TRIBUNALE DI MESSINA, 22 aprile 2005; Presidente Amato – Estensore Bonanzinga – P.M. Onorati
Per la redazione del verbale di assemblea societaria, il notaio è titolare di un autonomo potere dovere di accertamento e attestazione del fatto, anche in contrasto con le dichiarazioni presidenziali, ed è esclusivo autore dello stesso verbale, mentre il presidente dell’assemblea non ne è parte in senso tecnico e non è necessario che assista alla sua lettura, né che lo sottoscriva.
Il verbale assembleare è incompatibile con la forma rappresentata dalla presenza dei testimoni, non essendo possibile individuare un momento in cui il notaio, cui è rimesso in via esclusiva il dovere di dare conto dell’intero procedimento formativo dell’atto collegiale, debba dare lettura del verbale.(Omissis)
Con richiesta depositata il 26 novembre 2004, il P.M. presso il Tribunale di Messina chiedeva che fosse applicata al notaio la sanzione disciplinare prevista dalla legge, per una violazione dell’art. 48, legge 16 febbraio 1913, n. 89, avendo rogato l’atto n. 18246/ 4015 di repertorio relativo a un verbale di assemblea straordinaria di una s.r.l. senza la presenza di testimoni o la menzione della rinuncia ai testi. La richiesta di sanzione disciplinare, contenente la specifica indicazione degli addebiti, veniva notificata al notaio (…) unitamente al decreto di fissazione di udienza davanti a questo collegio riunito in camera di consiglio, nel rispetto del termine di dieci giorni previsto dalla legge. Veniva, altresì, instaurato il contraddittorio nei confronti del Consiglio Notarile dei Distretti Riuniti di Messina, Barcellona P.G., Patti e Mistretta.
All’udienza all’uopo fissata del 12 aprile 2004 il notaio (…), depositava memoria difensiva ed esponeva oralmente le proprie ragioni. Alla medesima udienza il Pubblico Ministero, senza formulare istanze istruttorie, richiedeva l’accoglimento della domanda e questo Tribunale riservava la decisione.Motivi della decisione. – Nel merito, non vi è contestazione sui fatti posti a base dell’addebito mosso al notaio (…), mentre il contrasto ha natura eminentemente giuridica e attiene alla verifica
L’art. 2486, comma 2, cod. civ. dettato a disciplina delle deliberazioni dell’assemblea dei soci nella società a responsabilità limitata dice applicabile a tali deliberazioni l’art. 2375. Il verbale formato dal notaio è dallo stesso Codice considerato come redatto per atto pubblico: ciò risulta dagli artt. 2421 comma 1, cod. civ., n. 3, e dall’art. 2490 (n.d.r. 2478) comma 1, cod. civ., n. 2, relativi ai libri sociali obbligatori rispettivamente della società per azioni e a responsabilità limitata, i quali dispongono che la società deve tenere “il libro delle adunanze e delle deliberazioni delle assemblee, in cui devono essere trascritti anche i verbali redatti per atto pubblico”.
Atto pubblico è secondo l’art. 2699 cod. civ. “il documento redatto, con le richieste formalità,
da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove l’atto è formato”. L’art. 2375 cod. civ., che ne prevede la formazione, non detta alcuna disciplina circa “le formalità richieste” per la redazione del verbale.
La legge notarile (legge 16 febbraio 1913, n. 89), al titolo III (degli atti notarili) e al capo I (della forma degli atti notarili), configura dal canto suo una disciplina generale della forma di tali atti (agli artt. 47 a 59) e all’art. 60 ne stabilisce l’ambito di applicazione dichiarando che “Le disposizioni di questo capo si applicano anche ai testamenti e agli altri atti, in quanto non siano contrarie a quelle contenute nel Codice civile, nel Codice di procedura civile o in qualunque altra legge dello Stato, ma le completino”.
La soluzione della questione che si esamina non si presta a essere ricercata assegnando all’art. 60 della legge notarile il significato per cui il raffronto tra norme della legge notarile e norme delle altre leggi che prevedono la redazione di un atto pubblico da parte del notaio vada operato tenendo conto delle sole prescrizioni sulla forma dell’atto eventualmente contenute nelle seconde norme.
