il diritto commerciale d’oggi
    IV.7.8 – luglio-agosto 2005

GIURISPRUDENZA

 

TRIBUNALE MILANO, 9 giugno 2005 – Pres. Ciampi – Est. Fiecconi; Promofinan, s.p.a. c. Fondiaria-SAI s.p.a.
   

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO.
La presente controversia giunge in decisione sulla base dei fatti e delle circostanze di fatto e di diritto riportate nel seguente decreto del Giudice Relatore, di seguito pedissequamente richiamato:
“(Omissis) considerato, peraltro, che, nel caso di specie, risulta pacifico in giudizio che:
1°) l’attore Promofinan s.p.a. – in qualità di società proprietaria di n. 1331850 azioni di Fondiaria s.p.a. al momento in cui sarebbe scattato l’obbligo di OPA per SAI S.p.a. e Mediobanca s.p.a. (identificato nella data del 10 agosto 2001, allorché fu emesso il Primo Comunicato Consob che assumeva la necessità di lanciare l’OPA ex art. 106 TUF)-, in via principale, ha chiesto la condanna di Fondiaria – SAI S.p.a. e di Mediobanca s.p.a. a corrispondere a Promofinan s.p.a., a titolo risarcitorio, l’importo complessivo di euro 7.563.575,00, di cui euro 4.156.703,00 per danno emergente e euro 3.406.872 per lucro cessante, con interesse al prime rate calcolati rispettivamente dal 18 dicembre 2002 (data del Terzo Comunicato Consob che affermava che SAI e Mediobanca sarebbero state legate da un patto parasociale) e dal 20 marzo 2002 (ultimo giorno utile per adempiere all’obbligo di lanciare l’offerta pubblica di acquisto delle azioni di Fondiaria S.p.a. ); in via subordinata, l’attore ha chiesto la condanna di Fondiaria- Sai , Mediobanca e Premafin spa (controllante di SAI), in via alternativa o solidale, al pagamento di euro 919.086,30 (pari alla differenza tra il valore delle azioni ricevute per effetto del concambio e quelle che sarebbero pervenute a Promofinan se il concambio fosse stato effettuato sulla base di un valore di Fondiaria al prezzo dell’OPA- euro 7,651-), con interessi al prime rate bancario dal 19 settembre 2002 (data della fusione di SAI in Fondiaria), a titolo di risarcimento dei danni scaturenti dalla operazione che, attraverso l’acquisizione del controllo di Fondiaria e attraverso le delibere d fusione di Fondiaria e SAI, ha assicurato a Premafin il controllo della società nata dalla fusione di Sai in Fondiaria, relegando la società attrice nella situazione di socia di società “non contendibile”;
2°) nella domanda di risarcimento svolta in via principale nei confronti di Fondiaria-Sai (società scaturente dalla fusione di SAI in Fondiaria) e Mediobanca l’attore assume che, sulla base di una fortissima convergenza di interessi tra Sai, Premafin (società controllante SAI) e Mediobanca (che aveva una consistente partecipazione in Fondiaria), si sia creata una stretta alleanza in forza della quale Mediobanca avrebbe fornito mezzi finanziari necessari a SAI- Premafin per scalare il controllo di Fondiaria, per poi recuperare il relativo costo evitando l’offerta pubblica di acquisto;
3°) l’attore, in particolare, deduce che Sai (con avallo di Premafin), avvalendosi del perdurante sostegno strategico e finanziario di Mediobanca, avrebbe fatto ricorso a interposizioni presentando alla venditrice Montedison s.p.a. “cinque cavalieri bianchi” (Jp Morgan, Interbanca, Micheli, Mirtel Generali Investimenti s.p.a. e Commerzbank AG), riservando ai medesimi una sola intestazione formale che avrebbe permesso di realizzare lo sfondamento oggettivo della soglia del 30% per il sorgere dell’obbligo solidale di lanciare l’OPA, all’epoca dei fatti ravvisabile quanto meno a carico solidale di SAI e Mediobanca, come indicato nel Primo Comunicato CONSOB del 10 agosto 2001;
4°) l’attore assume che nei fatti, l’operazione de qua si sarebbe conclusa allorché, eliminato l’incrocio azionario esistente tra Sai e Fondiaria(per avere questa dismesso la partecipazione in SAI rappresentativa del 22% del capitale sociale trasferendola ai cavalieri bianchi in data 18 febbraio 2002), la medesima SAI esercitava le opzioni di call sulle azioni Fondiaria trasferite ai “cinque cavalieri bianchi”, si da consentire al gruppo Premafin –Sai di procedere alla fusione di Sai in Fondiaria;
5°) le convenute, da un lato, e in fatto, escludono che si sia mai concluso il preteso patto parasociale tra Sai e Mediobanca in funzione dell’acquisizione del controllo di Fondiaria, negando altresì che in suddetto quadro sia configurabile la pretesa “interposizione” dei cinque “cavalieri bianchi” deducendo prove per testi in merito;
