il diritto commerciale d’oggi
    V.7-8 – luglio-agosto 2006

STUDÎ & COMMENTI

 

RITA GISMONDI

La nozione di “centro degli interessi principali del debitore” (COMI)
nella giurisprudenza della Corte di Giustizia: il caso Eurofood

 

 

   1. Premessa
    A distanza di pochi anni dall’entrata in vigore del Regolamento UE n. 1346/2000 relativo alle procedure di insolvenza transfrontaliera (il “Regolamento”), si riscontrano numerose e contrastanti applicazioni giurisprudenziali dei principi in esso contenuti, in relazione a fattispecie sottoposte all’esame dei giudici nazionali di diversi Stati membri e, da ultimo, della Corte di Giustizia Europea in sede di rinvio pregiudiziale.
   In particolare, la Corte di Giustizia Europea si è recentemente pronunciata sulle domande pregiudiziali presentate dalla Supreme Court irlandese in relazione al conflitto di giurisdizione (o di competenza internazionale, secondo la formulazione adottata nell’art. 3 del Regolamento) sorto tra l’autorità giurisdizionale italiana e quella irlandese con riferimento alla società Eurofood, costituita formalmente in Irlanda ma facente parte del gruppo Parmalat.
   La sentenza della Corte di Giustizia Europea offre lo spunto per esaminare la concreta operatività delle disposizioni di cui all’art. 3 del Regolamento, con particolare riferimento al sistema di allocazione della competenza internazionale ad aprire procedure di insolvenza all’interno dell’Unione Europea ed alla nozione del “centro degli interessi principali del debitore” (“centre of main interest” o, per brevità, “COMI”).
   La pronuncia della Corte di Giustizia Europea ha natura interpretativa e non è, quindi, idonea a decidere direttamente e con efficacia di giudicato sulla controversia concreta, ma si limita a fornire una serie di criteri ermeneutici in relazione alle varie questioni pregiudiziali, che dovranno poi essere applicati ed attuati nei giudizi pendenti dinanzi ai giudici nazionali. Ad un primo esame, tuttavia, alcuni profili connessi alla interpretazione delle previsioni contenute nel Regolamento sembrano conservare, anche in seguito alla emanazione della sentenza, un certo margine di incertezza, che potrebbe comportare qualche difficoltà o persino ricadute negative.
   Al fine di illustrare più in dettaglio il contenuto della decisione della Corte di Giustizia Europea e le relative implicazioni, sembra in ogni caso opportuno riassumere brevemente la disciplina contenuta nel Regolamento, nonché i fatti salienti della vicenda Eurofood.