Le disposizioni della legge notarile andranno altra occasione a considerare che queste varie disposizioni si presentano riconducibili a un sottosistema caratterizzato da alcuni ricorrenti criteri, ciò che giustifica un’applicazione della deroga anche ad altri casi, analoghi, non espressamente previsti (Cass. 18 febbraio 1969, n. 563). Il verbale notarile di assemblea straordinaria non rientra però nell’ambito del sottosistema allora individuato dalla Corte - dato dagli atti unilaterali a contenuto patrimoniale - che possono essere ricevuti anche da soggetto diverso dal notaio perché il verbale di questo tipo di assemblea può essere formato solo dal notaio.
Fuori dei casi che, costituendo eccezione alla regola, la escludono, la formalità rappresentata dalla presenza dei testimoni è però disponibile dalle parti, tranne che nelle ipotesi nominativamente indicate nel comma 1 dell’art. 48 della legge notarile. Dalle precedenti osservazioni si possono trarre allora le seguenti conclusioni. La presenza dei testimoni non costituisce in realtà una forma coessenziale al tipo «atto pubblico» e tale quindi da doversi considerare richiesta per ciò solo che una norma imponga la redazione nella forma dell’atto pubblico notarile. La disciplina generale di questo tipo di forma richiede che a essa possa rinunciarsi. La forma di cui si discute attiene, infine, prima che al contenuto dell’atto, al suo procedimento di formazione: l’atto pubblico deve contenere la menzione della presenza dei testimoni o della rinuncia che le parti abbiano fatto alla loro presenza, ma ciò riflette il fatto che alla formazione dell’atto o i testimoni hanno assistito o la parte ha dichiarato di rinunciare alla loro assistenza. Ciò detto va considerato quale sia, secondo la legge notarile, la disciplina della presenza dei testimoni e quindi la loro funzione. L’art. 48, comma 1, della legge notarile stabilisce come si è visto che le parti, che sappiano leggere e scrivere, hanno facoltà di rinunciare di comune accordo all’assistenza dei testimoni all’atto e che il notaio farà espressa dell’assemblea in ragione del suo processo di formazione, non sopporti la presenza della forma rappresentata dalla presenza dei testimoni.2.5.1. La Corte osserva che un primo problema da affrontare è rappresentato dal se sia possibile individuare, quanto al verbale, la parte cui imputare l’esercizio della facoltà di disporre della sua forma, rinunziando alla presenza dei testimoni: se ciò non fosse possibile, questa forma, normalmente disponibile, sarebbe resa obbligatoria, in contrasto con la legge notarile. Il problema appare, però, di agevole soluzione, dovendosi ritenere che manifestare la volontà di rinuncia alla presenza dei testimoni competa per l’assemblea a chi la presiede. Se il verbale è atto volto a documentare, essenzialmente, le deliberazioni dell’assemblea, il potere di disporre in ordine alla forma rappresentata dalla presenza dei testimoni, postulatane la necessità in quanto normalmente inerente a quella dell’atto pubblico, logicamente si imputa alla stessa assemblea. Trattandosi però di un potere strumentale, come gli altri inerenti all’organizzazione dei procedimenti di deliberazione, l’esercizio ne spetta al presidente, del resto soggetto al controllo della medesima assemblea.
