il diritto commerciale d’oggi
     VI.1– gennaio-giugno 2007

STUDÎ & COMMENTI

 

DOMENICO BENINCASA

La società per azioni oggi: tradizione, attualità e prospettive.
Il Convegno di studi per i cinquanta anni della Rivista delle Società

 

   Il 10-11 novembre 2006, a Venezia si è svolto, con l’intento di approfondire alcuni dei temi più attuali del dibattito sulle società per azioni, il Convegno internazionale di studi per i cinquanta anni della “Rivista delle società”, dedicato al ricordo di Ariberto Mignoli, che proseguì il cammino avviato da Tullio Ascarelli, fondatore della Rivista.
   A questa linea ideale, e privilegiando, nel quadro di una prospettiva internazionale, i profili evolutivi, si sono ispirati i diversi interventi, relativi, in parte, ai nuovi principi contabili, all’informazione ed al governo societari, in parte, al capitale sociale ed alle sue funzioni ed, in parte, alle recenti riforme intervenute in vari paesi.
   La sessione d’apertura, presieduta da Victor Uckmar, è stata aperta da Alberto Crespi, il quale ha illustrato la disciplina introdotta, nel nostro ordinamento, dalla legge n. 231/2000, esprimendo forti dubbi e non poche perplessità in ordine alla congruità delle disposizioni finalizzate a contrastare reati commessi nell’ambito dei rapporti con la pubblica amministrazione ed alla loro graduale estensione a tutto il settore degli illeciti societari e rilevando che, tra l’altro, tale modello legislativo, oltre a rappresentare una “costruzione artificiosa”, volta a trasferire alle persone giuridiche la previsione costituzionale della personalità della responsabilità penale, potrebbe esporre gli organi societari ad azioni pretestuose, se non proprio a ricatti.
Di diverso taglio, ed intesa a coniugare, attraverso un ampio excursus storico, tradizione e modernità, è stata la successiva relazione, intitolata “Dalla Compagnia delle Indie al Sarbanes-Oxley Act” e svolta da Guido Rossi, il quale, rilevato che, all’inizio del XXI secolo, tra le cento maggiori economie mondiali comparivano ben cinquantuno gruppi societari multinazionali e solo quarantanove Stati e che, quindi, i primi rappresentano un sistema di scambio parallelo così forte da potersi porre anche al di fuori della legge e del mercato, ha concluso che la storia delle società per azioni è stata caratterizzata, sin dalle sue origini, da una vera e propria “anakuklosis” di norme imperative e norme derogabili, nell’incessante rincorsa tra il legislatore e la corporation per disciplinare i conflitti di interessi potenzialmente idonei a turbare il corretto sviluppo di un sistema capitalistico.
   Il relatore ha poi osservato che alcuni dei tratti che caratterizzano la moderna impresa associata, quali la responsabilità limitata dei partecipanti al capitale sociale (ancora di recente osteggiata dalla doctrine of piercing the corporate veil), il perseguimento di un fine privato di profitto (del tutto estraneo alla più antica corporation americana, l’Università di Harvard) e la libera trasferibilità delle azioni (affermatasi, ad esempio, nella East India Company, solo a un secolo dalla sua fondazione) non costituivano, originariamente, elementi naturali dell’istituto societario e che la fortuna e la sfortuna di quest’ultimo furono piuttosto legate al collegamento, realizzatosi in epoca elisabettiana, tra monopolio del commercio ed incorporation: l’avversione per l’attribuzione di diritti di monopolio a persone fisiche non si era, infatti, ancora estesa alle società, i cui interessi, pertanto, si intrecciavano spesso e volentieri a quelli dei sovrani.
