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V.1 – gennaio 2006 |
GIURISPRUDENZA
CORTE COSTITUZIONALE, 29 dicembre 2005, n. 481 – Marini Pres. – Vaccarella Est.
Sono infondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2409, 3° c., e 2477, 4° c., cod. civ. per eccesso di delega, in quanto il d. lgs. n. 6/2003, escludendo con tali norme il ricorso al controllo giudiziario sulla gestione delle società a responsabilità limitata, non ha ecceduto la delega conferita dalla legge n. 366/2001.
(Omissis)
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza depositata il 5 novembre 2004 la Corte d’appello di Trieste ha sollevato, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli art. 2409, commi primo e settimo, 2477, comma quarto, e 2476, comma terzo, del codice civile.
Il dubbio è stato prospettato nel corso di un procedimento di reclamo avverso il decreto del Tribunale ordinario di Udine che, adito con ricorso ex art. 2409 cod. civ. dai componenti del collegio sindacale di una società a responsabilità limitata, aveva disposto l’ispezione giudiziale della società.1.1.– In punto di rilevanza, osserva il rimettente che la decisione della fattispecie sottoposta al suo esame comporta la valutazione, in limine, dell’ammissibilità della procedura di controllo ex art. 2409 cod. civ., nel testo novellato dal decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 6 (Riforma organica della disciplina delle società di capitale e società cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 366), nei riguardi della società a responsabilità limitata.
Osserva, quindi, che, in attuazione dell’art. 4, commi 1 e 2, lettera a), numero 4, della legge 3 ottobre 2001, n. 366 (Delega al Governo per la riforma del diritto societario), la normativa in materia di società per azioni, in vista della realizzazione di un equilibrio nella tutela degli interessi dei soci, dei creditori, dei risparmiatori e dei terzi, avrebbe dovuto disciplinare un modello di base unitario, diversificando, rispetto a esso, le ipotesi nelle quali le società andavano assoggettate a regole caratterizzate da un maggior grado di imperatività, in considerazione del ricorso al mercato del capitale di rischio; che in tale contesto si sarebbe dovuto prevedere, da un lato, un ampliamento dell’autonomia statutaria, sia pure soggetto a limiti e condizioni in funzione dei vari tipi di società; dall’altro, la denunzia al tribunale, da parte dei sindaci o dei componenti di altro organo di controllo, del sospetto di gravi irregolarità nell’adempimento dei doveri degli amministratori. Ricorda anche che tra i principi e i criteri direttivi vi era quello di introdurre il controllo giudiziario disciplinato dall’art. 2409 cod. civ. per le cooperative, sia pure limitatamente alle sole società non inquadrabili nella «cooperazione costituzionalmente riconosciuta», di cui all’art. 5, comma 1, lettera b), della legge delega e non soggette al disposto dell’art. 70, comma 7, del d. lgs. 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia): previsione in attuazione della quale è stata dettata la norma di cui all’art. 2545-quinquiesdecies cod. civ.
Tale assetto normativo renderebbe palese – secondo il giudice a quo – l’intenzione del legislatore delegante di innovare sotto due profili soltanto il controllo giudiziario sulle società di capitali: quello della legittimazione al ricorso, da un lato, e dell’estensione del mezzo alle società cooperative, sia pure nei limiti innanzi esplicitati, dall’altro.
Orbene, considerato che in forza dell’espresso richiamo contenuto nell’art. 2488, comma quarto, cod. civ., nel testo antecedente all’entrata in vigore della riforma, la procedura di cui all’art. 2409 cod. civ. era pacificamente ritenuta esperibile anche nelle società a responsabilità limitata; che analogo riferimento manca invece nella nuova disciplina, a differenza di quanto accade per le società in accomandita per azioni, in virtù del disposto dell’art. 2454 cod. civ.; che l’art. 2476, comma terzo, cod. civ., prevede, sia pure su istanza del singolo socio e in via incidentale nell’ambito del giudizio di responsabilità, la possibilità della pronuncia di provvedimento cautelare di revoca dell’amministratore, in caso di gravi irregolarità nella gestione – mezzo in considerazione del quale la relazione accompagnatoria del decreto delegato ha espressamente affermato la superfluità del controllo giudiziario ex art. 2409 cod. civ. – ritiene il rimettente non condivisibile l’assunto del Tribunale laddove ha riconosciuto, in forza del richiamo alle norme dettate in materia di società per azioni, contenuto nel comma quarto dell’art. 2477 cod. civ., l’esperibilità del procedimento nelle società a responsabilità limitata in cui sia obbligatoria la nomina del collegio sindacale.
