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V.1 – gennaio 2006 |
GIURISPRUDENZA
CORTE DI CASSAZIONE, 12 dicembre 2005, n. 27389 – Saggio Pres. – Rodorf Est.; Gaspari ed altri c. SAIIM s.p.a.
La deliberazione con la quale l’assemblea di una società per azioni autorizzi l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità contro i sindaci, anche se adottata con il voto favorevole di almeno un quinto del capitale, non determina la revoca automatica dei sindaci dalla carica e non ne implica l’immediata sostituzione.
(Omissis)
Svolgimento del processo – Il 25 giugno 1996 l’assemblea della Società Agricola Immobiliare Interconsorziale del Mezzogiorno s.p.a. (in prosieguo indicata come Saiim) deliberò di esercitare un’azione di responsabilità nei confronti dei sindaci, dr. Luigi Gaspari, rag. Giorgio Mirabelli e prof. Tiziano Onesti. La deliberazione fu assunta col voto favorevole di oltre un quinto del capitale sociale e, pertanto, muovendo dal presupposto che in forza del rinvio operato dall’ultimo comma dell’art. 2407 cod. civ. al precedente art. 2393 ne fosse derivata l’automatica revoca dei sindaci dalla carica, l’assemblea contestualmente provvide alla nomina di un nuovo collegio sindacale.
I sindaci così revocati impugnarono però il deliberato assembleare dinanzi al Tribunale di Roma assumendo che esso non poteva ritenersi produttivo di effetti, in difetto di approvazione della revoca da parte del tribunale, a norma del secondo comma dell’art. 2400 cod. civ., e negando comunque la sussistenza di una giusta causa di revoca. Chiesero pertanto che fosse dichiarata l’inefficacia della deliberazione assembleare impugnata, o in subordine che ne fosse dichiarata la nullità o disposto l’annullamento, e che la società fosse condannata al risarcimento dei danni.
Nessuna di tali domande fu però accolta dal tribunale, né sortì miglior esito il gravame tempestivamente proposto dagli interessati.
La Corte d’appello di Roma, infatti, con sentenza emessa il 9 ottobre 2001, ritenne che la disciplina legale dell’azione di responsabilità nei confronti dei sindaci di società per azioni, quale dettata dall’art. 2407 cod. civ., comporti la piena estensione ai sindaci del disposto del terzo comma del richiamato art. 2393, e che quindi, come per gli amministratori, la deliberazione di esperire detta azione, se adottata dall’assemblea con il voto favorevole di almeno un quinto del capitale sociale, determini automaticamente la revoca dei sindaci dalla carica, senza che in tal caso occorra l’approvazione del tribunale, prescritta dal secondo comma dell’art. 2400 cod. civ. per ipotesi di revoca per giusta causa diverse da quella in esame. Né in siffatta ricostruzione, a giudizio della corte territoriale, sarebbe ravvisabile alcun profilo di irragionevolezza o alcuna lesione al diritto di difesa dei sindaci, giacché la decisione assembleare di esercitare l’azione di responsabilità dà vita ad un’ipotesi di revoca giustificata da esigenze specifiche e diverse rispetto alla revoca per giusta causa contemplata in via generale dalla disposizione da ultimo citata, e perché ai sindaci revocati, cui comunque non spetta un diritto soggettivo assoluto alla permanenza in carica, è comunque offerta la possibilità di reagire impugnando giudizialmente la deliberazione da essi reputata lesiva dei loro diritti. Donde la conclusione che l’asserita assenza di giusta causa di revoca non potrebbe essere addotta come ragione d’invalidità della deliberazione assembleare impugnata, né come fonte di danni risarcibili.
Avverso tale sentenza i sigg. Gaspari, Mirabelli ed Onesti hanno proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi ed illustrato anche con successiva memoria.
La Saiim ha depositato controricorso.Motivi della decisione – 1. I ricorrenti lamentano, in primo luogo, la violazione degli artt. 2393, 2400 e 2407 cod. civ., anche in relazione agli artt. 3 e 24 Cost., nonché difetti di motivazione dell’impugnata sentenza.
