il diritto commerciale d’oggi
    V.2 – febbraio 2006

STUDÎ & COMMENTI

 

ORSOLA MILANI

La riforma del risparmio: aspetti penalistici

 

1. Introduzione
   Fra i numerosi interventi, contenuti nella Legge 28 dicembre 2005, n. 262, con l’approvazione della quale si è concluso il lungo e tormentato iter parlamentare del c.d. “D.d.l. risparmio”, meritano certamente qualche breve riflessione quelli riguardanti i reati societari e finanziari, sia sotto il profilo della ridefinizione delle fattispecie tipiche, sia per quanto concerne la revisione del relativo sistema sanzionatorio, penale ed amministrativo.
   Da un primo, superficiale esame della nuova disciplina emerge infatti come gli aspetti penalistici della c.d. “riforma del risparmio” siano stati particolarmente interessati da un duplice ordine di problematiche, concernenti la materia finanziaria, rispettivamente costituite dalla estrema frammentazione della normativa, “sparsa” fra codici, leggi speciali e testi unici, nonché dalla natura trasversale, rispetto agli schieramenti politici, delle questioni affrontate.
   Occorre, a tale riguardo, rilevare come la disciplina penalistica, risultante dalle modifiche apportate con la Legge n. 262/2005 cit. al Codice Civile, al Codice Penale, alla Legge Fallimentare, al T.u.f. ed al T.u.b., si presenti tutt’altro che organica, e come numerose norme riflettano i conflitti, emersi durante il procedimento terminato con la definitiva approvazione del Ddl risparmio.
   Si rivelerà di conseguenza necessario, ai fini di una migliore comprensione di alcuni contenuti della nuova normativa, confrontare il testo del Ddl risparmio, originariamente presentato alle Camere, con quello approvato in via definitiva.
   Basti pensare, a titolo esemplificativo, alla proposta relativa all’introduzione, quale fattispecie dotata di autonoma rilevanza penale, del delitto di “grave nocumento al risparmio”, successivamente “declassato” a circostanza aggravante del reato di false comunicazioni sociali in danno della società, dei soci o dei creditori, di cui al novellato art. 2622 cod. civ.
   Venendo, comunque, al contenuto dei singoli interventi, effettuati nel contesto della c.d. “riforma del risparmio”, a mezzo dei quali è stata parzialmente modificata la disciplina degli illeciti penali ed amministrativi, riguardanti l’attività delle società commerciali, le considerazioni che seguono rappresentano un primo tentativo di tracciare, senza alcuna pretesa di esaustività, un quadro di sintesi della nuova disciplina.

2. La riforma del reato di false comunicazioni sociali di cui all’art. 2621 cod. civ.
   Nell’ambito dell’orientamento, emerso in dottrina con riferimento alla prospettiva di una riforma della fattispecie, penalmente rilevante ai sensi dell’art. 2621 cod. civ., orientamento rilevatosi prevalente anche in sede di approvazione, da parte del Senato, del testo del Ddl risparmio originariamente presentato, era maturato la proposta volta a trasformare nuovamente il reato in parola, delineato come figura contravvenzionale dall’art. 1 del D. lgs. 11 aprile 2002, n. 61, in delitto caratterizzato da una maggiore severità della risposta sanzionatoria (reclusione da uno a cinque anni), nonché a ridefinire il fatto tipico, abolendo le soglie di rilevanza penale introdotte da medesimo art. 1 D. Lgs. n. 61/2002 cit.
   Nel corso del passaggio finale alla Camera si è, invece, ritenuto di dover mantenere la natura contravvenzionale del reato di false comunicazioni sociali, nonché di lasciare inalterate le soglie di punibilità, previste dai commi 3 e 4 dell’ art. 2621 cit. (1).
   Il previgente testo della norma in discorso risulta, invece, modificato in modo rilevante sotto un triplice profilo.
   Occorre al riguardo rilevare come, in primo luogo, la sfera dei soggetti responsabili risulti ampliata a seguito dell’ introduzione, prevista dall’art. 14 della Legge n. 262/2005 cit., della figura del «dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari», da nominarsi attraverso le modalità stabilite dallo statuto delle società, dirigente in capo al quale sembrerebbe ravvisabile la sussistenza, con riferimento al reato in parola, di un vero e proprio regime di responsabilità da status, posto che, a tenore del richiamato art. 14, «Gli atti e le comunicazioni delle società previste dalla legge o diffuse al mercato, contenenti informazioni e dati sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della stessa società, sono accompagnati da una dichiarazione scritta del direttore generale e del dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari, che ne attestano la corrispondenza al vero» (2).
   La disciplina del reato di false comunicazioni sociali si presenta, in secondo luogo, modificata sotto il profilo della pena applicabile, laddove il massimo edittale risulta più elevato: il nuovo art. 2621 cod. civ. prevede, infatti, l’arresto sino a due anni, mentre, anteriormente all’entrata in vigore della Legge n. 262/2005, il limite massimo di pena era di un anno e sei mesi; si tratta, evidentemente, di una soluzione compromissoria, che non modifica la sostanza della precedente disciplina.
   Appare infine opportuno sottolineare come, in terzo luogo, con la c.d. “riforma del risparmio” sia stato introdotto, con riferimento al reato di false comunicazioni sociali, apparato sanzionatorio – coordinato rispetto a quello strettamente penalistico, di natura amministrativa – dal carattere sia pecuniario che interdittivo (3).
   L’art. 2621 cod. civ., nel testo novellato dalla Legge 28 dicembre 2005, n. 262, contempla infatti l’ipotesi in cui le condotte tipiche, ma prive di rilevanza penale in forza della collocazione dell’evento al di sotto delle soglie di punibilità di cui al terzo e quarto comma dell’art.2621 cit., possano comunque essere valutate in termini di rimproverabilità, e, conseguentemente, sanzionate sul piano amministrativo, laddove il quinto comma del medesimo articolo, aggiunto dalla Legge n. 262/2005 cit., prevede per tali fattispecie l’applicabilità della sanzione amministrativa da dieci a cento quote, nonché l’ interdizione “dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese da sei mesi a tre anni, dall’esercizio dell’ ufficio di amministratore, sindaco, liquidatore, direttore generale e dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari, nonché da ogni altro ufficio con potere di rappresentanza della persona giuridica o dell’impresa” (4).

