il diritto commerciale d’oggi
    V.4 – aprile 2006

CONVEGNO

“Prospettive di aggiornamento del Codice della Proprietà Industriale”
Università Roma Tre, 20 marzo 2006

STEFANO SANDRI

Prospettive di aggiornamento del Codice della Proprietà Industriale *

 

   Il Codice della Proprietà Industriale è entrato in vigore l’anno scorso per cui assumo che, almeno per grandi linee, sia ormai noto. D’altro canto il Codice è stato oggetto di numerosi dibattiti, anche vivaci, e si può fare già riferimento ai primi contributi dottrinali ed alle interpretazioni giurisprudenziali, mentre la discussione, puntigliosa e un po’ ragionieristica, sulla competenza delle Sezioni Specializzate sembra si stia camando. Per converso, si accende l’interesse, molto più critico per l’applicazione del rito societario.
   Ad oggi, sembra chiaro che il progetto di correzione del Codice non verrà approvato nella legislatura in scadenza, n sappiamo se in futuro entrarà mai in vigore. Il Codice è ancora dunque quello che conosciamo e non risulta in particolare modificato quanto alla disciplina delle invenzioni dei ricercatori dipendenti e della sottoposizione al rito societario. Dovrà poi essere pubblicato il regolamento esecutivo e finalizzato il sistema delle opposizioni nei marchi.
    In questo quadro in continua evoluzione, bisogna anche tenere in considerazione l’attuazione della Direttiva sull’enforcement , approvata dal governo il 23 febbraio ed in corso di pubblicazione sulla G.U., e che incide in alcune disposizioni sul Codice attualmente in vigore, oltre che su lla materia del diritto d’autore, di cui il Codice, come si sa, non si occupa..
   A ciò si aggiunga che per quanto riguarda gli aspetti processuali della materia, bisogna considerare che dal 1 marzo è in vigore la legge 14 maggio 2005, n. 80, che ha apportato interventi correttivi in materia processuale civile.
   Ne è uscito un quadro normativo estremamente complesso, per cui, per orientare il lettore, bisognerà – con certosina pazienza – controllare cos è rimasto del testo originario, visto che le correzioni non sono entrate in vigore, e cosa risulta modificato dall’enforcement.

   Tentando di fare il punto della situazione, mi sembra comunque utile verificare, dopo un anno di attuazione e alla luce dei ricordati sviluppi normativi, se il Codice ha raggiunto gli obiettivi che questo intendeva perseguire.
    Come incisivamente rilevato nel parere del Consiglio di Stato e nella Relazione illustrativa di accompagno, il legislatore ha voluto in questa occasione instaurare un nesso strutturale fra la proprietà industriale, l'iniziativa economica privata e lo sviluppo della concorrenza che testimonia della volontà politica di inserire la proprietà industriale nella cornice istituzionale nella quale l'iniziativa privata e la concorrenza possono svilupparsi adeguatamente, rendendo più competitiva l’”azienda Italia”. Ne costituiscono ulteriori esempi gli interventi sulla protezione del made in Italy e l’istituzione dei desk presso le sedi dell’ICE all’estero per fornire assistenza e tutela ai diritti di Proprietà industriale delle MPI.
   Il sistema, dunque, non è più "neutrale" e le soluzioni prospettate nel Codice sono sempre state testate dalla commissione ministeriale, che vi ha lavorato, in termini di fattibilità, avuto riguardo alle finalità perseguibili, perché le norme nel loro insieme coordinato non si esaurissero nella previsione astratta, ma mantenessero sempre il contatto e l’adesione a quella realtà e a quel ruolo competitivo che si è assegnato ora alla proprietà industriale.

