il diritto commerciale d’oggi
     VI.1– gennaio-giugno 2007

STUDÎ & COMMENTI

 

GABRIELE RACUGNO

La rappresentazione contabile dello specifico affare *

 

1. La rappresentazione contabile. Generalità
   1.1. Il discorso prende necessariamente le mosse dal bilancio, classificabile fra le scritture contabili, che espone, ordinatamente e periodicamente, in sintesi – poiché riassume i dati delle altre registrazioni – i valori contabili del reddito e del capitale.
   Il collegamento tra il bilancio e le scritture contabili costituisce un dato giuridico pacifico e risalente nel tempo: il codice civile stabiliva all’art. 2403 (nel testo ante riforma del diritto societario) che il collegio sindacale deve, fra l’altro, «accertare la corrispondenza del bilancio alle risultanze del libri e delle scritture contabili», funzione questa ora per lo più di pertinenza del revisore o della società incaricata del controllo contabile (art. 2409 ter, lett. b).
   Le scritture contabili recepiscono a loro volta i fatti di gestione, cioè le operazioni aziendali poste in essere dall’imprenditore nelle imprese individuali, e dagli amministratori nelle imprese collettive, quali una vendita, un acquisto, un incasso; dai fatti di gestione possono derivare variazioni numerarie positive (+ danaro, + crediti di funzionamento, – debiti di funzionamento) o negative (– danaro, + debiti di funzionamento, – crediti di funzionamento).
   I fatti di gestione, che influiscono sui processi di formazione della ricchezza di impresa, devono essere «rilevati» nella contabilità. Ed in questo senso sia il codice civile che il tuf statuiscono espressamente una doverosa «corretta rilevazione nelle scritture contabili dei fatti di gestione» (rispettivamente art. 2409, ter, lett. a, e art. 155, 1° comma, lett. a).
   La sequenza dell’iter contabile passa così dai fatti di gestione alle scritture contabili e quindi al bilancio: i passaggi intermedi fra questo e le scritture contabili, procedendo a ritroso, sono costituiti dalle scritture di assestamento, dalla situazione contabile e dal bilancio di verifica, cioè dal prospetto che ricomprende, per saldi, tutti i conti movimentati nel periodo, senza distinzione tra conti di redditi e conti di capitale.
   Nelle scritture contabili, secondo un criterio cronologico (libro giornale) e sistematico (libro mastro), vanno dunque rilevati, con il metodo della «partita doppia», i fatti di gestione, secondo le norme di un’ordinata contabilità (art. 2219), nel rispetto delle regole predisposte dalla ragioneria e dalle scienze aziendali in genere, in armonia con le disposizioni che emergono dai principi contabili nazionali ed internazionali.
   1.2. La rilevazione nelle scritture contabili dei fatti di gestione costituisce l’«atto contabile», che consiste nell’iscrivere nelle scritture i valori dei fatti di gestione con relative denominazioni; la rilevazione, intesa come raccolta dei valori, determina la formale «rappresentazione contabile» (e siamo così all’incipit del tema affidato alla mia relazione) di questi valori mediante scritture sui libri e consente la misurazione degli accadimenti aziendali esprimibili in termini monetari, e quindi, la determinazione consuntiva del reddito d’esercizio e del capitale di funzionamento.
   Il momento della rilevazione o di registrazione del fatto di gestione in contabilità è generalmente individuato nell’insorgere della variazione numeraria, che normalmente coincide con l’emissione o il ricevimento della fattura o di documento analogo; non, di per sé, il tempo della stipulazione del contratto e neppure della consegna del bene. È di ausilio a questo proposito la normativa fiscale che fa coincidere, seppure non sempre, l’emissione o il ricevimento della fattura con il momento della genesi del credito o del debito nel quale si ha certezza e definitività dei valori. I fatti di gestione debbono essere appositamente documentati mediante la conservazione dei relativi «documenti contabili»: fatture di vendita, fatture di acquisto, ricevute fiscali, contratti, corrispondenza, altri documenti (art. 2214, 2° comma, seconda parte).
   La rilevazione nelle scritture contabili dei documenti evidenzianti i fatti di gestione viene effettuata nel periodo amministrativo nel quale i fatti si manifestano, nel momento in cui si verifica la variazione numeraria e nella misura di questa (c.d. criterio della manifestazione numeraria), senza attendere la correlata entrata o uscita monetaria, il cui verificarsi – intesa come entrata o uscita di tesoreria – è di per sé non significativa, essendo il bilancio nel nostro ordinamento contabile impostato secondo il «criterio di competenza» e non «di cassa»: art. 2423 bis, n. 3. La ratio del principio di competenza è quella di far emergere i risultati economici nell’esercizio in cui si sono realizzati i relativi proventi ed oneri, indipendentemente dal verificarsi della manifestazione numeraria. La lettera d) dell’art. 31 della IV direttiva è in proposito esplicita, statuendo il principio del divieto di considerare la data del pagamento o dell’incasso.
   Il principio di competenza, che ha trovato espressa collocazione nel codice civile ad opera dell’art. 3 del d. lgs. 9 aprile 1991, n. 127, i cui prodromi li troviamo nella disciplina dei ratei e dei risconti, ha una storia risalente nella prassi contabile, rilevando nella redazione dei bilanci, secondo la scienza aziendale, i ricavi e i costi imputabili all’esercizio: ogni fatto di gestione è sottoposto ad una valutazione economica in funzione della sua partecipazione alla formazione del reddito, piuttosto che rilevato in relazione alle implicazioni finanziarie, cioè all’entrata o uscita di tesoreria che determina o determinerà. Il preordinato processo organico e continuo di rilevazioni dà luogo alla contabilità generale, intesa come «il sistema di determinazione ed espressione in linguaggio matematico dei fatti e delle operazioni aziendali», la cui finalità è rappresentata dalla redazione del bilancio d’esercizio, che presuppone a sua volta, come si è detto, la predisposizione delle scritture «di assestamento» o «di rettifica», cioè sia la rilevazione di quei fatti di gestione che di per sé non abbiano ancora dato luogo a manifestazioni numerarie o assimilate (come la determinazione dei ratei e delle fatture da emettere e da ricevere), sia la riclassificazione delle variazioni economiche secondo il principio di competenza (quali il calcolo dei risconti e delle quote di ammortamento).
   È nel passaggio dalla situazione contabile al bilancio che trova applicazione il fondamentale principio (art. 2423 bis n. 3) che impone la rilevazione di tutti i valori di competenza economica dell’esercizio indipendentemente dalla contabilizzazione.
   1.3. Una precisazione, a questo punto, va necessariamente fatta per prevenire ogni equivoco a cui potrebbe dare adito la formula «corretta rilevazione dei fatti di gestione nelle scritture contabili».
Nelle scritture contabili non vengono rilevati direttamente i fatti di gestione, bensì i documenti nei quali gli stessi sono descritti: la contabilità non registra cioè fatti materiali, accadimenti fisici, ma i relativi documenti che li evidenziano. Documenti questi definiti anche documenti di primo grado. Sotto questo profilo il libro giornale e il libro degli inventari sono considerati documenti di secondo grado, e il bilancio documento di terzo grado. Ed in questo senso la revisione contabile, destinata ad attuarsi mediante un’evoluzione cronologica del controllo, ha la funzione di verificare che nelle scritture contabili sia correttamente effettuata la «trasposizione» dei documenti evidenzianti i fatti di gestione, a cui farà seguito, sempre ad opera del revisore, la verifica della corretta «sintetizzazione» nel bilancio d’esercizio delle risultanze delle scritture.
   Se da un lato dunque la contabilità rispecchia le operazioni d’impresa, dall’altro va tenuto presente che la rilevazione contabile non è un atto formale, non si riduce ad una mera fotografia degli atti di gestione. L’atto contabile implica un giudizio, una valutazione, l’assunzione di decisioni: in altri termini, una scelta, naturalmente nei limiti della ragionevolezza e delle regole. La gestione dell’impresa presuppone le conoscenze e le scelte che hanno presieduto la rilevazione contabile: gestione e contabilità appartengono entrambe all’organizzazione dell’impresa (art. 2082). Ed in questo senso anche «le regole di rendicontazione dello specifico affare» sono rimesse al ruolo organizzativo dell’imprenditore (art. 2447 ter, lett. g).
   1.4. L’imprenditore organizza così e pianifica strategicamente non solo l’attività economica dell’impresa (atti di gestione), ma ne orienta anche la funzione amministrativa attraverso l’organizzazione contabile (atti contabili), con la puntualizzazione che, mentre nella prima vale il principio della insindacabilità delle scelte essendo l’imprenditore soggetto al rischio di impresa, nella seconda trovano applicazione le regole della ragioneria, e quindi l’obbligo di tenuta delle scritture «secondo le norme di un’ordinata contabilità» (art. 2219), regole che non eliminano, peraltro, il ruolo organizzativo, e quindi il potere-dovere di scelte che, anche in questo settore dell’impresa, competono all’imprenditore in un’ottica di pianificazione volta a tutti i componenti dell’azienda, anche al fine di consentire ai finanziatori un più efficace monitoraggio dei propri apporti.