2.5.2. Un secondo aspetto problematico ampiamente discusso in dottrina è quello della necessità o meno che del verbale dell’assemblea, da lui redatto, il notaio debba o no dare lettura all’assemblea o al presidente. La soluzione negativa varrebbe a individuare una ragione di contrasto tra procedimenti di formazione del verbale e l’aspetto formale dell’atto pubblico di cui si discute e per questa via a escluderne la necessità: si è prima veduto, infatti, che la presenza dei testimoni è forma che si inserisce nel procedimento di formazione dell’atto e inerisce alla fase della lettura dell’atto da parte del notaio. La soluzione negativa è stata tra l’altro argomentata muovendo dalla considerazione che “le formalità della lettura e della sottoscrizione convocazione (art. 2366 cod. civ.); che non è concepibile una deliberazione dell’assemblea senza che il risultato del procedimento di votazione non sia dichiarato nella stessa assemblea dal presidente: ciò non come espressione di un potere proprio del presidente quale organo distinto dall’assemblea, ma perché, come si è già notato, al presidente sono imputati poteri propri della stessa assemblea e strumentali al suo funzionamento, tra i quali va ricompreso appunto quello che l’assemblea constati, attraverso la dichiarazione del presidente, dopo averla eventualmente discussa il risultato della votazione e la deliberazione assunta; che dunque il verbale è destinato per sua natura a documentare la deliberazione assunta dall’assemblea per come essa risulta in precedenza dichiarata dal presidente della stessa assemblea. La lettura del verbale, da parte del notaio, al presidente, non può essere quindi considerata un momento estraneo al procedimento di formazione del verbale, ma anzi una modalità necessaria a che, dal confronto tra notaio verbalizzante e presidente, risulti assicurata la rispondenza del verbale alla deliberazione dell’assemblea. Anche da questo punto di vista, quindi, non v’è incompatibilità tra procedimento di formazione del verbale e la forma di cui si è discusso in questo giudizio». Ritiene il collegio che il superiore orientamento vada rivisitato anche alla luce di più recenti arresti giurisprudenziali in ordine alla funzione del verbale assembleare. Si deve muovere dal rilievo che la presenza dei testimoni al ricevimento dell’atto prevista dal citato art. 47 nasce storicamente come garanzia di veridicità dell’atto medesimo e, al tempo stesso, come accentuazione della solennità del rogito. Ai tempi attuali tale formalità ha, invero, perso gran parte del suo significato e la stessa legge notarile si muove nell’ottica di un progressivo superamento del requisito dei testi, individuando una serie di ipotesi in cui la loro presenza non è necessaria e consentendo, salvo che per alcune fattispecie La soluzione negativa varrebbe, infatti, ad individuare una ragione di contrasto tra il procedimento di formazione del verbale e l’aspetto formale dell’atto pubblico e per questa via ad escluderne la necessità. Proprio su questo aspetto le conclusioni cui giunge la Suprema Corte nella menzionata pronuncia appaiono criticabili. Si sostiene, infatti, che il verbale sarebbe destinato per sua natura a documentare la deliberazione assunta dall’assemblea per come essa risulta in precedenza dichiarata dal presidente della stessa assemblea e la lettura del verbale, da parte del notaio al presidente, sarebbe un momento coesseziale al procedimento di formazione del verbale. La stessa Suprema Corte in una più recente decisione (Cass. Civ., Sez. I, 20 giugno 2000, n. 8370) si è, tuttavia, consapevolmente discostata da tale impostazione, evidenziando, in modo convincente e pienamente condivisibile, che “deve escludersi – rettificando l’opinione espressa in altra occasione (Cass. 30 ottobre 1970, n. 2263; 20 giugno 1997, n. 5542) – che il verbale rilevi quale mero strumento di documentazione “storica” dell’attività dell’organo assembleare, in conformità degli accertamenti e delle attestazioni compiuti dalla persona incaricata di presiedere la riunione assembleare. Se così fosse, riuscirebbe difficile comprendere perché la verbalizzazione sia affidata ad un soggetto, diverso dal presidente dell’assemblea e perché, rispetto alle delibere più significative, tale compito sia assegnato al notaio (art. 2375 cod. civ.), autorizzato a dare pubblica fede agli atti da lui redatti (art. 2699 cod. civ.) e per definizione neutrale rispetto agli interessi della necessità della presenza dei testimoni per quel particolare atto notarile costituito dal verbale di assemblea straordinaria di società a responsabilità limitata.
La pubblica accusa ha sostenuto, infatti, che il verbale di assemblea straordinaria di società a responsabilità limitata non rientra nel novero degli atti notarili eccettuati dall’osservanza della disposizione dettata dal comma 1 dell’art. 47 della legge 16 febbraio 1913, n. 89, mentre il notaio (…) ha sottolineato le peculiarità dell’atto che renderebbe inapplicabile la menzionata disposizione.
La tesi del Pubblico Ministero ha, invero, ricevuto l’autorevole avallo della Suprema Corte che, in una pronuncia non molto lontana nel tempo (Cass. civ., sez. III, 4 novembre 1997, n. 10799), ha ribadito la necessità della presenza dei testimoni. Si legge in detta sentenza, la cui parte motiva è opportuno riportare integralmente, che «l’art. 2375 cod. civ. contenuto tra le norme che disciplinano l’assemblea delle società per azioni dispone: «Le deliberazioni dell’assemblea devono constare da verbale sottoscritto dal presidente e dal segretario o dal notaio. Nel verbale debbono essere riassunte, su richiesta dei soci, le loro dichiarazioni (comma 1). Il verbale dell’assemblea straordinaria deve essere redatto da un notaio (comma 2)».
considerate “contrarie” e non di “completamento” delle seconde, anche quando le forme previste per l’atto notarile dalla legge relativa siano da considerare non congruenti, a seconda dell’aspetto formale che venga in discussione, alla funzione, al contenuto, al procedimento di formazione dell’atto notarile previsto dalla diversa norma di legge di cui si discuta.