2. Le principali previsioni contenute nel Regolamento
   Ai sensi dell’art. 3 del Regolamento, sono competenti ad aprire una procedura di insolvenza principale (main insolvency proceedings) i giudici dello Stato membro nel cui territorio è situato il COMI del debitore. Pertanto, al fine di individuare la competenza internazionale per la dichiarazione dello stato di insolvenza è essenziale formulare correttamente la nozione di COMI.
   Il Regolamento, tuttavia, non contiene una definizione precisa ed univoca di COMI, né un catalogo di elementi che lo contraddistinguono, ma si limita a prevedere che «per le società e le persone giuridiche si presume che il centro degli interessi principali sia, fino a prova contraria, il luogo in cui si trova la sede statutaria» (cfr. art. 3, comma 1 del Regolamento). Una indicazione importante proviene, in ogni caso, dal “considerando” 13 del Regolamento, secondo il quale «per centro degli interessi principali dovrebbe intendersi il luogo in cui il debitore esercita in modo abituale e, pertanto, riconoscibile dai terzi, la gestione dei suoi interessi».
   Al fine di tutelare i vari interessi, negli altri Stati membri sarà possibile aprire in parallelo alla procedura di insolvenza principale una diversa procedura (secondaria), ma solo se il debitore possiede una dipendenza (establishment) nel territorio degli stessi e con effetti limitati ai beni che si trovano in quel territorio (cfr. art. 3, comma 2 del Regolamento).
   La procedura di insolvenza principale ha carattere universale, in quanto comprende tutti i beni del debitore, salvo che tali beni siano assoggettati ad una procedura di insolvenza secondaria in un altro Stato Membro, che per sua natura è territoriale e liquidatoria. Il sistema adottato dal Regolamento appare quindi caratterizzato dalla compresenza di due principi: universalità e territorialità.
   In linea di principio, in caso di pluralità di procedure avviate in diversi Stati membri, prevale la procedura aperta per prima, in applicazione del criterio di prevenzione. La decisione di apertura della procedura di insolvenza principale deve essere automaticamente riconosciuta in tutti gli altri Stati membri sulla base del principio di fiducia reciproca (art. 16 del Regolamento) e i motivi di mancato riconoscimento di detta decisione devono essere limitati ai soli casi in cui l’apertura comporti effetti palesemente contrari all’ordine pubblico (in particolare, ai principi fondamentali o ai diritti e alle libertà personali sanciti a livello costituzionale nello Stato in cui deve essere effettuato il riconoscimento: cfr. art. 26 del Regolamento).
   Tale meccanismo dovrebbe risolvere l’eventuale conflitto tra giudici di diversi Stati membri che si dichiarino ugualmente competenti ad aprire una procedura di insolvenza principale. La decisione del giudice che apre per primo la procedura dovrebbe quindi essere automaticamente riconosciuta negli altri Stati membri, senza che questi ultimi abbiano la facoltà di sottoporre a scrutinio la decisione del primo giudice (cfr. “considerando” 22 del Regolamento).

3. La vicenda Eurofood
   Nel caso di specie, la controversia è sorta con riferimento ad un conflitto positivo di giurisdizione tra l’autorità giudiziaria italiana e quella irlandese, che si sono dichiarate entrambe competenti ad avviare nei confronti di Eurofood una procedura di insolvenza principale.
   Se sul piano teorico tale situazione di stallo dovrebbe trovare immediata soluzione nelle previsioni contenute nel Regolamento (e, segnatamente, nel criterio di prevenzione, nonchè nell’automatico riconoscimento dell’apertura della procedura principale), nella fattispecie in esame non si è affatto verificata una risoluzione “naturale” e fisiologica del conflitto.
   È accaduto, in particolare, che:
   – in data 27 gennaio 2004, con provvedimento reso su istanza di un creditore, la High Court di Dublino ha disposto la Provisional Liquidation (soggetta a successiva conferma) di Eurofood, fissando la successiva udienza del 23 febbraio 2004 per accertare in contraddittorio tra le parti la sussistenza dello stato di insolvenza ed, eventualmente, confermare il procedimento di liquidazione;
   – in data 9 febbraio 2004 Ministro delle Attività Produttive ha ammesso Eurofood alla procedura di amministrazione straordinaria di cui al decreto legge n. 347 del 23 dicembre 2003 (emanato nelle more del dissesto delle società del gruppo Parmalat e successivamente convertito con modificazioni nella legge n. 39 del 18 febbraio 2004);
   – con sentenza del 20 febbraio 2004 il Tribunale di Parma ha dichiarato l’insolvenza di Eurofood ed ha altresì accertato che il COMI di Eurofood è situato in Italia, presso la sede della controllante Parmalat S.p.A., in tal modo dichiarandosi competente ad aprire una procedura di insolvenza principale ai sensi del Regolamento;
   – con sentenza del 23 marzo 2004 la High Court ha tuttavia confermato la Provisional Liquidation, dichiarando a sua volta che il COMI di Eurofood è ubicato in Irlanda e che una procedura di insolvenza è stata aperta in Irlanda sin dal 27 gennaio 2004 (data della Provisional Liquidation);
   – Eurofood ha successivamente impugnato la sentenza della High Court dinanzi alla Supreme Court di Dublino che, ritenendo necessario ai fini della emanazione della propria decisione un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea, ai sensi dell’art. 234 (ex 177) del Trattato UE, ha formulato una serie di quesiti aventi ad oggetto la corretta interpretazione di alcune disposizioni del Regolamento.
   Alla luce della sequenza di eventi sopra indicata, appare evidente come la situazione di conflitto sia scaturita dalla incertezza esistente in merito: (i) al momento in cui una procedura di insolvenza può considerarsi avviata, e (ii) alla ubicazione del COMI di Eurofood.

