il diritto commerciale d’oggi
    V.4 – aprile 2006

GIURISPRUDENZA

 

I

   TRIBUNALE NAPOLI, 12 marzo 2005 – Pepe Giudice Unico– Migliaccio c. Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a.
L’inosservanza degli obblighi di informazione imposti all’intermediario nella prestazione del servizio di negoziazione titoli non comporta la nullità del contratto con l’investitore, rilevando soltanto come inadempimento ad obblighi normativamente stabiliti nell’esecuzione di un ordine impartito sulla base di tale contratto.
Se il titolo acquistato non è ancora scaduto, il danno risarcibile dall’intermediario per inadeguata informazione all’investitore può essere soltanto rappresentato dalla mancata redditività del denaro impiegato nell’investimento rimasto infruttifero a causa della crisi dell’emittente.
Nella controversia promossa dall’investitore contro l’intermediario negoziatore al fine di poter dichiarare la nullità dell’operazione dedotta in lite, è necessaria la partecipazione al giudizio anche dell’emittente il titolo negoziato, quale parte contraente venditore.
Non può essere accolta la domanda proposta dall’investitore nei confronti della banca negoziatrice, tesa alla restituzione, a titolo di danni, della somma impiegata per l’acquisto di titoli, attesa l’esistenza di negoziati posti in essere dall’emittente al fine della ristrutturazione del debito.

II

TRIBUNALE TRANI, 10 giugno 2005 – Savino Presidente – Labianca Estensore – Conca c. Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a.
L’acquisizione da parte dell’intermediario di informazioni dal cliente rappresenta un processo dinamico non caratterizzato dall’obbligo di formalizzazione.
Il giudizio sulla conoscenza da parte dell’intermediario della rischiosità dell’investimento deve essere parametrato al momento in cui è stata conclusa l’operazione, sulla base delle informazioni reperibili all’epoca sul mercato.

 

II

(Omissis). – Con atto di citazione notificato in data 04.07.2003 Alessandra Migliaccio conveniva in giudizio dinanzi a questo Tribunale il Monte dei Paschi di Siena s.p.a.. La Migliaccio premetteva di essere correntista presso l’Agenzia n. 5 di Napoli della predetta Banca e rappresentava di possedere a tale data “titoli argentini” per un controvalore di € 31.000,00, residuo di un maggior investimento effettuato tramite l’agenzia su sollecitazione del preposto dott. Giuseppe Pellegrino, il quale non l’aveva adeguatamente informata dei rischi e della natura dell’investimento e l’aveva convinta a firmare alcuni moduli in bianco, utilizzati secondo l’attrice per vendere in data 04.05.2000 BTP per un controvalore pari a € 170.430,480 al fine di acquistare i “titoli argentini” per un ammontare pari a € 180.000,00. Aggiungeva l’attrice che, in seguito, avendo appreso da taluni “tecnici” dei profili di rischio sottesi all’investimento, aveva convinto il preposto a disinvestire la maggior parte dell’importo, acconsentendo tuttavia a che rimanesse investita in tali titoli la somma di € 31.000, “per non fare brutta figura con il direttore il quale continuava a rassicurarla sulla bontà dell’investimento”. Decorso un breve lasso di tempo, la Migliaccio era venuta a conoscenza del crollo delle quotazioni dei titoli in Borsa e del default dichiarato dal Governo Argentino. Ciò premesso, l’attrice chiedeva venisse accertata e dichiarata la nullità di documenti a suo dire sottoscritti in bianco, con conseguente declaratoria di illegittimità delle operazioni poste in essere dalla convenuta in nome dell’attrice; che venisse accertato l’inadempimento contrattuale, l’inosservanza degli obblighi di correttezza e diligenza, la malafede in contraendo nonché la totale responsabilità della banca nella mala gestio del rapporto creditizio intrattenuto con la medesima, anche relativamente alle arbitrarie ed irregolari operazioni di investimento imposte senza il rispetto della normativa vigente e della dovuta diligenza; che detta banca venisse conseguentemente condannata alla restituzione della somma di € 31.000 tuttora investita in titoli argentini, oltre interessi e rivalutazione dal danno al soddisfo, nonché al risarcimento sia del danno da perdite causate, oltre interessi e svalutazione, sia del danno biologico di entità da accertarsi in corso di causa; il tutto con rivalsa di spese di lite ed attribuzione al procuratore antistatario.
Costituitasi in giudizio, la convenuta asseriva che nel dicembre 2001 parte attrice aveva rappresentato al preposto la propria insoddisfazione per i tipi di investimento fino ad allora praticati, in quanto poco redditizi, chiedendo di conoscere possibilità d’impiego del capitale diverse e più remunerative. E in quell’occasione il direttore dell’Agenzia n. 5 aveva prospettato alla Migliaccio diverse possibilità d’investimento, con indicazione dei correlativi rischi. L’attrice, quindi, aveva autonomamente deciso di orientarsi su tipologie di titoli dai più alti rendimenti e maggiore rischiosità, come dimostrato dagli ordini di acquisto di azioni del cd. “Nuovo Mercato” az. I. Net e E-Biscom, e di Titoli argentini. La banca puntualizzava inoltre che non solo l’ordine d’acquisto era stato regolarmente firmato dalla Migliaccio, ma che il medesimo ordine recava la apposita sottoscrizione apposta dall’attrice, “di aver ricevuto informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni del presente ordine e di aver preso nota delle clausole che lo contraddistinguono”. La convenuta chiedeva, in conclusione, il rigetto delle domande formulate da parte attrice perché infondate in punto di fatto e di diritto.
Prodotta varia documentazione, ritenute superflue tutte le istanze istruttorie formulate dall’attrice, la causa all’udienza dell’8 luglio 2004, sulle conclusioni di cui in epigrafe, veniva assegnata a sentenza, previa concessione dei termini di legge per il deposito degli atti difensivi finali.
Occorre premettere che Alessandra Migliaccio non ha avanzato nessuna richiesta volta ad ottenere l’annullamento per vizi del consenso dell’ordine d’acquisto di “titoli argentini”, invocando soltanto la nullità di detto ordine ex artt. 1343 c.c. e 1418 c.c., nonché di “presunti” (così si legge in citazione) contratti asseritamente sottoscritti in bianco e ritenuti comunque invalidi per violazione degli artt. 1341, 1342 e 1469 bis c.c, il tutto con restituzione della somma investita di € 31.000,00; a tale domanda si aggiunge poi quella volta al risarcimento dei danni, patrimoniali e biologico, causati dall’inadempimento del Monte dei Paschi di Siena s.p.a.