2. I patrimoni destinati e il piano economico-finanziario
   2.1. Un settore a cui la recente riforma del diritto societario ha riservato particolare rilievo per quanto concerne i profili dell’assetto contabile è costituito dai patrimoni destinati (art. 2447 bis), sia i c.d. operativi che i modelli caratterizzati dal finanziamento di uno specifico affare, vale a dire un’area di gestione separata e distinta all’interno del patrimonio generale della società, con un assetto contabile, come si dirà nel corso dell’esposizione, che consenta di tenere distinta l’attività di ogni affare da quella generale della società, di guisa che – secondo il lungimirante insegnamento di Costi – ogni settore abbia un suo sistema di scritture, cioè regole contabili idonee ad una corretta rappresentazione, in ogni momento, del patrimonio destinato allo specifico affare rispetto al patrimonio globale della società.
   La riforma, come è noto, in alternativa al consentire la limitazione del rischio d’impresa attraverso la creazione di società unipersonali da parte di un’altra società, ha introdotto la possibilità di pervenire ad analoghi risultati operando direttamente sul patrimonio dell’impresa societaria, di guisa che il patrimonio separato –– che costituisce una separazione patrimoniale in senso proprio, con efficacia reale (secondo il modello di separazione patrimoniale perfetta previsto dagli artt. 22 e 36, 6° comma, del tuf), e non meramente contabile (come accade nelle ipotesi di azioni correlate emesse con riferimento ad un determinato settore dell’attività sociale, ex art. 2350, 2° comma) –– risponde solo delle obbligazioni sue proprie senza che i creditori della società possano far valere, in deroga al principio generale di cui all’art. 2740, alcun diritto sul patrimonio destinato allo specifico affare, salvo che per la parte spettante alla società (art. 2447 quinquies, 1° comma), e ciò fino alla cessazione del patrimonio destinato. Reciprocamente per lo svolgimento delle obbligazioni contratte in relazione allo specifico affare la società risponde nei limiti del patrimonio ad esso destinato, con tre eccezioni in cui il diaframma di separazione viene meno: (i) obbligazioni derivanti da fatto illecito compiute nella gestione del patrimonio destinato (art. 2447 quinquies, 3° comma); (ii) obbligazioni per le quali la delibera costitutiva del patrimonio destinato preveda una responsabilità della società (art. 2447 septies, 4° comma); (iii) atti compiuti in relazione allo specifico affare in assenza di espressa menzione del vincolo di destinazione (art. 2447 quinquies, ult. comma).
   I patrimoni destinati (singolarmente o nel loro insieme) non possono essere costituiti per un valore complessivamente superiore al dieci per cento del patrimonio netto della società a valore contabile.
   2.2. Ricalcando la normativa in tema di leveraged buy out, il legislatore ha in primo luogo statuito che la delibera costitutiva del patrimonio destinato indichi «il piano economico-finanziario da cui risulti la congruità del patrimonio rispetto alla realizzazione dell’affare» (art. 2447 ter, 1° comma, lett. c) di modo che i creditori della società (la c.d. società gemmante) possano, se del caso, opporsi all’operazione (art. 2447 quater). I beni e i rapporti giuridici compresi nel patrimonio destinato – solitamente coordinati ad azienda o a ramo d’azienda, di cui possono far parte apporti di terzi (beni o danaro) – devono assicurare, così, non soltanto la redditività dell’affare ma anche l’idoneità degli stessi a produrre i flussi di cassa che ne consentano la realizzazione e, quindi, siano idonei a rimborsare e remunerare i creditori, nonché gli eventuali investitori. Un budget, dunque, che evidenzi le fonti e gli impieghi delle risorse finanziarie afferenti al patrimonio destinato sì da consentire ai creditori, agli operatori ed ai terzi in genere di individuare la capacità del patrimonio a cui l’affare è destinato di autofinanziarsi e di valutarne le prospettive in termini di investimenti-finanziamenti, tenuto conto della durata dell’affare determinata quantomeno per relationem. Il piano economico-finanziario, che, al pari degli altri elementi che costituiscono oggetto della delibera costitutiva del patrimonio destinato, è soggetto ad iscrizione nel registro delle imprese (art. 2447 quater), dovrà in particolare individuare il fabbisogno finanziario idoneo alla realizzazione dell’affare, cioè i mezzi finanziari necessari per far fronte sia agli investimenti che alla spesa corrente, elementi questi che confermano non solo la necessità che la durata dell’affare sia predeterminata nel tempo, ma anche che questo non possa essere oltremodo lungo.
   La possibilità di finanziamento del patrimonio destinato con apporti di terzi, con l’emissione di strumenti finanziari (art. 2447 ter, 1° comma, lett. e), presuppone un’analisi dei diritti che gli stessi attribuiscono ai relativi titolari ed in particolare dell’incidenza di questi diritti sui profili finanziari dell’affare: il piano non potrà, pertanto, limitarsi ad impostazioni di carattere generale, ma dovrà necessariamente, anche per superare il vaglio delle possibili opposizioni da parte dei creditori sociali, predeterminare in dettaglio i flussi che assicurino il rispetto dei programmati impegni. Un significativo rilievo è destinata ad assumere in proposito l’individuazione delle fonti di finanziamento esterne e quindi, fra l’altro, il merito creditizio che l’affare è suscettibile di conseguire nella sua individualità, indipendentemente dalla qualità del patrimonio generale.
   2.3. Analogo e fors’anco più dettagliato piano finanziario è previsto per il secondo modello di patrimonio destinato, in cui la società stipula con terzi un contratto di finanziamento di uno specifico affare, pattuendo che al rimborso totale o principale del finanziamento siano destinati i proventi dell’affare stesso o parte di essi (art. 2447 bis, lett. b): l’oggetto della separazione non sono beni e rapporti giuridici, bensì i proventi di un determinato affare e quindi i flussi di cassa destinati a soddisfare i creditori dell’operazione, coloro i quali sono stati indotti al finanziamento in funzione della presenza di una ricchezza segregata dal generale patrimonio dell’impresa.
   Il legislatore richiede in questo caso che il piano finanziario dell’operazione distingua la parte coperta dal finanziamento da quella a carico della società (art. 2447 decies, 2° comma, lett. b). A maggior tutela dei finanziatori è previsto inoltre – come meglio si vedrà nel prosieguo del discorso – che la società adotti sistemi di incasso e di contabilizzazione idonei ad individuare, in ogni momento, i proventi dell’affare ed a tenerli separati dal restante patrimonio della società (art. 2447 decies, 3° comma, lett. b), con possibilità di controlli da parte del finanziatore.
   La funzione esclusivamente finanziaria dell’istituto presuppone che il piano finanziario preveda i tempi di rimborso del finanziamento e, quindi, la possibilità che i finanziatori, al momento della conclusione del contratto, possano prefigurarsi e valutare con completezza i profili di rischio dell’operazione che li vede destinati ad essere soddisfatti solo con i flussi finanziari generati dell’iniziativa in un determinato arco temporale.
   La corretta redazione del piano economico-finanziario presuppone a sua volta la presenza nella società di un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile (art. 2381, 3° e 5° comma; art. 2403, 1° comma), che la legge sul risparmio (art. 154 bis, 3° comma, tuf) ha rafforzato introducendo l’obbligo di nomina di un dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari.

