il diritto commerciale d’oggi
     VI.2 – luglio-agosto 2007

GIURISPRUDENZA

 

TRIBUNALE BOLZANO, ordin. 26 dicembre 2006; Giud. Mori – Cembran ed altri
    Non è manifestamente infondata, per violazione dell’art. 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 142 legge fall,, come modificato dal d. lgs. 9 gennaio 2006 n. 5, nella parte in cui, in modo irrazionale, introduce l’istituto della esdebitazione e, in subordine, limita l'istituto dell'esdebitazione al soggetto imprenditore fallito e ai fallimenti chiusi dopo l'entrata in vigore della legge.

 

Motivi della decisione – La legge delega 14 maggio 2005, n. 80, art. 6, lett. a/13 ha previsto l’istituto della esdebitazione con le seguenti regole:
   – introdurre la disciplina dell’esdebitazione e disciplinare il relativo procedimento, prevedendo che essa consista nella liberazione del debitore persona fisica dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti qualora:
   – abbia cooperato con gli organi della procedura fornendo tutte le informazioni e la documentazione utile all’accertamento del passivo e al proficuo svolgimento delle operazioni;
   – non abbia in alcun modo ritardato o contribuito a ritardare la procedura;
   – non abbia violato le disposizioni di cui alla gestione della propria corrispondenza;
   – non abbia beneficiato di altra esdebitazione nei dieci anni precedenti la richiesta;
   – non abbia distratto l’attivo o esposto passività insussistenti, cagionato o aggravato il dissesto rendendo gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari o fatto ricorso abusivo al credito;
   – non sia stato condannato per bancarotta fraudolenta o per delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio, e altri delitti compiuti in connessione con l’esercizio dell’attività d’impresa, salvo che per tali reati sia intervenuta la riabilitazione.
   La nuova legge fallimentare (d.lgs 9 gennaio 2006, n. 5) ha introdotto pertanto con l’art. 142 l’istituto della esdebitazione, così regolato. Il fallito persona fisica è ammesso al beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti qualora:
   1) abbia cooperato con gli organi della procedura, fornendo tutte le informazioni e la documentazione utile all’accertamento del passivo e adoperandosi per il proficuo svolgimento delle operazioni;
   2) non abbia in alcun modo ritardato o contributo a ritardare lo svolgimento della procedura;
   3) non abbia violato le disposizioni di cui all’articolo 48,
   4) non abbia beneficiato di altra esdebitazione nei dieci anni precedenti la richiesta;
   5) non abbia distratto l’attivo o esposto passività insussistenti, cagionato o aggravato il dissesto rendendo gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari o fatto ricorso abusivo al credito;
   6) non sia stato condannato con sentenza passata in giudicato per bancarotta fraudolenta o per delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio, e altri delitti compiuti in connessione con l’esercizio dell’attività d’impresa, salvo che per tali reati sia intervenuta la riabilitazione. Se è in corso il procedimento penale per uno di tali reati, il tribunale sospende il procedimento fino all’esito di quello penale.
   L’esdebitazione non può essere concessa qualora non siano stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori concorsuali. Restano esclusi dall’esdebitazione:
   A) gli obblighi di mantenimento e alimentari e comunque le obbligazioni derivanti da rapporti non compresi nel fallimento ai sensi dell’articolo 46;
   B) i debiti per il risarcimento dei danni da fatto illecito extracontrattuale nonché le sanzioni penali ed amministrative di carattere pecuniario che non siano accessorie a debiti estinti.
   Sono salvi i diritti vantati dai creditori nei confronti di coobbligati, dei fldeiussori del debitore e degli obbligati in via di regresso.
   Il testo della norma corrisponde, con alcune aggiunte, al testo della legge delega.
