1.
Si sono festeggiati da poco i duecento anni dalla nascita di Carlo Goldoni (nato a Venezia nel 1707 e morto a Parigi nel 1793), illustre commediografo, ma anche avvocato, come egli amava dichiararsi nella firma delle sue opere: aveva fatto studi giuridici completi, laureandosi all’Università di Padova nel 1731, dopo aver frequentato lezioni nel Collegio Ghislieri di Pavia, corsi privati ad Udine e poi ancora lezioni all’Università di Modena; ed aveva esercitato con successo la professione forense in varie città, prima di dedicarsi completamente all’attività di commediografo.
L’apporto dato dalla professione forense al teatro goldoniano è stato già studiato; non ha avuto, però, analoga attenzione l’apporto dato dalle commedie di Goldoni agli studi giuridici. Eppure le sue opere sono piene di riferimenti alla legislazione allora vigente ed a questioni giuridiche, in particolare con riferimento al diritto commerciale e, in specie, delle procedure concorsuali. Peraltro, in alcune opere non emerge soltanto l’avvocato Goldoni, ossia il pratico del diritto, ma emerge anche il Goldoni dottore della legge, il quale insegna, attraverso l’azione scenica, le istituzioni giuridiche del tempo: sovente in una chiave – diremmo oggi – comparatistica. Infatti, il grande commediografo mette a raffronto le legislazioni dei vari Stati italiani, sottolineando la superiorità o, comunque, la maggiore funzionalità del diritto vigente nella Repubblica veneta.2.
Prima di soffermarci sul contributo di Goldoni al diritto commerciale, è utile vedere come nelle sue commedie sono trattati altri settori del diritto, quali quello civile e quello processuale.
A tal fine la prima commedia da considerare è “La donna di garbo”, che va segnalata anche per essere la prima opera interamente scritta dal Goldoni (1743); mentre le precedenti, secondo la tradizione della Commedia dell’Arte, avevano soltanto un canovaccio, sulla base del quale recitavano, con molta libertà, gli attori. Per questa ragione i critici hanno notato nella Donna di garbo una certa rigidezza nella forma espressiva; ma forse c’è pure un’altra ragione della diversità, ragione che attiene al nostro discorso. Infatti, tale commedia si svolge intorno ad una questione giuridica: la validità e gli effetti della promessa di matrimonio.
Rispetto agli usi accademici del tempo, nella commedia ci sono due elementi innovativi, sapientemente utilizzati dal Goldoni: uno dei disputanti è una donna, sia pure sotto spoglie maschili; inoltre, è usata in parte la lingua italiana, al posto del latino. Entrambe le novità non sono invenzioni del nostro commediografo, che recepisce semplicemente tendenze innovative già presenti nelle scuole universitarie più avanzate.
La trama della commedia può essere così sintetizzata. Florindo, promesso sposo di Rosaura, una giovane pavese, va a studiare diritto a Bologna e lì si innamora di un’altra ragazza. Rosaura, venutane a conoscenza, si reca a Bologna e, per vendicarsi, si fa assumere come cameriera nella famiglia presso la quale è ospitato Florindo, conquistando la benevolenza di tale famiglia. Inoltre, Rosaura, travestita da uomo, si inserisce bene negli ambienti frequentati dall’ex fidanzato e in un salotto tra amici – siamo nell’atto terzo – incontra Florindo (che non la riconosce per il suo travestimento), sfidandolo a discutere, come si faceva allora tra studenti e dottori di diritto, una tesi legale, ossia una disputa condotta secondo il sistema scolastico: colui che promette fede di sposo ad una figlia libera è obbligata a sposarla?
La disputa è fatta in italiano: «Acciocché la questione sia ancora dalle signore intesa – spiega Rosaura – mi avvarrò in qualche parte dell’italiano».
La disputa si svolge vivacemente; i due contendenti utilizzano le tecniche e gli argomenti giuridici, secondo il diritto romano e comune. Goldoni mostra così di conoscere bene le Pandette. Nella disputa Rosaura ha la meglio, lasciando Florindo un po’ frastornato, quando capisce che la tesi discussa lo riguarda direttamente.
La commedia ha poi un lieto fine: la realtà si riconcilia con il diritto, senza necessità che la promessa sposa faccia valere in sede giudiziale le sue legittime aspettative. Carlo Goldoni mostra così di fare poco affidamento sulla tutela giudiziaria dei diritti; egli ci insegna che bisogna conoscere i diritti ed i sistemi per la loro tutela, ma che occorre trovare alle controversie soluzioni extragiudiziarie.3.