E, con riguardo specifico al verbale notarile di assemblea di società per azioni, è stato osservato in dottrina, con efficace sintesi, che “gli adempimenti e anche i divieti imposti al notaio dalla sua legge professionale vanno insomma considerati in relazione alla natura dell’atto e coordinati con la disposizione in esame”, cioè con l’art. 2375 cod. civ. Questo è del resto l’approccio al problema che la Corte ha già seguito quando, affrontando circa trent’anni or sono la questione del contenuto analitico o sintetico del verbale d’assemblea, ha discusso l’argomento se il verbale dovesse contenere l’indicazione delle persone intervenute come soci o in rappresentanza dei soci nell’assemblea (Cass. 30 ottobre 1970, n. 2263).
La Corte mosse allora dalla considerazione che il verbale deve documentare le deliberazioni dell’assemblea, che è organo funzionante secondo il principio maggioritario, sicché non rilevano le persone che sono intervenute, sebbene che l’assemblea si sia costituita e abbia deliberato secondo i procedimenti previsti: pervenendo così alla conseguenza che per il verbale notarile dell’assemblea non sia da ritenere richiesta la formalità preveduta dall’art. 51, n. 3, della legge notarile, rappresentata dal dovere l’atto contenere le generalità delle parti.
Muovendo dalla considerazione della legge notarile, si deve constatare che, in linea di principio, la presenza dei testimoni è configurata quale aspetto generalissimo della forma dell’atto pubblico. Questa forma, tuttavia, è dalla stessa legge e da una non indifferente serie di norme speciali considerata non necessaria quanto ad atti in esse indicati: e anzi, la Corte è pervenuta in
menzione di tale accordo in principio del medesimo atto. È tuttavia opinione generalmente ricevuta in dottrina che i testimoni non debbano comparire davanti al notaio unitamente alle parti né debbano essere presenti nel momento in cui queste dichiarano al notaio la propria volontà negoziale: sicché si considera necessario che la presenza dei testimoni si abbia prima che, ridotta in iscritto la volontà delle parti, ne venga data loro lettura. La presenza dei testimoni è cioè richiesta nella fase conclusiva del processo di formazione dell’atto pubblico e costituisce strumento di controllo dell’estrinseca veridicità dell’atto, non della corrispondenza tra volontà dichiarata dalle parti e traduzione di tale volontà da parte del notaio nell’atto, al cui controllo, ad opera delle stesse parti, è ordinata la sua lettura. È necessario a questo punto soffermarsi sul verbale notarile delle deliberazioni dell’assemblea. L’art. 2375 cod. civ., al comma 1, dispone che ”le deliberazioni dell’assemblea devono constare da verbale sottoscritto dal presidente e dal segretario o dal notaio”. La norma aggiunge che “nel verbale devono essere riassunte, su richiesta dei soci, le loro dichiarazioni”. Il comma successivo stabilisce che “il verbale dell’assemblea straordinaria deve essere redatto da un notaio”. Che nel primo caso il verbale possa e nel secondo debba essere redatto dal notaio non può considerarsi dar luogo a diversità quanto al ruolo svolto dal notaio e al contenuto del verbale. Costituisce tratto strutturale e funzionale della fattispecie rappresentata dall’organo collegiale, che esso si riunisca e deliberi in presenza di altro soggetto deputato a documentarne i procedimenti di costituzione e deliberazione: questa funzione è assolta dal segretario (artt. 2371, comma 1, e 2486 cod. civ.) e alternativamente dal notaio nelle assemblee ordinarie, lo è dal notaio nelle assemblee straordinarie. Si tratta allora, per seguire lo schema di ragionamento più avanti delineato, di stabilire se l’atto pubblico che il notaio redige quando forma il verbale
sono connesse a una caratteristica (che ben può dirsi) centrale della figura “di parte dell’atto notarile”, come intesa nella legge del 1913: la disponibilità del contenuto dell’atto, come conseguenza della disponibilità dell’interesse la cui realizzazione ne costituisce la finalità”. Si è considerato che un simile potere di disposizione del verbale per atto pubblico manca nell’ufficio del presidente. La Corte, però, nella già richiamata sentenza 30 ottobre 1970, n. 2263, rilevò che “il verbale notarile dell’assemblea dei soci di una società per azioni, nel nostro sistema normativo, (…) si presenta come un semplice mezzo di documentazione del fatto che i soci si sono riuniti in assemblea per deliberare e che l’assemblea, regolarmente o irregolarmente costituita, ha svolto una determinata attività; (…) questa natura essenziale del verbale non muta per il fatto che esso sia redatto dal segretario o dal notaio, pur acquistando il verbale, nella seconda ipotesi, l’efficacia dell’atto pubblico; (…) la costituzione e l’attività dell’assemblea dev’essere verbalizzata, dal segretario o dal notaio, in conformità degli accertamenti e delle dichiarazioni che intorno a questi compie la stessa assemblea dei soci a mezzo del suo presidente, il quale, nel sottoscrivere il verbale, conferma tale rispondenza”.