6°) le convenute, dall’altro lato, e in diritto, deducono che, quand’anche fosse stato concluso il predetto patto parasociale, la domanda sarebbe infondata poiché la pretesa non si fonderebbe su un diritto soggettivo perfetto o sulla lesione di un interesse legittimo all’altrui ottemperanza del precetto di legge di lanciare l’OPA (legittimando gli azionisti di minoranza a richiedere un risarcimento dei danni patito in conseguenza del mancato disinvestimento delle azioni al prezzo di OPA), atteso che la violazione dell’obbligo di OPA determina l’immediata applicazione di rimedi di carattere inibitorio e ripristinatorio previsti nell’articolo 110 TUF idonei a preservare inalterato l’assetto di controllo precedente all’acquisto rilevante, consistenti nella sterilizzazione dei diritti di voto connessi all’intera partecipazione detenuta e nell’obbligo di alienare le azioni eccedenti la soglia di partecipazione del 30% del capitale entro i dodici mesi successivi all’acquisto determinante il superamento di detta percentuale di capitale ( sul punto, cfr. sentenza C. Appello Milano 21 ott. 1998, n. 3178, doc. 12 di Mediobanca; sentenza Trib. Milano, 22 maggio 1997, le società, 1998, p. 305 s.s., doc. 10 Mediobanca; sentenza Trib. Milano 20 marzo 2000, le società 2000, p. 1357, doc. 11 Mediobanca);
7°) le convenute, in ogni caso, deducono l’inesistenza di un danno emergente che presupporrebbe un diritto dell’attore alla stipulazione del contratto di vendita delle azioni e alla corresponsione di un premio di maggioranza, non avendo le convenute acquisito il controllo di Fondiaria- Sai tramite l’OPA e non avendo, l’attrice, contribuito al trasferimento delle azioni;
8°) la convenuta Premafin s.p.a., inoltre, resiste alla domanda nei suoi confronti deducendo che le delibere assembleari di Fondiaria del 2002 sono divenute intangibili, non essendo state oggetto d’impugnativa ed eccepisce che i voti dei “cavalieri bianchi” sarebbero stati irrilevanti ai fini della maggioranza per la nomina del nuovo CdA di Fondiaria e che il ruolo di questi ultimi non sia stato decisivo ai fini della determinazione, di competenza assembleare, ad attuare la fusione;
9°) infine, le convenute deducono che le pretese risarcitorie riferite al presunto prezzo d’OPA e al danno da affidamento siano incompatibili tra di loro e non cumulabili, e che comunque detto danno non sarebbe provato, non essendo dimostrato o allegato, da una parte, che l’attore avrebbe venduto le azioni in caso di lancio di OPA e che le azioni abbiano subito un effettivo deprezzamento, atteso che le azioni ottenute in cambio delle azioni Fondiaria hanno raggiunto valori corrispondenti a quelli che avevano nel marzo 2002 (pari a € 5.094,00).
Rilevato, che, tale essendo il quadro dei fatti pacifici in giudizio, le parti processuali hanno dedotto capitoli di prova per testi in relazione alla dedotta sussistenza o insussistenza del patto parasociale;
considerato che l’accordo, successivamente intervenuto tra tutte le parti processuali, all’acquisizione in giudizio di copie dei verbali delle deposizioni rese nel processo promosso da Steno Marcegaglia o altri contro Fondiaria Sai s.p.a. e Mediobanca s.p.a. (RG n. 31233/2003),pendente innanzi alla ottava sezione civile del Tribunale di Milano, rende superflua l’istruttoria richiesta;
ritenuto che, nel suddetto contesto, risultano inammissibili le richieste attoree di ottenere l’ordine giudiziale, rivolto alle convenute, di consentire l’esibizione dei documenti da parte delle autorità di vigilanza, si da superare l’ostacolo del segreto d’ufficio opponibile dalla CONSOB e dalla AGCM rispetto a tutta la documentazione raccolta nel corso dei procedimenti che hanno dato luogo ai comunicati del 10 agosto 2001, 17 maggio 2002, 18 dicembre 2002, 10 ottobre 2002 e 17 dicembre 2002, e ciò alla luce della sentenza interpretativa di rigetto della Corte Costituzionale n. 32 del 12 gennaio 2005 emessa nella materia de qua:
invita
(omissis)”.
Il Collegio, come sopra composto, all’udienza di discussione, tenutasi in data 26 maggio 2005, previa discussione delle parti ed esperimento del tentativo di conciliazione, si è riservato di depositare la decisione nei trenta giorni successivi alla discussione orale, ex art. 16, comma 5, d. lgs. n. 5/2005,
MOTIVAZIONE
(Omissis).