Secondo la Corte d’appello, l’opzione ermeneutica accolta dal giudice di prime cure poggerebbe su un argomento di carattere letterale debole e comunque in contrasto con l’impianto generale della legge delega, che non sembrerebbe prefigurare possibilità di distinzioni di disciplina nell’ambito della società a responsabilità limitata; essa peraltro introdurrebbe una differenza nelle attribuzioni del collegio sindacale, in dipendenza del carattere obbligatorio o facoltativo della sua nomina.1.2.– Tanto esposto in ordine alla ritenuta inapplicabilità, in parte qua, del procedimento di cui all’art. 2409 cod. civ., e conseguentemente in ordine alla rilevanza del prospettato dubbio, ritiene il rimettente che la disciplina dettata dal legislatore delegato sarebbe in contrasto con i principi e i criteri direttivi della legge delega, la quale, se aveva accentuato il carattere contrattuale della società a responsabilità limitata, lasciando ampio margine nella sua modulazione all’autonomia privata, aveva tuttavia mostrato una forte considerazione del ruolo «non strettamente individuale» che essa può essere chiamata a svolgere nel quadro economico complessivo.
In particolare, in punto di non manifesta infondatezza, osserva il giudice a quo che la radicale modificazione dei controlli societari, realizzata dalla riforma del 2003, andrebbe contro quelle esigenze di salvaguardia dell’interesse generale, segnatamente avute di mira dal legislatore delegante, esigenze alla cui tutela il mezzo offerto dall’art. 2409 cod. civ. è sempre stato preordinato, quale utile strumento di controllo della regolarità della gestione.
In realtà, mentre la legge n. 366 del 2001 «non si era in alcun modo soffermat(a)» su questo aspetto del sistema dei controlli, il rimedio incidentale previsto nell’art. 2476 cod. civ. sarebbe funzionale alla sola risoluzione di conflitti interni e di carattere privato tra soci, amministratore e società e, quindi, del tutto inidoneo al perseguimento dell’interesse di carattere generale alla correttezza della gestione sociale, in considerazione anche «dell’ampio spettro di interventi assicurato» dall’art. 2409 cod. civ.
In definitiva, secondo il rimettente, la lettura corretta del combinato disposto degli artt. 2477 e 2409, nonché dello stesso art. 2476, comma terzo, cod. civ., impone di ritenere inammissibile il ricorso proposto (donde il requisito della rilevanza della questione): del resto l’interpretazione accolta dal Tribunale di Udine non solo non sarebbe condivisibile, alla luce delle esposte considerazioni ma, nella parte in cui presuppone l’esistenza di una pluralità di sistemi di controllo relativi alla società a responsabilità limitata, confermerebbe «il complessivo vizio di eccesso di delega», posto che nessun principio e criterio direttivo avrebbe il delegante dettato in parte qua.1.3.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto dichiararsi inammissibile o infondata la prospettata questione, «riservandosi di svolgere con successiva memoria compiute difese al riguardo».
1.4.– Nella memoria successivamente depositata, il Presidente del Consiglio dei ministri sottolinea come dalla legge di delega non sia dato ricavare quanto il giudice rimettente in essa individua per inferirne l’eccesso di delega: in particolare, dalle lettere e) e h) dell’art. 3 risulta che il legislatore delegato doveva ampliare l’autonomia statutaria quanto «agli strumenti di tutela degli interessi dei soci, con particolare riferimento alle azioni di responsabilità» e doveva, altresì, individuare i limiti oltre i quali è obbligatorio «un controllo legale dei conti». Sotto alcun profilo, dunque, la legge di delega richiedeva l’estensione alla società a responsabilità limitata del controllo giudiziario di cui all’art. 2409 cod. civ., e pertanto il legislatore delegato ha correttamente operato, nell’ambito della discrezionalità riconosciutagli dalla legge di delega, la scelta di privilegiare il potere di controllo e di reazione dei soci attraverso la disciplina dell’azione individuale di responsabilità sociale, ritenendo che tale disciplina rendesse superfluo il controllo giudiziario di cui all’art. 2409 cod. civ.
