il diritto commerciale d’oggi
     VI.1– gennaio-giugno 2007

GIURISPRUDENZA

 

APPELLO TORINO, 8 marzo 2007 – Troiano Pres. – Macchia Est.; Notaio … c. PM
    Il notaio, che abbia rogato l’atto costitutivo di una società in accomandita semplice contenente una clausola compromissoria in violazione dell’art. 34, 2° comma, d. lgs. n. 5/2003, non è passibile di sanzione disciplinare ex art. 28 della legge notarile, essendo consentito ai soci di optare negli statuti societari per l’arbitrato di diritto comune.

Nota

   Svolgimento del processo. – Con atto 22/3/06 la Procura della Repubblica di Torino promuoveva procedimento disciplinare a carico del notaio dr. …, ascrivendole violazione dell’art. 28 n° 1 legge notarile n° 89/1913 in rel. ad art. 138 stessa legge per avere formato un atto nullo, in particolare inserendo in atto costitutivo s.a.s. clausola compromissoria contravvenente al disposto dell’art. 34,2° comma D.Lgs 17/1/03 n° 5 secondo cui, a pena di nullità, le clausole compromissorie relative e controversie tra soci o tra socio e la società devono prevedere che la nomina di tutti gli arbitri sia affidata a soggetto estraneo alla società, mentre nel caso in questione era prevista la nomina di due dei tre arbitri ad opera rispettiva delle parti contendenti.
   Nel giudizio davanti al Tribunale si costituiva l’incolpata nonché il Consiglio Notarile contestando, con tesi congiunte, la ricorrenza dell’addebito ascritto, in particolare adducendo con riferibilità dell’art. 34 D.Lgs. n° 5/03 cit. alle clausole per arbitrato irrituale (tale essendo asseritamente quello in oggetto), in ogni caso la compatibilità con l’arbitrato c.d. endo societario, previsto dalla citata norma, della pattuizione di un arbitrato di diritto comune per il quale la validità della clausola compromissoria prescindesse dalle prescrizioni di cui all’art. 34 cit.; gli opponenti segnalavano inoltre le incertezze e divergenze riscontrabili in dottrina e giurisprudenza sul significato e portata dell’art. 34 cit., desumendone la non ricorrenza degli estremi dell’infrazione al divieto di cui all’art. 28 legge not., sia perché la contrarietà dell’atto alla legge non era “manifesta”, sia per carenza di colpa, in ogni caso segnalando che il citato art. 28 si riferiva alla redazione di atti integralmente contrari a legge (o all’ordine pubblico o buon costume) e non al caso di eventuale nullità di una singola clausola non estendentesi all’intero contratto.
   Il Tribunale, rigettando le difese e rifacendosi al citato letterale dell’art. 34 2° comma D.Lgs. n° 5/03, come da lui interpretato, riteneva integrati gli estremi oggettivi e soggettivi dell’illecito contestato e, riconosciuta l’applicabilità delle attenuanti generiche, infliggeva la sanzione dell’ammenda.
   La sentenza veniva tempestivamente appellata, con separati atti, dalla incolpata e dal Consiglio Notarile; i predetti, svolgendo motivi pressoché interamente coincidenti, lamentavano analiticamente errori del giudice di primo grado nel non avere considerato trattarsi nel caso di specie di clausola di arbitrato libero, nell’avere ritenuto la non compatibilità con lo speciale arbitrato endosocietario previsto agli artt. 34 seg. del D.Lgs n° 5/03, di un arbitrato di diritto comune sulla medesima materia, e rifacendosi inoltre ai vari profili già svolti in primo grado; in subordine lamentavano erroneità dell’importo della sanzione pecuniaria applicata, atteso che doveva ritenersi ancora operante, in presenza di attenuanti generiche, la previsione di un ammontare compreso tra € l0,33 ed € 51, 65, di cui all’art. 16 del RD n° 1324/23, atteso che l’abrogazione di tale norma e la predisposizione della più elevata sanzione applicata, contemplata nella sopravvenuta normativa di cui all’art 26 del D.Lgs n° 249/06, era destinata a trovare applicazione nei procedimenti disciplinari instaurati dal 1/6/3007 (artt. 54 c 52 D.Lgs. cit.), mentre il presente procedimento risaliva ad epoca anteriore.