   Proseguendo nella sua indagine storica e rilevando che alla (diffusione della) collocazione delle azioni tra il pubblico si è poi pervenuti nella pressoché assoluta mancanza di regole, il relatore ha ricordato due note vicende verificatesi a cavallo tra il XVII ed il XVIII secolo: quella di John Law, chiamato dal reggente di Francia Philippe d’Orléans per risanare le finanze dello Stato e costretto, poi, a sfuggire alle ricerche della polizia francese e dei creditori, per finire i propri giorni, in miseria, proprio a Venezia, e quella della South Sea Company inglese, le cui alterne vicende, conclusesi con uno dei maggiori scandali finanziari del passato, condussero all’emanazione del repressivo Bubble Act del 1720.
   Nello stesso periodo, un atteggiamento opposto si registrava, invece, dall’altra parte dell’Oceano Atlantico, anche se, negli USA, il vento favorevole alle corporations, sospinto dal celebre caso Dartmouth College [17 U.S. 518, 1819], si spense poi, a seguito della grande crisi del ’29, che portò all’emanazione del Securities Act e del Securities and Exchange Act.
   La rilevata oscillazione tra norme derogabili ed imperative, che connota anche le esperienze attuali, ha suggerito al relatore, inoltre, un parallelismo tra il Sarbanes-Oxley Act del 2002 e le norme della legge italiana sul risparmio, le quali non risultano certamente ispirate a quei concetti di autonomia statutaria e di libertà contrattuale che la precedente riforma del nostro diritto societario intendeva perseguire.
   L’intervento di Guido Rossi si è concluso con l’osservazione che le regole imperative risultano essenziali laddove sia necessario proteggere dal “fallimento del mercato” soggetti portatori d’interessi la cui lesione potrebbe determinare gravi effetti sull’intero sistema e con l’auspicio che i giuristi, memori del complesso mosaico della storia delle società per azioni, si inducano a studiare nuove regole, proiettate a livello di convenzioni internazionali, approvate ed applicate da tutti gli Stati, nella consapevolezza che solo la legge può individuare ed apprestare gli strumenti atti a prevenire od a risolvere i fallimenti del mercato.
   La relazione conclusiva della prima sessione del Convegno, intitolata Company Law Modernization: Transatlantic Perspectives, è stata di Klaus J. Hopt il quale ha preliminarmente osservato che l’attenzione rivolta, sia negli Stati Uniti che nei paesi della Comunità Europea, alla predisposizione di discipline societarie idonee a garantire un efficiente grado di disclosure ed il costante confronto tra i diversi Stati, realizzatosi sia a livello legislativo che dottrinario [Brandeis, Other People’s Money and How the Bankers Use It, NY, 1914; Hansemann, Die Eisenbahnen und deren Aktionäre in ihrem Verhältnis zum Staat, 1837], dimostrano la superficialità e l’infondatezza dell’opinione secondo cui il fenomeno noto come «concorrenza tra ordinamenti» conduca necessariamente ad un livellamento verso il basso (race to the bottom).
   Ed invero, secondo il relatore, così come l’esperienza comparatistica nella disciplina della trasparenza societaria ha permesso di constatare che fattori positivi, quali una maggiore affidabilità ed appetibilità del mercato, legati ad un idoneo regime di circolazione di informazioni, siano in grado di sopperire a fattori negativi, quali i costi elevati che le società sono costrette a sopportare, le diversità dei sistemi economico- finanziari presenti nell’Europa continentale e nei paesi angloamericani, caratterizzati, il primo, dalla forte presenza di società a proprietà concentrata ed, il secondo, da grandi public companies, ha determinato una diversa individuazione dei soggetti a cui (doversi preoccupare di) apprestare particolare tutela.
   Mentre, infatti, in alcuni paesi, quali l’Italia e la Germania, la maggiore preoccupazione è stata quella della protezione dei soci di minoranza rispetto all’azionista di riferimento, in quelli di common law, invece, il dibattito sulla corporate governance si è soprattutto incentrato sul contrasto legato alla costante dicotomia “principal- agent”.
   E, non a caso, proprio negli U.S.A. e nel Regno Unito un ruolo fondamentale ha assunto la figura dei non-executive directors, ai quali è demandata la duplice funzione del controllo costante dell’attività del consiglio e degli amministratori delegati e dell’assunzione della gestione della società nei casi di conflitto tra l’interesse sociale e quello perseguito dai managers.