3. L’art. 2447 sexies
   3.1. Questa norma, rubricata «libri obbligatori e altre scritture contabili», stabilisce che la società per ciascun patrimonio destinato deve istituire e tenere il libro giornale, il libro degli inventari, il fascicolo della corrispondenza per quanto concerne le scritture contabili obbligatorie nominate, nonché, relativamente alle obbligatorie innominate, sulla base della natura e le dimensioni dello specifico affare, il libro mastro (secondo un criterio sistematico predeterminato dal «piano dei conti»), il libro magazzino, il libro cassa, il libro dei cespiti ammortizzabili, e così via, di guisa che il patrimonio destinato possa redigere sia lo stato patrimoniale che il conto economico dell’affare, con periodica chiusura dei conti della contabilità separata se l’affare dura più di un esercizio: in questo senso il Principio contabile n. 2, predisposto con riferimento ai patrimoni e finanziamenti destinati dall’OIC nell’ottobre 2005 al fine di consentire una corretta imputazione dei costi e dei ricavi concernenti la gestione dell’affare rispetto a quelli dell’impresa sociale (art. 2447 ter, lett. g) ed evitare una confusione di patrimoni.
   L’art. 2447 sexies rinvia tout court agli articoli 2214 e seguenti. Quindi una contabilità separata rispetto alla contabilità generale della società (né è sufficiente inserire in quest’ultima apposite sezioni), da tenersi «secondo le norme di un’ordinata contabilità» (art. 2219), che significa, innanzitutto – previa numerazione progressiva delle pagine del libro giornale e di quello degli inventari, non essendo più prescritta in termini generali la bollatura e la vidimazione (art. 2215, ult. comma) – un’esatta rilevazione quantitativa dei fatti di gestione, con la predisposizione di un conto per ogni determinato oggetto, espresso in monete omogenee, articolato in un prospetto diviso in due distinte sezioni, destinate a rilevare quantità di segno opposto: una a sinistra, denominata dare, l’altra a destra, denominata avere. E così, per esempio: un conto cassa, contenente le scritture degli incassi e dei pagamenti di cassa; un conto macchinari, contenente le scritture relative alle acquisizioni e alle dismissioni di macchinari. Considerato l’ampio rinvio operato dall’art. 2447 sexies alla disciplina dell’ordinamento contabile dell’impresa, la contabilità del patrimonio destinato deve essere tenuta, al pari della contabilità generale della società, secondo il metodo della «partita doppia», tenendo conto cioè nella rilevazione dei fatti di gestione sia delle variazioni originarie «monetarie» che delle variazioni derivate «economiche». Una duplice osservazione della realtà aziendale con conseguenti due serie di conti, funzionanti in modo antitetico: da un lato, variazioni di crediti, di debiti, di denaro (conti numerari o originari); dall’altro, ricavi, costi, variazioni di patrimonio netto (conti economici o derivati).
   3.2. Questo per quanto concerne il libro giornale ed il libro mastro, cioè le scritture che consentono una visione dinamica delle operazioni quotidiane.
   La genesi della contabilità dei patrimoni destinati peraltro, al pari di quanto avviene per ogni impresa, ha la sua prima fonte nel libro degli inventari, in quella tipica scrittura descrittiva destinata a fornire una visione statica, a carattere riepilogativo, del patrimonio dell’imprenditore ed in particolare della sua consistenza iniziale.
   L’inventario, come ha scritto Mossa, è «l’atto di nascita dell’impresa; il momento del suo giuridico affermarsi». E l’inventario (iniziale) deve contenere l’indicazione e la valutazione delle attività e delle passività del patrimonio destinato, attività e passività che devono essere specificamente indicate nella delibera istitutiva, secondo i valori contabili previsti dall’art. 2426.
   Il patrimonio destinato può nascere così come una sorta di ramo d’azienda costituito da uno o più beni della società, da crediti e disponibilità liquide, e può anche essere gravato da debiti, per costituire un autonomo settore produttivo, suscettibile di trasferimento con conseguente costitutiva rilevanza delle relative scritture contabili in ordine alla responsabilità dell’acquirente (art. 2560).
   L’inventario dovrà tener conto nei conti d’ordine (c.d. off-balance sheet items) dei rapporti giuridici compresi nel patrimonio destinato, quali i contratti in corso di esecuzione, e non abbiano ancora dato luogo ad attività o passività iscrivibili in bilancio, e dovrà altresì ricomprendere gli eventuali apporti di terzi.
   Secondo il richiamato Principio contabile n. 2, «sebbene non vi sia espresso obbligo legislativo in tal senso, è ragionevole attendersi che le disponibilità liquide pertinenti all’affare (originarie o successive) siano rilevate in specifici conti correnti bancari e/o postali relativi a ciascun affare».
   Per quant’altro «le regole di rendicontazione dello specifico affare sono indicate nella delibera costitutiva del patrimonio destinato» (art. 2447 ter, lett. g), come più sopra si è accennato, a conferma del ruolo organizzativo che compete all’imprenditore anche in materia di rappresentazione contabile ed ancor più in questa fase di segmentazione dell’impresa, in un’ottica di evidenziazione dei risultati realizzati dalla società nel suo complesso e di quelli specifici del patrimonio destinato.
   3.3. I criteri di tenuta della contabilità del patrimonio separato ed in particolare le regole di rappresentazione dei valori debbono necessariamente essere quelli della contabilità della società – vale a dire i principi contabili di iscrizione e valutazione previsti dal legislatore per il bilancio d’esercizio – considerato, come si dirà in appresso, che i saldi delle scritture contabili dello specifico affare sono destinati a confluire periodicamente nella contabilità generale della società.
   Invero, pur avendo il patrimonio destinato l’effetto di sottrarre i beni in esso compresi alle pretese dei creditori «generali» della società, quantomeno fino alla cessazione del vincolo di destinazione, lo stesso è privo di autonoma soggettività giuridica distinta da quella della società. Le attività e passività del patrimonio destinato fanno parte del patrimonio della società. E per questo, per la presenza di un’unicità d’impresa, che nell’imputazione dei beni al patrimonio destinato debbono essere applicati i medesimi criteri di valutazione seguiti nella contabilità generale della società, al fine di consentire comparazioni e raffronti dei dati e quindi dei risultati dell’affare del patrimonio destinato con quelli dell’impresa sociale, senza possibilità di emersione di plusvalenze come avviene nella diversa ipotesi di scorporo di un ramo d’azienda. Qui abbiamo, oltre che una segmentazione del rischio di impresa, due distinti soggetti di diritto, con effettivo passaggio di beni dal patrimonio della società conferente a quello della società conferitaria: e dal passaggio deriva in favore della conferente la percezione di un corrispettivo costituito dall’acquisizione della partecipazione al capitale sociale del soggetto che riceve il ramo d’azienda. Donde la necessità, integrando lo scorporo un’operazione di conferimento in natura, di applicazione dell’art. 2343, con relazione peritale che accerti il valore effettivo dei beni conferiti, di guisa che il procedimento di stima dovrà fare riferimento al valore di scambio dei beni alla luce del prezzo al quale gli stessi vengono scambiati nel mercato: valori correnti, e non quelli prudenziali, contabili, del bilancio d’esercizio. Nell’istituzione del patrimonio destinato non si attua un “trasferimento” di beni, non vi è un “corrispettivo” che transita, non essendo il patrimonio destinato, come appena si è detto, fornito di autonoma soggettività giuridica distinta da quella della società, i cui organi, a ulteriore conferma, gestiscono, in parallelo, sia il patrimonio della società che i patrimoni che siano stati deliberati. Rimane salva l’ipotesi, del tutto eccezionale, in cui l’istituzione del patrimonio destinato modifichi la funzione economica del bene: in tal caso troverà applicazione la regola generale che rende obbligatoria la rivalutazione dei cespiti (art. 2423, 4° comma).
   Per converso gli eventuali beni apportati da terzi sono iscritti a valori correnti, di mercato, secondo i principi generali di stima di cui all’art. 2343, come si dirà più innanzi.