   Viene quindi modificato, con norma eccezionale, e solo per alcuni soggetti, il precedente sistema generale per il quale il fallimento produce lo spossessamento temporaneo dell’imprenditore fallito al fine di consentire la liquidazione del suo patrimonio in regime di par condicio, fermo restando che, assicurata la par condicio temporanea e chiuso il fallimento, i creditori conservano il diritto di cercare di riscuotere il loro credito insoluto sui beni futuri del debitore (guadagni, eredità, vincite, donazioni, ecc.).
   La norma sulla esdebitazione è chiaramente eccezionale perché contravviene alla regola generale del nostro diritto civile per cui i debiti vanno pagati fino a che non vengano evangelicamente rimessi oppure fino a che non si prescrivano.
   In linea di principio non vi è nessuna regola costituzionale espressa che osti alla cancellazione dei debiti e l’amnistia per debiti era usuale già nel diritto romano; senz’altro rappresenta un vulnus più grave ai principi generali di un ordinamento giuridico una amnistia-condono che non una remissione dei debiti. Ovviamente purché non si leda il principio di eguaglianza, cosa molto difficile quando si pretende di selezionare i cittadini non in base a criteri matematici (ad esempio il reddito, l’importo del debito, ecc.), ma soggettivi.
   L’eccezionalità di una norma, che di per sé vulnera il principio di eguaglianza, deve essere sorretta da una razionalità assoluta che consenta di dare adeguata motivazione alla sua ragion d’essere; devono potersi individuare ragioni da cui si possa concludere che dal grande “insieme” dei debitori di somme di danaro, soggetti ad un comune destino, è stato possibile enucleare un sottoinsieme di debitori per i quali, in forza di loro particolari caratteristiche, una diversa norma e un diverso trattamento finiscono per garantire ancor meglio il principio di eguaglianza. In altre parole una norma che si pone apparentemente contro un principio costituzionale, si giustifica solo se ciò è necessario per realizzare ancor meglio il principio costituzionale o per non configgere con altri principi costituzionali di pari grado. È inconcepibile una norma eccezionale che crei situazioni di privilegio (privilegia ne irrogantur, dicevano già i latini).
   Questa regola non pare essere stata rispettata dal legislatore italiano il quale ha frettolosamente copiato istituti stranieri analoghi, ma in modo frammentario e senza rendersi conto che essi operano in un contesto normativo diverso. Ad esempio in Germania vi è l’esdebitazione (Schuldbereinigungsplan), ma essa non concerne solo i falliti, ma anche soggetti privati. Anche in Francia la legge 31 dicembre 1989, n. 1010, “relative à la prevention et au reglement des dfficultes liees au surendettement des particuliers et des familles” è rivolta a tutelare dal sovraindebitamento, con procedure di “risanamento personale” i consumatori, prima ancora degli imprenditori.
   Il fatto che in Italia l’esdebitazione sia riservata agli imprenditori falliti pone una serie di interrogativi a cui pare difficile dare una risposta razionale (o almeno lo scrivente non l’ha trovata):
   – per quale motivo l’imprenditore, cioè una persona che coscientemente ha assunto dei rischi, e che spesso ha potuto e saputo premunirsi adeguatamente da rischi personali eccessivi, ha diritto ad essere privilegiato rispetto al normale debitore che, ad esempio, ha fatto debiti per curarsi o per disgrazie varie (ad esempio proprio per il fallimento dell’imprenditore!)? Perché l’imprenditore deve essere tutelato e il suo dipendente, messo sulla strada, no?
   – per quale motivo deve essere privilegiato l’imprenditore importante rispetto al piccolo imprenditore il quale non può fallire e non può quindi godere dell’esdebitazione? Spesso ciò vuoi dire favorire chi ha fatto il passo più lungo della gamba, chi ha fatto ricorso ingannevole al credito, rispetto all’imprenditore prudente. L’esperienza insegna inoltre che l’imprenditore grosso è proprio quello che ha la possibilità di meglio tutelarsi di fronte ad un futuro fallimento (consulenti, fondi esteri, patrimoni in altre società o trust, ecc.);