2.– Con ordinanza del 4 febbraio 2005 il Tribunale di Cagliari ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 76 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 2409, 2476, comma terzo, nonché dell’art. 2477, comma quarto del codice civile, «nella parte in cui non viene attribuita anche ai soci della società a responsabilità limitata la possibilità di ricorrere al tribunale, ex art. 2409 cod. civ., in caso di gravi irregolarità nella gestione della società».
La questione è stata sollevata nel corso di un procedimento instaurato a seguito di ricorso ex art. 2409 cod. civ. proposto dal titolare di quota di euro 10.000, pari al 50% del capitale sociale di una società a responsabilità limitata: il socio, denunciando gravi irregolarità nell’amministrazione, aveva chiesto che venisse disposta ispezione giudiziale sulla gestione sociale.2.1.– In punto di rilevanza, osserva il rimettente che il d. lgs. n. 6 del 2003 avrebbe fatto venir meno la possibilità, prevista dal previgente art. 2488, quarto comma, cod. civ., di ricorrere al procedimento de quo nell’ambito della «piccola» società a responsabilità limitata. Tale opzione interpretativa, alla cui stregua il ricorso proposto dovrebbe essere dichiarato inammissibile, poggerebbe sui seguenti rilievi:
a) la mancanza, nella disciplina di tale tipo di società, di un richiamo all’art. 2409 analogo a quello contenuto, per le società cooperative, nell’art. 2545-quinquiesdecies cod. civ.;
b) l’esplicitazione, nella Relazione accompagnatoria, della ratio della scelta normativa adottata, individuata nel riconoscimento, in capo a ciascun socio, del potere di promuovere l’azione sociale di responsabilità e di chiedere, nel corso della stessa e in via cautelare, la provvisoria revoca giudiziale dell’amministratore: soluzione che avrebbe fatto ritenere «superflua e in buona parte contraddittoria con il sistema la previsione di forme di intervento del giudice quali quelle ora previste dall’art. 2409 cod. civ.»;
c) la circostanza che solo con riferimento alle società a responsabilità limitata nel cui ambito è obbligatoria la nomina del collegio sindacale sarebbe possibile recuperare, in via interpretativa, l’esperibilità del mezzo, in forza del richiamo contenuto nel novellato art. 2477, comma quarto, cod. civ. alle norme in materia di società per azioni, e quindi anche a quella che riconosce ai sindaci la legittimazione alla proposizione del ricorso ex art. 2409 cod. civ.2.2.– In punto di non manifesta infondatezza, segnala preliminarmente il giudice a quo che il procedimento di cui all’art. 2409 cod. civ., nel sistema introdotto dal d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, avrebbe subito profondi cambiamenti in senso restrittivo della sua sfera di applicazione, tra i quali i più significativi riguarderebbero la limitazione del potere del P.M. alle sole società «aperte», e cioè a quelle che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, e il restringimento dell’area delle irregolarità per tale via denunciabili a quelle «potenzialmente dannose» per la società, o per società ad essa collegate.
Tale assetto normativo, nel quale si inserisce la peculiare disciplina del controllo giudiziale nelle società a responsabilità limitata, non solo sarebbe in controtendenza con «i precedenti legislativi in materia societaria» e con la «cornice comunitaria», ma contrasterebbe con le linee guida della stessa legge n. 366 del 2001. Questa, invero, mentre nessuna menzione del controllo giudiziale aveva fatto negli artt. 2 e 12, rispettivamente dedicati ai principi ispiratori della riforma e ai profili processuali, si era occupata dell’istituto in due norme soltanto: nell’art. 4, comma 2, numero 4, laddove aveva disposto che nelle società per azioni operanti sul mercato del capitale di rischio il potere di denunzia dovesse essere attribuito anche ai sindaci o agli altri organi di controllo interno; nell’art. 5, comma 2, lettera g), laddove aveva imposto di estendere alle società cooperative, diverse da quelle costituzionalmente riconosciute, l’esperibilità del mezzo «disciplinato dall’art. 2409 del codice civile».