3. La riforma del reato di false comunicazioni sociali in danno della società, dei soci o dei creditori, di cui all’art. 2622 cod. civ.
   L’art. 2622 cod. civ., che prevede il delitto di false comunicazioni sociali in danno della società, dei soci o dei creditori, la cui configurazione di base permane identica a quella delineata dalla previdente disciplina, risulta interessato dalla c.d. riforma del risparmio sotto un triplice aspetto.
   Il nuovo quarto comma dell’art. 2622 cit. contempla infatti, da un lato, una circostanza aggravante, che comporta un rilevante aumento di pena, circostanza sussistente nell’ ipotesi in cui i fatti tipizzati riguardino società quotate in borsa ai sensi della parte IV, titolo III, capo II del D. Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, e cagionino un «grave nocumento ai risparmiatori» (5).
   Di tale elemento normativo, assai difficile da ricondurre a parametri di natura obiettiva, il nuovo quinto comma del medesimo articolo 2622 cod. civ. fornisce una definizione esplicativa basata su criteri quantitativi, stabilendo che «il nocumento si considera grave quando abbia riguardato un numero di risparmiatori superiore allo 0,1 per mille della popolazione risultante dall’ultimo censimento ISTAT, ovvero se sia consistito nella distruzione o riduzione del valore di titoli di entità complessiva superiore allo 0,1 per mille del prodotto interno lordo» (6).
   La norma in discorso costituisce, come si è già accennato, il risultato di una “revisione” della proposta – ampiamente criticata anche in dottrina – relativa all’introduzione del delitto di “grave nocumento al risparmio”, quale fattispecie dotata di autonoma rilevanza penale.
   In relazione agli altri due profili, interessati dalle modifiche apportate dalla Legge 28 dicembre 2005, n. 262, e rispettivamente costituiti dall’inserimento tra i soggetti responsabili dei «dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari», e dalla predisposizione di un apparato sanzionatorio di natura amministrativa, da coordinarsi con la previgente disciplina strettamente penalistica, valgono le medesime considerazioni, precedentemente espresse con riferimento alle identiche variazioni, che hanno riguardato l’art. 2621 cod. civ. in sede di riforma del risparmio.

4. L’introduzione del delitto di omessa comunicazione del conflitto di interessi
   La vicenda normativa, riferibile all’ art. 31 della Legge n. 262/2005, integra un vero e proprio fenomeno di nuova incriminazione: l’art. 2629 bis cod. civ., introdotto dalla disposizione in parola, sancisce infatti la rilevanza penale della violazione, da parte degli amministratori o dei componenti i consigli di gestione di società con titoli quotati in mercati regolamentati, o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi del t.u.f., ovvero di soggetti sottoposti a vigilanza ai sensi del t.u.f. o del t.u.b., degli obblighi di comunicazione e trasparenza di cui al primo comma dell’art. 2391 cod. civ., violazione sanzionabile con la reclusione da uno a tre anni.
   Le condotte in discorso assumono, tuttavia, rilevanza penale soltanto se dalle stesse derivino danni alla società o ai terzi: si tratta di una formulazione suscettibile di una duplice interpretazione, posto che non risulta chiaro se il Legislatore abbia voluto attribuire a tale conseguenza la natura di evento, quale componente del fatto di reato in omaggio al principio di materialità o necessaria offensività dell’illecito penale, oppure di condizione obiettiva di punibilità.
   In forza del secondo comma dell’art. 2629 bis cit. risulta, altresì, estesa agli enti la responsabilità amministrativa di cui al D. Lgs. n. 231/2001 per il delitto di omessa comunicazione del conflitto di interessi.