Le aule di giustizia, invece, costituiscono la scena di un’altra commedia; essa è intitolata “L’Avvocato veneziano” (del 1748) ed ha per oggetto il processo per una controversia di diritto privato.
La commedia, oltre che per l’oggetto della controversia – la revoca di una donazione per sopravvenienza di figlio – è particolarmente interessante per gli aspetti processuali, compiutamente descritti da Goldoni.
La trama è semplice. Un ricco signore di Rovigo, ritenendo di non poter avere una discendenza, fa una generosa donazione ad una giovane e bella fanciulla, di origine bolognese.
Alla morte di quel signore, l’unico figlio, avuto dopo quell’atto di liberalità, scopre che il padre aveva fatto la donazione e ne chiede la revoca, citando in giudizio la bella donataria davanti al giudice di pace di Padova con il patrocinio dell’avvocato veneziano, Alberto Casaboni. La donataria, invece, si fa difendere dal dottor Balanzoni, avvocato bolognese.
Come ho detto, sono molto interessanti gli aspetti processuali, essendo messi a raffronto due diversi sistemi processuali: quello veneziano, con il rito orale, seguito in tutta la Repubblica veneta e, quindi, anche a Padova, dove è incardinata la causa; ed il sistema romano, con il rito scritto, seguito nel resto d’Italia e, in particolare, a Bologna, da cui proviene il difensore della fanciulla.4.
Molto bella è la scena seconda dell’atto terzo, quando sono messe a confronto le due esperienze forensi: quella veneziana e quella romana. Il dottor Balanzoni, prima dell’udienza, aveva depositato una memoria scritta e, nel corso dell’udienza, intende ad essa semplicemente riportarsi; scopre, però, che il giudice non la ha neppure letta.
Dottor Balanzoni «Vossignoria illustrissima non ha voluto leggere la mia scrittura di allegazione in questa causa. Cosa ho da fare?».
Giudice «Secondo il nostro stile, non ricevo informazioni private. Le vostre ragioni le avete da dire».
Il dottore insiste «Le mie ragioni sono tutte registrate in questa scrittura; se vossignoria illustrissima la vuol leggere …»
Giudice «Non basta che io la leggo; l’ha da sentire il vostro avversario».
Così quella scrittura è letta in udienza dal sollecitatore, davanti al giudice, ai due difensori ed alle parti.
A quella lettura, replica, a braccio, l’avvocato veneziano, che preliminarmente dichiara «Responderò col mio veneto stil, secondo la pratica del nostro foro, che val a dire col nostro nativo idioma». Dunque egli svolge la sua difesa oralmente ed in lingua volgare.
Dopo varie questioni anche di carattere deontologico (il cliente scopre che Alberto si era innamorato della bella donataria, senza sapere che era la controparte), l’avvocato veneziano vince la causa e critica lo stile dell’avvocato avversario, che ha fatto «sta chella disputa con tutto il so comodo, senza scaldarse il sangue e senza sfatigar la memoria».5.
Passando al diritto commerciale e, in particolare, a quello fallimentare, Goldoni dedica grande attenzione al «ceto rispettabile de’ Mercanti, che sono il profitto ed il decoro delle nazioni» (L'Autore a chi legge, La bancarotta) e tratta il tema dei mercanti e della mercatura in molte commedie; inoltre, il mercante è protagonista di tre opere, che illustrano varie situazioni e fasi dell’attività commerciale.
La prima commedia è il “Momolo cortesan”, poi intitolata “L’uomo di mondo”, espressione che definisce molto bene la figura del mercante: appunto «uomo di mondo, franco in ogni occasione, che non si lascia gabbare sì facilmente» e che « un ducato ci se lo fa valer un zecchin». La seconda commedia è “Il prodigo”.
L’ultima commedia della trilogia riguarda il fallimento ed è intitolata “La bancarotta”. Nel licenziare tale opera alle stampe (la prima rappresentazione è del 1743, ma fu pubblicata soltanto nel 1753) Goldoni dichiara di essersi ispirato ad una commedia a soggetto “Pantalone Mercante Fallito”, una commedia giudicata pessima, e di aver voluto cimentarsi sul tema dopo che la carica di console della Repubblica genovese (dal 1740 al 1743) lo aveva messo «a portata di conoscere più mercatanti e di vedere i fallimenti che accadevano in varie piazze» (Prefazione all’edizione Pasquali).
Goldoni conosceva bene l’attività dei mercanti: non solo quelli veneziani, ma pure quelli di altre piazze. Egli dimostra di aver ben presente il rischio, cui ogni mercante va incontro, «a tor credenza dai marcanti grossi, andando pagando a bonora per acquistare concetto» (ossia buona considerazione).