   Anche nell’Europa continentale, però, il tema relativo agli amministratori indipendenti sta assumendo sempre maggiore importanza, come dimostrano sia le innovazioni direttamente riscontrabili in alcuni ordinamenti nazionali che ne suggeriscono o ne impongono la presenza all’interno dei consigli d’amministrazione delle società, sia le disposizioni contenute nella Raccomandazione 2005/162/Ce, “sul ruolo degli amministratori senza incarichi esecutivi o dei membri del consiglio di sorveglianza delle società quotate e sui comitati del consiglio d’amministrazione o di sorveglianza”.
   Appare innegabile, quindi, secondo Hopt, che, ai fini della predisposizione di apposite discipline nei diversi settori del diritto societario, la collaborazione ed il confronto tra i diversi paesi maggiormente industrializzati siano certamente utili, se non proprio necessari, per il rafforzamento e per la competitività all’interno di un mercato globale.
   La sessione pomeridiana, presieduta da Giovanni E. Colombo, è stata dedicata a tematiche attinenti ai nuovi principi contabili, all’informazione finanziaria ed al governo societario.
   Sulla prima si è specificamente intrattenuto Mauro Bini, il quale ha esaminato le principali novità introdotte dal d.lgs. 30 dicembre 2003 n. 394 che, in attuazione della direttiva n. 2001/65/CE e perseguendo una maggiore efficienza ed un più ordinato svolgimento delle contrattazioni sul mercato finanziario, ha previsto l’inserimento nella nota integrativa di alcune informazioni sul fair value degli strumenti finanziari, ossia, secondo la definizione fornita dagli IAS 32 e 39, di ogni contratto che dà luogo ad un’attività finanziaria (financial asset) per un’impresa (entity) e, al tempo stesso, ad una passività finanziaria (financial liability) oppure ad uno strumento di capitale (equity instrument) per un’altra impresa.
   Oltre alle innovazioni apportate dal recepimento “parziale” della direttiva 2001/65/CE, che rappresenta l’anello di congiunzione tra le direttive comunitarie in materia contabile ed i principi contabili internazionali (in particolare, lo IAS 39), il relatore ha evidenziato che le regole nazionali sui bilanci di esercizio saranno ulteriormente travolte dalla direttiva n. 2003/51/CE, il cui obiettivo, pur rimanendo quello di adeguare o avvicinare le norme nazionali alle previsioni dei principi contabili internazionali, provocherà non pochi problemi agli operatori, e soprattutto alle imprese di minori dimensioni, costrette a mutare gli ormai abituali atteggiamenti contabili.
   Il relatore ha esaminato, infine, i sempre più continui ed intensi interventi legislativi, sia a livello nazionale che comunitario, aventi quale obiettivo prioritario l’efficienza del mercato e la “tutela dell’investitore” e che traggono giustificazione dalle nuove criticità nell’ambito dei sistemi di governo societario, nelle funzioni di controllo e nei rapporti tra intermediari e investitori, evidenziate dalle gravi crisi societarie che negli ultimi anni hanno coinvolto sia l’Italia che altri grandi Paesi.
   È successivamente intervenuto Piergaetano Marchetti, il quale, sottolineato il rilievo che, nel quadro della disciplina europea dell’informazione societaria e dei mercati finanziari, sono destinate ad avere le direttive 2004/39/CE e 2006/73/CE (meglio conosciute come “Direttive MiFID di primo e secondo livello”), ha rilevato che, tra le principali novità con esse introdotte e che dovranno essere recepite in Italia entro il 31 gennaio 2007, particolare considerazione meritano l’abolizione dell’obbligo di concentrazione delle negoziazioni sui mercati regolamentati, la qualificazione del servizio di consulenza in materia di investimenti in strumenti finanziari come servizio di investimento, che dovrà essere prestato in via esclusiva dagli intermediari finanziari abilitati, e le informazioni che questi ultimi dovranno fornire, a garanzia della tutela degli investitori, in relazione ai servizi prestati, al tipo specifico di strumenti finanziari proposti ed ai rischi connessi.