4. L’art. 2447 septies
   4.1. La norma esordisce introducendo un collegamento tra il patrimonio della società ed il patrimonio destinato, a conferma, seppure ve ne fosse bisogno, dell’unitaria soggettività giuridica: la società è e resta unica. I beni, infatti, e i rapporti compresi nei patrimoni destinati sono anche «distintamente indicati nello stato patrimoniale della società» (inteso come stato patrimoniale individuale della società gemmante e non stato patrimoniale consolidato della medesima); le attività e passività del patrimonio destinato sono attività e passività della società, ed i saldi delle scritture contabili dello specifico affare sono destinati a confluire periodicamente, per saldi di conto piuttosto che per singole scritture contabili, nella contabilità generale della società, il che non esclude, peraltro, come si vedrà in appresso, la possibilità di rapporti tra patrimoni destinati e patrimonio della società, considerato che i patrimoni destinati, pur in assenza di duplicazione della soggettività giuridica, godono di una vita economico-finanziaria distinta ed autonoma rispetto a quella della società.
   Seguendo le indicazioni del doc. 0IC 2 la rappresentazione richiesta dal primo comma dell’art. 2447 septies può essere ottenuta in vari modi, e così, per esempio, creando per ciascuna voce interessata dallo stato patrimoniale generale, un “di cui”:
         crediti verso clienti 1.000
         (di cui 300 per patrimonio destinato)
   Il legislatore non ha previsto, a differenza di quanto appena si è detto circa lo stato patrimoniale, una distinta indicazione nel conto economico della società dei costi e dei ricavi relativi al patrimonio destinato, distinzione che peraltro è raccomandata dal richiamato doc. 0IC 2, quantomeno nella nota integrativa.
   4.2. Sotto il profilo dell’architettura dell’istituto va fin d’ora tenuto in particolare evidenza, da un lato, (a) che i risultati dello specifico affare si riflettono sul bilancio generale della società, dall’altro, (b) che questo è disciplinato da regole differenti in funzione della presenza o meno nel patrimonio destinato di beni e rapporti giuridici apportati da terzi.
   Ne consegue che nel patrimonio «generale» della società confluisce l’utile dell’affare di pertinenza della società, nel rispetto degli accantonamenti imposti dal piano economico-finanziario, dedotta la quota spettante ai terzi apportanti che sono estranei al reddito della società. Nel bilancio della società non avrà pertanto un’autonoma collocazione, nella sua interezza, il netto del patrimonio destinato, ma soltanto gli incrementi per gli utili (o le perdite) di pertinenza della società e gli incrementi per apporti di terzi: dal bilancio della società è destinato così ad emergere l’incremento o il decremento per effetto della gestione del patrimonio destinato.
   In calce allo stato patrimoniale della società, sotto la riga, fra i conti d’ordine, dovrà risultare – qualora sia prevista una responsabilità illimitata della società per le obbligazioni contratte in relazione allo specifico affare – «l’impegno da ciò derivante», che dovrà formare oggetto di valutazione secondo criteri da illustrare nella nota integrativa tenendo conto che la garanzia possa venir escussa (art. 2447 septies, 4° comma).
   Trattandosi di responsabilità illimitata l’importo dovrà essere pari alle obbligazioni iscritte al passivo del patrimonio destinato; ove la responsabilità della società sia limitata anche l’iscrizione dovrà essere limitata a tale importo. Per quanto concerne le obbligazioni e passività potenziali iscritte nei conti d’ordine del patrimonio destinato, potrà, alternativamente, nel bilancio della società, procedersi all’iscrizione delle stesse in specifici fondi rischi, oppure inserirle fra i conti d’ordine con apposita indicazione che ne riporti la genesi al patrimonio destinato.
   4.3. Il patrimonio destinato, iscritto nella sua consistenza iniziale nell’omologo libro degli inventari, viene quindi periodicamente aggiornato per essere rappresentato annualmente (se l’affare dura più di un esercizio) in un apposito rendiconto che costituisce un vero e proprio bilancio – salva l’ipotesi in cui l’affare si esaurisca in un arco di tempo inferiore ad un esercizio nel qual caso è sufficiente l’illustrazione dello stato finale dell’affare – che deve essere allegato al bilancio «generale» della società, di guisa da assicurare pubblicità alla gestione del patrimonio destinato ed alla sua consistenza.
   Schematizzando, il rendiconto di cui è menzione nel 2° comma dell’art. 2447 septies, si articola, tenendo conto della delibera istitutiva (art. 2447, ter, lett. g):
   – nello stato patrimoniale, compilato secondo lo schema dell’art. 2424, con l’aggiunta delle eventuali voci peculiari del patrimonio destinato (art. 2423 ter, 2° e 3° comma) per quanto concerne in particolare le operazioni interne con la società gemmante destinate, come si vedrà in prosieguo, ad essere eliminate nel bilancio di quest’ultima, e con l’indicazione, al passivo, del patrimonio netto iniziale, delle riserve per apporti di terzi (salvo sia prevista la restituzione), dell’utile (perdite) nel periodo e degli utili (perdite) dei periodi precedenti;
   – nel conto economico, compilato secondo lo schema dell’art. 2425 (+ le eventuali voci peculiari);
   – nella nota di commento, contenente l’illustrazione delle poste dello stato patrimoniale e del conto economico sulla base delle prescrizioni di cui all’art. 2427, con indicazione di informazioni sull’andamento dello specifico affare, nonché: (i) sia dei criteri di imputazione dei costi speciali e diretti dell’affare e di ripartizione dei costi generali, industriali, amministrativi, commerciali, finanziari e tributari; (ii) sia dei criteri di individuazione dei ricavi dell’affare e di eventuale separazione dei ricavi comuni a più affari: criteri che presuppongono a monte, oltre che un sistema di rilevazione di contabilità generale, anche una contabilità analitica che ne consenta la relativa imputazione;
   – nel rendiconto finanziario, non appena entrerà in vigore il nuovo art. 2425 quater, che l’ormai imminente riforma del diritto contabile societario si accinge ad inserire nella disciplina generale del bilancio in attuazione della direttiva n. 2003/51/Ce.
   In presenza di «titoli sul patrimonio diffusi tra il pubblico in misura rilevante e offerti a investitori non professionali» (art. 2447 ter, 1° comma, lett. f), deve essere allegata al rendiconto la relazione della società di revisione nominata per il controllo contabile sull’andamento dell’affare.
   Il rendiconto del patrimonio destinato è quindi allegato al bilancio della società, nella cui nota integrativa gli amministratori devono illustrare in apposita sezione intitolata Informazioni relative ai patrimoni destinati (artt. 2447 septies, 3° comma, e 2427, n. 20): il valore e la tipologia dei beni e dei rapporti giuridici compresi in ciascun patrimonio destinato, ivi inclusi quelli apportati da terzi; i criteri adottati per l’imputazione degli elementi comuni di costo e di ricavo di ciascuna gestione (in relazione ai quali può seguirsi il criterio di dettaglio, anche per quanto concerne i costi generali di natura finanziaria e gli oneri tributari, di cui al doc. OIC 2), nonché del corrispondente regime di responsabilità; la distinzione tra costi propri del patrimonio destinato e costi sostenuti dalla società per conto del patrimonio destinato, con indicazione delle operazioni compiute tra il patrimonio destinato e il patrimonio generale della società. È stato osservato, giustamente, in proposito come l’illustrazione nella nota integrativa della società del «valore e della tipologia dei beni e dei rapporti giuridici compresi in ciascun patrimonio destinato» costituisce una duplicazione di quanto già deve risultare dalla nota integrativa del patrimonio destinato che, come si è visto, deve essere obbligatoriamente allegata al bilancio della società.
   Può, infine, osservarsi, come già d’altronde rilevato, che pur sussistendone i presupposti, non pare adottabile nella redazione del bilancio del patrimonio destinato la disciplina del bilancio abbreviato (2345 bis), considerata la difficoltà di confronti che determinerebbe con il bilancio della società.