4. Le questioni pregiudiziali e la decisione della Corte di Giustizia Europea
   Per quanto maggiormente interessa in questa sede, i quesiti rilevanti sottoposti dalla Supreme Court irlandese alla Corte di Giustizia Europea sono, in estrema sintesi, i seguenti:
   – se la Provisional Liquidation, per le sue caratteristiche, possa costituire una decisione di apertura di una procedura di insolvenza; ovvero, in caso di risposta negativa al quesito, se il provvedimento di conferma adottato successivamente dalla High Court possa produrre retroattivamente i propri effetti, fin dal momento in cui è stata disposta la Provisional Liquidation;
   – se, nei casi in cui la sede legale di una società controllante e della sua controllata si trovino in due Stati membri diversi, l’elemento determinante per identificare il COMI sia il luogo ove è situata la sede legale della controllata, ovvero la circostanza che la controllante sia in grado di determinare, attraverso la partecipazione al capitale ed il potere di nominare gli amministratori della controllata, la gestione di quest’ultima.
   Quanto al primo profilo, la Corte di Giustizia Europea ha statuito che costituisce decisione di apertura della procedura di insolvenza la decisione pronunciata da un giudice di uno Stato membro investito di una domanda in tal senso, basata sull’insolvenza del debitore e finalizzata all’apertura di una procedura di cui all’allegato A del Regolamento, qualora tale decisione comporti lo spossessamento del debitore e la nomina di un curatore previsto dall’allegato C del Regolamento (benchè nominato a titolo provvisorio, come nella fattispecie in esame).
   In merito al secondo profilo, la Corte di Giustizia Europea ha riconosciuto che, quando il debitore è una società controllata la cui sede statutaria è situata in uno Stato membro diverso da quello in cui ha sede la sua società madre, la presunzione di coincidenza del COMI con il luogo della sede statutaria, di cui all’art. 3 del Regolamento, può essere superata soltanto se elementi obiettivi e verificabili da parte di terzi consentano di determinare l’esistenza di una situazione reale diversa da quella che si ritiene corrispondere alla collocazione in detta sede statutaria. Ciò potrebbe, in particolare, valere per una “società fantasma”, inidonea a svolgere alcuna attività sul territorio dello Stato membro in cui è collocata la sua sede sociale. Per contro, quando una società svolge la propria attività sul territorio dello Stato membro in cui ha sede, la circostanza che le sue scelte gestionali siano o possano essere controllate dalla società madre stabilita in un altro Stato membro non è sufficiente per superare la presunzione stabilita dal Regolamento.

5. Alcune considerazioni
   Allo stato, non è agevole prevedere in che modo i criteri ermeneutici forniti dalla Corte di Giustizia Europea saranno concretamente recepiti ed attuati nel contesto dei vari procedimenti giurisdizionali pendenti dinanzi alle autorità nazionali, né è questa la sede per formulare delle considerazioni in merito al possibile esito della vicenda Eurofood. Ad ogni buon conto, non appare superfluo avanzare alcune considerazioni in merito ai profili sopra evidenziati (i.e. operatività del criterio di prevenzione e determinazione del COMI), anche al fine di individuare eventuali lacune o persistenti incertezze sul punto.