   Queste premesse delineano un percorso logico che diviene in primo luogo guida all’interprete per individuare l’oggetto e la materia rimessa dal legislatore delegante al legislatore delegato. Ne consegue che la delega ha permesso di apportare modifiche non solo di “coordinamento formale” delle norme, ma anche di condurre legittimamente a consistenti innovazioni del merito della disciplina codificata.
   Anzi, il dato saliente del Codice è costituito per l’appunto dal l’impianto strutturale ed organico, in un quadro nuovo e moderno dei nessi sistematici che collegano i vari diritti di proprietà industriale, sotto entrambi i profili indicati. In questa prospettiva è parso opportuno alla commissione ministeriale seguire l’impostazione dell’accordo internazionale più recente ed efficace degli ultimi anni quello dei TRIPs
   Dai TRIPs è stata mutuata l’equiparazione dei diritti di proprietà titolati con quelli non titolati, perché non conseguenti a una procedura di concessione o registrazione. Questo nuovo approccio ha comportato, secondo le indicazioni nella delega, un assetto relativamente stabile nella materia, che trova spiegazione proprio nella esigenza di conformarsi ai dettami ed agli orientamenti sopra tutto del diritto comunitario, che, com’è noto, ha fortemente innovato i diritti di proprietà industriale – segnatamente quelli del marchio e del design - registrando i cambiamenti avvenuti nel contesto economico e sociale di questi ultimi anni e recependo le istanze che hanno portato alla riconsiderazione e ridefinizione della natura e delle funzioni di quei titoli di proprietà industriale.
   Il Codice va dunque letto alla luce del contesto in cui si situa, in relazione alla finalità che questo strumento è chiamato ad assolvere, sia all’interno del nostro ordinamento che sullo scenario internazionale. In proposito la delega legislativa espressamente prevedeva il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di proprietà industriale, la ripartizione della materia per settori omogenei e l’adeguamento alla normativa internazionale e comunitaria. Queste finalità possono in sintesi identificarsi in quella – di partenza- della costituzione di un testo unico, in quella di conformare il diritto interno della proprietà industriale alla normativa internazionale convenzionale ed al diritto comunitario in particolare, ed infine in quella della semplificazione dei procedimenti, il tutto collocato nel ricordato contesto della competitività.
   Vediamo dunque in che misura queste tre finalità sono state realizzate.

   Quanto ai raccordi normativi, il Codice va ben oltre l’impostazione di un semplice T.U., per porsi l’obiettivo più ambizioso di proporre un nuovo assetto della proprietà industriale nel nostro Paese, secondo le direttrici che ho appena delineate. Ciò non toglie che preliminarmente è stato necessario affrontare la sfida della verifica ed abrogazione delle norme pre-vigenti. E per la verità va detto che si è trattato effettivamente di una sfida, se si considera la frammentazione e proliferazione dei provvedimenti, di fonte primaria e secondaria, a livello interno, internazionale e comunitario, che hanno interessato nel corso del tempo la materia. Altre norme hanno dovuto disciplinare le inevitabili situazioni di diritto transitorio. Si è trattato di una ricognizione di notevole impegno, del tutto incompatibile con i limiti temporali concessi alla commissione.
   Quale valutazione può darsi dei risultati di questo esercizio, ora che a distanza di tempo emerge un quadro di riferimenti più chiaro e completo?
   Allo stato, non sembrano insormontabili alcune lacune o disarmonie che inevitabilmente una operazione di raccordo così complessa non poteva non comportare. Confido che l’applicazione dei corretti parametri ermeneutici, specie a livello dell’interpretazione sistematica, ne consentiranno il superamento. L’inserimento del Codice nella prospettiva che ho cercato di delineare potrà certamente rappresentare una linea guida conclusiva.
Si pensi, a titolo di esempio, ai criteri per la determinazione dell’equo premio per l’invenzione dei dipendenti o alla retroversione degli utili in sede di sanzione dell’indebito arricchimento nei casi di contraffazione. Ancorché la proposta della commissione ministeriale non sia passata, mi sembra innegabile che la soluzione del problema del giusto equilibrio tra contrapposti interessi (quello dell’azienda rispetto ai dipendenti) e della proporzionalità del risarcimento del danno (quello del titolare del diritto rispetto a chi lo viola), vada ricercata nell’accertamento e valutazione del vantaggio competitivo, il volano che informa la natura pro-concorrenziale delle diverse esclusive dei titoli di proprietà industriale e che governa, attraverso il discrimen che il diritto impone tra ciò che è lecito e ciò che non lo è, il rapporto concorrenziale tra le imprese.
   Meno ottimistiche appaiono invece le considerazione sul regime e le norme transitorie del Codice, che come è stato posto recentemente in luce da una serrata ed attenta disamina, non hanno avuto forse – per ragioni contingenti che tuttavia non assolvono- la dovuta attenzione né da parte del legislatore, né tanto meno dai commentatori. Non è possibile scendere nei dettagli, ma certo è innegabile che l’intento omologativo delle varie componenti del Codice, operato con la ripresa di analoghe disposizioni transitorie contenute nelle precedenti leggi base, si scontra a volte con aspetti fortemente innovativi conseguenti al riassetto e che sono propri del Codice e che avrebbero richiesto formulazioni più specifiche. Sotto questo aspetto, temo che una parte non minimale del primo contenzioso sarà fatalmente alimentato proprio dalla disciplina della sovrapposizione di varie normative, foriere di ansiose incertezze per gli operatori giuridici, tanto più se dovremo ora prendere i considerazione la sopravvenienza di altre fonti normative di sicura incidenza sulla applicazione del Codice.