In “La bancarotta” Goldoni parte dal fallimento di un mercante, per descriverne rapporti con i suoi familiari, con i creditori ed i terzi. Interessante è la contrapposizione della classe mercantile, che produce ricchezza e magari la dissipa, ma ritorna ad investire e crede nella reputazione, rispetto alla classe nobiliare, abituata a vivere di rendita ed sfruttare bassamente il potere.
Il fallimento del mercante offre a Goldoni l’opportunità di descrivere i meccanismi dell’economia veneziana, con al centro il commercio ed i rapporti del mercante con i clienti ed i creditori, rapporti basati sulla prudenza nella gestione degli affari, sul credito nelle transazioni commerciali e sulla reputazione, che si acquisisce nella piazza in cui si opera. La bancarotta rappresenta un momento di rottura, ma anche di rinnovamento nella gestione dell’attività commerciale.6.
Nel caso di specie, l’insolvenza era dovuta alle abitudini dispendiose del mercante Pantalone de’ Bisognosi, che aveva sperperato con le donne i beni personali e quelli aziendali. Della gestione “allegra” della bottega (un negozio di stoffe) molti avevano profittato: lo stesso Pantalone, che organizzava festicciole con le sue amanti; la moglie di Pantalone, che soddisfaceva ogni suo desiderio di vestirsi alla moda; i clienti della bottega, che prendevano a credito le stoffe e poi trascuravano di pagarle; il garzone di bottega, mandato a Venezia dalle valli di Bergamo per imparare a fare il mercante e che invece aveva imparato a trafugare la merce dal magazzino, con una chiave falsa.
Anche in questo caso Goldoni mostra di non fare molto affidamento sulle soluzioni giudiziarie delle controversie ed affida il lieto fine della commedia ad una composizione della vicenda, raggiunta tra le parti e soltanto sotto la vigilanza del giudice.
Non assistiamo perciò allo svolgimento del processo fallimentare, che fa solo da sfondo alle scene; assistiamo invece ai riflessi di quel processo nei rapporti sociali e familiari. Quasi en passant (ma si tratta di un’indicazione che, proprio per la sua marginalità nell’azione scenica, acquista un preciso valore giuridico), Goldoni espone in poche battute, per bocca del dottor Lombardi, qual era il diritto fallimentare effettivamente praticato a Venezia.7.
Prima di esaminare le regole del diritto concorsuale veneziano, secondo Carlo Goldoni, osserviamo le scene, che descrivono il comportamento dei vari attori, coinvolti nell’insolvenza di un mercante.
Innanzitutto, il fallito cerca di recuperare i propri crediti, esigendo il pagamento di merci date a credito e chiedendo la restituzione di prestiti. Nel nostro caso il recupero dei crediti non ha successo, se non ricorrendo a stratagemmi.
I creditori possono porre sotto sequestro di tutti i beni del fallito ed ottenere che siano “bollati” (ossia sigillati) i mobili, nonché sequestrati i libri commerciali. Gli eventuali proprietari di beni trovati nel patrimonio del fallito non possono riprenderli, se non con un giudizio di rivendicazione, che durava – beati quei tempi – soltanto alcuni mesi.
Nel frattempo, però, i familiari del fallito possono intraprendere una nuova attività commerciale, anche nello stesso settore economico e nei locali già utilizzati dal fallito, purché tengano ben separata la nuova attività dalla precedente, senza confondere le masse attive e passive e senza operare compensazioni.
Nel contempo, il fallito può rifarsi una vita, andando via da Venezia, in quanto qui ha perso la reputazione commerciale. Se vuole riacquistarla presso i suoi concittadini, deve pagare i debiti, come se si trattasse di un’obbligazione naturale.8.
Passiamo ora dalle scene del Goldoni a qualche considerazione di carattere storico.
A Venezia si trova la legislazione italiana di più antica data sul fallimento (1224), riguardante anche i non commercianti.
Gli storici del diritto, descrivendo le legislazioni comunali, disegnano il fallimento come un istituto in odio al decotto. Il rigore della dottrina è compendiata dalla celebre invettiva di Baldo degli Ubaldi:
«Falliti sunt infami et infamissimi et more antiquissimae legis tradi creditoris laniandi … Nec excusantur ob adversam fortunam est decoctor ergo fraudator; sic lex enim vocat eos, unde edictum fraudatorium (Baldo, Consilia vol. V, 399, Venezia 1575) .