È opportuno individuare fin da ora il quadro normativo di riferimento relativo agli obblighi degli intermediari finanziari nella prestazione di servizi d’investimento.
Al riguardo, bisogna anzitutto richiamare il già citato D. Lgs. 58/98 ed i conseguenti provvedimenti della Consob, in particolare il regolamento n. 11522/98. Più in dettaglio, il comma 1 dell’art. 21 del D. Lgs. 58/98 (T.U.F.) testualmente prevede che “nella prestazione dei servizi di investimento e accessori i soggetti abilitati devono: a) comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, nell’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati; b) acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati…”
Bisogna poi tener conto del disposto dell’art. 28 del regolamento n. 11522/98, come modificato a seguito dell’emanazione del successivo regolamento n. 12409/00, della Consob, che prevede che:
“1. Prima della stipulazione del contratto di gestione e di consulenza in materia di investimenti e dell’inizio della prestazione dei servizi d’investimento e dei servizi accessori a questi collegati, gli intermediari autorizzati devono: a) chiedere all’investitore notizie circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, nonché circa la sua propensione al rischio. L’eventuale rifiuto di fornire le notizie richieste deve risultare dal contratto di cui al successivo articolo 30 ovvero da apposita dichiarazione sottoscritta dall’investitore; b) consegnare agli investitori il documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari di cui all’Allegato n. 3.
2. Gli intermediari autorizzati non possono effettuare o consigliare operazioni o prestare il servizio di gestione se non dopo aver fornito all’investitore informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento”.
Ancora l’art. 29 del predetto regolamento stabilisce che “1. Gli intermediari autorizzati si astengono dall’effettuare con o per conto degli investitori operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione. 3. Gli intermediari autorizzati, quando ricevono da un investitore disposizioni relative ad una operazione non adeguata, lo informano di tale circostanza e delle ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione. Qualora l’investitore intenda comunque dare corso all’operazione, gli intermediari autorizzati possono eseguire l’operazione stessa solo sulla base di un ordine impartito per iscritto ovvero, nel caso di ordini telefonici, registrato su nastro magnetico o su altro supporto equivalente, in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute.”
Di particolare rilievo è, infine, il disposto dell’art. 23 comma 6° del D. Lgs. 58 del 1998, ai sensi del quale “nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l’onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta.”
Proprio partendo da tale ultima norma, può affermarsi la responsabilità, ex artt. 1228 c.c., del MPS nella vicenda oggetto del presente giudizio, non essendo stata raggiunta la prova che tale Banca abbia agito secondo la specifica diligenza richiesta.
Infatti, non risulta provata la consegna del documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari, né risultano acquisite notizie circa l’esperienza dell’attrice in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, nonché circa la sua propensione al rischio.
Inoltre, l’intermediario non ha fornito prova di aver reso all’investitore informazioni sull’adeguatezza dell’investimento rispetto alle caratteristiche personali del cliente nonché sull’esistenza di ragioni ostative alla sua esecuzione.
Sul punto non vale anzitutto obiettare che l’informativa sulla esperienza, situazione finanziaria, obiettivi d’investimento e propensione al rischio, era stata rifiutata dalla Migliaccio all’atto della sottoscrizione del contratto di intermediazione mobiliare e di deposito titoli a custodia ed amministrazione nel 1996.
La particolare rischiosità dell’investimento (mai contestata dalla convenuta) e la normativa innanzi richiamata imponevano alla banca di chiedere nuovamente tali informazioni all’attrice, anche in considerazione del notevole lasso di tempo trascorso dal primo rifiuto al riguardo opposto da quest’ultima.
Nell’ipotesi in cui la Migliaccio si fosse rifiutata di ricevere tali informazioni, la Banca avrebbe dovuto far risultare il nuovo rifiuto da atto scritto.
Nel caso di specie la convenuta non ha dimostrato in alcun modo di aver curato tali adempimenti, che pure le erano normativamente imposti, e di aver segnalato all’attrice, da un lato, l’eventuale inadeguatezza dell’operazione di acquisto di € 180.000,00 di bond argentini, dall’altro l’opportunità di un successivo integrale disinvestimento, viceversa effettuato dalla Migliaccio solo in parte, con conservazione di € 31.000,00 investiti in tali titoli.
Né vale obiettare, come ha fatto la banca, che tali informazioni erano comunque desumibili da altre circostanze che deponevano tutte per l’adeguatezza dell’investimento al profilo di rischio che la condotta dell’attrice palesava.
Si fa riferimento in particolare al fatto che la stessa avrebbe investito talune disponibilità in un fondo azionario ed avrebbe anche acquistato azioni del cd. Nuovo Mercato, elementi addotti dalla convenuta per dimostrare che l’attrice presentava una propensione al rischio medio-alta.
In realtà tali elementi sono tutt’altro che univoci e risolutivi, anche considerato il limitato importo dell’investimento in azioni del nuovo mercato e la esiguità delle somme impiegate nel fondo azionario rispetto a quelle risultanti, nel medesimo periodo, investite in BTP.
Del resto, anche a voler ragionare in questi termini, altri elementi, quali l’età o le risorse patrimoniali dell’attrice, potevano portare a conclusioni del tutto antitetiche rispetto a quelle indicate dalla Banca convenuta; quest’ultima era, dunque, tenuta a fornire alla Migliaccio tutti i ragguagli anche sull’adeguatezza dell’investimento, sia all’inizio che in seguito, al fine di consentire alla stessa una consapevole valutazione circa l’opportunità del medesimo e circa l’opportunità di un integrale disinvestimento della somma di € 180.000,00 (invece, come visto, disinvestita solo in parte).
Certo, risulta che la convenuta ha posto in essere un’attività informativa all’atto dell’acquisto dei bond. In particolare si fa riferimento all’attestazione, apposta dall’attrice in calce all’ordine di acquisto di tali titoli, di “aver ricevuto informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni del presente ordine e di aver preso nota delle clausole che lo contraddistinguono”.