Nel merito, la domanda risulta fondata nei seguenti termini.
I) sulla sussistenza del patto parasociale tra SAI s.p.a. e Mediobanca s.p.a. ai sensi dell’art. 122, comma 5, d) del D.lgs. n. 58/1998, determinante l’obbligo solidale di OPA.
La fattispecie in esame si confronta con l’obbligo di offerta pubblica di acquisto (OPA) che, in base alle disposizioni contenute nel d.lgs. 58/1998 (T.U.F.) in tema di regolamentazione del mercato dei titoli delle società quotate, scaturisce nel caso in cui chiunque, a seguito di acquisti a titolo oneroso, venga a detenere una partecipazione superiore alla soglia del trenta per cento (art. 106 T.U.F. D.Lgs. 58/1998). Ai fini della legge in esame, per partecipazione si intende una quota del capitale rappresentato da azioni ordinarie detenute anche indirettamente per il tramite di fiduciari o per interposta persona (art. 105 T.U.F.). Detta normativa, all’art. 109 T.U.F., prevede che sono tenuti solidalmente agli obblighi di lanciare l’OPA sulla totalità delle azioni, coloro che, aderendo a un patto, anche nullo, previsto nell’art. 122 T.U.F. detengano, a seguito di acquisti a titolo oneroso effettuati anche da uno solo di essi, una partecipazione complessiva superiore alle percentuali indicate nell’art. 106 T.U.F..
L’art. 122 T.U.F., per quanto rileva ai fini dell’obbligo di OPA fatto valere in questo giudizio, rinvia alla nozione di patti richiamati nell’art. 109 T.U.F., i quali sono quelli, in qualunque forma stipulati, che prevedono l’acquisto delle azioni di società con azioni quotate (art. 122 comma 1) e hanno per oggetto o per effetto, l’esercizio anche congiunto di una influenza dominante sulle medesime società (art. 122, comma 5, d)). Rispetto ai suddetti patti la legge prevede la preventiva comunicazione alla CONSOB dei medesimi entro cinque giorni dalla stipulazione e la loro pubblicazione per estratto a mezzo stampa (art. 122, comma 1, T.U.F.).
Gli elementi di fatto su cui Promofinan s.p.a. (di seguito Promofinan) fonda la tesi del concerto tra SAI s.p.a. e Mediobanca s.p.a. (di seguito Sai e Mediobanca) finalizzato a conseguire il controllo sulla società La Fondiaria s.p.a. (in seguito Fondiaria), sono attestati nei provvedimenti amministrativi della CONSOB del 10 agosto 2001 e del 18 dicembre 2002. Con tali provvedimenti amministrativi, emessi dall’organo preposto alla vigilanza del mercato degli strumenti finanziari, è stata accertata, rispettivamente,: a) la violazione da parte delle convenute società delle norme che impongono la denuncia della sussistenza di un patto tra soggetti interessati ad acquisire il controllo di una società quotata; b) la violazione dell’obbligo di lanciare l’offerta pubblica di acquisto della totalità delle azioni della società oggetto dell’interesse di alcuni soci a ottenerne il controllo in caso di sfondamento del margine del 30% degli acquisti (art. 120 e ss., D.lgs. n. 58/1998). Lo sfondamento sarebbe avvenuto allorché, sommando partecipazioni del 6,7% di SAI, e del 13% di Mediobanca, in data 18 febbraio 2002, il restante pacchetto del 22% di azioni Fondiaria è stato rilevato da cinque “Investitori” che, con precisi patti e opzioni di vendita e di acquisto stipulati con Sai, si sono, nei fatti, offerti come interposti di SAI nell’acquisto delle azioni allora intestate a Montedison, e ciò in forza della facoltà di nominare un terzo acquirente inserita nel contratto del 1 luglio 2001 stipulato tra Sai e Montedison (alla conclusione del quale era stata versata una caparra di cinquecento milioni di lire da parte dell’acquirente). Nei confronti di Montedison, difatti, SAI si era impegnata ad acquistare una percentuale di azioni Fondiaria di poco inferiore al 30% del capitale e il suo impegno sarebbe scaduto nel marzo 2002. L’acquisizione del pacchetto de quo, in effetti, era stata ostacolata sia dalla Consob, che opponeva anche la sussistenza di un illegittimo incrocio azionario tra SAI e Fondiaria sin dall’acquisizione del primo pacchetto, che dall’ISVAP (istituto preposto alla vigilanza sulle società assicuratrici), che riteneva eccessivamente onerosi gli impegni assunti da SAI anche in considerazione dell’obbligo di OPA su di cosa gravante. L’operazione di acquisizione, nello stesso periodo, era stata esaminata anche dalla AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) sotto il profilo del rispetto della normativa antitrust.