   Instauratosi il contraddittorio, compariva all’udienza camerale davanti a questa Corte il difensore delle parti appellanti; il P.G. concludeva per iscritto come in epigrafe; questa Corte disponeva la riunione delle due impugnazioni in quanto rivolte contro la medesima sentenza.

   Motivi della decisione. – La materia del contendere investe, ancorché sotto il profilo dell’illecito disciplinare in oggetto, una questione interpretativa dell’art. 34, 2° comma D.Lgs 17/1/03 n° 5 sul nuovo processo societario, nel quale, dopo essersi prevista la possibilità di fare oggetto di clausola compromissoria le eventuali insorgende controversie tra soci ovvero tra soci e società vertenti su diritti disponibili, si dispone che «La clausola deve prevedere il numero e le modalità di nomina degli arbitri, conferendo in ogni caso, a pena di nullità, il potere di nomina di tutti gli arbitri a soggetto estraneo alla società».
   In particolare si controverte nella presente sede sulla validità di clausola compromissoria la quale adotti un diverso sistema di nomina degli arbitri, prevedendo, come nel caso concreto, un collegio di tre componenti nominati uno per ciascuno dei due contendenti ed il terzo dai primi due ovvero, in mancanza di accordo, dal Presidente dell’Ordine dei dottori commercialisti.
   La tesi accolta dal Tribunale, qui oggetto di doglianza, si fonda sul presupposto che l’istituto regolato dagli artt. 34 segg. D.Lgs n° 5/03 cit. sia l’unica forma consentita di arbitrato e di clausola compromissoria in materia endosocietaria, sicché ove la clausola non rispetti le previsioni sopra menzionate, espressamente presidiate da sanzione di nullità, la pattuizione sarebbe invalida.
   Ritiene al contrario la Corte che gli artt. 34 segg. cit. abbiano unicamente inteso introdurre nell’ordinamento, per le controversie endo societarie, un particolare tipo di arbitrato in base a clausola compromissoria (caratterizzato da talune particolarità, tra cui l’automatica estensione della clausola agli amministratori, liquidatori e sindaci che abbiano accettato la carica, ancorché non parti del contratto sociale), senza con ciò precludere alle parti di valersi di clausole compromissorie di diritto comune, siano esse per arbitrato rituale che per arbitrato libero.
   La sopravvivenza, anche per le controversia endo societarie, dell’arbitrato rituale di diritto comune e della possibilità di prevederlo in clausola compromissoria appare desumibile dalle seguenti considerazioni.
   Il procedimento arbitrale previsto agli artt. 34 seg. cit. non è, nella sua struttura complessiva, quello ordinario modificato in funzione della specifica materia, bensì costituisce un distinto tipo di procedimento in sè concluso (ancorché coincidente per taluni aspetti con quello di diritto comune o necessitante di integrazioni analogiche tratte da tale disciplina); ne è riprova l’espresso richiamo dall’art. 35, 2° comma cit.; art. 829 e 831 cod. proc. civ. richiamati dall’art. 35, 3° comma cit.), richiamo che sarebbe privo di significato e di ragionevolezza qualora l’arbitrato di diritto comune costituisse già di per sè la base su cui si innestino singole disposizioni derogatorie dettate per le controversie endosocietarie.
   Una volta concepita la procedura arbitrale di cui agli artt. 34 segg. cit. come un rito a sé stante, non vi è ragione di attribuirgli natura di rito esclusivo, anziché alternativamente concorrente con l’arbitrato disciplinato dal cod. proc. civ.. Di tale esclusività non solo non vi è traccia nella legge, ma anzi emergono elementi in contrario.