Tale attestazione, tuttavia, non è sufficiente a soddisfare l’onere probatorio a carico dell’intermediario, all’uopo risultando infatti necessaria la prova di aver posto in essere le ulteriori attività informative in precedenza menzionate e previste nella normativa di riferimento.
Dunque, lo si ribadisce, non avendo fornito prova dell’osservanza del particolare grado di diligenza normativamente imposto nell’esecuzione di tale contratto (che tiene luogo della diligenza del buon padre di famiglia prevista dall’art. 1710 c.c. in tema di mandato), il MPS deve essere ritenuto inadempiente agli obblighi normativi posti a suo carico quale intermediario finanziario.
Ma la sussistenza di tali violazioni non determina la nullità del contratto di mandato per illiceità della causa o sua contrarietà a norme imperative.
Infatti, anche a voler ammettere la natura imperativa delle norme del D. Lgs. 58/98 imponenti tali obblighi in quanto funzionali alla tutela del valore costituzionale del risparmio (art. 47 Cost.), la relativa violazione non determina l’illiceità della causa del contratto, in quanto questo appare comunque idoneo a realizzare la funzione per cui è stato stipulato.
Al riguardo è facile osservare che lo scopo di un contratto avente ad oggetto la prestazione di servizi d’investimento è essenzialmente quello di consentire all’investitore di acquistare strumenti finanziari per il tramite dell’intermediario; tale scopo continua a sussistere e a non contrastare con nessuna norma imperativa, anche in caso di violazione delle disposizioni del T.U.F., tese piuttosto a delineare il particolare grado di diligenza e gli ulteriori obblighi che deve assolvere l’intermediario nell’eseguire il contratto stipulato.
Analoghe osservazioni possono farsi anche rispetto all’asserita nullità del contratto ex art. 1418 c.c. per contrarietà del medesimo a norme imperative.
Anche in tal caso può concludersi che l’inosservanza degli obblighi di diligenza ed informazione imposti agli intermediari nella prestazione di tali servizi non si riverbera sulla validità del contratto stipulato sia sotto il profilo genetico, sia sotto quello funzionale, rilevando essenzialmente come inadempimento a obblighi normativamente stabiliti, posto in essere dall’intermediario, nell’esecuzione di un ordine impartito per l’appunto sulla base del contratto stipulato.
Del resto si osserva che, ogni qual volta il legislatore ha inteso affermare la nullità del contratto a seguito di violazione di obblighi di informazione o comunque di obblighi imposti a tutela della parte debole, lo ha sempre fatto espressamente. Il D.Lgs. 58/98, viceversa, nulla dispone al riguardo e, anzi, come si evince dal citato art. 23, sembra espressamente limitare la sanzione prevista per la violazione di tali obblighi al risarcimento del danno. Questo, sempre a volere ammettere la natura imperativa delle norme in oggetto, è un ulteriore indice dell’infondatezza della tesi della nullità, posto che secondo l’art. 1418 comma 1 c.c. la contrarietà a norme imperative determina nullità “salvo che la legge disponga diversamente”.
Così come non si rileva la nullità dell’ordine di acquisto per impossibilità dell’oggetto, già per la ragione che i titoli argentini al momento dell’acquisto, pur essendo considerati ad altissimo rischio, ancora potevano offrire qualche possibilità di rimborso del capitale e di produzione della cedola, che infatti nel 2001 è stata regolarmente percepita. Né l’ordinamento conosce la nullità del contratto per impossibilità sopravvenuta.
Per quel che riguarda poi la domanda della Migliaccio di declaratoria di nullità di non meglio individuati contratti sottoscritti in bianco, occorre premettere che la stessa attrice non ha mai dedotto l’esistenza di patti di riempimento violati, limitandosi solo a sostenere (e a richiedere di provare: capo “d” delle note ex art. 184 c.p.c.) di avere sottoscritto dei moduli in bianco. Si sarebbe, dunque, in presenza della ipotesi del riempimento absque pactis, ipotesi nella quale, com’è noto, la riferibilità del documento può essere eliminata solo con una “querela di falso”, nella fattispecie non proposta. In mancanza di tale accertamento, non è possibile rinvenire alcuna nullità.
Al pari da respingere sono le censure attoree riguardanti la presunta abusività di non meglio specificate clausole dei contratti sottoscritti, doglianze in verità generiche e comunque irrilevanti, dato che la violazione di obblighi d’informazione sussiste a prescindere da qualsiasi previsione contrattuale. In altre parole non ha senso invocare nel caso in esame la normativa sulle clausole abusive e/o vessatorie, poiché gli obblighi violati derivano, come detto, dalla legge, e in particolare da norme che la stessa attrice assume imperative; nei moduli contenenti gli ordini non vi è, peraltro, traccia di clausole che deroghino alle disposizioni sugli obblighi di informazione.
Al di là di quanto sinora esposto, va peraltro rilevato che la Migliaccio ha richiesto la restituzione della somma di € 31.000,00, ovvero del corrispettivo (parziale) pagato per l’acquisto dei titoli argentini, nell’ambito di un contratto stipulato, per effetto dell’intermediazione del MPS, con lo Stato argentino (si noti che non risulta né dedotto né provato che il MPS già possedesse i bond, direttamente acquistati e solo da collocare sul mercato). Ma tale Stato emittente non è stato convenuto in giudizio, per cui, a prescindere dalla infondatezza – sopra evidenziata – della tesi della nullità dell’ordine d’acquisto, non è possibile discutere dell’ulteriore conseguenza prospettata dall’attrice, ossia la nullità derivata del relativo contratto di acquisto dei titoli argentini, perché tale nullità non può essere dichiarata incidenter tantum in un giudizio in cui non è parte uno dei contraenti, il venditore.
Pertanto, la domanda principale attorea, volta alla declaratoria di nullità dell’ordine d’acquisto e del conseguente contratto d’acquisto dei “bond argentini”, con restituzione a titolo di indebito oggettivo della somma di € 31.000,00, va rigettata.
L’attrice ha, però, altresì richiesto la condanna del MPS al risarcimento dei danni derivanti dall’inadempimento dei propri obblighi di informazione, e tale domanda va accolta per quanto di ragione.