L’attore, quale azionista di Fondiaria, assume la violazione sostanziale, da parte delle società convenute SAI e Mediobanca, della normativa richiamata nelle disposizioni del D.lgs. n. 58/1998, posta a tutela del buon andamento del mercato degli strumenti finanziari e degli stessi azionisti della società bersaglio, ove altri aspirino, in via solitaria o congiunta, a ribaltarne gli assetti proprietari acquistando pacchetti azionari che superino la soglia del 30%, dal legislatore ritenuta come il limite massimo entro il quale gli acquisti non obbligano l’acquirente (o gli acquirenti) del pacchetto a distribuire tra tutti gli azionisti il c.d. premio di maggioranza. Da questa violazione sarebbe derivato un danno all’azionista per il fatto di non aver potuto partecipare all’OPA offrendo in vendita il proprio pacchetto azionario ad un prezzo che, in base alla legge di riferimento avrebbe consentito al medesimo di uscire dalla compagine sociale a un prezzo conveniente e superiore a quello di mercato.
La vicenda in esame, dunque, deve confrontarsi con la legge che, innovando rispetto alla normativa del settore, ha introdotto l’obbligo di procedere all’offerta pubblica di acquisto della totalità delle azioni nell’ambito del mercato del controllo societario, imponendo una modalità di acquisizione del controllo che ha la precipua funzione di tutelare tutti gli azionisti dai pregiudizi che potrebbero ipoteticamente subire a seguito del trasferimento del controllo oltre la soglia del 30% in capo ad alcuno/i, consentendo che anche ad essi possa essere attribuito il c.d. premio di maggioranza che, altrimenti, sarebbe dovuto solo a coloro che vendono il pacchetto di maggioranza. Le disposizioni che impongono le OPA, dunque, assurgono a elemento di fattispecie e disciplina dei comportamenti che i soci devono assumere nell’ambito delle norme che regolano, più in generale, i fenomeni di mutamento degli assetti proprietari di società quotate incidenti sulla titolarità o sulle caratteristiche del controllo di tali società, e compensano in qualche modo il rischio di deprezzamento del valore dei titoli che consegue nel caso in cui altri si determinano a salire sul “ponte di comando”, offrendo agli azionisti una comoda via d’uscita dalla compagine sociale (diritto di exit ). L’esigenza di tutela degli investitori azionisti (cioè di coloro che acquistando le azioni sul mercato, non sono interessati ad acquisire posizioni di controllo della gestione della società, ma solo a valorizzare i propri investimenti), in questo caso, si colloca entro la finalità di garantire l’efficienza del mercato del controllo societario e, più in generale, dei mercati degli strumenti finanziari e dei capitali, poiché la disciplina dell’OPA rende necessariamente più onerosi i trasferimenti di controllo, compresi quelli che creano valore, al fine di evitare in nuce eventuali fenomeni dissipativi del patrimonio delle società che potrebbero comunque determinarsi in caso di mutamento degli assetti proprietari.
Si vedrà più avanti quali strumenti di reazione offre l’ordinamento nei confronti di chi viola gli obblighi della normativa di riferimento. Per ora, il quadro normativo sopra tracciato è sufficiente per consentire una completa valutazione dei fatti in base ai quali la CONSOB ha affermato la violazione dell’obbligo di lanciare la OPA da parte di Sai e Mediobanca e della correttezza della motivazione contenuta nei provvedimenti amministrativi emessi dall’organo amministrativo a cui l’ordinamento ha conferito poteri di indirizzo e di vigilanza, rafforzati da specifiche potestà sanzionatorie e interdittive. Giova premettere che l’interpretazione dei fatti data dalla CONSOB è confortata anche dalle pronunce della Corte d’Appello di Torino e della Corte d’Appello di Milano (doc. 3, 6, 7, attore) che, affermando la legittimità dei provvedimenti sanzionatori emessi dalla CONSOB nei confronti dei soggetti che allora rappresentavano le società convenute, hanno tutte accertato la sussistenza di un patto tra SAI e Mediobanca rilevante ai sensi degli obblighi imposti dalla legge, confermando le sanzioni irrogate in data 10 agosto 2001 per la violazione degli obblighi di comunicazione di patti parasociali.
Nell’affrontare la vicenda non può sottacersi che le convenute Premafin (controllante di SAI) e Mediobanca hanno onorato l’obbligo di rivendere la quota in eccedenza, imposto dalla CONSOB il 18 dicembre 2002, previsto quale specifica sanzione nell’art. 110 T.U.F. in caso di violazione dell’obbligo di lanciare l’OPA, ricollocando sul mercato una quota di azioni facenti parte del capitale della neo-costituita società Fondiaria-SAI s.p.a., nata nell’autunno del 2002, per effetto della fusione deliberata dalle due società. Non può neanche sottacersi il fatto che la Consob, in quell’occasione, non abbia ritenuto determinante, ai fini della validità della delibera assembleare di Fondiaria del 30 maggio con la quale è stato nominato un nuovo consiglio amministrazione, la partecipazione al voto dei cinque Investitori e di Mediobanca.