Da questa impostazione la Corte non ritiene sia il caso di discostarsi. La ricostruzione del procedimento di formazione del verbale dell’assemblea e l’individuazione delle forme connesse non può essere condotta partendo dal domandarsi quale soluzione dare all’ipotesi, patologica, nella quale il presidente dell’assemblea pretenda di imputare all’assemblea una deliberazione di contenuto diverso da quella effettivamente assunta o di imporre al notaio la redazione di un verbale che dia conto di una deliberazione diversa da quella proclamata nell’assemblea.
È necessario muovere invece dalla considerazione che l’assemblea delibera, con l’eccezione prevista dall’art. 2393, comma 2, cod. civ., su materie indicate nell’avviso di
espressamente elencate, una generalizzata facoltà di rinuncia a tale presenza. Può, nondimeno, condividersi l’affermazione contenuta nella pronuncia sopra citata secondo la quale la forma di cui si discute attiene, prima che al contenuto dell’atto pubblico, alla fase conclusiva del suo procedimento di formazione e, benché disponibile dalle parti, si configura quale aspetto generalissimo della forma dell’atto pubblico, salvo che l’atto stesso, in ragione del suo processo di formazione, non sopporti la forma rappresentata dalla presenza dei testimoni. A tal fine risultano, comunque, irrilevanti sia la circostanza che il verbale di assemblea societaria documenta l’attività di un organo collegiale, sia la questione a lungo dibattuta prima della recente riforma del diritto societario (le cui norme non sono applicabili alla fattispecie in esame, verificatasi sotto il vigore della disciplina ormai abrogata) se il verbale possa essere redatto dal notaio anche in un momento successivo allo svolgimento dell’assemblea. La dottrina e la giurisprudenza hanno, infatti, evidenziato che i testimoni notarili sono testi strumentali e non testi giudiziali, in quanto la loro funzione non è quella di rendere in futuro una testimonianza al giudice, quanto quella di controllare la veridicità del documento, conformemente alla funzione dei testi di controllare la verità estrinseca di formazione materiale del documento in relazione all’oggetto di esso, l’art. 47 legge not. non richiede, pertanto, la presenza dei testi alla fase di formazione dell’atto, salvo che ciò sia richiesto dalla natura intrinseca dell’atto medesimo, e si ritiene generalmente (Cass. civ. 28 aprile 1939, n. 1436) che la prescrizione in questione è rispettata anche se i testimoni siano presenti esclusivamente nel momento in cui le parti approvano un atto già compilato e non in quello antecedente di manifestazione della volontà. Come ha, però, rilevato la Suprema Corte, la questione centrale attiene alla necessità o meno che il notaio dia lettura del verbale dell’assemblea al presidente o all’assemblea stessa.