Questo rigido orientamento, giunto nella nostra legislazione quasi fino alla recente riforma della legge fallimentare, trovò nei secoli passati una forte, ma isolata voce contraria, quella di Benvenuto Stracca (1509-1578), che alla sentenza di Baldo contrapponeva la distinzione fra le varie specie di falliti, insegnando che:
«Tria decoctorum esse genera: primum, illorum qui fortunae vitio decoquunt, secundum, illorum qui suo vitio conturbant fortunas et rationes. Et illud tertium, illorum qui suo partim fortunae vitio processerunt» (Stracca, Decisiones et tractatus varii de mercatura, Lione, 1553, III n. 2).
Secondo gli storici del diritto le legislazioni italiane, nonostante gli insegnamenti di Stracca, continuarono a seguire i rigidi criteri e le severe sanzioni; e così avveniva anche nelle altre legislazioni europee. Si distingueva, invece, la legislazione concorsuale di Venezia, nella quale vi erano poche sanzioni e nessuna formalità ignominiosa. Goldoni, nella commedia “La bancarotta”, spiega bene in che cosa consisteva la mitezza della procedura di fallimento.9.
Per meglio comprendere come la procedura descritta dal Goldoni rappresenti il diritto veneziano (e non un espediente pratico, cui ricorrono – ora come allora – i debitori insolventi per sfuggire al rigore della legge), devo avvertire che Goldoni ci indica, per bocca del garzone di bottega, i sotterfugi utilizzati dai mercanti per sfuggire alle conseguenze della loro insolvenza. Infatti, Truffaldino, il garzone di bottega, che come si è visto era un gran furbacchione, irride, parlando con gli amici, il suo padrone dichiarato fallito, osservando: «quelli che sa far el so mestier, i fallisse a tempo, coi bezzi in cassa e co la roba logada»; così, anche al tempo del Goldoni, i mercanti imbroglioni riuscivano a fallire, senza cadere in miseria, occultando la merce e nascondendo i soldi nella cassa.
Come ho detto, il processo di fallimento non è rappresentato nella commedia, ma fa soltanto da sfondo alle scene. In queste, però, troviamo ampie tracce degli istituti concorsuali.
Non è dato conoscere chi abbia chiesto il fallimento di Pantalone de’ Bisognosi. È probabile che l’iniziativa sia stata dei creditori e che il debitore, a quel tempo, non potesse chiedere il proprio fallimento. Il solito Truffaldino, che conosce bene gli espedienti dei commercianti insolventi, ma pieni di soldi occultati ai creditori, ci spiega che, in tal caso, bisogna «serrar bottega e falir»; non è prevista perciò l’iniziativa del debitore per la dichiarazione di fallimento.
Il fallito, però, non è privo di poteri nello svolgimento della procedura.
Infatti, il Dottore, per conto di Pantalone, ha fatto sigillare le merci rimaste, i mobili di casa ed «i libri del negozio per la ragione dei crediti»; nonché ha ordinato il sequestro per gli immobili ipotecati. Questi adempimenti, curati dal Dottore, sembrano volti a tutelare il mercante insolvente, al fine di evitare che i creditori si approprino dell’intero suo patrimonio, senza liberarlo dai suoi debiti; e soprattutto dimostrano come il fallito possa rivolgersi all’autorità giudiziaria per ottenerne protezione dai creditori.
Inoltre, nella commedia di Goldoni non si parla minimamente di formalità ignominiose a carico del fallito e neppure del suo bando dalla città. Pantalone mette in conto soltanto di dover abbandonare Venezia, ma solo perché vi ha perso la reputazione. Infine, si prevede che il consorzio dei creditori predisponga la graduatoria per la ripartizione tra loro dell’attivo.10.
La procedura esposta dal Goldoni non è uno stratagemma scenico, ma risponde alle leggi concorsuali vigenti a quel tempo nella Repubblica veneta. In particolare, nella commedia in questione si indica in modo molto preciso come il fallito possa definire la propria posizione, sotto il controllo dell’autorità giudiziaria: egli deve chiedere un “salvacondotto” e poi deve raggiungere un accordo con il “consorzio” dei creditori.
Siamo nella scena XIII dell’atto primo. A Pantalone che si lamenta perché resterà sempre fallito e soggetto ad essere messo in prigione e di non poter riprendere la libertà, il Dottore comunica di aver già provveduto ad evitare tutto ciò. Come? Ecco la procedura da seguire.
«Si chiamerà il consorzio dei creditori – così precisa il Dottor Lombardi – per formare la graduatoria col bilancio dei debiti e dei crediti e dei capitali, detractis detrahendis; avremo un salvocondotto in pendenza di tal giudizio. Poi si farà l’esibizione di un trenta o di un quaranta per cento ai creditori, da pagarsi a tempo; procureremo di pagare la prima rata, e poi, siccome è il solito di simili aggiustamenti, sarà facile tirar di lungo, senza che più se ne parli».