5. Gli apporti di terzi
   5.1. Gli apporti di terzi effettuati in sede di istituzione del patrimonio destinato verso una partecipazione ai risultati dell’affare (agli utili o anche alle perdite), secondo lo schema dell’associazione in partecipazione, sono indicati nella delibera costitutiva (art. 2447 ter, lett. d), e vengono iscritti nel libro degli inventari del patrimonio destinato secondo la loro consistenza iniziale, sulla base, sia consentito ribadire, del valore corrente. Parimenti verranno contabilizzati gli apporti effettuati in epoca successiva alla costituzione.
   Gli apporti costituiti da prestazioni di opera o servizi presuppongono per la loro iscrizione in bilancio la garanzia prevista dal 6° comma dell’art. 2464, con iscrizione al passivo di apposita riserva in contropartita dell’importo iscritto all’attivo.
   Seguono a questo punto le regole desumibili anche dal Principio contabile internazionale n. 32 che classifica gli apporti diversi dai conferimenti come patrimonio netto (riserve) o come passività (debiti) a seconda che siano o meno irredimibili, in funzione del contratto che ha dato luogo alla costituzione. In entrambe le ipotesi gli apporti sono destinati ad incrementare l’attivo, con iscrizione fra le immobilizzazioni e connessi futuri ammortamenti ove si tratti di beni ammortizzabili. Precisa il doc. OIC 2 che «se dagli accordi col terzo risulta che il bene dovrà restituito alle medesime condizioni in cui si trovava al momento dell’apporto, deve essere iscritto, ed incrementato gradualmente, un Fondo per oneri di manutenzione e ripristino di beni apportati: il relativo accantonamento costituisce un costo di gestione dell’affare».
   Per gli apporti in godimento valgono le regole consuete, per cui il valore dei beni da restituire all’apportante sarà rilevato nei conti d’ordine fra i «beni di terzi», mentre il valore capitalizzato del godimento, determinato sulla base del diritto all’utilizzo del bene per il periodo previsto, andrà iscritto in apposita riserva in contropartita all’importo iscritto all’attivo.
   5.2. Qualora a fronte di apporti, verosimilmente, di terzi vengano emessi strumenti finanziari di partecipazione all’affare, cioè titoli di debito incorporanti anche una partecipazione agli utili ed alle perdite (art. 2447 ter, lett. e), la società deve tenere un apposito libro indicante tutte le caratteristiche secondo quanto disposto dall’art. 2447 sexies, norma questa che trova fonte nella disciplina generale dei libri sociali (art. 2421, n. 8).
   5.3. Per quanto concerne l’utile dello specifico affare, compete ai terzi la quota corrispondente agli apporti dagli stessi effettuati, con la precisazione che la quota di utile di spettanza dei terzi va rilevata nel conto economico del rendiconto dello specifico affare come costo (specularmente la quota di perdita va addebitata come provento dell’affare), con la conseguenza che il saldo del conto economico dello specifico affare, già depurato dell’utile o della perdita ascrivibili agli apporti dei terzi, è pari alla sola quota di utile o di perdite di pertinenza della società nel cui patrimonio è destinato a confluire (Caratozzolo), accrescendolo o riducendolo, di guisa che i creditori della stessa potranno far valere i propri diritti «sui frutti o proventi da esso derivanti» (art. 2447 quinquies, 1° comma).
   Quindi, in presenza di apporti di terzi, costoro:
   – ove sussista un utile del patrimonio destinato, ne percepiranno la quota di loro competenza;
   – ove sussista una perdita, nulla percepiranno.
   5.4. Una chiosa finale va svolta infine in relazione agli ammortamenti e alle rettifiche di valore dei beni apportati nel patrimonio destinato della società in presenza di apporti di terzi: in questo caso il calcolo degli ammortamenti e delle rettifiche di valore, costituendo costi dell’affare, vanno effettuato sulla base del valore di mercato dei beni e non dei valori contabili; da questi valori si procede, per converso, in assenza di apporti di terzi.