Quanto sopra osservato in linea di fatto sarebbe già sufficiente a suffragare la tesi dell’attore circa la sussistenza della prova documentale di un concerto tra Mediobanca e SAI nella conquista di una posizione di dominio sulla società La Fondiaria s.p.a.. Pur tuttavia, in questa sede processuale, i convenuti traggono argomenti difensivi dalle risultanze istruttorie acquisite in altro procedimento parallelo pendente innanzi al Tribunale di Milano, Sezione VIII civile, instaurato prima che entrasse in vigore il nuovo rito societario da altri azionisti di Fondiaria (RG Marcegaglia c. Fondiaria-Sai e Mediobanca, RG 31233/2003) al fine di ottenere l’esecuzione coattiva dell’obbligo di lanciare l’offerta pubblica di acquisto e/o il risarcimento del danno per la violazione degli obblighi di cui sopra. Peraltro l’analisi delle risultanze delle prove testimoniali assunte in quel procedimento, in atti acquisite, non permettono di giungere a conclusioni diverse, ma anzi contribuiscono a corroborare la sostanziale ragionevolezza e correttezza delle deduzioni svolte dall’autorità amministrativa preposta alla vigilanza del mercato, poi confermate dalle Corti d’Appello di Milano e di Torino in ordine alla sussistenza di un patto finalizzato all’esercizio congiunto, da parte di SAI e Mediobanca, di un’influenza dominante su Fondiaria (art. 122, 5, d) d.Lgs. 58/1998).
Dall’esame complessivo delle deposizioni testimoniali acquisite in quel giudizio, ove tutti i protagonisti delle operazioni in oggetto hanno potuto riferire la loro versione dei fatti, si giunge alla conclusione che dopo l’acquisto del primo pacchetto del 6,7% di azioni Fondiaria da parte di SAI, avvenuto il 1° luglio 2001, vi sono stati successivi e fondamentali contatti tra i vertici di SAI, Premafin (controllante di SAI) e Mediobanca (a sua volta detentrice del 13% delle azioni Fondiaria), al fine di apprestare programmi sulla eventuale e futura compagine amministrativa della società che sarebbe nata dalla fusione tra SAI e Fondiaria e su altri aspetti dell’auspicata fusione, quali la futura sede sociale e la denominazione della società che ne sarebbe nata (v. dichiarazioni dei testi Ciani, Maranghi, Pagliaro e Gavazzi, in atti prodotte). In detti contatti, concretizzatisi in veri e propri incontri tenuti segreti, uno dei quali avvenuto in data 14 dicembre 2001 a Roma presso lo studio del Prof. Capaldo, professionista incaricato da Sai di studiare i termini del piano di fusione, e l’altro, tenutosi nella sede della Compass in Milano, il 6 gennaio 2002, risalta l’interesse precipuo di Mediobanca di partecipare alle sessioni con il futuro azionista di maggioranza in veste di secondo azionista di riferimento di Fondiaria, onde contribuire a delineare le sorti della società una volta acquisito il controllo del pacchetto maggioritario da parte di Sai (cfr. dichiarazioni di Capaldo, Gavazzi, Maranghi e Pagliaro), nonché di prendere parte attiva a decisioni sulla composizione dell’organo amministrativo della società dopo il passaggio delle azioni di Fondiaria a SAI e la fusione tra le due società. Pertanto, le obiezioni mosse in ordine all’ammissibilità e attendibilità della testimonianza del teste Roberto Gavazzi (ex amministratore delegato di La Fondiaria s.p.a.), in quanto presumibilmente incapace ai sensi dell’art. 221 c.p.c. per avere egli detenuto azioni di Fondiaria all’epoca dei fatti (pur risultando infondate per le stesse ragioni indicate dal G.U. dott.ssa Fiecconi cui il Tribunale si riporta), sfumano di rilevanza di fronte a un quadro probatorio in cui complessivamente risalta non solo la sussistenza di un interesse congiunto di SAI e Mediobanca ad esercitare un’influenza dominante sulla società Fondiaria al fine di acquisirne il controllo, ma anche la volontà di non rivelare all’esterno la sussistenza di tale interesse.
