una possibilità di pronta liquidazione del relativo titolo, esigenza che era quella propria dell’OPA residuale, scomparsa nel nuovo assetto normativo.

Note

   [1] Disponibile su http://www.governo.it/Governo/Provvedimenti/testo_int.asp?d=37195.

   [2] Quali strutture differenziate dei titoli azionari o limiti alla circolazione azionaria contenuti in patti parasociali o negli statuti societari.

   [3] Cioè quei provvedimenti assunti dall’organo amministrativo per impedire il buon fine dell’offerta.

   [4] Il riferimento alla regola di reciprocità, limitandosi a fissare delle condizioni per disapplicare le norme su passivity rule e regola di neutralizzazione delle limitazioni al trasferimento dei titoli o all’esercizio del diritto di voto (breakthrough rule), potrebbe a rigore sembrare ridondante. In realtà, esso mira ad evitare che l’omessa esclusione delle offerte non “successive o strumentali” all’acquisizione del controllo dal suo ambito di applicazione potesse servire quale base testuale per una interpretatio abrogans della delimitazione operata nell’art. 101-bis TUF emendato con riferimento alle summenzionate regole di passività e neutralizzazione.

   [5] Non è, peraltro, detto che la promozione di un’offerta con riferimento a siffatti strumenti non possa essere “strumentale” all’acquisizione del controllo. Si pensi ad un’offerta promossa con riferimento ad obbligazioni convertibili.

   [6] In particolare, il commento all’art. 101-bis del TUF emendato contenuto nella consultazione 2007 stabiliva che «non si dovrà tenere conto degli strumenti finanziari partecipativi nella determinazione dell’oggetto dell’offerta obbligatoria, dell’offerta preventiva totalitaria e dell’offerta preventiva parziale».

   [7] Cf. G.F. CAMPOBASSO, Diritto Commerciale, vol. 2 (a cura di M. Campobasso), 2006, p. 225, nota 43.

   [8] Con riferimento all’interpretazione del divieto di voto nell’assemblea generale degli azionisti contenuto negli artt. 2346, c. 6 e 2349, c. 2 C.c., il riferimento del legislatore delegato – seppur nella sola relazione al decreto legislativo e, dunque, in un documento privo di valore vincolante – agli “strumenti finanziari partecipativi ai quali sia conferito diritto di voto in assmblea” (che, ai sensi dell’art. 101-bis TUF emendato, non può che essere quella generale degli azionisti) sembrerebbe avvalorare la tesi di quella dottrina che interpreta il summenzionato divieto solamente nel senso di precludere un’attribuzione del diritto di voto su materie non specificate.

   [9] Il precedente riferimento al voto nelle deliberazioni relative alla responsabilità degli amministratori è stato espunto dall’art. 105 TUF emendato.

   [10] O gli strumenti finanziari partecipativi attributivi del diritto di voto – da esercitare nell’assemblea generale – su materie diverse da quelle indicate nell’art. 105 TUF.

   [11] V. art. 5, c. 2 della Direttiva.

   [12] Si veda M. VENTORUZZO, The Thirteen Directive and the Contrast Between European and U.S. Takeover Regulation: Different Regulatory Means, Not so Different Political and Economic Ends, Bocconi Legal Studies Research Paper No. 06-07, http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=819764.

   [13] Si riporta un esempio tratto dal Documento di Consultazione della Consob per la revisione del Regolamento Emittenti dell’8.11.2004: «[i]n linea teorica, vi potrebbe essere un soggetto che, da una parte, in virtù della propria partecipazione azionaria e di una particolare clausola statutaria del voto di lista, riesca a nominare la metà dei componenti del CdA di una società quotata e, al contempo, disponendo della maggioranza di strumenti finanziari partecipativi a cui è riservata la nomina di un amministratore, riesca a nominare un ulteriore amministratore, avendo quindi a disposizione, nel complesso, la maggioranza in consiglio».

   [14] R. KRAAKMAN ET AL., Diritto societario comparato, 2006, p. 224, traduzione italiana a cura di Luca Enriques.

   [15] Tale termine vale anche per le offerte obbligatorie, secondo la previsione dell’art. 106 TUF.

   [16] La pubblicazione del documento di offerta a seguito dell’approvazione della Consob, con riferimento alle società quotate, dovrà avvenire entro 15 giorni dalla presentazione dello stesso ad opera dell’offerente; termine che potrà essere “sospeso” per ulteriori quindici giorni ove vengano richieste ulteriori informazioni dalla Consob. La previsione di termini tendenzialmente ristretti è stata fatta proprio nell’ottica di impedire un eccessivo ingessamento della società emittente per via dell’operare della passivity rule, come emerge dalla stessa relazione al decreto legislativo, nel commento all’art. 102 TUF emendato.

   [17] Cfr. F. M. MUCCIARELLI, White Knights and Black Knights: Does the Search for Competitive Bids Always Benefit the Shareholders of “Target” Companies?, Working Paper, http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=910220#Paper%20Download, pag. 4.

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