Infatti, si è già sopra affermata la responsabilità del MPS per non avere fornito la prova dell’osservanza del particolare grado di diligenza normativamente imposto nell’esecuzione del contratto di intermediazione mobiliare. Ne deriva che il MPS deve essere ritenuto responsabile dei danni patiti dall’attrice a seguito di tale inadempimento e, di conseguenza, condannato al risarcimento dei medesimi.
Con riferimento al quantum debeatur, va tuttavia respinta la domanda attorea volta alla restituzione, a titolo di danni, della somma di € 31.000 tuttora investita in titoli argentini.
Il titolo acquistato verrà infatti a scadenza solo nel 2005 e fino a quel momento non può aversi certezza se ed in che misura (per intero o in parte, a rate o immediatamente, con aggiunta degli interessi o meno) l’obbligo di restituzione del capitale resterà inadempiuto, anche perché costituisce fatto notorio l’esistenza di negoziati posti in essere dal Governo Argentino al fine del ripianamento della relativa esposizione debitoria.
Le uniche perdite certe, e pertanto risarcibili, attengono invece agli interessi non percepiti dalla Migliaccio per effetto del mantenimento di € 31.000,00 investiti in titoli argentini.
Tali interessi non sono, però, quelli collegati alla normale redditività dei bond argentini, in quanto qui il risarcimento non può essere correlato all’interesse “positivo” all’esecuzione del contratto di prestito obbligazionario, non trattandosi di azione esperita nei confronti dell’altro contraente beneficiario del prestito, solo rispetto al quale potrebbe essere fatto valere tale tipo di danno (principio pacifico), ma di azione esercitata contro l’intermediario a titolo di responsabilità per inadeguata informazione.
La Migliaccio, quindi, ha diritto al risarcimento dell’interesse “negativo” a non effettuare un investimento comportante il congelamento infruttifero del proprio denaro per alcuni anni.
Ora, poiché l’attrice fino a maggio 2001 ha regolarmente percepito la cedola maturata sui bond, il danno certo da mancata redditività del denaro è configurabile solo dal 2002 sino al 2004, mentre per il futuro l’incertezza assoluta sulla vicenda bond argentini (si ripete, con la loro eventuale restituzione totale o parziale, rateale o in unica soluzione, comprensiva di interessi o meno) esclude ogni ipotesi risarcitoria. Tenuto conto del notorio andamento, non positivo dopo l’11 settembre 2001, del mercato mobiliare, si può valutare una minore propensione al rischio da parte della Migliaccio e l’utilizzo del suo denaro in investimenti più sicuri, come i tradizionali BOT o CCT, fondi monetari, fondi obbligazionari o bilanciati. E facendo una media di redditività di tali forme di investimento, sulla base di nozioni di comune esperienza, si può fissare una percentuale del 2% annuo, per cui il danno alla fine riconoscibile alla Migliaccio ammonta ad € 620,00 per anno, ossia ad € 1.860,00 (pari al 2% di € 31.000,00 per tre anni).
Trattandosi di debito di valore, i mancati rendimenti riferiti agli anni 2002 e 2003 vanno rivalutati ad oggi secondo gli indici medi ISTAT, mentre il mancato rendimento del 2004 non deve essere rivalutato, perché rapportato alla fine del 2004, e quindi al momento della decisione.
La somma di € 1.860,00 aumenta, pertanto, ad € 1.911,00 (considerando € 33,00 ed € 18,00 per la rivalutazione dei mancati rendimenti 2002 e 2003), per poi ulteriormente aumentare ad € 1.947,00 calcolando in via equitativa e forfettaria nella misura di € 12,00 all’anno gli interessi compensativi dovuti per il mancato godimento alla fine del 2002 e 2003 delle rendite degli investimenti.
Non può, invece, accogliersi la domanda di risarcimento del danno biologico, non essendo stata fornita prova dell’esistenza di processi patologici instauratisi nell’attrice come conseguenza della condotta della convenuta.
In conclusione, il MPS va condannato a pagare alla Migliaccio la somma di € 1.947,00, oltre interessi legali su tale sorta capitale dalla data di pubblicazione della presente sentenza sino al soddisfo.
Per il principio di soccombenza, la convenuta va altresì condannata a rifondere alla Migliaccio le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso (spese effettive, natura della controversia e valore della stessa in relazione all’importo della condanna ex art. 6 della tariffa professionale, attività espletate, tariffa vigente) e da integrare poi con le spese forfettarie ex art. 12 dell’ultima tariffa professionale e con gli accessori di legge dell’I.V.A. e della C.P.A.; va peraltro disposta l’attribuzione in favore dell’avv. Giuseppe Ursini, che ha reso la dichiarazione prescritta dall’art. 93 c.p.c.
A norma dell’art. 282 c.p.c. nuovo testo, la presente sentenza è provvisoriamente esecutiva ex lege. Tuttavia, poiché tale provvisoria esecutorietà promana direttamente dalla legge, non è necessario fare espressa menzione di ciò nel dispositivo. –
(Omissis).

II

(Omissis) Con atto di citazione notificato in data 22.7.2004, Giuseppe Conca (omissis) conveniva dinanzi all’intestato Tribunale la Banca Monte dei Paschi di Siena onde sentire: 1) in via principale, dichiarare la nullità del contratto di acquisto dell’obbligazione “Cirio H. 01.04”, per la violazione delle norme imperative di cui al testo unico della finanza; 2) in via gradata, dichiarare l’annullamento del contratto ex artt. 1439 e/o 1428 del codice civile; 3) in ulteriore subordine, dichiarare l’inefficacia ex artt. 1469-bis e seguenti del codice civile; 4) dichiarare la retrocessione di ogni somma conferita per l’operazione in parola, oltre interessi e rivalutazione dal giorno dell’acquisto; 5) condannare la banca convenuta al risarcimento del danno biologico, morale ed assistenziale rivenienti dalla evidenziata culpa in contraendo e nell’esecuzione del contratto, da quantificarsi in via equitativa, con vittoria delle spese di lite. Si costituiva la Banca Monte dei Paschi di Siena, la quale deduceva l’assoluta infondatezza delle avverse argomentazioni (omissis) e richiedeva il rigetto della domanda di parte attrice (omissis). Motivi della decisione. 1. Sulla sollecitazione al pubblico risparmio o negoziazione su base individuale. Preliminarmente, occorre anzitutto accertare se, nel caso di specie, si sia trattato di una sollecitazione al pubblico risparmio o di una negoziazione su base individuale; tale chiarificazione non è oziosa, posto che dalla riconducibilità della negoziazione dei titoli in questione all’ipotesi della sollecitazione al pubblico risparmio ovvero a quella della trattativa su base individuale, ne deriva l’applicabilità della disciplina prevista dagli art. 94 e ss. del Testo Unico della Finanza.