Le predette riunioni, tenutesi a cavallo del 2001 e 2002 (prima dell’intervento dei c.d. “cavalieri bianchi” del 18 febbraio 2002 che hanno operato l’operazione di portage delle azioni), costituiscono la prova del mantenimento dell’accordo tra SAI-Premafin e Mediobanca, avendo ad oggetto la discussione sul futuro assetto della società assicuratrice che sarebbe nata dalla fusione. L’accordo tra Sai e Montedison, intervenuto alla fine di giugno 2001, era stato pacificamente appoggiato da Mediobanca, la quale intendeva evitare la sicura perdita del controllo su Fondiaria in seguito alla OPA lanciata dal gruppo Fiat su Montedison nel luglio 2001 (cfr. antefatto descritto nella comparsa conclusionale degli attori, specificamente non contestato dai convenuti). Le riunioni successive, tenutesi in luoghi lontani dalle normali sedi amministrative e gestionali delle imprese (studio del Prof. Capaldo e Compass), implicavano necessariamente l’analisi di alcuni punti cruciali che ostacolavano il perseguimento del piano di controllo su Fondiaria emersi in seguito all’acquisizione della prima tranche, e più precisamente:
1) la necessità di ottenere l’autorizzazione dell’ISVAP al perfezionamento dell’acquisizione da parte di SAI delle azioni di Fondiaria, posto che in quella sede amministrativa erano già state sollevate perplessità in ordine all’insufficiente copertura del margine di solvibilità degli ingenti impegni di SAI, in relazione sia al prezzo convenuto, sia a un eventuale prezzo dell’OPA scaturente dalla media del prezzo pagato da Sai per l’acquisto della prima tranche di azioni (€ 9,50) e la media del valore delle azioni in relazione alle quotazioni dell’ultimo semestre (perplessità cristallizzata, poi, nel diniego di autorizzazione del 31 dicembre 2001);
2) la necessità di superare l’ostacolo frapposto dalla comunicazione CONSOB del 10 agosto 2001 che aveva rilevato la sussistenza di un patto parasociale tra SAI e Mediobanca non comunicato in violazione dell’art. 122, 5, d) d.lgs. n. 58/1998 eventualmente rilevante ai fini dell’obbligo del lancio di OPA ex art. 106 d.lgs. n. 58/1998 ove fosse stata superata la soglia del 30% del capitale di Fondiaria con l’acquisizione della seconda tranche;
3) la necessità di svincolarsi dall’obbligo di astensione dalle delibere di Fondiaria in ragione della già accertata sussistenza, sin dal 14 marzo 2001, di un incrocio azionario superire al 2% tra Sai e Fondiaria in violazione dell’art. 121 del d.lgs n. 58/1998 (ciascuna detenendo nell’altra più del 2% consentito alla legge), che determinava la sterilizzazione del diritto di voto di SAI e l’obbligo di alienazione entro il termine di 12 mesi dalla data di superamento del limite del 2% (v. dichiarazioni Natalino Irti, presente alla riunione del 14 dicembre 2001 tenutasi in Roma in qualità di professionista incaricato di studiare la questione della superabilità dell’impasse dell’incrocio azionario per effetto della fusione).
Per completare il quadro di cui sopra, giova rammentare che Premafin, all’epoca dei fatti controllante di SAI, era fortemente indebitata con Mediobanca che operava quale sua banca finanziatrice e che, pertanto, i legami tra Sai e Mediobanca erano anche collegati alla palese rischiosità dell’operazione di acquisto delle azioni Fondiaria, rappresentata dal premio di maggioranza che SAI aveva accordato a Montedison in ragione del 40% rispetto alle quotazioni delle azioni. Anche questo elemento, relativo al supporto finanziario di Mediobanca al gruppo societario di cui SAI faceva parte, porge ulteriori argomenti per meglio delineare l’effettivo interesse di Mediobancaa nel portare a termine l’acquisizione del controllo di Fondiaria da parte di SAI, atteso che, successivamente all’avvio dell’operazione di acquisto del pacchetto maggioritario, Premafin aveva stipulato con Mediobanca alcuni contratti di finanziamento nei quali era previsto, come garanzia, il pegno di azioni SAI (punto 40 provvedimento dell’AGCM n. 11284 del 10 ottobre 2002, doc. 11 attore). Sul punto, rileva osservare che l’esposizione di lungo periodo tra Premafin verso Mediobanca a fine 2002 era pari ad oltre il 75% del suo indebitamento totale, come indicato dall’Autorità Garante, intervenuta per valutare la vicenda sotto il profilo del rispetto della normativa antitrust da parte di Mediobanca (la quale aveva partecipazioni di rilievo anche nella società assicuratrice Le Generali).
L’interesse a portare a termine l’operazione, risultata altamente rischiosa e costosa per SAI, era collegato anche a quelle di Mediobanca a che non venissero meno le garanzie di solvibilità dei finanziamenti concessi alla capogruppo Premafin, cui si aggiungeva quello specifico di socio di riferimento di Fondiaria. La convergenza dei suddetti elementi, dunque, non può portare alla conclusione che Mediobanca, rispetto all’operazione di acquisizione del controllo di Fondiaria, abbia avuto solo un generico interesse di azionista di rilievo a conoscere il buon esito dell’operazione di acquisto da parte di SAI.