si dei soggetti nei confronti dei quali svolge la sua attività di pubblico documentatore. Tali prescrizioni stanno invece ad indicare, da un lato, che la documentazione delle attività assembleari deve essere compiuta in piena autonomia dal verbalizzante, che non può quindi limitarsi a prendere atto degli accertamenti compiuti dal presidente; dall’altro, che la verbalizzazione è richiesta proprio al fine di consentire il successivo controllo della validità delle delibere, nell’interesse di quanti non abbiano concorso, con il proprio voto, alla loro approvazione”. Ciò significa, come acutamente evidenziato da autorevole dottrina, che il notaio è titolare di un autonomo potere dovere di accertamento e attestazione del fatto, anche in contrasto con le dichiarazioni presidenziali (conclusione che sembra accolta anche dal legislatore della riforma del diritto societario) ed è l’esclusivo autore del verbale, mentre il presidente non è parte dello stesso in senso tecnico, e, di conseguenza, non è necessario né che quest’ultimo assista alla sua lettura, né che lo sottoscriva. Da tali considerazioni discende, tuttavia, inevitabilmente che il verbale assembleare è incompatibile con la forma rappresentata dalla presenza dei testimoni, non essendo possibile individuare un momento in cui il notaio, cui è rimesso in via esclusiva il dovere di dar conto dell’intero procedimento formativo dell’atto collegiale, debba dare lettura del verbale.
Alla luce delle superiori considerazioni la domanda del pubblico ministero di applicazione di sanzione disciplinare con riferimento all’addebito indicato in epigrafe va rigettata perché il fatto non sussiste.Commento di Paolo Silvestro
Il Tribunale di Messina con la decisione riportata in epigrafe conforta l’orientamento che ho già espresso in questa rivista (1), con riferimento al verbale notarile quale atto pubblico senza parte.
Francesco Ferrara nell’analizzare tempo addietro (2) il più generale problema della documentazione dell’attività assembleare, era addivenuto alla conclusione che il verbale societario non implicasse la coincidenza della qualità di parte in capo al richiedente, adducendo a sostegno di tale tesi le esemplificazioni dei verbali dell’offerta reale e di protesto per il mancato pagamento dei titoli di credito (3).
In questo contesto si colloca, con connotati di eccellenza anche il verbale assembleare per ministero notarile, ascrivibile alla più ampia categoria degli atti pubblici c.d. di constatazione.
Nella decisione in commento, la Corte sebbene investita in via principale della questione formale sulla presenza dei testimoni e sulla menzione di rinunzia, riguardo alla presunta violazione dell’art. 47 della legge 16 febbraio 1913 n. 89 (Ordinamento del notariato), dà risposta ad altri due storici interrogativi che in passato avevano diviso gli studiosi: quelli relativi alle formalità della lettura e della sottoscrizione del verbale (4).
Per logica deduzione e facendo leva su un principio di incompatibilità con la asserita natura di atto pubblico senza parte, nella decisione viene esclusa la necessità dell’espletamento delle formalità di lettura e di sottoscrizione. Nessuna lettura è possibile, si rileva, perché oggettivamente non si può individuare un momento storico nel quale il notaio possa e debba dare lettura del verbale, ma soprattutto aggiungo, trattandosi di un atto pubblico nel quale non vi è una parte, non è possibile individuare il soggetto cui darne lettura, a meno di volerlo identificare nel Presidente dell’Assemblea. Analoghe considerazioni possono ripetersi per la sottoscrizione.
Altro argomento a conforto della tesi sostenuta, si può desumere dal principio, recepito nella nuova formulazione della norma dell’art. 2375 c.c., della non contestualità della verbalizzazione (5); detto riconoscimento legale, svincola ulteriormente la traduzione della attività di percezione dalla partecipazione di altri soggetti: è una dissociazione derivante dal principio di autonomia di formazione documentale, rispetto al momento in cui si verifica il fatto che si deve riassumere.
Del resto, il richiedente-Società esaurisce la sua funzione proprio nella richiesta di redazione del verbale della riunione assembleare. Il notaio esegue la sua prestazione in modo autonomo rispetto ai soggetti partecipanti all’assemblea: corollario di tale assunto è che l’unica possibile sottoscrizione al verbale debba essere quella dell’autore, ossia del notaio. Mi sembra che il requisito soggettivo di sottoscrizione previsto dall’art. 2379 c.c. penultimo comma, si fondi su un principio di alternatività, e consenta di orientarsi verso la soluzione proposta.