Va premesso che la sollecitazione all’investimento è stata individuata dall’articolo 94 del testo unico della finanza come “ogni offerta, invito ad offrire, o messaggio promozionale, in qualsiasi forma rivolti al pubblico, finalizzati alla vendita o alla sottoscrizione di prodotti finanziari”.
Rientrano, dunque, nella nozione di sollecitazione all’investimento, le attività volte a promuovere l’investimento in prodotti finanziari (compresi i titoli obbligazionari pubblici e privati, e qualsiasi altro strumento finanziario), ad incoraggiare l’acquisto o la sottoscrizione di tali prodotti da parte del pubblico.
La disciplina della sollecitazione all’investimento, così come contenuta nella regolamentazione di attuazione degli artt. 94 e ss. del T.U. della finanza emanata dalla Consob (provvedimento n. 11971/1999), prevede, a carico dell’emittente, dell’offerente e dei responsabili del collocamento, una serie di obblighi informativi che presiedono all’esigenza di una maggiore tutela per il soggetto “sollecitato”, rendendo garante di tale protezione la Consob e attribuendo alla stessa un potere regolamentare molto penetrante, finalizzato all’esercizio di un controllo di tipo preventivo: invero, secondo l’art. 94, comma 1, della legge predetta, “coloro che intendono effettuare una sollecitazione all’investimento, ne danno preventiva comunicazione alla Consob, allegando il prospetto destinato alla pubblicazione”.
La suddetta comunicazione deve contenere la sintetica descrizione dell’offerta e le indicazioni dei soggetti che la promuovono, attestare i presupposti necessari per l’offerta, essere corredata dalle informazioni richieste dall’allegato 1/A, e sottoscritta da coloro che intendono effettuare la sollecitazione; il comma 2 dell’art. 94 dispone, poi, che il prospetto contiene delle informazioni che – a seconda delle caratteristiche dei prodotti finanziari e degli emettenti – sono necessarie affinché gli investitori possano pervenire ad un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale, economica finanziaria e sull’evoluzione dell’attività dell’emittente nonché sui prodotti finanziari e sui relativi diritti.
Si procede quindi alla pubblicazione del prospetto informativo (disciplinata dall’art. 8 Reg. Consob), che avviene con modalità tali da consentire alla Consob forti poteri di controllo, sia sul prospetto che sui soggetti.
In definitiva, quindi, chi intende offrire strumenti finanziari al pubblico indistinto, con modalità standardizzate è tenuto a pubblicare un prospetto informativo da sottoporre alla preventiva organizzazione della Consob.
È evidente, allora, che la ratio di tale normativa è deputata a tutelare una molteplicità di soggetti, i quali potrebbero essere tratti in inganno da forme di pubblicità in prodotti finanziari di dubbia solidità, e pertanto si prevede un previo controllo di un ente pubblico (Consob) sulla veridicità delle informazioni diffuse; analoga tutela non è prevista, e reputata necessaria, nel caso di un singolo cliente che intende investire su un particolare prodotto o strumento finanziario.
Nella prassi, specie internazionale, è andato infatti diffondendosi un canale, più rapido e meno oneroso, attraverso il quale gli emittenti si rivolgono al mercato: si tratta dei c.d. “private placement” (o collocamento privato), in base al quale gli emittenti sia privati che pubblici (bond di Comuni, Province, Regioni ed altri enti pubblici) offrono gli strumenti finanziari emessi a destinatari internazionali (fondi comuni, banche e intermediari finanziari italiani e esteri, società fiduciarie, etc.).
Il collocamento privato, proprio in quanto rivolto a soggetti qualificati consente un’attività di marketing semplificata e risulta supportato da un documento di offerta (c.d. “circular offering”), di norma in lingua inglese, redatto secondo la prassi internazionale.
Ora, l’adozione di un private placement non preclude la successiva vendita degli strumenti finanziari a investitori c.d. retail o non qualificati; i titoli, infatti, possono successivamente entrare nel patrimonio di tali investitori mediante l’attività degli intermediari nella loro veste di soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento nei confronti della clientela.
Nel caso delle euro obbligazioni Cirio, acquistate dall’odierno attore va detto che, una volta emesse sull’euro mercato, sono state inizialmente assunte “a fermo” da alcune Banche, le quali le hanno successivamente vendute ad investitori istituzionali e da queste a soggetti privati, analogamente a quanto avvenuto per le principali emissioni internazionali effettuate da gruppi italiani.
Sul punto, la Banca d’Italia, nel bollettino economico n. 41/03 ha chiarito che “l’assenza del prospetto informativo previsto per le offerte pubbliche impedisce alle Banche, sia quelle che sottoscrivono inizialmente i titoli sia quelle che li acquistano dalla banche collocatrici di sollecitare il pubblico a comprare i valori mobiliari.
“Le Banche possono tuttavia vendere i titoli del proprio portafoglio ai clienti che ne facciano richiesta, nell’ambito di un’attività di negoziazione per conto proprio”.
La sequenza “assunzione a fermo – negoziazione sul mercato secondario” è perfettamente lecita e non implica in alcun modo la violazione dell’obbligo di prospetto; la Banca d’Italia, nel bollettino predetto non ha messo infatti in discussione né “la liceità della vendita dei titoli suddetti sul mercato (neppure nella fase c.d. di grey market), né la presenza di attività in qualche modo propositive da parte degli intermediari”.
“Nel caso delle obbligazioni Cirio, le procedure di emissione e di collocamento dei prestiti obbligazionari facenti capo a società del gruppo, ricalcano quelle descritte in precedenza” (v. sempre Boll. Ec. Banca d’Italia n. 41/03).
In particolare, è da ritenersi che, in relazione alla vendita delle obbligazioni agli odierni attori, nulla impediva alla banca di poter vendere i titoli agli investitori privati che ne facevano richiesta, e ciò nell’ambito di una attività di negoziazione individuale.