Anzitutto l’art. 35, 5° comma del D.Lgs n° 5/03 cit. prevede espressamente, sia pure con enunciazione incidentale, la possibilità di un arbitrato libero in materia endo societaria, rito arbitra!e dunque alternativo e del tutto lecito, ove pattuito dalle parti.
   Inoltre, come condivisibilmente rileva la difesa degli appellanti, la legge delega di cui il D.Lgs in esame ha costituito attuazione, affidava all’esecutivo il compito di «prevedere la possibilità che gli statuti delle società commerciali contengano clausola compromissoria, anche in deroga agli artt. 806 e 808 del codice di procedure civile, per tutte o alcune tra le controversie societarie di cui al comma 1», dove l’espressione «prevedere la possibilità» implica di lasciare spazio all’autonomia negoziale e in ordine non solo alla adozione o non di eventuali clausole compromissorie, ma anche alla scelta di adottarle o non in deroga all’arbitrato di diritto comune.
   Infine la stessa relazione ministeriale enuncia che il tipo di arbitrato ivi previsto «si sviluppa senza pretesa di sostituire il modello codicistico» e afferma che il nuovo istituto comprende «numerose opzioni di rango processuale … che appaiono assolutamente funzionali alla promozione della cultura dell’arbiirato endo-societario»; il riferimento ad “opzioni di rango processuale” non può evidentemente riferirsi a facoltativi innesti delle disposizioni speciali su quelle dell’arbitrato comune, posto che la rubrica dell’art. 35 è formulata come “disciplina inderogabile del procedimento arbitra!e”: la facoltatività riguarda dunque l’uso dello speciale arbitrato ex artt. 34 seg., unitariamente inteso, rispetto all’arbitrato di diritto comune, che continua a concorrere, in alternativa e senza commistioni, nella materia in questione e può trovare applicazione in forza di clausola compromissoria di diritto comune.
   La scelta poi, operata in sede statutaria, di introdurre per le controversie endo societarie un arbitrato di diritto comune o di diritto speciale deve desumersi dal tenore della clausola; tale scelta può emergere proprio dal fatto che sia prevista una modalità di nomina degli arbitri diversa da quella prescritta all’art, 34, 2° comma cit., con previsione, dunque, la quale, lungi dall’essere nulla, è sintomatica dell’intendimento negoziate di volersi valere dell’arbitrato codicistico (mentre la sanzione di nullità comminata all’art. 34 cit. rimane circoscritta al caso in cui da altre disposizioni della clausola statutaria - che prevedano, ad esempio, automatico assoggettamento ad essa di amministratori e sindaci - sia desumibile l’intendimento dei costituenti di valersi delle disposizioni dell’arbitrato speciale).
   Alle soprastanti argomentazioni, che escludono la nullità di clausola compromissoria statutaria che si limiti a prevedere un sistema di nomina c.d. binario degli arbitri, altre se ne devono aggiungere con riferimento al caso di specie.
   Nel caso in esame la rogata clausola compromissoria, la quale, secondo il P.M., sarebbe affetta da nullità, prevede manifestamente un caso di arbitrato irrituale: leggesi infatti nella stessa «Gli arbitri giudicheranno inappellabilmente con equità e senza formalità di procedura. La loro decisione, anche se resa a maggioranza, è direttamente vincolante per le parti, come se tra esse concordata, secondo le regole dell’arbitrato libero e non suscettibile di impugnative e contestazioni salvo le impugnazioni inderogabilmente previste dalla legge».