   – per quale motivo il fallito che riesca a rifarsi una fortuna o che eredita deve essere avvantaggiato rispetto ai suoi creditori, magari rovinati più di lui dal fallimento? E col sistema creato si possono anche immaginare comportamenti truffaldini preordinati: l’imprenditore che ha molti debiti e prevede di ereditare a breve, ha tutto l’interesse a richiedere il proprio fallimento, a chiuderlo al più presto con un concordato ed a godere dell’esdebitazione! se un creditore di un fallimento ha dovuto fare debiti per sopravvivere, per quale motivo lui deve pagarli e il fallito no? Perché deve essere favorito chi ha agito in modo temerario nel campo commerciale, con danno di chi ha avuto l’unico torto di credere nel principio fondamentale di ogni economia secondo cui le obbligazioni vanno adempiute?
   – per quale motivo il fallito che è riuscito a convincere parenti ed amici a dargli delle fideiussioni, rimane libero da ogni obbligo verso i poveretti i quali invece continueranno a dover pagare per tutta la vita?
   E si potrebbe continuare con altri esempi altrettanto indicativi di una fondamentale ingiustizia giuridica e morale dell’istituto, così come delineato dalla norma.
   Quanto sia anomala la situazione creata risulta evidente ove si consideri che attualmente è possibile per un cittadino italiano, persona privata, residente in Germania o in Francia (magari ivi trasferitosi di recente, proprio per sfruttare la situazione), chiedere lo stato di insolvenza privata e la conseguente esdebitazione e poi estenderne le conseguenze anche ai debiti in Italia (Regolamento CE n. 1346/2000); cosa non possibile al cittadino italiano residente in Italia.
   Vi è poi il limite temporale stabilito dalla norma che fa sorgere egualmente dubbi di costituzionalità; la norma consente l’esdebitazione solo per gli imprenditori il cui fallimento si chiuda dopo l’entrata in vigore della legge e purché la domanda sia proposta entro un anno dalla chiusura. Nulla è stato stabilito per il passato e la natura eccezionale della norma impedisce di procedere ad interpretazione analogica. Per quale motivo chi è fallito in passato non dovrebbe poter godere dell’esdebitazione?
   Non è quindi manifestamente infondato il dubbio di incostituzionalità della norma perché in contrasto con l’art. 3 della Costituzione sotto i seguenti profili:
   1) Per irrazionalità dello istituto della esdebitazione, così come formulato, perché viene violato il principio di eguaglianza senza alcuna razionale giustificazione, senza che si possa individuare un criterio sostanziale che superi il dato formale costituito dai destinatari quali “imprenditori falliti”;
   2) Per la irrazionalità di privilegiare i soli grossi imprenditori, ignorando le più gravi esigenze dei piccoli imprenditori e dei debitori non imprenditori;
   3) Per la disparità di trattamento creata fra imprenditori il cui fallimento si è chiuso dopo l’entrata in vigore della legge e gli imprenditori il cui fallimento si è chiuso anteriormente.
   In ordine alla rilevanza della questione essa risiede nel fatto che a questo Collegio è stato chiesto di procedere alla applicazione dell’art. 142 l. fall. a quattro fattispecie che sicuramente vi rientrano, così che questo Collegio si trova a dover applicare necessariamente una norma che ritiene contraria alla Costituzione.
                                                             P. Q. M.
Visto l’art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87;
Dichiara d’ufficio non manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 3 della Costituzione, della legge delega 14 maggio 2005, n. 80, art. 6, lett. a/13 e del conseguente art. 142 della legge fallimentare, così come modificato dal d.lgs 9 gennaio 2006, n. 5, nella parte in cui, in modo irrazionale, introduce l’istituto della esdebitazione e, in subordine, limita l’istituto dell’esdebitazione al soggetto imprenditore fallito e ai fallimenti chiusi dopo l’entrata in vigore della legge.
(Omissis)

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