Essi negano che il rinvio operato dall’ultimo comma dell’art. 2407 cod. civ. al precedente art. 2393 consenta di estendere anche ai sindaci la regola per cui, ove l’assemblea deliberi l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità con il voto favorevole di almeno un quinto del capitale sociale, tale deliberazione produce la revoca automatica degli amministratori. In entrambi i casi – argomentano i ricorrenti – la cessazione dall’ufficio è uno degli effetti che una simile deliberazione può provocare, ma ciò non toglie che la disciplina della revoca resti poi assoggettata al regime suo proprio; regime che è diverso per gli amministratori e per i sindaci, perché solo i primi e non anche i secondi possono essere revocati senza bisogno di preventiva omologazione del tribunale. Conclusione, questa, di cui i ricorrenti trovano conferma nel fatto che il suaccennato regime di revoca dei sindaci è giustificato dall’esigenza di rafforzare i presidi d’indipendenza di siffatto organo anche nei riguardi della maggioranza che abbia il controllo dell’assemblea sociale; esigenza che sarebbe messa a repentaglio ove si consentisse di conseguire in modo automatico il medesimo effetto attraverso la deliberazione di esercizio dell’azione di responsabilità, che potrebbe poi anche magari essere abbandonata o comunque risultare priva di ogni fondamento.
Insistono poi i ricorrenti nel sostenere che il diverso orientamento seguito dai giudici di merito colliderebbe con gli artt. 3 e 24 della Costituzione. Con il primo, perché sarebbe irrazionale la diversità di trattamento, a seconda che la revoca dei sindaci sia deliberata autonomamente dall’assemblea o sia fatta discendere dalla deliberazione di esercitare l’azione di responsabilità; e con il secondo, perché finirebbe col privare di ogni tutela giurisdizionale l’interesse dei medesimi sindaci a permanere in carica (o anche solo a conseguire un risarcimento) pur quando la deliberata azione di responsabilità non sia poi effettivamente esercitata o in seguito risulti destituita di fondamento.2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano sia la nullità dell’impugnata sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. sia ulteriori difetti di motivazione della sentenza medesima.
Ciò di cui essi si dolgono è che la corte d’appello, dopo essersi occupata del tema sopra riferito, abbia ignorato tanto le subordinate domande con cui gli attori, poi appellanti, avevano chiesto fosse dichiarata la nullità o fosse pronunciato l’annullamento della deliberazione assembleare di cui s’è detto, quanto l’ulteriore domanda di risarcimento del danno (da liquidarsi in separato giudizio) per illiceità della revoca dalla carica sindacale.3. Il primo motivo di ricorso solleva dunque il quesito se, avendo l’assemblea di una società per azioni deliberato, con il voto favorevole di almeno un quinto del capitale sociale, di promuovere un’azione di responsabilità nei confronti dei sindaci, costoro siano da considerarsi per ciò stesso automaticamente revocati dall’ufficio, senza che occorra a tal fine la successiva approvazione del tribunale.
La questione non risulta essere mai stata posta prima d’ora in modo specifico all’attenzione di questa corte. La giurisprudenza di merito se ne è occupata risolvendola, nella maggior parte dei casi, nel senso della revoca automatica dei sindaci, ed allo stesso modo si è pronunciata la Corte d’appello di Roma nella sentenza qui impugnata. La prevalente dottrina si è invece espressa in senso opposto.3.1. Si tratta essenzialmente di stabilire se, o eventualmente entro quali limiti, sia applicabile anche all’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti dei sindaci quel che dispone, con riferimento all’analoga azione verso gli amministratori, l’art. 2393, comma 3, cod. civ. (ci si riferisce, ovviamente, alla formulazione dell’articolo in vigore al tempo dei fatti di causa, con l’avvertenza che, dopo la riforma attuata col d. lgs. n. 6 del 2003, la medesima disposizione trova posto nel comma quarto dell’art. 2393). Quella disposizione prevede, appunto, che, se l’assemblea deliberi con il voto di almeno un quinto del capitale sociale di esercitare l’azione di responsabilità contro gli amministratori, questi siano automaticamente revocati dalla carica, sicché la medesima assemblea deve immediatamente procedere alla loro sostituzione. Il citato art. 2393, naturalmente, non si riferisce ai sindaci, essendo collocato nella sezione concernente gli amministratori. Tuttavia, il terzo comma del successivo art. 2407, che proprio la responsabilità dei sindaci invece riguarda, stabilisce che l’azione di responsabilità nei confronti di questi ultimi sia regolata dalle disposizioni degli artt. 2393 e 2394 (la norma figura anche nel nuovo testo dell’articolo, successivo alla riforma, salvo che il richiamo comprende anche altri articoli ed è corredato da una clausola di compatibilità).