Orbene, in un contesto nel quale, da un lato, le uniche indicazioni rinvenibili nella legge delega sarebbero state volte ad operarne l’estensione e, dall’altro, il riferimento all’art. 2409 cod. civ., contenuto nel menzionato art. 5, lungi dall’avere carattere formale, rivelerebbe piuttosto l’intenzione del legislatore di mantenerne inalterata la disciplina, il vizio di eccesso di delega travalicherebbe gli stessi, specifici profili attinenti alla società a responsabilità limitata, per porsi con riguardo alla generale regolamentazione dettata in parte qua dal legislatore del 2003.
Né potrebbe ignorarsi che, se è vero che la legge delega aveva accentuato il carattere “privatistica” della società a responsabilità limitata, non aveva tuttavia fatto venir meno il rilievo «non strettamente individuale» di quel modello societario, di modo che una così radicale modifica del sistema dei controlli interni sarebbe in contrasto con le esigenze di salvaguardia dell’interesse generale avute di mira dal legislatore del 2001, anche attraverso il mantenimento dei controlli esterni.
Secondo il giudice a quo non sarebbe condivisibile la tesi, affermata nella Relazione accompagnatoria, della piena equivalenza dei poteri attribuiti ai componenti la compagine della società a responsabilità limitata con la tutela assicurata dall’art. 2409 cod. civ.: a ben vedere, invero, malgrado l’ampliamento delle possibilità di accesso dei soci alla conoscenza degli affari sociali (art. 2476, comma secondo, cod. civ.) e la riconosciuta esperibilità, in capo a ciascuno di essi, dell’azione sociale di responsabilità (art. 2476, comma terzo, cod. civ.) nonché di quella spettante in dipendenza di danni direttamente prodotti nel loro patrimonio da atti dolosi o colposi dell’amministratore (art. 2476, comma sesto, cod. civ.), l’area di operatività dell’art. 2409 cod. civ., rispetto a questi mezzi, sarebbe comunque più ampia.
A supporto di tale assunto il rimettente segnala che l’esercizio del rimedio risarcitorio, cui è legata la richiesta di revoca con provvedimento di urgenza dell’amministratore, richiederebbe un danno effettivo e non soltanto potenziale, e cioè proprio quel pregiudizio che il procedimento di cui all’art. 2409 cod. civ. tenderebbe ad evitare.
In particolare, come posto in luce dalla dottrina, la revoca in via cautelare dell’organo gestorio dovrebbe ritenersi possibile solo quando la mancata, tempestiva rimozione dello stesso rischi di aggravare a tal punto il pregiudizio da rendere aleatoria la possibilità di un successivo risarcimento a carico del patrimonio degli amministratori, o da mettere in pericolo la stessa sopravvivenza della società.
Per altro verso, rimosso in via d’urgenza l’amministratore, la nomina di quello nuovo, in mancanza di previsione dell’intervento di un amministratore giudiziale, competerebbe pur sempre alla maggioranza che ha assistito, inerte, alla cattiva gestione degli affari sociali mentre, in caso di insanabile contrasto tra i soci, si realizzerebbe un’ipotesi di impossibilità di funzionamento della società e dunque una causa legale di scioglimento della stessa, ex art. 2484, comma primo, numero 3, cod. civ.
Infine l’esame dei libri e dei documenti sociali a iniziativa e spese del socio costituirebbe rimedio costoso e potenzialmente inappagante, in quanto meno obbiettivo rispetto all’ispezione condotta dall’ausiliario del giudice.