5. La modifica del delitto di ricorso abusivo al credito ex art. 218 L. fall.
   La fattispecie di cui all’art. 218 L. fall. risulta interessata dalle modifiche apportate dalla Legge n. 262/2005 sotto due profili, rispettivamente costituiti da un aumento di pena e dall’introduzione di una circostanza aggravante, nell’ipotesi in cui la condotta penalmente sanzionata si presenti attribuibile a soggetti operanti nell’ambito delle società di cui al capo II, titolo III, parte quarta del t.u.f.

6. L’introduzione di una nuova fattispecie di mendacio bancario
   Il Legislatore era già intervenuto, con il D. Lgs. n. 61/2001, sull’art. 137 del t.u.b., abrogando il primo comma e mantenendo il delitto di mendacio e falso interno bancario.
   L’art. 33 della legge 28 dicembre 2005, n. 262, sancisce invece la rilevanza penale della condotta posta in essere da soggetti che, al fine di ottenere concessioni di credito per sé o per aziende dagli stessi amministrate, oppure di ottenere concessioni diverse per i finanziamenti, dovessero fornire dolosamente ad una banca notizie o dati falsi in relazione alla situazione economica, patrimoniale o finanziaria delle aziende comunque interessate all’ erogazione del credito.

7. La ricollocazione del reato di falso in prospetto
   L’art. 34 della Legge n. 262/2005 opera una ricollocazione nell’ambito del t.u.f. del reato di falso in prospetto, attraverso l’abrogazione dell’art. 2623 cod. civ. e l’introduzione dell’art. 173 bis nel d. Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58.
   La norma in parola prevede, in luogo dell’ ipotesi articolata tra una fattispecie – base, avente natura contravvenzionale e di reato di pericolo (art. 2623, primo comma, cod. civ.), ed una delittuosa, integrante un reato di danno (art. 2623, secondo comma, cod. civ.), una figura delittuosa unitaria, che presenta la struttura di reato di pericolo concreto.

8. L’introduzione di un sistema “a doppio binario” per le società di revisione
   Il Legislatore ha ritenuto di dover introdurre, in sede di riforma del risparmio, un regime ad hoc al quale sottoporre le società di revisione, laddove l’art. 34 della Legge 28 dicembre 2005, n. 262 prevede due autonome figure delittuose, descritte dai nuovi artt. 174 bis e 174 ter del t.u.f., rispettivamente rubricati “Falsità nelle comunicazioni o nelle relazioni delle società di revisione” e “Corruzione dei revisori”.
   Tali norme dovranno, tuttavia, essere coordinate con la disciplina di cui agli artt. 2624 - 2635, non abrogati dalla Legge n. 262/2005 cit.
   Ne emerge, conseguentemente, un sistema “a doppio binario”, nell’ambito del quale si dovrà distinguere tra reati, caratterizzati dal medesimo fatto tipico, a seconda che riguardino o meno società di revisione soggette alla disciplina dettata dal t.u.f.

9. Altri profili penalistici interessati dalla riforma del risparmio
   L’art. 36 della Legge 28 dicembre 2005, n. 262 prevede l’inserimento, nel D. Lgs. n. 58/1998, dell’ art. 192 bis, norma che introduce un illecito amministrativo, ricalcato sul modello dei reati di falsità, in materia di informazioni relative all’adesione delle società a codici di comportamento redatti da società di gestione dei mercati, o associazioni di categoria degli operatori.
   Il Legislatore sembra infine, su un piano più generale, voler rendere molto temibile la risposta sanzionatoria nelle ipotesi in cui gli illeciti, penali ed amministrativi, riguardino società quotate, o comunque sottoposte alla disciplina dettata dal t.u.f., laddove, con riferimento a tali eventualità, le pene risultano raddoppiate e le sanzioni amministrative quintuplicate (7).

 

NOTE

   (1) (1) Cfr.F. ZAVATARELLI, http://www.penale.it/mappa

   (2) Art. 14, comma 1 lettera n) legge 28 dicembre 2005, n. 262.

   (3) Così F. ZAVATARELLI, cit.

   (4) Art. 30, comma 1, legge n. 262/2005 cit.

   (5) Art. 30, comma 2, legge cit.

   (6) Ibid.

   (7) Cfr. art. 39 Legge 28 dicembre 2005, n. 262.

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