   Subito dopo, Jeffrey N. Gordon ha affrontato il tema relativo agli outside ed inside Directors ed all’obiettivo di “profit maximization” cui gli stessi devono tendere nella gestione imprenditoriale, sottolineando l’evoluzione che, sin dagli anni Settanta, ha contraddistinto il ruolo degli amministratori indipendenti nei Consigli di Amministrazione delle grandi imprese americane.
   Piero Schlesinger si è poi intrattenuto sulla tematica relativa alle invalidità delle delibere assembleari nelle s.p.a., formulando, in particolare, rilievi critici sulla confusione e imprecisione terminologica del legislatore nel ricorso ai concetti di nullità ed annullabilità.
   Nella successiva relazione di Sergio Seminara sono stati riproposti, in generale, i dubbi e le perplessità emersi sin dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 61/2002 che, modificando la disciplina dei reati societari, ha ampliato, nel quadro di un discutibile schema di classificazione, la previgente fattispecie delittuosa delle false comunicazioni sociali delineata dall’art. 2621 cod. civ., ed è stato ribadito, in particolare, il paradossale inserimento dell’art. 2622, relativo alle “false comunicazioni sociali in danno della società, dei soci o dei creditori”, tra le disposizioni perseguibili a querela della persona offesa (salvo il caso di società quotata), mentre per la fattispecie criminosa di cui all’art. 2621 (“false comunicazioni sociali”), configurata come reato di pericolo ed avente natura contravvenzionale, è invece prevista la perseguibilità d’ufficio.
   Una valutazione positiva meritano, invece, secondo il relatore, le sanzioni amministrative introdotte, con la legge n. 262/2005, a carico di amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori, nel caso in cui non siano raggiunte le elevate soglie di punibilità individuate dagli artt. 2621 e ss., cod. civ.
   Sempre riferita al diritto penale delle società è stata la successiva relazione di Mario Romano, il quale ha criticato, in particolare, due incongruenze dell’attuale sistema. La prima riguarda il delitto di infedeltà, che vede come fisiologico il danno patrimoniale, il quale, però, essendo ricollegato al compimento od al concorso nella delibera di atti di disposizione di beni sociali (art. 2634 cod. civ.), non ricomprende tutti gli altri casi in cui non si disponga dei beni sociali. La seconda attiene, invece, al meccanismo legale di trasmissione della notizia di eventuali illeciti, determinante per la conoscenza dei fatti da parte delle autorità, in quanto, per le società non quotate, l’obbligo di portare all’esterno tali notizie non risulta specificato né per le società di revisione, né per il collegio sindacale.
   Gli interventi pomeridiani si sono conclusi con la relazione di Paolo Montalenti, il quale, trattando della specifica disciplina, in materia di “gruppi societari”, introdotta con la riforma del diritto societario, che peraltro ha continuato a non darne una espressa definizione, si è in particolare soffermato sui nuovi obblighi di informazione posti a carico delle società che, all’interno dei gruppi, svolgono attività di “direzione” e “coordinamento”.
   Nella prima sessione del secondo giorno del Convegno, presieduta da Marcus Lutter e dedicata pressocchè interamente alla disciplina del capitale sociale, sono stati affrontati gli aspetti che, negli ultimi anni, hanno animato il dibattito relativo a tale tematica, dai sistemi alternativi di informativa di bilancio alle innovazioni riguardanti le tecniche di tutela dei creditori, dai profili di responsabilità degli amministratori e dei revisori alla funzione stessa del capitale sociale.