È appunto per effetto di questo richiamo che, ove ricorra la situazione contemplata dal citato terzo comma dell’art. 2393, si sostiene l’applicabilità anche ai sindaci dello speciale regime di revoca automatica operante per gli amministratori. Non vi osterebbe il fatto che un’altra disposizione, quella dettata dal secondo comma dell’art. 2400 cod. civ., subordina l’efficacia della deliberazione di revoca dei sindaci all’approvazione del tribunale, perché quest’ultima previsione si riferirebbe unicamente ai casi in cui la revoca è deliberata dall’assemblea per giusta causa, ai sensi del medesimo art. 2400, e non anche alla speciale ipotesi di revoca conseguente ad addebiti di responsabilità, ipotesi nella quale la giusta causa sarebbe in re ipsa e non abbisognerebbe dunque di alcuna verifica giudiziale preventiva.
A sostengo di questa tesi si adduce anche che la decisione di esercitare l’azione di responsabilità – per i sindaci non diversamente che per gli amministratori – comporta una tale rottura del rapporto di fiducia esistente tra la società e le persone investite di quella carica da rendere per ciò stesso incompatibile il perdurare della loro funzione, come confermato dal fatto che lo stesso terzo comma del citato art. 2393 prevede l’immediata sostituzione degli organi revocati. Nessuno spazio residuerebbe pertanto per una valutazione quale quella che al tribunale è richiesta dal secondo comma dell’art. 2400, in ipotesi di revoca dei sindaci per giusta causa, essendo ormai in questo caso rimesso alla più compiuta cognizione del giudice dell’azione di responsabilità il vaglio sulla fondatezza degli addebiti che hanno condotto alla revoca.3.2. La tesi ora esposta non convince, e gli argomenti addotti a suo sostegno non paiono decisivi. Ben più lo sono, invece, quelli di segno contrario.
Deve anzitutto rilevarsi, sul piano letterale, come l’ultimo comma dell’art. 2407 cod. civ. non contenga un generico e globale rinvio alle regole dettate dal precedente art. 2393, ma sia invece volto a disciplinare, attraverso quel rinvio, l’azione di responsabilità contro i sindaci di società (“L’azione di responsabilità contro i sindaci è regolata ...”; ovvero, nella vigente formulazione, “All’azione di responsabilità contro i sindaci si applicano ...”). Sono quindi da intendersi richiamati i presupposti, le condizioni, i termini, le modalità e gli effetti dell’esercizio di quell’azione. Aspetti, tutti, per i quali la disciplina dettata dal citato art. 2393 ben si adatta anche all’ipotesi di azione di responsabilità contro i sindaci, di modo che anche in questo caso si renderà necessaria la previa deliberazione dell’assemblea, da ritenersi implicitamente sempre all’ordine del giorno quando l’assemblea sia chiamata ad approvare il bilancio, e l’azione potrà esser rinunciata o transatta con le modalità previste dall’ultimo comma del medesimo articolo (ma, quando sia applicabile la norma vigente dopo la riforma, potrà essere esercitata solo entro il termine quinquennale contemplato nel nuovo terzo comma).