In tale contesto il Tribunale di Cagliari ritiene rilevante e non manifestamente infondato il dubbio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 2409 e 2476, comma terzo, cod. civ. – nella parte in cui non prevedono che, in caso di gravi irregolarità degli amministratori, i soci della società a responsabilità limitata possano azionare il mezzo di cui all’art. 2409 cod. civ. – e dell’art. 2477, comma quarto, cod. civ. laddove, richiamando le disposizioni in tema di società per azioni con riferimento alla società a responsabilità limitata in cui sia obbligatoria la nomina del collegio sindacale, consente solo in quest’ultimo caso il ricorso alla procedura de qua: tanto in riferimento all’articolo 76 della Costituzione, per eccesso di delega, avendo il legislatore delegato modificato la disciplina dei controlli esterni ed escluso l’applicazione dell’istituto alla società a responsabilità limitata, benché le uniche indicazioni contenute nella legge delega fossero nel senso di un ampliamento della sfera di operatività dello stesso; nonché in riferimento all’art. 3 della Costituzione, per disparità di trattamento tra soci della società a responsabilità limitata e soci della società per azioni e, ancora, tra i primi e i sindaci della società a responsabilità limitata in cui sia obbligatoria la nomina del collegio sindacale.2.3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto in giudizio con la rappresentanza dell’Avvocatura generale dello Stato, ha chiesto dichiararsi inammissibile, ovvero infondata, la questione.
Osserva preliminarmente l’interveniente che la censura relativa all’eccesso di delega riguarda, a ben vedere, soltanto l’art. 2409 cod. civ., nella parte in cui esclude espressamente le società a responsabilità limitata dall’applicazione del procedimento di controllo, mentre impropria sarebbe la deduzione della presunta incostituzionalità degli artt. 2476 e 2477, posto che tali norme sono richiamate al solo fine di argomentare la fondatezza della questione, senza alcun riferimento all’eccesso di delega.
Nel merito rileva l’Avvocatura che, secondo la consolidata giurisprudenza del Giudice delle leggi, il sindacato sull’esercizio da parte del Governo del potere di legiferare nelle materie delegate dal Parlamento, ai sensi dell’art. 76 della Costituzione, è circoscritto al rilievo di eventuali profili di incongruenza tra i limiti desumibili dai principi e dai criteri direttivi contenuti nella delega e le scelte legislative adottate dal delegato, fermo peraltro il divieto di sindacarne il merito.
Nella fattispecie il giudice a quo avrebbe mostrato di essere ben consapevole della voluntas legis insita nelle norme che disciplinano la società a responsabilità limitata, del resto esplicitata nella Relazione accompagnatoria richiamata nell’ordinanza di rimessione, e di non condividerla, posto che egli ritiene insufficiente la tutela offerta dall’estensione della legittimazione dei soci all’esercizio dell’azione sociale di responsabilità e inopportuna l’eliminazione del controllo giudiziario sulla gestione.
Ma, a giudizio dell’Avvocatura, tale valutazione nulla avrebbe a che vedere con la corretta applicazione dei criteri di delegazione (essendo peraltro affatto incontrovertibile la volontà del delegante di consentire una radicale modificazione della società a responsabilità limitata), trattandosi piuttosto di una non consentita critica alle scelte in concreto operate dal legislatore delegato.
L’intangibilità della discrezionalità legislativa nell’attuazione della delega e segnatamente, per quanto qui interessa, nella predilezione per un sistema di controllo endosocietario diffuso, piuttosto che per un modello di controllo esterno, affidato all’autorità giudiziaria, comporterebbe, secondo la difesa erariale, l’inammissibilità e comunque l’infondatezza della questione.Considerato in diritto
1.– La Corte d’appello di Trieste dubita, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, della legittimità costituzionale degli artt. 2409, commi primo e settimo, 2477, comma quarto, e 2476, comma terzo, cod. civ., nella parte in cui escludono l’ammissibilità del ricorso alla procedura del controllo giudiziario sulla gestione nella società a responsabilità limitata.
A sua volta, il Tribunale ordinario di Cagliari dubita, in riferimento agli artt. 3 e 76 della Costituzione, della legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 2409 e 2476, comma terzo, cod. civ. – nella parte in cui non prevedono che, in caso di gravi irregolarità degli amministratori, i soci della società a responsabilità limitata possano invocare il controllo giudiziario ex art. 2409 cod. civ. – nonché dell’art. 2477, comma quarto, cod. civ. laddove, richiamando le disposizioni in tema di società per azioni con riferimento alla società a responsabilità limitata in cui sia obbligatoria la nomina del collegio sindacale, consente solo in quest’ultimo caso il ricorso alla procedura de qua.2.– I giudizi, avendo ad oggetto questioni di legittimità costituzionale relative alle medesime norme di legge, debbono essere riuniti.