   Si è già detto della visione concorrenziale del legislatore e dell’inserimento degli strumenti del diritto industriale in questa prospettiva. Non si poteva dunque prescindere nella riforma dallo scenario internazionale su cui oggi le imprese si muovono. Si è pertanto operata una ricognizione della legislazione convenzionale, internazionale e comunitaria per verificare la congruità del progetto con essa.
   In proposito, debbo dire che forse il compito si è rivelato più agevole del previsto. Infatti è con soddisfazione che si deve sottolineare che l’adeguamento del diritto interno a quei regimi legali in tema di proprietà intellettuale - diversamente da altre aree di interesse dove i procedimenti di infrazione, almeno comunitari, da parte del nostro paese non si contano – è sempre stato tempestivo, per cui gli interventi di adattamento sono stati, nelle varie occasioni, di portata relativamente contenuti.
   Così è stato anche in occasione dell’intervenuto riassetto, in cui però non si è persa l’occasione per esplicitare interpretazioni di tipo dichiarativo, risolvendo esitazioni giurisprudenziali e dottrinali. Si pensi, ad esempio, alla presa di posizione sulle rivendicazioni che ora espressamente determinano i limiti della protezione del brevetto, rivendicazioni alla cui interpretazione concorrono disegni e descrizioni, in linea con il brevetto europeo e la convenzione di Strasburgo.
   Il raccordo con il regime convenzionale è stato effettuato nel codice anche in proiezione, ciò che mi pare pragmaticamente utile perché inteso ad evitare nel tempo ulteriori interventi legislativi. Sintomatica, in particolare, l’applicazione di alcune regole nel Capo IV del Codice che si è occupato delle procedure amministrative dei depositi, ai trattati, proposti dalla WIPO, del TLT, in tema di marchi, e PLT, in tema di brevetti, anche se quei trattati non sono ancora stati ratificati dall’Italia
   Ancor più significativo, ritengo, è il modo in cui la commissione ministeriale ha interpretato la delega a conformare il diritto interno a quello internazionale in senso lato, che l’ha portato a prendere in considerazione non solo il dato letteralmente normativo, ma anche quello giurisprudenziale. Sotto questo profilo, si è attentamente valutata l’evoluzione della giurisprudenza della Corte di giustizia sui marchi, inserendo – ad esempio – il principio della protezione allargata del marchio di rinomanza anche ai casi di identità o affinità merceologica.
   La osservazione mi autorizza a dire che – a prescindere dall’efficacia delle pronunce di legittimità della Corte nel nostro Paese, efficacia sulla quale autorevole dottrina ha sollevato alcuni dubbi – è ineludibile ed irreversibile il processo che porta, quanto meno per l’istituto del marchio e del design, alla sostanziale omologazione dei principi fondamentali che ne governano la tutelabilità, anche nei giudizi di confondibilità. Ciò che, a sua volta, implica una autentica rivoluzione copernicana nella metodologia giuridica per tutti gli operatori del sistema che sempre più dovranno guardare ai giudici di Lussemburgo chiamati ad interpretare armonicamente il diritto di marchio e del design per 25 paesi ( e gli altri che bussano alle porte della Unione Europea). Se mi si permette la vanità dell’autocitazione, ricordo a me stesso di aver detto pubblicamente che “era arrivato il momento di rovesciare il tradizionale approccio di verificare se il diritto comunitario della proprietà industriale era conforme al nostro, invertendo la posizione dei termini della verifica”. Questo accadeva al convegno SISPI di Montone del maggio 1998.