Ma la disposizione che prevede la revoca automatica degli amministratori contro i quali l’assemblea, a maggioranza qualificata, abbia deliberato di esercitare l’azione di responsabilità, benché pur essa collocata nel corpo del citato art. 2393, non rientra tra quelle che regolano l’azione; non riguarda né presupposti, né le condizioni, i termini e le sue modalità di esercizio, né gli effetti di detta azione. Quella disposizione, in realtà, avrebbe altrettanto (e forse meglio) potuto esser collocata in uno degli articoli che concernono la revoca degli amministratori, perché di questo essa si occupa, introducendo una specifica ipotesi di revoca, destinata ad operare automaticamente per effetto non già, si badi, dell’esercizio dell’azione di responsabilità, bensì di una deliberazione assembleare che l’esercizio di quell’azione ha ad oggetto ma che qui viene in rilievo appunto per gli ulteriori effetti che, su un piano differente, essa comporta. Dunque non sembra affatto possibile desumere dal mero dato letterale del rinvio contenuto nell’ultimo comma dell’art. 2407 che la suaccennata e peculiare ipotesi di revoca degli amministratori si estenda anche ai sindaci, e ciò per il modo stesso in cui i rinvii sono formulati nel testo della norma, anche prima che la recente riforma li corredasse con l’indicazione “in quanto compatibili”.
Sul piano logico, poi, la considerazione secondo la quale la situazione di conflitto generata dall’esercizio dell’azione di responsabilità sarebbe da sola sufficiente a giustificare la revoca dei sindaci (oltre che degli amministratori) non è convincente. Benché sia vero che gli estremi della giusta causa di revoca non necessariamente s’identificano con addebiti di colpa idonei a giustificare l’esercizio di un’azione di responsabilità, è nondimeno evidente che qualsiasi revoca per giusta causa implica l’insorgere di una situazione fortemente conflittuale tra la società ed i sindaci revocati, giacché logicamente presuppone che costoro non siano disposti a farsi spontaneamente da parte rassegnando le dimissioni dalla carica; sicché, appunto, si pone la necessità di revocarli. Ma, come s’è già accennato e come ulteriormente si sottolineerà poi, questo non basta a rendere immediati gli effetti della revoca dei sindaci per giusta causa, occorrendo anche l’approvazione del tribunale. Il che sta a significare che il mero insorgere di una situazione conflittuale di tal genere non è reputato dal legislatore una ragione sufficiente a provocare la cessazione dalla carica. Né, d’altronde, la situazione conflittuale cesserebbe di esser tale (o sarebbe meno rilevante) sol perché la decisione di esercitare l’azione di responsabilità fosse presa dall’assemblea con una maggioranza inferiore al quinto del capitale sociale, pur essendo indubbio che, in questo caso, la revoca automatica non opera: ad ulteriore conferma che l’unica ragione su cui si basa la disposizione del terzo (ora quarto) comma del citato art. 2393 è il venir meno del rapporto di fiducia tra l’amministratore ed una rilevante parte dell’azionariato.
Ma proprio qui entra in gioco la fondamentale differenza tra la posizione degli amministratori e quella dei sindaci, perché mentre per i primi il rapporto di fiducia con chi detiene la maggioranza del capitale sociale è imprescindibile, non solo all’atto della nomina ma per tutta la durata dell’incarico, per i secondi la questione è più complessa. II loro essere organi di controllo ed il fatto che la loro finzione risponda non solo all’interesse dei soci, unitariamente intesi, ma anche – più specificatamente – a quello dei soci di minoranza, dei terzi e del mercato in genere, ogni qual volta si tratti di vigilare sull’osservanza di norme di legge poste anche a tutela di questo più ampio raggio di interessi, rende necessari particolari presidi d’indipendenza dei sindaci. Ed è evidente che si tratta di garantirne l’indipendenza (almeno nei limiti del possibile) non solo nei confronti degli amministratori, sul cui operato il controllo sindacale è soprattutto destinato a svolgersi, ma anche nei riguardi di quel medesimo azionariato di maggioranza del quale gli amministratori sono normalmente l’espressione.