   5.1. La Corte di Giustizia Europea sembra aver avallato la tesi secondo la quale la Provisional Liquidation costituirebbe una valida decisione di apertura di una procedura di insolvenza, destinata a prevalere, sulla base del criterio di prevenzione, in quanto emanata prima dei provvedimenti relativi alla procedura italiana.
   Giova tuttavia evidenziare, in primo luogo, che nell’allegato A del Regolamento, contenente le varie procedure di insolvenza previste in ciascuno Stato membro, non vi è traccia, per l’Irlanda, della Provisional Liquidation, che appare piuttosto riconducibile ad un provvedimento meramente cautelare e provvisorio, con finalità essenzialmente conservativa ed effetti contenuti.
   Inoltre, non risulta che la Provisional Liquidation contenesse alcuna previsione in merito alla individuazione del COMI di Eurofood in Irlanda, nè all’apertura di una procedura di insolvenza principale, ai sensi del Regolamento.
   La Provisional Liquidation, peraltro, sembrerebbe essere stata pronunciata su istanza del creditore ed in assenza del debitore, con conseguenti possibili dubbi in merito alla legittimità della stessa, in relazione ai principi dell’equo processo, nonchè ai diritti di difesa e del contraddittorio, che devono essere adeguatamente tutelati anche in presenza di ragioni di urgenza.
   Sarebbe forse più ragionevole ritenere che l’apertura di una procedura di insolvenza principale possa in realtà riconoscersi solo in sede di successiva conferma della Provisional Liquidation. Diversamente argomentando, si rischierebbe di dar luogo non solo a pratiche abusive, ma anche a situazioni paradossali, certamente non in linea con le finalità sottese al Regolamento.
   Come è evidente, se la decisione di apertura di una procedura di insolvenza dovesse identificarsi (anche) in provvedimenti meramente prodromici ed interinali, soggetti a successiva conferma, non si potrebbero escludere eventuali ricadute negative ed abusi: ad esempio, la tendenza ad azionare con una certa disinvoltura strumenti anticipatori, non per finalità di protezione di beni ed interessi, bensì per ostacolare l’avvio della procedura di insolvenza in un altro Stato membro.
   D’altra parte, in caso di mancata conferma del provvedimento provvisorio si potrebbe verificare il seguente (irragionevole) scenario: il provvedimento provvisorio dovrebbe essere qualificato come valida decisione di apertura di una procedura di insolvenza per tutto il periodo della sua vigenza e spiegherebbe quindi i suoi effetti in tal senso, salvo poi venir meno in un momento successivo, per effetto della mancata conferma.
   In buona sostanza, in alcuni casi il criterio della prevenzione potrebbe non essere idoneo ad evitare inconvenienti o anomalie, con particolare riferimento alla finalità, espressamente prevista nel Regolamento, (cfr. “considerando” 4) di evitare fenomeni di forum shopping, consistenti nel trasferire beni o procedimenti giudiziari da uno Stato membro all’altro al fine di ottenere una migliore situazione giuridica.
   Appare essenziale, dunque, determinare con sufficiente chiarezza il momento di apertura della procedura di insolvenza ai sensi del Regolamento e fornire indicazioni certe ed univoche in tema di provvedimenti cautelari e conservativi adottati nelle more della dichiarazione di insolvenza, anche in considerazione delle diversità esistenti nelle legislazioni dei vari Stati membri.