   La discussione ha preso le mosse dalla direttiva europea 77/91/CEE (modificata dalla direttiva n. 92/101/CEE del 23 novembre 1992), intesa a tutelare interessi dei soci e dei terzi relativamente “alla costituzione delle società per azioni nonché alla salvaguardia e alle modificazioni del loro capitale sociale”. Le numerose istanze di semplificazione e di “ammorbidimento” di alcune misure della II direttiva, eccessivamente rigorose e costose, sono state accolte nella relazione finale dell’High Level Group del 2002 e nel Piano d’azione della Commissione sul diritto delle società e la corporate governance del 21 maggio 2003, e, successivamente, confluite, in parte, nella direttiva 2006/68/CE, di modifica della stessa.
   Al riguardo, Eddy Wymeersch ha sottolineato come l’impronta meno rigorosa con cui il legislatore europeo ha inteso intervenire sulla disciplina del capitale sociale, alzando per esempio, i limiti all’acquisto di azioni proprie od estendendo il tempo a disposizione degli amministratori per esercitare la delega, possa, di fatto, causare maggiori frammentazioni e disarmonie all’interno degli Stati europei.
   Ai diversi rischi connessi a tali disarmonie legislative e prendendo spunto dalla recente riforma del diritto societario inglese, ha successivamente accennato anche Paul Davies, il quale ha rilevato come le disposizioni relative al capitale sociale siano “trivial” (ossia superficiali, se non proprio inutili) rispetto ad altri criteri, quali i “solvency test”.
   In tale linea di pensiero si sono inseriti anche Massimo Miola, prima, e Wolfgang Schon, dopo, i quali hanno però rilevato come il limite temporale di questi criteri di valutazione del (fabbisogno di) capitale sia molto ristretto.
   Alberto Mazzoni, da parte sua, ha fatto riferimento alla pratica dei “covenants” con i quali si prevede, al verificarsi di determinati eventi esterni, la sussistenza (presunta), per la società, dello stato di insolvenza, ed ai quali viene spesso attribuita, soprattutto negli U.S.A., maggiore affidabilità rispetto alle indicazioni risultanti dal bilancio sociale.
   È poi intervenuto Francesco Denozza, il quale, richiamando alcune osservazioni già svolte a seguito dello studio condotto alcuni anni fa da Enriques e Macey [Creditors Versus Capital Formation: The case against the European Legal Capital Rules, in 86 Cornell Law Rev. (2001), 1165], ha posto a confronto la regolazione in base a rules, ossia misure precise (com’è, tendenzialmente, il capitale sociale), o a standard, cioè parametri che, sostituendo il c.d. sistema del netto, prevedono valutazioni a posteriori della diligenza degli amministratori (solvency test).
   Il relatore ha poi motivato il proprio favore verso una regolazione tramite rules che, seppur destinate, per natura, a produrre un certo numero di “falsi positivi” (come lo scioglimento anticipato di società) e “negativi” (prosecuzione dell’attività di società che dovrebbero sciogliersi), non ingenererebbero quelle disequità distributive che si potrebbero invece creare adottando criteri più flessibili, idonei a favorire vecchi soci e creditori più avveduti.
   In tale contesto si sono inseriti anche Angel Rojo, il quale ha sottolineato, sia pure con taglio critico, l’assoluto rigore con cui la Spagna, pur non partecipando alla relativa fase di gestazione, ha recepito la II Direttiva n.77/91/CE, determinando così una vera e propria “fuga” verso le società a responsabilità limitata, e Isabelle Urbani-Parleani, dalla cui relazione (“Le devenir du capital en droit français”) è emerso come sia ormai superata la funzione di tutela a favore dei terzi creditori nella attuale concezione di capitale sociale.
   Il primo intervento della sessione pomeridiana, presieduta da Gastone Cottino, è stato svolto da Sergio Maria Carbone, il quale, sviluppando le tematiche legate alle discipline applicabili alle società per azioni operanti in più paesi comunitari, ha dapprima esaminato, alla luce del principio dell’incorporazione sancito nelle sentenze Centros [CGCE 9.3.1999 C-212/97], Uberseering [CGCE 5.11.2002 C-208/00] ed Inspire Art [CGCE 30.9.2003 C-167/01], le recenti problematiche interpretative legate al criterio di collegamento previsto dall’art. 25 l. 218/1995 di riforma del diritto internazionale privato, ed ha successivamente ricordato alcuni casi, quale quello della Siemens AG [Trib. Milano 27 aprile 2004 (ord.), in Le Società, 2004, p. 1275], di conflitti di legge conseguenti all’applicazione di discipline nazionali nei confronti di società straniere.