3.– Le ordinanze di rimessione censurano entrambe, denunciando un eccesso di delega, la disciplina disegnata dal decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 6 (Riforma organica della disciplina delle società di capitale e società cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 366), in tema di controllo giudiziario sulla società a responsabilità limitata, ma muovendo da due diverse tesi: l’una (n. 51 del 2005) escludendo che la procedura di cui all’art. 2409 cod. civ. sia comunque – e cioè anche ad iniziativa del collegio sindacale obbligatoriamente nominato ex art. 2477, comma terzo, cod. civ. – esperibile nei confronti di una società a responsabilità limitata, l’altra (n. 230 del 2005) ritenendo che il collegio sindacale, ma non anche i soci, possa promuovere il controllo giudiziario previsto dall’art. 2409 cod. civ.
L’eccesso di delega, conseguentemente, viene ravvisato ora nell’esclusione totale, ora nella limitazione dell’operatività dell’art. 2409, sostenendosi altresì, da parte della seconda ordinanza, che la limitazione sarebbe tale da comportare una ingiustificata disparità di trattamento a danno dei soci della società a responsabilità limitata rispetto ai soci di una società per azioni e, comunque, rispetto al collegio sindacale.4.– Le questioni non sono fondate.
5.– La legge 3 ottobre 2001, n. 366 (Delega al Governo per la riforma del diritto societario), si compone, per quel che interessa in questa sede, di quattro articoli dedicati rispettivamente, ai “principi generali in materia di società di capitali” (art. 2), alle “società a responsabilità limitata” (art. 3) alle “società per azioni” (art. 4) ed alle “società cooperative” (art. 5).
Entrambe le ordinanze di rimessione imputano al legislatore delegato la violazione del criterio di cui all’art. 4, comma 2, lettera a), numero 4, con il quale il legislatore delegato era impegnato a «prevedere la denunzia al tribunale, da parte dei sindaci o, nei casi di cui al comma 8, lettera d), numeri 2 [consiglio di sorveglianza n.d.r.] e 3 [comitato preposto al controllo interno sulla gestione n.d.r.], dei componenti di altro organo di controllo, di gravi irregolarità nell’adempimento dei doveri degli amministratori»: criterio volto, in una disciplina che prevede «un ampliamento dell’autonomia statutaria», ad individuare «limiti e condizioni in presenza dei quali sono applicabili a società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio norme inderogabili» (così il comma 2, lettera a).
Da tale criterio – e da quello (art. 5, comma 2, lettera g) che prevede il controllo giudiziario per le società cooperative non inquadrabili nella c.d. cooperazione costituzionalmente riconosciuta – i rimettenti desumono che il legislatore delegato era vincolato esclusivamente ad estendere la legittimazione attiva e l’ambito oggettivo del controllo giudiziario come previsto dall’art. 2409 cod. civ.; norma che, in quanto espressamente citata dall’art. 5, comma 2, lettera g), doveva rimanere “inalterata”.
Queste essendo “le uniche indicazioni rinvenibili nella legge delega”, e cioè “volte ad operare l’estensione del controllo giudiziario”, la soppressione (secondo l’ordinanza n. 51 del 2005) o la limitazione (secondo l’ordinanza n. 250 del 2005) di tale controllo sulle società a responsabilità limitata sarebbe costituzionalmente illegittima non potendosi condividere quanto si afferma nella Relazione accompagnatoria al decreto legislativo n. 6 del 2003: l’ampliamento del potere ispettivo dei soci, la legittimazione di ciascun socio all’azione sociale di responsabilità, la previsione di un provvedimento cautelare d’urgenza di revoca degli amministratori in caso di gravi irregolarità nella gestione della società (art. 2476 cod. civ.) non sarebbero idonei a coprire l’area di operatività dell’art. 2409 cod. civ., e dovrebbe negarsi, pertanto, la pretesa equivalenza di tutela che, in tal modo, si sarebbe assicurata.