«Il notaio (6) è l’unico responsabile della valutazione nella riproduzione dei fatti che avvengono nel corso dell’assemblea a seguito della sua esclusiva percezione, anche in difformità di un idem sentire del Presidente dell’assemblea (7). Racconta la riunione in modo svincolato dal Presidente, in quanto gli compete un potere – dovere di accertamento e di attestazione che è autonomo e indipendente (8): con il verbale si dà contezza e certezza dell’accaduto e si predispone uno strumento a tutela, non solo degli interessi dei soggetti intervenuti, ma soprattutto degli assenti (9). Il notaio è un “acuto osservatore, un attento ascoltatore e un fine suggeritore”, all’occorrenza di supporto al Presidente e all’assemblea nei suoi lavori (10), nella sua definizione di “Rechtswahrer” – guardiano del diritto – caro alla dottrina tedesca (11)».
In quest’ottica si muove, inoltre, la recente riforma della legge notarile operata dalla c.d. legge di semplificazione, 28 novembre 2005 n. 246, in vigore dal 16 dicembre 2005, con la quale si è operata una riduzione dell’ambito e dei contenuti di quelle formalità divenute, per alcuni aspetti, anacronistiche (12). Radicalmente è stata rivisitata la regola sull’intervento dei testimoni negli atti notarili, influendo di conseguenza, sull’ulteriore menzione di rinunzia alla loro presenza.
Le norme di riferimento, artt. 47 e 48, nella nuova formulazione (13) prescrivono l’espressa presenza di due testi, esclusivamente per gli atti di donazione, per le convenzioni matrimoniali, le loro modificazioni, e le dichiarazioni di scelta del regime di separazione dei beni. Al di fuori del nuovo perimetro normativo, nulla quaestio, e il verbale assembleare notarile che da tempo, e a ragione, reclamava la liberazione da questo ingiustificato rigore formale, ne viene finalmente e definitivamente affrancato a pieno titolo.
Prudenza e tuziorismo che hanno condotto fino ad oggi a supportare l’attività di redazione del verbale assembleare con la sottoscrizione del soggetto costituito, assimilandola ad una sorta di visto per l’imprimatur (14), dovrebbero, a questo punto, essere definitivamente accantonati, in ossequio a un superiore interesse pubblico di garanzia ed indipendenza (15), peculiare alla funzione notarile.
Quindi, venuta meno la necessità di costituire il richiedente nel verbale-atto pubblico, è di palmare evidenza l’irrilevanza, altresì, sia di una lettura del documento formato nei limiti temporali consentiti dalla legge, sia di una sua sottoscrizione, ad eccezione, ovviamente, di quella del notaro che è il dominus della constatazione.
Forse, la mini-riforma avrebbe potuto mostrare maggior ardimento e spingersi oltre nel chiarire con una disposizione specifica la neutralità formale del verbale assembleare rispetto alle prescrizioni proprie degli altri atti pubblici notarili.
È senza dubbio sfumata una valida occasione sia per porre fine all’insorgere di un contenzioso “inutile” relativo a delle sanzioni disciplinari, che non hanno invero alcuna sostanziale ragione di esistere, sia per ricondurre la forma al rispetto della sostanza in adeguamento all’assetto funzionale degli interessi di cui costituisce espressione.NOTE(1) (1) vedasi, P. Silvestro, La verbalizzazione delle assemblee straordinarie nelle società per azioni, in questa rivista IV 6 –giugno 2005.
(2) F. Ferrara, Il Verbale di assemblea di società per azioni, in Riv. Soc. 1957, p. 18 ss.
(3) In tal senso F. Ferrara, op. cit., p. 49.
(4) Il caso riguarda un verbale di assemblea straordinaria di società a responsabilità limitata. Venendo alle altre prescrizioni formali, il notaio deve completare e tradurre quanto ha fissato con la sua percezione nel corso della riunione, e redigere il verbale in tempi ragionevoli rispetto allo svolgimento dell’assemblea. Non ha obbligo di leggerlo ad alcuno, né tanto meno di farlo sottoscrivere, perché essendo l’autore della constatazione, né è l’unico possibile firmatario. Altro è che per motivi di opportunità e di conferma, vi faccia aderire con una sorta di imprimatur il Presidente dell’assemblea. I tentativi di orientamento, quanto alle necessità soggettive di sottoscrizione, all’interno della norma di riferimento tra presidente o segretario e/o notaio, non hanno giustificazione, perché la soluzione è nella natura del documento. Non va sottaciuto che la norma dell’art. 2379 cod. civ., in tema di nullità delle deliberazioni, ha offerto un ulteriore argomento, a favore della tesi della superfluità della sottoscrizione estendendola a soggetti che potrebbero non aver partecipato all’assemblea. Così P. Silvestro, op. cit., p.3.