   Un altro aspetto di particolare rilievo della riforma del diritto societario italiano, quello relativo all’autonomia statutaria ed alla determinazione delle forme di partecipazione, è stato successivamente affrontato da Berardino Libonati, il quale ha trattato degli strumenti finanziari, diversi dalle azioni e dalle obbligazioni, forniti di diritti patrimoniali o anche amministrativi e privi (salva la previsione di cui all’art. 2351, ultimo comma, cod. civ.) di diritto di voto nell’assemblea generale degli azionisti, previsti dall’art. 2346, sesto comma, cod. civ.
   Secondo il relatore, il quale, peraltro, ha rilevato che il legislatore ha stranamente esteso l’applicazione della disciplina cautelativa predisposta per le obbligazioni a tali strumenti finanziari (sebbene gli stessi, a differenza delle prime, non siano destinati alla circolazione), la possibilità, da parte di una società, di emettere gli strumenti in questione, connessi all’apporto, da parte dei soci o di terzi, anche di opera o servizi, è funzionale all’esercizio dell’attività economica, così come l’autonomia statutaria relativa al contenuto dei diritti di partecipazione, con cui il legislatore ha inteso privilegiare le “ragioni dell’impresa su quelle del mercato” [così anche Gambino, Spunti di riflessione sulla riforma: l’autonomia societaria e la risposta legislativa alle esigenze di finanziamento dell’impresa, in Giur. Comm., 2002, I, p. 654].
   La tematica riguardante l’invalidità delle delibere assembleari ed il regime d’impugnazione delle stesse è stata poi sviluppata da Giuseppe B. Portale, il quale, dopo un breve cenno al regime d’invalidità della fusione di cui dall’art. 2504-quater cod. civ. ed agli aspetti comparatistici con l’analoga disciplina prevista dal diritto svedese, ha rivolto l’attenzione alla disposizione di cui all’art. 2377 cod. civ., rilevando che, con essa, il legislatore, restringendo, «per ovviare all’inconveniente, troppe volte manifestatosi nell’esperienza, di impugnative ispirate da intenti meramente ricattatori» [cfr. Relazione al d.lgs. n. 6/2003], il diritto di impugnativa da parte dei soci assenti o dissenzienti solo in presenza della titolarità di una determinata quota di partecipazione al capitale sociale (stabilita nella misura dell’uno per mille nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e del cinque per cento in società chiuse), ha però di fatto attuato una significativa erosione della tutela dei soci.
   Ad avviso del relatore, la previsione di una tale limitazione del diritto di impugnativa, che non trova riscontro in altri ordinamenti giuridici (se non al § 196 dell’AktG austriaco, ma in relazione ad una precisa fattispecie inerente all’approvazione del bilancio), potrebbe presentare profili di incostituzionalità, non tanto con riferimento all’art. 3, quanto all’art. 42 della Costituzione.
   La successiva relazione, svolta da Guido Ferrarini ed intitolata “Azioni e diritto di voto: sviluppi recenti”, ha avuto ad oggetto i contratti di equity swap e le varie finalità che con gli stessi possono essere perseguite. In particolare, il relatore ha ricordato un recente caso, deciso dalla High Court di Auckland (NZ) [Ithaca (Custodians) Ltd. v. Perry Corporation, (2002) 16 PRNZ 773], per rilevare come spesso sia demandato all’attività giudiziale il compito di impedire queste operazioni contrattuali, ove le stesse siano poste in essere per aggirare obblighi imposti dalla legge, quali quello di avviare un’OPA al superamento di determinate soglie partecipative all’interno della società.