Il fatto che in atti sia attestato che SAI, medio tempore, abbia portato avanti trattative, in via del tutto autonoma, per l’eventuale cessione della partecipazione in fondiaria acquisita da Montedison non risulta significativo, posto che, nella situazione di rischio di perdita dell’investimento in cui versava SAI in prima persona, la ricerca di soluzioni alternative era fisiologica e, comunque, non ha certamente determinato l’interruzione dell’azione di concerto con Mediobanca, che comunque non avrebbe potuto garantire il buon esito dell’operazione, ma solo il suo influente appoggio, nei fatti mai venuto meno.
La lettera inviata dall’amministratore Carlo Cioni a Salvatore Ligresti il 19 febbraio 2002 (subito dopo l’acquisto della seconda tranche della partecipazione da parte dei cinque Investitori che si sono sostituiti a SAI nell’acquisto del restante pacchetto di azioni), richiamata nel provvedimento dell’Autorità Garante e dalle stesse parti convenute nelle loro difese, si riferiva ancora alla trattativa con Pagliaro (esponente di Mediobanca) sul governo della società che sarebbe nata dalla fusione. Quest’ultima circostanza dimostra che MEDIOBANCA era consapevole del ruolo di intermediari svolto dagli Investitori, rimasti vincolati a SAI per effetto di contratti di put e di call delle azioni Fondiaria stipulati contestualmente alla sottoscrizione di titoli Fondiaria, e che essa non aveva interagito nell’operazione come semplice socia interessata a un’eventuale e futura fusione ovvero investe di consistente intento a valorizzare il proprio investimento su Premafin. Pertanto, non si può mettere in dubbio quanto constatato dall’AGCM nel provvedimento sopra richiamato laddove, al punto 33, riferisce di avere rinvenuto presso Mediobanca un documento, datato 11 gennaio 2002, nel quale si prospettano i possibili scenari per aggirare l’obbligo di OPA solidale.
Tutte le suddette considerazioni, desumibili da fatti ampiamente provati e del tutto pacifici nel loro effettivo accadimento, conducono ad affermare che le riunioni tra i rappresentanti delle parti convenute, tenutesi in via assolutamente riservata tra Salvatore Ligresti, Maranghi e Pagliaro (esponenti di vertice delle parti convenute), nei mesi antecedenti l’acquisto del pacchetto che avrebbe determinato l’insorgere dell’obbligo di lanciare l’OPA sono indici rivelatori del concreto interesse di Mediobanca a mantenere una posizione di influenza e dominio sulla società destinata alla fusione con Sai, tant’è che lo stesso giorno in cui nell’acquisto dell’ultima tranche del 22% si sono interposti i cinque “Investitori” (i c.d. cavalieri bianchi), si sono rafforzati i rapporti tra i due soci di riferimento (SAI e Mediobanca), per portare alla fusione le due società.
Le documentate divergenze, insorte tra i due soci, in ordine alla futura composizione dell’organo amministrativo, sottolineate da Sai nelle sue difese come prova della mancanza di un patto parasociale, alla luce di quanto sopra, appaiono marginali e del tutto fisiologiche rispetto all’elevato grado di rischio di perdere il controllo di Fondiaria in cui versava SAI: esse, invero, non erano certamente indicative della mancanza di un interesse congiunto ad influire sulla società che si sarebbe fusa con SAI; le suddette divergenze, inoltre, non hanno influito sull’accordo di esercitare un controllo congiunto sulla società, concretizzatosi al momento dell’acquisto delle azioni da parte dei cinque Investitori interposti e realizzatosi con la fusione tra le due società, intervenuta grazie all’eliminazione dell’incrocio azionario disposta dal CDA di Fondiaria, nominato il 30 maggio 2002 con il favore della massiccia presenza in assemblea dei cinque Investitori e di Mediobanca, che, nel loro insieme, rappresentavano la maggioranza rilevante degli azionisti partecipanti.
A dire il vero, una seconda comunicazione CONSOB ha contribuito a dare il via libero ai convenuti: infatti, con il comunicato del 17 maggio 2002 (doc. 29 attore), la CONSOB dichiarava di avere accertato, in seguito all’intervento dei cinque Investitori, la cessazione del concerto, cioè del patto parasociale informale che era stato rilevato ai tempi del primo comunicato CONSOB, affermando che Mediobanca si era successivamente comportata come importante azionista di Fondiaria, non come soggetto legato a un patto con SAI-Premafin. In tal modo, la CONSOB, dichiarando che era venuto a cessare il presupposto soggettivo dell’OPA (il concerto) e, con esso, il presupposto oggettivo del superamento della soglia del 30%, poneva le premesse amministrative per consentire ai due azionisti di procedere tranquillamente verso la fusione tra le due società. All’epoca, immediata fu la reazione degli azionisti minoritari che osteggiavano il piano di SAI e Mediobanca di evitare l’OPA: infatti il TAR del Lazio, con la pronuncia del 30 ottobre 2002, sul ricorso del fondo Liverpool che deteneva azioni di Fondiaria, otteneva l’annullamento del secondo comunicato CONSOB (doc. 30), sulla base della insufficiente e carente motivazione.