È appunto per questa ragione che, mentre gli amministratori possono essere sempre revocati dall’assemblea e l’eventuale mancanza di giusta causa determina il loro diritto al risarcimento dei danni, ma non condiziona l’operatività della revoca, il già citato art. 2400 detta per i sindaci una regola diversa. La loro revoca da parte dell’assemblea deve essere approvata infatti dal tribunale, e questa corte ha già avuto occasione di precisare che tale approvazione non rappresenta una semplice verifica formale della regolarità della delibera, ma un atto (di volontaria giurisdizione) con il quale viene esercitato un controllo sull’esistenza della giusta causa, ponendosi come fase necessaria e terminale di una vera e propria sequenza procedimentale preordinata alla produzione dell’effetto della revoca (cfr. Cass. 10 luglio 1999, n. 7264). L’assemblea, ed i soci di maggioranza che la controllano, non sono dunque liberi di revocare a propria discrezione i sindaci, eventualmente accettando il rischio di doverli risarcire all’esito di un eventuale successivo giudizio contenzioso dagli stessi sindaci o da altri intrapreso, ma possono farlo solo se obiettivamente sussista una giusta causa ed a condizione che il tribunale – sia pure con la sommarietà propria dei giudizi camerali (ed ovviamente senza pregiudizio per l’esito di un eventuale futuro giudizio contenzioso) – ne abbia verificato l’esistenza.
Non è affatto logico supporre che questa fondamentale differenza nel regime di revoca degli amministratori e dei sindaci, attesa la ragione su cui essa riposa, sia destinata a venir meno nel peculiare caso di deliberazione assembleare volta ad autorizzare l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità. Non lo è perché, ovviamente, anche la decisione di autorizzare l’esercizio di tale azione è totalmente rimessa alla valutazione della maggioranza. Il fatto che questa muova ai sindaci degli addebiti per cui ravvisi l’opportunità di convenirli in giudizio per responsabilità non implica che l’esistenza di una giusta causa di revoca sia obiettivamente dimostrata e non abbisogni di alcun vaglio preventivo da parte del giudice, talché se ne possa semmai solo eventualmente discutere qualora gli stessi sindaci fossero poi disposti a farsi carico di un eventuale giudizio impugnatorio. Se così fosse, come puntualmente la difesa dei ricorrenti segnala, si consentirebbe comunque nell’immediato alla maggioranza di conseguire quell’obiettivo della revoca dei sindaci ad essa sgraditi che il legislatore invece, come si è visto, reputa incompatibile con la tutela dell’indipendenza dell’organo di controllo e che, perciò, subordina alla verifica preventiva, da parte del tribunale, dell’esistenza delle relative condizioni. E lo si consentirebbe – oltre tutto – anche nel caso in cui l’azione di responsabilità contro i sindaci non fosse neppure poi in concreto esercitata (o fosse successivamente abbandonata), o comunque non avesse successo, giacché il preteso automatismo della revoca dipenderebbe dalla mera deliberazione assembleare che autorizza l’esercizio di detta azione, con contestuale nomina dei nuovi sindaci, dei tutto a prescindere dalle vicende successive dell’azione medesima.
Anche alla luce di un’interpretazione sistematica, che tenga conto delle ragioni cui il legislatore mostra di essersi ispirato in materia, si deve quindi confermare quanto già la mera verifica letterale delle norme in esame aveva suggerito.
Il principio di diritto cui attenersi in simili casi può pertanto essere enunciato nei termini seguenti. La deliberazione con la quale l’assemblea di una società per azioni autorizzi l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità contro i sindaci, anche se adottata con il voto favorevole di almeno un quinto del capitale, non determina la revoca automatica dei sindaci dalla carica e non ne implica l’immediata sostituzione. È superfluo aggiungere che l’assemblea può comunque sempre contestualmente deliberare la revoca per giusta causa dei sindaci contro i quali abbia anche deliberato l’esercizio dell’azione di responsabilità, fermo però restando la necessità di sottoporre detta deliberazione di revoca all’approvazione del tribunale a norma dell’art. 2400, comma 2, cod. civ.4. L’impugnata sentenza, che ha fatto applicazione di un principio opposto a quello sopra enunciato, deve perciò essere cassata, in accoglimento del primo motivo di ricorso, restando in ciò assorbito l’esame del secondo motivo.
(Omissis)