5.1.– Va premesso che la legge di delega n. 366 del 2001 fa esplicito riferimento al controllo giudiziario esclusivamente nelle norme dedicate alle società per azioni (art. 4) ed alle società cooperative (art. 5), e non anche nella norma che fissa i principi generali in materia di società di capitali (art. 2) e in quella sui principi ai quali si sarebbe dovuta ispirare la disciplina delle società a responsabilità limitata (art. 3).
La tesi dei rimettenti, secondo la quale il silenzio serbato in proposito dalla legge di delega nell’art. 3 andrebbe inteso come volontà di ribadire l’applicabilità dell’art. 2409 cod. civ. alle società a responsabilità limitata, non è condivisibile: anche a tacere la circostanza che la legittimazione riconosciuta ai sindaci potrebbe intendersi riferita (nella legge delega) alle società per azioni che “fanno ricorso al mercato del capitale di rischio” (“caratterizzate da un maggior grado di imperatività”: art. 4, comma 1), è agevole rilevare che tale tesi trascura di considerare che l’art. 2, lettera f) fissa, come generale, il principio per cui la società a responsabilità limitata e la società per azioni debbono costituire “due modelli societari” distinti.
Principio generale, questo, al quale fa da corollario quello della previsione, per la società a responsabilità limitata, di «un autonomo ed organico complesso di norme» (art. 3, comma 1, lettera a), e cioè una impostazione della disciplina radicalmente divergente da quella – che aveva fatto qualificare la società a responsabilità limitata come “una piccola società per azioni” – adottata dal codice civile anteriormente alla riforma, e che trovava la sua compiuta manifestazione negli artt. 2486, comma secondo, 2487, comma secondo, e 2488, commi terzo e quarto, cod. civ.
A ciò non può non aggiungersi che, se è vero che la legge delega non reca più alcuna esplicita previsione in ordine alla «ristretta compagine sociale» – che, secondo l’originaria impostazione (cosiddetto “progetto Mirone”) avrebbe dovuto caratterizzarla insieme con l’attribuzione di «rilevanza centrale al socio e ai rapporti contrattuali tra i soci», – è anche vero che la legge delega dispone che l’autonomo ed organico complesso di norme sia «modellato sul principio della rilevanza centrale del socio e dei rapporti contrattuali tra i soci»; formula preferita alla precedente solo perché non si voleva imporre ab externo, ma far scaturire spontaneamente dalle caratteristiche strutturali del modello societario, la «ristretta compagine sociale», mantenendo tuttavia ferma «la rilevanza centrale del socio e dei rapporti contrattuali tra i soci».
Avendo trascurato queste previsioni – essenziali per la natura stessa della società a responsabilità limitata immaginata dal legislatore delegante – l’accento posto dai rimettenti sul valore da attribuire agli specifici riferimenti (contenuti negli artt. 4 e 5) al controllo giudiziale appare frutto della convinzione che una società di capitali – per ciò solo che è di capitali, e del tutto a prescindere dalla sua struttura (e, quindi, anche se costruita, come da taluno si è detto, quale “società di persone con responsabilità limitata”) – non possa non essere assoggettata ad un controllo giudiziale quale quello previsto dall’art. 2409 cod. civ.5.2.– Le considerazioni appena svolte rendono chiaro che non è da accogliere la censura, fondata sulla violazione dell’art. 76 Cost., relativamente alla mancata previsione dell’applicabilità dell’art. 2409 cod. civ. alle società a responsabilità limitata.
Questa Corte, infatti, anche recentemente ha ribadito che «i principi e i criteri direttivi della legge di delegazione devono essere interpretati sia tenendo conto delle finalità ispiratrici della delega, sia verificando, nel silenzio del legislatore delegante sullo specifico tema, che le scelte operate dal legislatore delegato non siano in contrasto con gli indirizzi generali della stessa legge-delega» (sentenza n. 228 del 2005; n. 308 del 2002; ordinanza n. 248 del 2004).