   5.2. È innegabile che l’intento della Corte di Giustizia Europea sia stato quello di garantire l’uniforme interpretazione della nozione di COMI. Non sono, però, del tutto chiari i fattori determinanti da prendere in considerazione ai fini della individuazione del COMI.
   La Corte di Giustizia Europea si è infatti limitata a prendere in considerazione, come criterio alternativo rispetto alla presunzione di coincidenza del COMI con la sede statutaria, il mero rapporto di controllo intercorrente tra società madre e controllata, che risulta certamente riduttivo e non sufficiente, di per sé, a fondare il COMI di una società.
   Nella decisione in esame non vi è invece traccia dell’head office function test (criterio richiamato, peraltro, da autorevole dottrina e da vari precedenti giurisprudenziali: si veda, per tutti, il leading case Daisytek) che, ai fini della determinazione del COMI, attribuisce particolare rilevanza al luogo dal quale vengono effettivamente svolte le funzioni direttive dell’impresa insolvente.
   Tale criterio, peraltro, era stato correttamente applicato dal Tribunale di Parma nella citata sentenza del 20 febbraio 2004, che aveva individuato in Italia il COMI di Eurofood sulla base di numerose, univoche ed incontrovertibili circostanze, ulteriori e diverse rispetto al rapporto di controllo certamente esistente nel caso di specie. In particolare, il Tribunale di Parma aveva accertato che:
   – l’attività di direzione ed il centro propulsore di Eurofood erano in realtà situati in Italia, presso la sede della controllante Parmalat S.p.A.;
   – gli amministratori di Eurofood erano dei dipendenti italiani del gruppo Parmalat ed operavano dall’Italia, senza mai recarsi, se non in rare occasioni, in Irlanda;
   – Eurofood non aveva impiegati, né uffici in Irlanda, ma solo un domicilio coincidente con la sede di uno studio legale;
   – Eurofood costituiva un mero tramite ed articolazione della politica finanziaria di Parmalat ed era stata costituita all’estero all’esclusivo fine di agevolare i flussi di denaro all’interno del gruppo Parmalat, in un’ottica di vantaggio fiscale;
   – Eurofood era un mero veicolo finanziario, ed aveva in concreto eseguito solo pochissime operazioni (in particolare, due emissioni di obbligazioni con garanzia Parmalat, i cui proventi erano destinati in via esclusiva alle società controllate del Gruppo);
   – se le suddette operazioni non fossero state garantite da Parmalat, nessun avveduto investitore professionale (anche alla luce della propria specifica competenza tecnica) si sarebbe mai reso titolare di obbligazioni emesse da una “scatola vuota”, priva di assets e di possibili garanzie patrimoniali;
   – i terzi che contrattavano con Eurofood non potevano non riconoscere, dietro il suo fragile schermo societario, il vero soggetto giuridico ed economico con cui stavano negoziando e su cui facevano affidamento sotto il profilo economico.
   Come è evidente, tali circostanze – ulteriori rispetto al mero rapporto di controllo intercorrente tra Parmalat ed Eurofood – ben potrebbero costituire «elementi obiettivi e verificabili da parte di terzi», idonei (alla luce del “considerando” 13 del Regolamento e della stessa sentenza della Corte di Giustizia Europea) a consentire il superamento della presunzione di coincidenza del COMI con la sede legale dell’impresa.
   Pertanto, ai fini della individuazione del COMI sarebbe opportuno attribuire rilevanza a fattori sostanziali piuttosto che al dato formale, al fine di evitare che la localizzazione fittizia di una società in un determinato Stato membro possa impedire l’apertura di una procedura principale nel luogo ove si svolge effettivamente l’attività d’impresa, in frode ai creditori. Del resto, lo stesso art. 3 del Regolamento dispone che il COMI del debitore coincide con la sede statutaria solo in via presuntiva. Non è ammissibile, infatti, consentire ad un debitore di trarre vantaggio, a spese e danno dei creditori, dal ricorso a tecniche elusive di organizzazione della struttura societaria, tali da camuffare il luogo in cui vengono effettivamente svolte le funzioni direttive dell’impresa (head office functions) e da cui gli interessi del debitore vengono generalmente amministrati.

6. Conclusioni
   I contrasti giurisprudenziali aventi ad oggetto l’interpretazione e l’applicazione delle norme del Regolamento derivano in buona parte dalla difficoltà di contemperare l’interesse ad una gestione unitaria dell’insolvenza con l’esigenza di tutela dei vari interessi coinvolti nel dissesto.
   Tali contrasti potrebbero, tuttavia, essere attenuati o evitati mediante indicazioni chiare ed univoche in merito (i) all’esatta nozione della decisione di apertura di una procedura di insolvenza (con particolare riferimento ad eventuali provvedimenti cautelari e conservativi emessi nelle more della dichiarazione di insolvenza), nonché (ii) agli elementi determinanti per la individuazione del COMI, in particolare nel caso di imprese facenti parte di un gruppo.

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