Peraltro, nella specie, non è stata in qualche modo dimostrata da parte attrice un’attività di proposizione o di effettiva promozione da parte dei funzionari della Banca 121: anzi, dalla espletata prova testimoniale, è emerso che il Conca, accompagnato presso l’istituto di credito dalla fidanzata (e dalla madre di quest’ultima), fu da questa consigliato di operare investimento analogo a quello fatto dai genitori nel febbraio del 2001 (ed implementato nel novembre 2001); non vi sono, pertanto, gli estremi per poter ritenere che, nel concreto, la vendita delle obbligazioni Cirio H. 01–04 possa essersi configurata in termini di sollecitazione al pubblico risparmio, con la conseguente applicazione della disciplina prevista dalle regole del T.U. della finanza sulla sollecitazione all’investimento.
Esclusa allora la sussistenza di una sollecitazione al pubblico risparmio, non possono essere condivise le argomentazioni di parte attrice, relative alla impossibilità di collocare tali prodotti agli investitori non istituzionali ed alla assenza di “rating” o di prospetto informativo sui titoli per cui è causa.
È del tutto evidente, invece, che nella specie debba trovare applicazione la diversa disciplina della c.d. negoziazione su base individuale, prevista dall’art. 32 del Reg. Consob.
2. Sull’attività di negoziazione individuale per conto proprio. Nello specifico, la Banca si è posta in contropartita diretta con il cliente, operando nello svolgimento del servizio di negoziazione c.d. “per conto proprio”.
È bene rammentare che tale servizio può dar luogo ad una differenza tra prezzo di acquisto del titolo da parte dell’intermediario e il prezzo di vendita ai clienti, in quanto l’intermediario, nell’operatività per conto proprio, ha l’obbligo di comunicare al cliente il prezzo al quale è disposto a concludere la transazione, ma non può applicare alcuna commissione; nel concreto, la Banca 121 ha acquistato le euro obbligazioni Cirio H.01.04 dalla “Euroimmobiliare Sim” S.p.a. e, successivamente, ha venduto i titoli all’attore, per un controvalore di € 25.000,00; l’acquisto in esame non si colloca, pertanto, nella fase c.d. di mercato “primario” (o di emissione), bensì nella fase, successiva, di mercato c.d. “secondario”, il cui titolo, già in possesso dell’investitore viene negoziato con un altro soggetto privato.
Quand’anche, poi, volesse accedersi alla tesi in base alla quale gli strumenti finanziari in questione furono “consigliati” dai funzionari, e ciò sulla base di una attività di consulenza da parte della Banca, deve rilevarsi che comunque l’attività di consulenza si caratterizza per la sostanziale “neutralità” dell’intermediario rispetto alla conclusione delle operazioni eventualmente conseguenti all’esercizio della consulenza; è evidente, infatti, che, nel caso della consulenza (a differenza della attività di gestione, che comporta l’obbligo di effettuare valutazioni discrezionali circa l’opportunità di investimenti e l’obbligo di predisporre la possibilità che dette valutazioni si traducono in operazioni) , la scelta di tradurre in operatività i consigli rimane sempre in capo al cliente, e così è avvenuto nella specie (v. doc. all. e in particolare ordine di acquisto).
Né, sul punto, parte attrice ha dimostrato la sussistenza di un precedente accordo o convenzione, tra l’emittente e la Banca, in base al quale la seconda si impegnava a sollecitare la sottoscrizione dei contratti di obbligazioni Cirio nei confronti della clientela; dalle risultanze probatorie, è emerso, piuttosto, che l’attività si è concretizzata in una vera e propria negoziazione individuale di titoli già nel paniere della Banca, ed effettuata su richiesta del cliente e nell’ambito di una attività di consulenza, che tuttavia non implicava (e di ciò non è stata fornita alcuna prova) alcuna attività promozionale e/o di gestione.
Risulta a questo punto opportuno evidenziare che, in generale, nell’ipotesi di acquisto dei titoli dagli investitori istituzionali destinatari dei private placement, i risparmiatori non restano comunque privi di forme di tutela, ma quest’ultima di rinviene nelle norme riguardanti gli obblighi di comportamento gravanti sugli intermediari nella prestazione dei servizi di investimento, costituita dagli artt. 21 e ss. del T.U. della finanza e la disciplina contenuta nel Regolamento Consob n. 11522/98. La fonte comunitaria di tali disposizioni è la Direttiva n. 93/22/CEE (in particolare l’art. 11).
Si tratta pertanto di verificare se, nel caso di specie, siano state rispettate le regole di comportamento degli intermediari.
Invero, come per il collocamento, anche per la negoziazione di titoli occorre che: 1) i clienti siano adeguatamente informati sulle operazioni poste in essere; 2) venga assicurata al cliente la necessaria trasparenza, riducendo al minimo le situazioni di conflitto di interessi; 3) vengano sconsigliate operazioni non adeguate all’investitore; 4) gli strumenti finanziari negoziati siano coerenti con le esigenze finanziarie, la disponibilità economica, la propensione al rischio dei singoli investitori.
3. Sui doveri di cui all’art. 21, 22, 23, 26 e 29 T.u.f.
Di tali disposizioni vanno precisati e ricostruiti i confini di applicazione.
A tal fine, si può sottolineare come la norma di cui all’art. 21 (e in parte di cui agli artt. 22 e 23) t.u.f. ponga a carico degli intermediari il doveri di comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza nell’interesse dei clienti e per la integrità dei mercati.
Tali clausole generali costituiscono gli standard basilari per garantire la chiusura e la necessaria elasticità del sistema, individuando i beni di carattere generale (interesse dei clienti e integrità di mercati) sottesi alla disciplina.
La diligenza richiesta all’intermediario è quella specificata, esigibile dagli intermediari professionali del settore (art. 1176, secondo comma, del cod. civ.).
Nel caso di specie, parte attrice, pur deducendo la violazione, da parte dei funzionari della banca 121, del dovere di esatta informazione, di diligenza e di trasparenza in ordine alla speculatività ed alla alta rischiosità dei titoli acquistati, non ha fornito alcun riscontro in ordine alla asserita contrarietà a tali standard comportamentali.
Sul punto, va rimarcato che la Banca ha documentato di aver consegnato al cliente la documentazione necessaria a renderlo edotto della natura, delle caratteristiche e dei rischi dell’investimento; in particolare, lo stesso contratto sottoscritto dal cliente costituisce, nella specie, veicolo di informazione sul piano dei contenuti dell’investimento.