Alla luce di tale criterio è priva di fondamento anche la censura rivolta, sulla base del medesimo parametro costituzionale, nei confronti della norma (art. 2476 cod. civ.) che, ampliando i poteri di indagine e di reazione del socio nei confronti di chi gestisce la società, avrebbe (erroneamente, a giudizio dei rimettenti) preteso di conseguire per altra via la medesima intensità di tutela garantita dall’art. 2409 cod. civ.
Non spetta a questa Corte valutare la condivisibilità di tale tesi, ma il principio da essa ripetutamente affermato, secondo il quale occorre tener «conto delle finalità che, attraverso i principi ed i criteri enunciati, la legge delega si prefigge con il complessivo contesto delle norme da essa poste e (tener) altresì conto che le norme delegate vanno interpretate nel significato compatibile con quei principi e criteri» (sentenze n. 213 del 2005; 425 del 2000; 15 del 1999), impone di rilevare come la norma censurata si presti ad una interpretazione meno riduttiva di quella prospettata – a conforto della censura di illegittimità costituzionale – dai rimettenti.
L’accesso consentito a ciascun socio a documenti della società che, nella precedente disciplina della società a responsabilità limitata – e, ancora oggi, della società per azioni –, potevano essere esaminati soltanto da chi era incaricato dell’ispezione ex art. 2409 cod. civ., costituisce certamente una profonda innovazione, idonea a potenziare l’efficacia dell’azione sociale di responsabilità, alla quale viene legittimato ciascun socio, che viene altresì legittimato a «chiedere, in caso di gravi irregolarità nella gestione della società, che sia adottato provvedimento cautelare di revoca degli amministratori». Ed è appena il caso di rilevare come la formulazione letterale della norma non imponga affatto l’interpretazione che dei presupposti della misura “cautelare” di revoca propongono i rimettenti; al contrario, la qualificazione di “cautelare” data dalla legge alla misura di revoca ben può essere intesa – come peraltro ritiene una parte della giurisprudenza e della dottrina – nel senso di strumentale (ed anticipatoria rispetto) ad una azione volta ad ottenere una sentenza di revoca degli amministratori, per ciò solo che nella gestione della società sono presenti “gravi irregolarità” e v’è mero pericolo di danno per la medesima. Così come la salvezza del «diritto al risarcimento dei danni spettanti […] al terzo» danneggiato da atti dolosi o colposi degli amministratori (art. 2476, comma sesto, cod. civ.) costituisce previsione che non preclude interpretazioni – peraltro proposte in dottrina – idonee ad assicurare efficace tutela ai creditori sociali.6.– Le considerazioni appena svolte escludono la fondatezza della censura che il tribunale di Cagliari muove, in riferimento all’art. 3 Cost., al combinato disposto degli artt. 2409 e 2476, comma terzo, cod. civ.: la lamentata disparità di trattamento tra i soci di una società a responsabilità limitata e i soci di una società per azioni non sussiste, diverse essendo all’evidenza le situazioni soggettive, per ciò solo che diverse sono le società alle quali partecipano, degli uni e degli altri.
7.– Infondata è altresì la censura rivolta dal Tribunale ordinario di Cagliari, sempre in riferimento all’art. 3 Cost., nei confronti dell’art. 2477, comma quarto, cod. civ., nella parte in cui discrimina tra sindaci e soci di una società a responsabilità limitata quanto alla legittimazione alla denuncia al tribunale ex art. 2409 cod. civ.
A prescindere dalla opinabilità (ampiamente argomentata dalla Corte di Trieste) dell’interpretazione secondo la quale la denuncia ex art. 2409 cod. civ. – per il mero fatto che è inserita in un paragrafo del codice civile (§ 3 della sezione VI-bis) intitolato “del collegio sindacale” – costituirebbe un “potere” del collegio sindacale, la cui esperibilità deriverebbe dalla sola circostanza che un tale collegio esista, è evidente l’inconsistenza di una censura la cui fondatezza presupporrebbe la sostanziale assimilabilità di soci e sindaci.per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALEriuniti i giudizi,
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 2409, 2476, comma terzo, e 2477, comma quarto, del codice civile sollevate, in riferimento agli articoli 76 e 3 della Costituzione, dalla Corte d’appello di Trieste e dal Tribunale ordinario di Cagliari con le ordinanze in epigrafe.
(Omissis)