   Uwe H. Schneider ha affrontato, invece, la problematica relativa alla partecipazione degli azionisti nelle scelte gestionali della società, la quale ha assunto, per via della natura sempre più transfrontaliera degli investimenti, una portata assai rilevante, con conseguenze dirette non solo nei confronti degli azionisti, per le difficoltà, spesso insormontabili, che gli stessi incontrano nell’esercizio dei loro diritti, ma anche per gli stessi amministratori, cui viene sottratta la possibilità di influire su uno dei valori che gli shareholders offrono alla società, ossia il giudizio sull’appropriatezza del valore del titolo.
   È successivamente intervenuto Floriano d’Alessandro, il quale, affrontando il tema dei rapporti tra l’assemblea e gli amministratori nella riforma societaria, ha rilevato che, con riferimento alla disciplina delle attribuzioni gestorie, si possono individuare tre distinte tappe nello sviluppo della nostra normativa: la prima, rappresentata dal codice di commercio del 1882, in cui l’assemblea costituiva l’organo sovrano della società; la seconda, dalle disposizioni del codice del 1942, le quali, pur abbandonando, per l’amministratore, il richiamo alla figura del mandatario, attribuivano allo stesso una competenza generale; la terza, individuabile nella disciplina introdotta con la riforma societaria del 2003, secondo la quale la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli amministratori, i quali restano responsabili anche per il compimento di atti autorizzati dall’assemblea dei soci (quando tale autorizzazione sia espressamente richiesta dallo statuto della società).
   Interrogandosi, infine, sulla diffusa tendenza verso una sempre maggiore autonomia degli amministratori, il relatore ha osservato che, in un sistema come quello italiano costituito prevalentemente da piccole e medie imprese, tale autonomia si concretizzi, sostanzialmente, in una pressoché totale emancipazione del socio di controllo da quelli di minoranza.
   La tematica relativa all’esclusione ed alla limitazione del diritto di opzione degli azionisti per la sottoscrizione di nuove azioni a seguito dell’aumento di capitale mediante conferimenti in denaro è stata affrontata da Heribert Hirte, il quale ha richiamato, in particolare, le disposizioni che, con diverse modalità, prevedono tale facoltà nei vari ordinamenti giuridici, quale quello italiano (art. 2441 cod. civ.), inglese (§ 89 CA 1985) e tedesco (§ 186 AktG), nonché nella seconda direttiva 77/91/CEE, recentemente modificata.
   È poi intervenuta Eilís V. Ferran, la quale, affrontando la tematica relativa ai Leveraged Buy-Outs, ossia alle operazioni finalizzate all’acquisizione di una società (c.d. società target) con il ricorso alle capacità d’indebitamento della stessa, ha osservato che, tra le significative modifiche apportate, a livello comunitario, dalla direttiva 2006/68/CE rientra quella relativa alla possibilità di derogare al previgente divieto per la società di anticipare fondi, di accordare prestiti o di fornire garanzie per l’acquisto delle sue azioni da parte di un terzo (art. 23, dir. 77/91), operazioni, queste, precluse, in Italia, dall’art. 2358 cod. civ. (che sancisce il divieto di “assistenza finanziaria”), la cui portata applicativa, peraltro, nel presupposto che non vi fosse motivo di vietare, solo in ragione di ipotetici effetti distorsivi, il compimento di tali atti, ove sottesi a concrete e legittime ragioni economiche, era già stata in qualche modo limitata dall’art. 2501- bis e ss., cod. civ.
   Un breve panorama del diritto societario francese è stato offerto, infine, da Joëlle Simon, la quale ha sintetizzato il percorso, lento ma costante, di semplificazione e di contractualisation, rappresentato dalla loi n. 94-1 du 3 janvier 1994, con la quale è stata introdotta la société par actions simplifiée (s.a.s.), la cui costituzione era riservata, in un primo momento, soltanto a due o più società con capitale minimo di almeno 1.500.00 FF, e dalle cc.dd. Nouvelles Régulations Économiques del 2001, con le quali il legislatore ha provveduto ad ammorbidire la disciplina della société anonyme (s.a.).

 

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