Risulta, poi, dai documenti prodotti, che fu consegnato agli attori: – il documento sui rischi generali dell’investimento; – una copia dell’ordine di negoziazione degli strumenti finanziari, con il visto dell’operatore per l’adeguatezza dell’operazione; – la scheda per l’individuazione del profilo cliente, da cui risulta: il rifiuto di fornire informazioni sulla precedente esperienza in strumenti finanziari strutturati e derivati; sugli obiettivi di investimento; sulla disponibilità finanziaria; sulla propensione al rischio.
Orbene, alla luce della documentazione consegnata, deve ritenersi: 1) che sia stato rispettato il requisito della forma scritta ad substantiam, sancito dall’art. 23 primo comma, d. leg. 58/98, che stabilisce che “i contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento e accessori sono redatti per iscritto e l’inosservanza della forma scritta è sanzionata con la nullità”; 2) che risulta adempiuto anche l’obbligo formale di cui all’art. 28, primo comma, let. A) del Reg. Consob 11522/98, ai sensi del quale “prima di iniziare la prestazione dei servizi di investimento gli intermediari autorizzati devono chiedere all’investitore notizie circa la sua esperienza in materia di strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, la sua propensione al rischio”.
4. Sul giudizio di adeguatezza ex art. 29 Reg. Consob. N. 11522/98 dell’operazione conclusa. Nel concreto, va premesso che, pur avendo il funzionario richiesto al cliente di compilare la scheda profilo, questi si rifiutò di fornire informazioni.
Da tale rifiuto sarebbe derivata – a giudizio dell’attore – la violazione della regola ex art. 29 Reg. Consob, concernente il giudizio di adeguatezza c.d. “soggettiva” dell’operazione.
Sul punto, va rammentato che la regola di condotta della c.d. adeguatezza, o “suitability” (che impone all’intermediario di controllare l’adeguatezza rispetto al cliente delle operazioni disposte, ai sensi dell’art. 29 Reg. Consob, riassunta nella nota espressione anglosassone “know your customer”), impone all’intermediario di esprimere un giudizio sulla operazione, avuto riguardo ai criteri della “tipologia, oggetto, dimensione e frequenza”; il principio di conoscenza del cliente risulta, pertanto, con tutta evidenza, prodromico e strumentale alla regola della c.d. “suitability”, che richiede all’intermediario di controllare l’adeguatezza delle operazioni disposte rispetto al profilo del cliente.
Da ciò deriva che l’acquisizione delle informazioni dal cliente è un processo dinamico, che non si esaurisce nell’apertura del rapporto, ma che richiede necessari aggiornamenti.
Sotto questo profilo, reputa il Collegio che è senz’altro esatta la tesi in base alla quale, nel caso in cui il cliente rifiuti di fornire informazioni, l’intermediario, non è comunque dispensato dal formulare il giudizio di adeguatezza, ma dovrà, a tal fine, “ tenere in considerazione le informazioni di cui sia a conoscenza” (v. Comunicazione Consob n. 95007939 del 15 settembre del 1995; Comunicazione n. DIN /30396 del 21 aprile 2000).
Nel caso di specie, tuttavia, il giudizio di adeguatezza della Banca è stato formulato (come risulta dal visto per l’adeguatezza apposto in calce all’ordine di acquisto), e proprio tenendo nella dovuta considerazione le informazioni di cui il funzionario di banca venne direttamente in possesso dal Conca, il quale, recatosi in banca con la fidanzata e la signora Matera Ippolita (le quali gli suggerirono di effettuare analogo investimento a quello da esse operato poco prima): – richiese una forma alternativa all’investimento nei titoli di Stato; – fu informato – come si legge nell’ordine di acquisto dei titoli Cirio H.01.04, nel quale da atto di essere stato “esaustivamente informato sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni dell’operazione riportata nel presente ordine e di aver richiesto l’esecuzione nella più completa autonomia” – delle caratteristiche, della natura e dei rischi dell’operazione conclusa; – decise comunque di sottoscrivere l’operazione, al fronte del corredo informativo rilasciatogli dal funzionario di banca.
Ciò posto, va ancora rimarcato che lo scopo della norma di cui all’art. 29 del Reg. Consob come esattamente rilevato dalla Suprema Corte nella sentenza n. 11279/1997 – “è quella di imporre all’intermediario di assumere dal cliente le più complete informazioni afferenti la sua situazione finanziaria, affinché possa meglio valutare se l’operazione dal cliente proposta o a lui suggerita sia compatibile con le sue capacità economiche” .
Questo è l’obbiettivo perseguito nella disposizione di legge in esame.
È coerente – prosegue la Suprema Corte nella citata sentenza – che “in nessun luogo la lettera della disposizione impone che l’attività di informazione sia consacrata in un documento compilato dal cliente stesso”.
Alla stregua di tali considerazioni, e ritenuto che: – è da escludersi la necessità che l’attività di informazione acquisita dalla banca deve essere consacrata in un documento compilato dal cliente stesso (alla luce della riferita sentenza, invero, nei successivi Regolamenti, la Consob non ha ripetuto la previsione circa la necessità di un’apposita formalizzazione, in documentazione allegata al contratto, delle informazioni rilevanti acquisite dal cliente) e che, nella specie, il funzionario deve ripetere per iscritto le informazioni acquisite all’atto della vendita dall’attore; – la Banca aveva avuto piena informazione sulla situazione finanziaria del Conca, posto che – come ammesso dallo stesso attore in sede di interrogatorio libero – gli erano scaduti i titoli di Stato (BOT) per un controvalore di € 25.000,00 e degli obiettivi di investimento dell’attore, il quale intendeva reinvestire la somma riveniente dalla scadenza dei BOT, in un investimento a capitale garantito e con un elevato rendimento; – l’intermediario non poteva che desumere una propensione al rischio minima o ridotta, e di conseguenza, obiettivi di investimento orientati alla conservazione del capitale investito piuttosto che alla massimizzazione della redditività; – furono fornite all’investitore (v. ordine di acquisto) informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione, la cui conoscenza era necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento; – l’ordine fu ugualmente impartito dal Conca per iscritto; – il funzionario di banca (e, sotto questo profilo, il giudizio deve ovviamente essere effettuato ex ante, cioè parametrato al momento in cui fu conclusa l’operazione e non ex post, sulla base della conoscenza del default dei titoli in questione), non aveva, all’epoca dei fatti elementi di giudizio per considerare che l’operazione fosse altamente rischiosa ed inadeguata, in senso oggettivo, rispetto al profilo fornitogli dal cliente, posto che, dalle informazioni reperibili sul mercato all’epoca dei fatti, non poteva in alcun modo evincersi la rischiosità dell’investimento, né altrimenti prevedersi il default dei titoli in argomento; dall’altra parte, al riguardo, con riferimento alla data dell’operazione, nessuna prova è stata offerta dall’attore; – all’epoca, detti strumenti di debito avevano un rendimento decisamente più elevato di quello di altri prodotti simili, e notevolmente maggiore rispetto a quello dei titoli di Stato dell’area Europa (nella specie, il 6,25%) sicché non può affermarsi che la scelta finanziaria fosse, a monte, inadeguata, sia per tipologia ed oggetto (il Conca passò dai titoli di Stato alle obbligazioni Cirio) che per dimensioni e per frequenza, atteso il reinvestimento della precedente somma in altrettanti titoli di debito, con una cedola però superiore di rendimento; può affermarsi, conclusivamente, che la Banca ha adempiuto integralmente agli obblighi formali imposti dalla normativa di settore, per quanto concerne la raccolta di informazioni rilevanti dall’investitore.