   La compatibilità con gli artt. 34 seg. del D.Lgs n° 5/03 di un arbitrato irrituale in materia endo societaria e della relativa clausola compromissoria pare indubbia: è sufficiente por mente al disposto dell’art. 35, comma 5° D.Lgs cit., ove, nel disciplinarsi i rapporti con i procedimenti cautelari, si enuncia che «La devoluzione io arbitrato, anche non rituale, di una controversia non preclude il ricorso alla tutela cautelare …», prevedendosi altresì il potere degli arbitri (anche di arbitrato libero) di sospendere l’esecutività delle delibere assembleari impugnate. Il menzionato inciso, con cui si estende la norma all’arbitrato non rituale, rende manifesta la sopravvivenza di quest’ultimo istituto anche per le controversie endo societarie.
   Per altro verso si deve ritenere che la clausola per arbitrato irrituale, di per sè consentita, non richieda il rispetto della norma dell’art. 34, 2° comma cit., secondo cui «La clausola deve conferire … a pena di nullità il potere di nomina di tutti gli arbitri a soggetto estraneo alla società». Quest’ultima disposizione riguarda invero esclusivamente l’arbitrato rituale (di tipo speciale, come sopra si è detto) e non anche l’arbitrato libero; ciò si desume dall’art. 35, 2° comma D.Lgs. cit.: il detto comma, infatti, facendo riferimento al «procedimento arbitrale promosso a seguito della clausola compromissoria di cui all’art. 34», detta disposizioni che presuppongono un arbitrato rituale ed incompatibili con l’arbitrato libero (basti pensare al riferimento ad una «udienza di trattazione», e alle ivi previste modalità di intervento in causa di terzi ai sensi degli artt. 105, 106, 107 del codice di procedura civile», il quale implica una struttura contenziosa del procedimento; la cosa risulta ancora più chiaramente dal comma successivo, il quale, ponendosi con continuità di discorso nel trattare dell’arbitrato di cui all’art. 34, fa riferimento a specifiche norme del cod. proc. civ. dettate per l’arbitrato rituale, tra cui l’impugnazione per nullità ex art. 829 cod. proc. civ., chiaramente compatibili con il solo arbitrato rituale). Ne consegue che, essendo circoscritta la previsione delì’art. 34 cit. alle clausole compromissorie per arbitrato rituale (come desumibile anche, “a contrario”, dalla necessità di espressa previsione normativa per estendere all’arbitrato libero la specifica disposizione dettata in tema di provvedimenti cautelari, come da 5° comma dell’art. 35 cit.), ben può una clausola compromissoria di arbitrato libero contemplare modalità di nomina degli arbitri in modo diverso dalla loro totalitaria designazione da parte di soggetto estraneo alla società, senza con ciò incorrere nella sanzione di nullità ivi comminata.
   Rimane, certo, anche per l’arbitrato di diritto comune (libero o rituale), l’esigenza, messa in evidenza dalla giurisprudenza, che il collegio arbitrate sia composto in modo da garantire l’equidistanza tra i contendenti (Cass. 1/3/95 n° 2304); e tuttavia tale esigenza è adeguatamente soddisfatta nel caso di specie dalle modalità binarie previste nella clausola in esame, la quale contempla che ognuno dei due contendenti nomini un arbitro e che il terzo sia nominato dagli altri due (o in difetto di accordo dal Presidente del Cons. dell’Ordine dei dottori commercialisti).
   L’incolpato deve dunque assolversi con la formula ampia di insussistenza del fatto, non essendo affetta da nullità alcuna la clausola da lei rogata, oggetto di incolpazione. Ciò assorbe l’esame dei restanti motivi di doglianza.
   Si ravvisano giusti motivi di integrale compensazione delle spese, stante la qualità delle parti e le incertezze interpretativo nella materia controversa.
(Omissis)

Nota
    Secondo la Corte torinese l’arbitrato societario costituisce un procedimento arbitrale a sé stante, distinto da quello ordinario disciplinato dal codice di procedura civile, e per questa ragione configura alternativo e non esclusivo rispetto a quello ordinario, con la conseguenza che la clausola compromissoria statutaria contenuta nello statuto può demandare alle parti la nomina degli arbitri (anziché rimetterla ad un terzo, come prescritto dall’art. 34 del d. lgs. 17 gennaio n. 5) e che nessuna imputazione per responsabilità disciplinare può essere fatta al notaio rogante.