6. Rapporti intergestori
   6.1. Gli atti e i pagamenti compiuti tra la società e i patrimoni destinati e viceversa – quali l’assistenza legale e tributaria, i prestiti di personale, la compravendita di beni e servizi, ecc. – vengono rilevati in contabilità secondo le regole proprie dei “gruppi”, nella specie ricostruendo il fenomeno dei patrimoni destinati come un «gruppo endosocietario». Le operazioni interne, da effettuarsi secondo valori di mercato ai fini di una corretta determinazione del risultato economico dell’affare, generano quindi utili o perdite destinati a figurare nel rendiconto dello specifico affare. La nota di commento dovrà in proposito indicare, ove le operazioni interne non siano state concluse a normali prezzi di mercato ma a condizioni particolari, se e in che misura ciò abbia influito sul risultato dell’esercizio (argomentando ex art. 2497 bis, 5° comma).
   Questo per quanto concerne il bilancio del patrimonio destinato.
   6.2. Un discorso diverso va fatto in merito alla redazione del bilancio generale della società, dove trovano necessaria applicazione i c.d. principi di consolidamento (art. 31 d. lgs. n. 127/1991), con eliminazione: (i) dei crediti e debiti reciproci; valori questi che vanno ripristinati nel calcolo dell’utile di pertinenza degli apporti effettuati da terzi, nei cui confronti non trova applicazione la tecnica del consolidamento, competendo agli stessi anche i benefici derivanti dalle operazioni interne; (ii) dei proventi e degli oneri relativi ad operazioni interne; (iii) degli utili e delle perdite conseguenti ad operazioni interne effettuate con il patrimonio destinato e relative a valori compresi nel patrimonio della società.