6. Sul conflitto di interessi. L’attore ha dedotto la violazione dell’art. 27 Reg. Consob, che sotto la rubrica “Conflitto di interessi” recita: “gli intermediari autorizzati non possono effettuare operazioni con o per conto della propria clientela se hanno direttamente o indirettamente un interesse in conflitto anche derivante da rapporti di gruppo, dalla prestazione congiunta di più servizi o da altri rapporti di affari propri o di società del gruppo a meno che non abbiano preventivamente informato per iscritto l’investitore circa la natura e l’estensione del loro interesse nell’operazione e l’investitore non abbia acconsentito espressamente per iscritto alla effettuazione dell’operazione”.
Nella fattispecie all’esame del Collegio, si deve rammentare che la Consob (risposta a quesito n. DAL 97006042 del 9.7.1997) ha ritenuto insussistente il conflitto di interessi nel caso – come quello di specie – di negoziazione di titoli in contropartita diretta con il cliente, ove la compravendita si sia perfezionata sulla base di un ordine di acquisto dello strumento finanziario conferito espressamente e spontaneamente dal cliente, ammettendone l’astratta possibilità solo ove l’acquisto si sia perfezionato su sollecitazione dell’intermediario (che nella specie, è stata, come detto, esclusa) e nel caso in cui si provi che l’intermediario perseguiva scopi ulteriori e diversi rispetto alla realizzazione dell’interesse del cliente; il che, nel concreto, non è stato affatto dimostrato.
Peraltro, non va sottaciuto che la Banca 121, all’epoca, non aveva alcun rapporto di finanziamento con la Cirio S.p.a., e ciò esclude di per sé che vi fosse nell’azione della Banca un fine ulteriore e diverso rispetto a quello della soddisfazione dell’attore, da tempo cliente della Banca.
Inoltre, nella fattispecie, non v’è stata alcuna prova sul fatto che la negoziazione dei titoli in questione sia stata preceduta da sollecitazione o proposta del funzionario della Banca, né che l’istituto di credito avesse un qualunque interesse a collocare le obbligazioni Cirio H. 01.04, delle quali non era creditrice in forma diretta.
Ancora, la prova è esclusa proprio dalla incontestata circostanza che la Banca comprò un considerevole quantitativo di obbligazioni Cirio H. (per un controvalore di circa € 286.000,00) dalla società “Euroimmobiliare S.p.a.”, a riprova del fatto che il titolo era considerato, dalla stessa banca, solido finanziariamente e presente sul mercato.
7. Sull’annullamento del contratto per vizio della volontà. Deduce l’attore di aver sottoscritto il contratto sulla base di una falsa rappresentazione della realtà da parte del funzionario di banca preposto, il quale gli suggerì di sottoscrivere il contratto assicurandogli un alto rendimento ed un capitale garantito.
Tale affermazione – peraltro rimasta, alla luce della prova espletata, priva del benché minimo riscontro probatorio (come si è detto fu la fidanzata del Conca e la madre di questa che lo accompagnarono in banca alla scadenza dei titoli di stato e gli consigliarono di effettuare analogo investimento a quello da esse effettuato nel febbraio del 2001 ed implementato nel novembre 2001) – risulta del tutto sfornita di prova, sia in ordine alla circostanza che il funzionario di banca fosse consapevole dello stato di prevedibile e successivo default o dissesto dei titoli in parola e dei requisiti dell’ “essenzialità e riconoscibilità” dell’errore, a fronte del chiaro tenore letterale del documento sottoscritto, in cui il Conca dà atto di essere stato “esaustivamente informato sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni dell’operazione riportata nel presente ordine e di aver richiesto l’esecuzione nella più completa autonomia”.
8. Sull’inefficacia del contratto ex art. 1469 bis e ss c.c. e sulla abusività delle clausole. L’attore lamenta inoltre l’abusività delle clausole del contratto sottoscritto, in contrasto con il dovere di “clare loqui”, sancito dalla normativa a tutela del consumatore (art. 1469 bis e ss. c.c.).
Sul punto, ritiene il Collegio che l’allegazione sia estremamente generica (nella parte in cui viene contestato il contenuto dell’intero contratto e non di una singola e specifica clausola), non potendosi l’attore sottrarre agli obblighi derivanti dal contratto assumendo difficoltà di interpretazione o di chiarezza del contratto, che viceversa, appare intelligibile in tutte le sue parti, e consente anche ad una persona di comune preparazione e diligenza, di prendere conoscenza delle condizioni contrattuali mediante accurata lettura, tenuto conto, tra l’altro, del fatto che “anche la normativa diretta alla maggiore trasparenza ed alla tutela del contraente più debole fa salvo il principio della partecipazione al rischio di investimenti collegati alle fluttuazioni degli indici di borsa da parte del sottoscrittore” (cfr. Corte App. Milano, 6 agosto 1999).
In conclusione, non vi sono elementi per accogliere la domanda di parte attrice (omissis).

 

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