«El remedio no xe cattivo» risponde Pantalone, il quale teme, però, che i suoi concittadini possano dirgli, incontrandolo «Vardè là quel falìa». Neppure questo si verificherà, secondo la prassi della piazza veneziana, ancora una volta illustrata dal Dottore.
«Dopo qualche discorsetto, tutti si scorderanno e vi considereranno per un nuovo mercante in piazza, e accadrà di voi quello che è accaduto di tanti altri, che hanno fatto lo stesso non una volta sola, ma due e tre volte ancora». E se qualche creditore chiederà del suo credito, il fallito potrà invitarlo a parlare con il procuratore, nominato dallo stesso fallito e che tratterà ogni questione con i creditori.
Il Dottor Lombardi ci fa sapere di aver già chiesto il salvacondotto e che confida di ottenerlo prima di pranzo.11.
Nella commedia di Goldoni le funzioni di procuratore, per gestire i rapporti con il giudice ed i creditori, sono assunte dal Dottor Lombardi, il quale ha una ragione personale ad aiutare Pantalone, facendolo uscire dal fallimento. Infatti, Vittoria, figliola del Dottore, è innamorata di Leandro, figlio di Pantalone; con la sistemazione patrimoniale del padre, Leandro può intraprendere, senza problemi e con nuove regole (pagamento delle merci per contanti, controllo della contabilità; e così via), l’attività commerciale con la bottega di stoffe e così potrà sposare Vittoria.
Goldoni fa poi esporre da Pantalone le conseguenze pratiche del fallimento: «Ghe xe stà in casa un poco de borrasca, ma ho buttà l’ancora a fondi e me son defeso». In definitiva, il fallimento è presentato come un momento quasi fisiologico dell’attività commerciale; come chi va per mare può incorrere in una tempesta, così il mercante deve imparare a ripararsi nei momenti di difficoltà, per poi riprendere nuovamente la navigazione nel mare del mercato.
In realtà, Pantalone ammette di non aver imparato bene la lezione: «Un marcante che ha falio per poco giudizio, fino che el xe in disgrazia, el penso a remetterse; col’è remesso, el cerca la strada de tornar a fallir».
La conclusione della commedia è poco giuridica e molto di buon senso: «i omeni no cognosse el ben, se non quando che i se trova in miseria». Noi, però, dobbiamo ringraziare Goldoni di averci rappresentato, attraverso una commedia di costume, il diritto concorsuale effettivamente applicato a Venezia nella prima metà del Settecento.
È un diritto ragionevole e mite, ben diverso dalle legislazioni vigenti a quel tempo in altri Stati e che hanno lasciato tracce in altre opere letterarie.12.
La commedia “La bancarotta”, implicitamente, ci mostra la funzione economica assolta dal fallimento nell’economia di un mercato mercantile, prima della rivoluzione industriale. Non mi riferisco soltanto alla metafora dell’àncora, che il mercante butta a fondo quando incontra la “borrasca” dell’insolvenza, in attesa di riprendere la navigazione.
Mi riferisco soprattutto al subentro di Leandro, figlio di Pantalone, nell’esercizio della mercatura. In definitiva, il fallimento serve a riallocare le risorse produttive o, comunque, nel nostro caso a consentire il ricambio generazionale, con il figlio che riapre bottega, la riporta ad una gestione prudente e consente pure al padre di riacquistare la reputazione.
Carlo Goldoni non fa discorsi teorici; egli rappresenta il diritto e la sua funzione economica attraverso l’azione scenica. È evidente, però, che a Venezia e nelle altre piazze commerciali frequentate dal nostro commediografo, il fallimento era una evenienza frequente, che rompeva i rapporti di fiducia tra debitore e creditori, ma che poteva essere risolta in via convenzionale. Non c’è ancora il concordato, che in Italia troverà la sua disciplina legislativa solo con una legge del 1903; il diritto della Repubblica veneta, però, riconosceva al fallito la possibilità di raggiungere un accordo con il consorzio dei creditori (l’attuale adunanza dei creditori), offrendo di pagare una percentuale dei crediti, tra il trenta ed il quaranta per cento, percentuale assai prossima a quella del quaranta per cento, richiesta fino al 2005 nel diritto italiano per il concordato preventivo.
L’accordo con i creditori e la protezione dell’autorità giudiziaria appaiono perciò i criteri guida per la risoluzione delle crisi d’impresa, sulle scene del Goldoni e – mi auguro – anche nei nostri tribunali fallimentari.