   Quanto alla finalità della semplificazione, il Capo IV del Codice ( Acquisto e mantenimento dei diritti di proprietà industriale e relative procedure) non è stato toccato dall’Enforcement e, d’altro canto, le correzioni predisposte per migliorare la fruibilità da parte degli utenti e la operatività da parte dell’UIBM non sono state (ancora) approvate . E questo può essere un peccato, sol che si pensi che esse avevano, tra l’altro,reintrodotto, anche se controverso, l’istituto della priorità interna da tempo invocata dagli utilizzatori del sistema.
   Le correzioni, ed integrazioni, apportate dalla novella andavano certamente nella direzione della riforma voluta dal Codice, che esprimono la avvertita esigenza di una maggiore semplificazione dei procedimenti. ispirate ai trattati TLT, per i marchi, e PLT, per i brevetti, a prescindere dallo loro in operatività nel nostro Paese. Come avvertito recentemente anche da alcuni commentatori, non sempre questo obiettivo è stato raggiunto dal Codice vigente, anzi in alcuni casi è prospettabile un effetto contrario. Tale potrebbe essere il caso, come da taluni recentemente rilevato, della introduzione dell’integrazione documentale in sede di domanda di marchio, anche se il Codice ha voluto-dovuto allinearsi alla parallela disciplina del marchio comunitario.
   Non direi dunque che il sistema, anche a prescindere dalle ulteriori correzioni, si esprima apertamente in un favor dell’utente. Vorrei limitarmi a ricordare che in sede di rinnovo del marchio non sono più possibili quelle varianti che – senza modificare il carattere distintivo del marchio- consentivano alle imprese quegli aggiustamenti che dieci anni di presenza sul mercato rendono spesso indispensabili. Si possono immaginare le implicazioni strategiche e difficoltà nel marketing che tale anelasticità potrà comportare.
   In questo caso, e non solo, risultano a prima vista piuttosto prevalenti le esigenze dell’UIBM, il quale si dovrà peraltro sempre confrontare con i problemi delle scarse risorse finanziarie (aggravate in prospettiva dall’abolizione delle tasse sui brevetti) e delle risorse umane. Motivo di ulteriore preoccupazione è rappresentato dalla previsione della utilizzazione dei sistemi di trasmissione on line e la predisposizione di appropriati supporti informatici (di cui è menzione nell’emanando regolamento di esecuzione), per le implicazioni e complessità tecnologiche che queste comportano.
   Certo, il sistema del deposito delle domande è fortemente innovato nel suo insieme, ma questa innovazione andrebbe letta anche in previsione del prossimo regolamento esecutivo, che caricherà l’Ufficio di una serie di adempimenti ulteriori per assicurare il rispetto del principi del contraddittorio nei procedimenti di opposizione.
   È evidente, in proposito, che il rinnovo e la formazione di nuovo personale (penso in particolare all’attivazione delle procedure di opposizione) non è cosa di poco momento. Ne consegue che anche il tentativo volenteroso di allineare i procedimenti a quanto da tempo in essere presso gli Uffici concorrenti, richiederà ancora del tempo, prima che l’UIBM – come messo in rilievo dagli ambienti interessati – possa raggiungere un minimo di competitività con gli omologhi uffici esteri, tra i quali, da ultimo, si sono inseriti con prepotente aggressività, quelli dei new comer dall’Europa dell’Est.
   In ogni caso, la disponibilità di procedimenti più flessibili e teoricamente più efficaci non potrà di per sé solo garantire al sistema Italia quella competitività internazionale voluta dal legislatore, se la Proprietà industriale non costituirà il riferimento di tutto un sistema, nel quale l’UIBM dovrebbe costituire l’asse centrale.