7. La rappresentazione delle perdite
   L’applicazione della regola generale, secondo cui, salvo diversa disposizione della costituzione del patrimonio destinato, «per le obbligazioni contratte in relazione allo specifico affare la società risponde nei limiti del patrimonio ad esso destinato» (art. 2447 quinquies, 3° comma), comporta che delle perdite risultanti dalla gestione dello specifico affare non risponda il patrimonio generale della società.
Nondimeno sotto il profilo della rappresentazione contabile, le perdite e il deficit patrimoniale, oltre dover essere rappresentati con chiarezza nel singolo patrimonio destinato, debbono altresì emergere dal bilancio generale della società, nel quale, come si è detto, confluiscono i saldi della contabilità del patrimonio separato. Peraltro tali perdite «sono poi da elidere con l’inserimento di apposite poste correttive (di importo pari al deficit) nello stato patrimoniale e nel conto economico in modo da ridurre a zero il deficit patrimoniale che si è venuto a creare» (doc. 0IC 2). I riflessi delle perdite del patrimonio destinato sul bilancio generale della società non incidono, dunque, sul patrimonio netto della società, che, fra l’altro, potrà distribuire l’utile conseguito dalla gestione generale anche in presenza di perdite subite dal patrimonio destinato. Le ragioni dell’iscrizione nel bilancio della società di dette perdite e delle poste rettificative, adottate al fine di consentire una rappresentazione contabile corretta dell’intera vicenda senza al tempo stesso incidere sul bilancio della società, debbono essere adeguatamente specificate nella nota integrativa.
   In questa ipotesi, ove cioè le perdite subite per uno specifico affare superino l’importo del netto patrimoniale relativo al patrimonio destinato, creando un deficit patrimoniale per eccedenza delle passitivà sulle attività, i relativi creditori insoddisfatti potranno chiedere alla società la liquidazione del patrimonio destinato (art. 2447 novies, 2° comma).

8. Rendiconto finale
   L’art. 2447 novies stabilisce che «quando si realizza ovvero è divenuto impossibile l’affare cui è stato destinato un patrimonio ... gli amministratori redigono un rendiconto finale …», cioè un vero e proprio bilancio di liquidazione, con applicazione dei relativi criteri di valutazione, di guisa da continuare a mantenere separata l’attività dello specifico affare dal patrimonio societario. La liquidazione, peraltro, avrà luogo soltanto nell’ipotesi in cui i creditori insoddisfatti la richiedano entro novanta giorni dal deposito del rendiconto finale nel registro delle imprese.
   Il documento deve contenere sia il conto economico che lo stato patrimoniale relativi alla frazione di esercizio in cui l’affare viene a compimento, nonché una nota riepilogativa di tutti i costi e ricavi riferiti all’affare (doc. OIC 2).
   Il rendiconto deve essere accompagnato dalla relazione dei sindaci e del soggetto incaricato dalla revisione contabile, per essere quindi depositato presso l’ufficio del registro delle imprese.
Ove l’affare non si protragga oltre l’esercizio, il rendiconto finale coinciderà con il rendiconto periodico di cui si è detto, predisposto, peraltro, quanto a criteri di valutazione secondo i criteri propri di un bilancio di liquidazione.
   Un capitolo a parte è costituito dalle vicende relative all’insolvenza della società o a quelle del patrimonio destinato: ma l’argomento esula dalla presente relazione, salvo precisare che l’insolvenza del patrimonio destinato non comporta, di per sé, il fallimento della società, analogamente a quanto avviene in caso di fallimento del socio che non si riverbera sulla società (art. 2288).

9. L’art. 2447 decies
   La norma prende le mosse dalla lettera b) dell’art. 2447 bis secondo cui la società può «convenire che nel contratto relativo al finanziamento di uno specifico affare al rimborso totale o parziale del finanziamento medesimo siano destinati i proventi dell’affare stesso, o parte di essi». L’accento è qui sui proventi dell’affare e sugli eventuali reimpieghi piuttosto che sui beni.
   Il finanziamento, che può essere negoziato in collegamento con la istituzione di un patrimonio destinato oppure prescindere da questo, è così in funzione della realizzazione di una specifica operazione (affare) e il relativo rimborso è effettuato con i proventi della medesima, secondo lo schema del project financing, per lo più utilizzato nella realizzazione di opere infrastrutturali (l’esempio più consueto è costituito dalla realizzazione di un’autostrada mediante un finanziamento destinato i cui pedaggi costituiscono i proventi dell’affare, con un «tempo massimo di rimborso, decorso il quale nulla più è dovuto al finanziatore», al fine di limitare temporalmente, per evidenti ragioni di certezza, il vincolo di separazione patrimoniale: art. 2447 decies, 2° comma, lett. h).
   I costi previsti ed i ricavi attesi dall’operazione dovranno risultare dal contratto di finanziamento dello specifico affare, con evidenza degli importi vincolati al finanziamento nella nota integrativa della società, che dovrà altresì contenere l’indicazione della destinazione dei proventi dell’operazione e dei vincoli relativi ai beni destinati alla realizzazione; salva naturalmente l’alea d’impresa che è destinato a correre il finanziatore per il sopraggiungere di situazioni impreviste, che peraltro non intaccano la natura creditizia del contratto.
Condizione affinché i proventi dell’operazione costituiscano patrimonio separato da quello della società, con conseguente inammissibilità di azioni da parte dei creditori sociali, è, sotto il profilo contabile, l’adozione da parte della stessa di «sistemi di incasso e di contabilizzazione idonei ad individuare in ogni momento i proventi dell’affare ed a tenerli separati dal restante patrimonio della società» (art. 2447 decies, 3° comma, lett. b), quindi distinta fatturazione e tenuta di appositi conti, anche bancari, intestati ai proventi dell’affare ed agli investimenti con essi effettuati, ed indicazione nella nota integrativa dell’importo delle disponibilità liquide, dei titoli (scilicet «degli investimenti eventualmente effettuati in attesa del rimborso al finanziatore»: art. 2447 decies, 4° comma), dei beni strumentali di pertinenza dello specifico affare (doc. 0IC 2).
   In presenza di un finanziamento destinato istituito in collegamento con un patrimonio destinato vanno fornite nella contabilità e nel bilancio della società le evidenze che non siano già comprese in quelle relative al patrimonio destinato.