(5) Per una recente ed approfondita disamina sulla questione si vedano: F. Magliulo in La riforma della società a responsabilità limitata, IPSOA, 2004, p. 296 e ss. e N. Abriani in Le Società 1/2006, p. 6.
(6) Così P. Silvestro, op. cit., p. 4.
(7) G.A. Rescio, Problemi in tema di verbale assembleare per atto pubblico, in Giur. Comm. 1990, I, p.859.
(8) G.A. Rescio, op. cit., p. 875; A. Serra, La verbalizzazione, in Trattato delle Società per azioni diretto da G.E. Colombo e G.B. Portale, Utet, 1994, p. 190; si pensi ad una menzione dell’allontanamento o dell’arrivo di qualcuno tra i componenti dell’organo di gestione o di controllo.
(9) Sull’intervento del notaio per una funzione di maggior garanzia per le deliberazioni dell’assemblea straordinaria, in considerazione dell’importanza che assumono per i soci e per i terzi, F. Ferrara, op. cit., p. 34.
(10) È la c.d. funzione accessoria di assistenza per l’espletamento delle mansioni del Presidente dell’assemblea, F. Ferrara, op. cit., p. 39.
(11) Vedi P. Silvestro, Il notaro alle soglie del duemila, Stamperia Reale, 2000, p. 15, nota 20.
(12) Si è eliminata la previsione dell’indicazione della condizione del comparente che negli atti notarili dei primi del 900 erano quelle di … possidente, benestante, agricoltore etc.(13) Con l’entrata in vigore della Legge di semplificazione 246/2005 il nuovo testo degli articoli 47 e 48 della legge notarile recita:
«Art. 47 – 1. L’atto notarile non può essere ricevuto dal notaio se non in presenza delle parti e, nei casi previsti dall’articolo 48, di due testimoni.
2. Il notaio indaga la volontà delle parti e sotto la propria direzione e responsabilità cura la compilazione dell’atto».
«Art. 48 – 1. Oltre che in altri casi previsti per legge, è necessaria la presenza di due testimoni per gli atti di donazione, per le convenzioni matrimoniali e le loro modificazioni e per le dichiarazioni di scelta del regime di separazione dei beni nonché qualora anche una sola delle parti non sappia o non possa leggere e scrivere ovvero una parte o il notaio ne richieda la presenza. Il notaio deve fare espressa menzione della presenza dei testimoni in principio dell’atto».
Testo ante riforma:
«Art. 47 – L’atto notarile non può essere ricevuto dal notaro se non in presenza delle parti e, salvo che la legge stabilisca diversamente, di due testimoni.
La presenza dei testimoni non è necessaria negli atti di cui ai numeri 1,2,3,4,5 dell’articolo 1, nonché di quelli di autenticazione delle firme apposte su titoli all’ordine, e in genere su tutti i titoli commerciali trasmissibili mediante girata, e su quelli del debito pubblico.
Spetta al notaro soltanto d’indagare la volontà delle parti e dirigere personalmente la compilazione integrale dell’atto».
«Art. 48 – Per tutti gli atti tra vivi, eccettuate le donazioni e i contratti di matrimonio, la parte o le parti che sappiano leggere e scrivere, hanno facoltà di rinunziare di comune accordo alla assistenza dei testimoni all’atto. Il notaro farà espressa menzione di tale accordo in principio dell’atto.
Se una sola delle parti non consenta alla detta rinunzia, l’atto dovrà essere compiuto con l’assistenza dei testimoni.
Anche nel caso di rinunzia delle parti, il notaro, ove lo creda necessario, può richiedere l’assistenza dei testimoni.
L’atto ricevuto in conformità alla presente disposizione, deve considerarsi a tutti gli effetti compiuto con l’assistenza dei testimoni».
(14) È la tesi di M. Maltoni, Il verbale assembleare, in Notariato 6/2003, p. 597.
(15) Mi riferisco alla pertinente osservazione nella motivazione in cui si tenta di imporre al notaio la redazione di un verbale non conforme all’accaduto in assemblea.