   Per terminare il confronto tra l’attuale testo del Codice e le modifiche ad esso apportate dal provvedimento sull’enforcement, evidenziano alcuni punti di riflessione.
   Tra le modifiche più rilevanti è quella dell’introduzione al diritto all’informazione. L’enforcement in effetti, ha fatto proprie le precisazioni ed estensioni che la novella aveva proposto, integrando il test dell’art.121, 2 con un riferimento agli atti di pirateria (concepiti come violazioni su scala commerciale), ma ha ritenuto opportuno stralciarne una parte per riversarla in un nuovo art.121 bis dedicato appunto al diritto all’informazione previsto dalla Direttiva. Questo diritto sarebbe indipendente dai diritti e doveri processuali delle parti, in ciò distinguendosi dalla discovery, anche se a mio avviso restano sempre delle aree di sovrapposizione. La nuova disposizione assoggetta poi l’assunzione delle informazione al regime processuale delle testimonianze.
   Quanto alle sanzioni civili ( ora estese anche alle ‘misure correttive’), il testo dell’art. 124, 1, 3 e 6, è stato interamente ripreso dalla novella, per cui il problema del differimento dell’entrata in vigore della stessa qui non si pone più. Da notare che al n.3 è stato però introdotta la distinzione, voluta dalla Direttiva, tra ritiro provvisorio e ritiro definitivo dal commercio, e che non c’è più la distruzione, nel caso dei marchi, del confezionamento e quant’altro utile alla contraffazione.
   Anche per quanto riguarda il risarcimento del danno (art. 125), l’enforcement ha fatto proprie le proposte della proposta correttiva. Di particolare interesse l’accettazione del principio che la retroversione degli utili del contraffattore si pone come misura alternativa, e non cumulativa, che ha il suo fondamento giuridico nell’indebito arricchimento.
   La disciplina dell’inibitoria è ripresa dal testo dell’art.131 novellato con la correzione ma è stato aggiunto ora un nuovo art.131, 1 –bis. Questo complemento attiene alla previsione specifica dei termini, in assenza di provvedimento del giudice, fissati in osservanza delle indicazioni della Direttiva per l’inizio del giudizio di merito che, a sua volta, dà seguito alle prescrizioni dei TRIPs in materia. Se i termini non sono rispettati o comunque l’inibitoria si estingue, la sanzione perde di efficacia. Ma ciò non avviene invece per i provvedimenti ex art.700 (le inibitorie proposte a tale titolo in tema di concorrenza sleale non sono contemplate dall’enforcement e dalla Direttiva che concernono esclusivamente la tutela dei titoli di proprietà intellettuale/industriale) e quelli anticipatori della sentenza di merito, intendendosi così dare attuazione al principio della stabilizzazione delle misure cautelari anticipatorie, già considerato nel rito societario. Si comprende la necessità di dar seguito alla Direttiva che (art. 9,5) richiede la instaurazione del giudizio di merito per i casi da essa contemplati (inibitoria, sequestro industrialistico, sequestro documentazione finanziaria/bancariaa nei casi di pirateria), ma il raccordo con l’art 23 del rito societario che invece consolida le misure cautelari anticipatorie appare critico, sia perché i primi commentatori considerano sicuramente stabile proprio la misura dell’inibitoria, sia perché l’identificazione di cosa debba intendersi per ‘provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito’ appare tutt’altro che agevole.
   Non è invece passata la proposta della novella correttiva di riconvertire la descrizione in termini di consulenza tecnica preventiva (art. 128).
   Infine, da un rapido riscontro della legge 14 maggio 2005, n. 80, la riforma del codice di procedura civile, che è entrata in vigore in questi giorni, non può che riguardare quelle norme che risultino compatibili con il rito societario che resta applicabile al Codice, non essendo stata approvata la novella che il rinvio a quel rito – contestatissimo da parte degli ambienti interessati e dalla più autorevole dottrina –aveva cercato di cancellare. In base al combinato disposto dell’art.34 del rito societario con l’art.134, 1 comma del Codice, infatti, la sua disciplina è considerata legge speciale, per cui eventuali norme del codice di procedura in contrasto o divergenti debbono ad essa cedere il passo.