10. Considerazione finale
   La rappresentazione contabile nei libri e nelle scritture del patrimonio destinato è conseguenza della pertinenza dei fatti di gestione, cioè delle operazioni, allo specifico affare; è lo specchio fedele della realtà aziendale che nella contabilità si riflette, di guisa che può senz’altro affermarsi, con Colombo, che «non è la contabilizzazione che rende l’operazione imputabile a quel patrimonio, bensì, al contrario, è l’imputabilità al patrimonio che impone di contabilizzare nelle relative scritture».

* Il testo – destinato ad essere pubblicato in Giurisprudenza Commerciale – riproduce la relazione presentata al convegno su «Le sistemazioni patrimoniali “dedicate” tra negozi di destinazione e organizzazione dell’impresa», svoltosi a Lucera il 30 e 31 marzo 2007.

 

Nota bibliografica
La letteratura in materia di patrimoni destinati è ormai molto vasta, per cui le indicazioni bibliografiche vengono limitate agli studi più vicini alle tematiche trattate nella relazione:

Cfr., innanzitutto, il pionieristico studio di COSTI, La titolarità di più imprese, in Arch. giuridico, 1964, I, p. 110 ss., che proponeva disgiunte registrazioni contabili nel caso di svolgimento da parte dello stesso imprenditore di differenti attività d’impresa, e, nel medesimo senso, MASI, Articolazioni dell’iniziativa economica ed unità dell’imputazione giuridica, Napoli, 1985, p. 267 ss.; sull’impresa unica organizzata con articolazioni di stampo autonomistico sotto il profilo contabile e aziendale, v., ora, BUONOCORE, L’impresa, nell’omonimo Trattato, Torino, 2002, p. 189 ss; quindi i commenti agli artt. 2447 sexies, 2447 septies, 2447 novies e 2447 decies di: BOZZA, in Commentario Lo Cascio, Milano, 2003; COMPORTI, in Commentario Sandulli-Santoro, Torino, 2003; GIANNELLI, in Commentario Niccolini-Stagno D’Alcontres, Napoli, 2004; MIGNONE, in Commentario Cottino, Bologna, 2004; MAFFEI ALBERTI, in Commentario Maffei-Alberti, Padova, 2005; STRAMPELLI, in Commentario Marchetti, Milano, in corso di pubblicazione; nonché: ANGELONI, I patrimoni destinati ad uno specifico affare. Finalità economico-aziendali. Disciplina civilistica. Modelli di rappresentazione contabile e di bilancio. Regime fiscale, Torino, 2005, p. 309 ss.; BALZARINI, sub. artt. 2447 sexies e septies, in Cod. comm. nuove società, a cura di Bonfante, Corapi, Marziale, Rordorf, Salafia, Milano, 2004, p. 916 ss.; CACCIAMANI, I profili contabili e di bilancio dei patrimoni e dei finanziamenti destinati a uno specifico affare, in La riforma delle società di capitali e cooperative, a cura di Starola, Milano, 2003, p. 80 ss.; CARATOZZOLO, Il bilancio d’esercizio, Milano, 2006, p. 380 ss.; COLOMBO, La disciplina contabile dei patrimoni destinati: prime considerazioni, in Banca, borsa, tit. cred., 2004, I, p. 30 ss.; D’AMICO, L’informativa contabile dei patrimoni destinati, in La riforma delle società di capitali, a cura di Abriani e Onesti, Milano, 2004, p. 291 ss.; DE ANGELIS, Appunti su profili di diritto contabile e tributario concernenti i patrimoni destinati a specifici affari, in Riv. dir. impr., 2003, p. 282 ss.; FICARI, Soggettività tributaria e possesso del reddito nella disciplina dei “patrimoni destinati”, in Riv. dir. comm., 2003, I, p. 123 ss.; FICO, Aspetti contabili dei patrimoni destinati, in Società, 2004, p. 1216 ss.; GENNARI, I patrimoni destinati a uno specifico affare, Padova, 2005, p. 112 ss.; MARCHINI, I patrimoni ed i finanziamenti destinati in una logica economico-aziendale: aspetti concettuali e metodologie di rappresentazione, in Riv. dott. comm., 2004, p. 1075 ss.; MARINO, Aspetti contabili e tributari dei patrimoni destinati, in Separazione patrimoniale e imprese multidivisionali nel sistema italiano, a cura di Danovi, Milano, 2005, p. 81 ss.; NIUTTA, I patrimoni e finanziamenti destinati, Milano, 2006, p. 107 ss.; POLLIO e PAPALEO, La disciplina contabile dei patrimoni destinati a uno specifico affare, in Dir. fall., 2005, p. 130 ss.; VERNA, Osservazioni sulla rappresentazione contabile dei patrimoni destinati a specifici affari, in Società, 2004, p. 1333 ss.; ed infine i saggi di RUBINO DE RITIS e SALAMONE, pubblicati nel 1° volume del Liber Amicorum Gian Franco Campobasso, Torino, 2006, rispettivamente, p. 815 ss. e p. 897 ss., che affrontano espressamente il ruolo centrale della contabilità nei patrimoni destinati. Il passo di MOSSA, richiamato nel testo, è estratto dal Trattato del nuovo diritto commerciale, I, Padova, 1942, p. 272.

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