   Invero, la soluzione seguita dalla sentenza annotata, che ha respinto la contraria indicazione della sentenza di primo grado, suscita forte perplessità, ancorché trovi riscontro in opinioni della dottrina.
   Infatti, pur coesistendo coesistano due discipline dell’arbitrato (quella generale del codice di rito e quella speciale del d. lgs. n. 5/2003), non esiste una libertà di scelta dei soci circa la disciplina da applicare, per due ordini di motivi.
   Innanzitutto, considerato che le nuove norme hanno un evidente carattere di specialità, la fattispecie in esse prevista è sottratta alla disciplina dell’arbitrato di diritto comune, per tutte le disposizioni incompatibili; pertanto, agli arbitrati derivanti da una clausola compromissoria statutaria si applicano soltanto quelle norme (oltre quelle compatibili del codice di rito). Più precisamente, tra l’una e l’altra disciplina opera un’alternatività, sulla base di diverse fattispecie: clausola compromissoria nello statuto sociale ovvero clausola compromissoria in altri atti o compromesso.
   Inoltre, la nuova normativa si caratterizza per la sua imperatività (la rubrica dell’art. 35 è intitolata, significativamente, come “disciplina inderogabile del procedimento arbitrale”), imponendosi in tutti gli arbitrati che scaturiscano da clausole compromissorie, inserite liberamente negli statuti societari. Più precisamente, queste ultime – sia quelle preesistenti, sia quelle introdotte ex novo dopo l’entrata in vigore delle norme in esame – sono soggette alle nuove regole, tanto per l’ammissibilità della stessa clausola, quanto per la regolamentazione del procedimento arbitrale. Peraltro, come in ogni situazione giuridica, le parti sono libere di porre i presupposti (ossia realizzare la fattispecie concreta, rientrante in quella legale) per l’applicazione di una determinata disciplina, che poi si applica automaticamente, senza che occorra una determinazione delle stesse parti.
   Non c’è bisogno di una espressa indicazione circa l’esclusività della nuova disciplina per gli arbitrati scaturenti da una clausola compromissoria statutaria, siccome il fondamento normativo di tale esclusività sta nel fatto stesso di essere una disciplina (per di più dichiaratamente qualificata come imperativa, con una regola, quella sulla nomina degli arbitri ad opera di un terzo, stabilita sotto pena di nullità), ossia la regolamentazione giuridica – che solo il legislatore può fissare, non le parti – di una determinata fattispecie, qual è il rimettere preventivamente per arbitri le controversie sociali.
   La riforma societaria riconosce sì ampiamente l’autonomia privata nei rapporti societari, ma la vincola nelle forme e nei modi previsti dalla stessa novella. Per l’arbitrato societario gli artt. 34 ss. d. lgs. n. 5/2003 seguono un’analoga tecnica legislativa, secondo un criterio discretivo c.d. di opt-in: è stabilita una regola legale per la clausola compromissoria e l’arbitrato che ne deriva; regola che ha un contenuto fortemente inderogabile, ma che è applicabile soltanto se la società, avvalendosi della libertà negoziale, introduca tale clausola nel proprio statuto o atto costitutivo, arricchendone il contenuto legale sulla base dell’autonomia privata.
   Pertanto, è precluso alle società di introdurre negli statuti sociali clausole compromissorie che rimettano alle parti litiganti la nomina degli arbitri. Qualora ciò avvenga, la clausola è nulla e ricorre pure la responsabilità disciplinare ex art. 28 e 138 della legge notarile per il notaio che abbia rogato l’atto costitutivo o la deliberazione modificativa dello statuto.

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