   Dal quadro normativo delineatosi restano dunque fuori del Codice il diritto d’autore, la biotecnologia, l’istituto della priorità interna brevettale, la revisione del testo attuale del regime delle invenzioni dei ricercatori inutilmente proposta già dalla commissione ministeriale, la ridefinizione del rapporto tra diritti non titolati e norme repressive della concorrenza sleale prevista dalla novella. Non è stata sopra tutto risolto il problema della regolamentazione del design quando oggetto della protezione anche del diritto d’autore e del regime transitorio applicabile.
   A mio sommesso avviso la discussione sulla durata della protezione mi è sempre apparsa pleonastica. È principio del tutto pacifico e consolidato nella nostra giurisprudenza che il cumulo delle tutela è ammissibile, a condizione che sussistano le condizioni ed i termini delle specifiche tutele di volta in volta invocate. Nell’art.2, comma 1, nr. 10 DLA, si assoggetta, a determinate condizioni, il design alla protezione del copyrght. Ne consegue che la durata non può che essere che quella prevista nel relativo diritto e che non occorra neanche dirlo (70 anni a partire dalla data della morte dell’autore). Che poi una durata così estesa nel tempo sia una autentica sciocchezza quando applicata a un design è un altro discorso. Quanto alla disciplina di diritto transitorio, che forse potrebbe giustificare una norma eccezionale, la pressione delle lobbies interessate è stata talmente forte da non consentire un accordo. Non è peraltro da escludere che le stesse lobbies tendano a riproporre le loro istanze in altra sede.

   Previsioni? A questo punto si comprende che conclusioni non se ne possono trarre, per la semplice ragione che bisogna prendere atto che nel nostro paese la disciplina della proprietà intellettuale/industriale è un processo in itinere. È dunque auspicabile che con l’ausilio della giurisprudenza e della dottrina si possa raggiunge una sufficiente ed affidabile stabilità del sistema.
   L’operazione richiederà peraltro non poco tempo. E questo per diverse ragioni. Innanzi tutto per l’importanza giuridica della riforma, ma sopra tutto perché una concezione moderna della P.I come quella che si tenta, presuppone una riconversione degli atteggiamenti conservativi dell’establishment, una presa di coscienza della cultura del cambiamento, una modificazione degli strumenti e delle metodiche di lavoro.
   E qui bisognerà fare i conti tra quello che si vorrebbe, e quello che si potrà fare. Insomma, se mi viene consentita una notazione personale di chi ha vissuto e operato per sei anni nel cuore del diritto comunitario, vedo sempre nel nostro Paese una distanza congenita tra il progetto e la sua fattibilità.

* Relazione svolta al convegno “Un anno di attuazione del codice della proprietà industriale”, tenutosi nell’Università Roma Tre il 20 marzo 2006
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