È proprio a cavallo di questo periodo che le due società, a briglie apparentemente sciolte, consolidano gli assetti proprietari realizzati con l’acquisizione del pacchetto del 22% da parte degli Investitori, manifestando il loro comune interesse a salire sul ponte di comando di Fondiaria e a consolidarne il controllo tramite la fusione con SAI. L’operazione per l’acquisizione del controllo di Fondiaria, dunque, grazie al concerto mai interrottosi tra Mediobanca e SAI, si è conclusa definitivamente nell’autunno 2002 con la fusione tra le due società, ove la Premafin da sola, ha comunque mantenuto la maggioranza di oltre il 40% della società neo-costituita (cfr. comparsa conclusionale attore, pp. 80 e ss.), nonostante l’ottemperanza all’ordine di rivendere la quota che aveva consentito di superare la soglia del 30%.
Nel caso di specie, pertanto, è evidente che l’intervento della CONSOB del 18 dicembre 2002 che, rivedendo i presupposti di fatto della decisione presa col comunicato del 17 maggio 2002, ha stabilito che Mediobanca e SAI avevano violato, dal tempo dell’acquisizione della seconda tranche da parte degli Investitori interposti, l’obbligo di lanciare l’offerta pubblica di acquisto sulla totalità delle azioni Fondiaria, essendo esse legate a un patto rilevante ai fini della normativa, imponendo alle medesime di rivendere la quota di azioni in eccedenza è stato insufficiente a ristabilire gli equilibri rotti e del tutto tardivo, in quanto a quel tempo i giochi erano ormai fatti.
Alla luce dei fatti sopra esposti può certamente sostenersi che non vi sia stata soluzione di continuità, sotto il profilo sia causale che temporale, tra la violazione dell’obbligo di OPA riscontrata e i comportamenti degli azionisti di maggioranza che hanno portato al consolidamento del controllo di Fondiaria, irreversibilmente avvenuto tramite la fusione tra SAI e Mediobanca: nella riunione assembleare degli azionisti di Fondiaria del 30 maggio 2002, l’assemblea era stata certamente dominata dai cinque Investitori e da Mediobanca (rappresentando oltre centomilioni di voti su centocinquantamilioni), i quali hanno nei fatti influito sulla scelta di un CDA composto da soggetti favorevoli alla coalizione (cfr. comunicato stampa di SAI del 30.5.2002, doc. 24 attore). Detto CdA, poi, ha prontamente eliminato l’incrocio azionario, senza tenere in debito conto la raccomandazione espressa dal CDA dimissionario di mantenere l’incrocio azionario, considerato come unico punto di forza per gli azionisti minoritari che avversavano il piano di Premafin, SAI e Mediobanca di evitare l’OPA, al punto che la stampa dell’epoca ne faceva un argomento di trattazione quasi quotidiano (come ampiamente documentato dalle parti).
Da quanto sopra, si desume che Mediobanca e Premafin-SAI, tramite i cinque Investitori, hanno trovato il modo “formalmente corretto” per consolidare la posizione di dominio acquisita illecitamente dai due azionisti “concertisti” a scapito degli altri azionisti. In merito, pertanto, non assume peso determinante la considerazione che i residui cinquanta milioni di voti favorevoli alla coalizione, espressi dagli azionisti in sede di nomina del nuovo CDA, abbiano consentito a CONSOB, nell’ultimo comunicato del 18 dicembre 2002, di sostenere che l’assemblea avrebbe validamente deliberato anche con l’astensione dei cavalieri bianchi di Mediobanca, poiché è indiscutibile che nella conduzione della medesima sia stata determinante la massiccia partecipazione dei soci che avevano interesse comune a porre fine agli ostacoli che si frapponevano al consolidamento del controllo su Fondiaria; all’uopo, perde significato il fatto che la delibera di fusione non sia stata formalmente impugnata dai soci di minoranza, atteso che i medesimi soci, medio tempore, hanno dimostrato di non osteggiare la fusione tra le due società, bensì la violazione dei loro diritti di ricevere l’OPA e, su tale fronte, si sono ampiamente tutelati promuovendo ulteriori interventi di controllo da parte della CONSOB.
2) sulle conseguenze della violazione delle norme che impongono l’obbligo di OPA.
La ricostruzione della vicenda in esame, dunque, porta alla conclusione che la Comunicazione CONSOB del 18 dicembre 2002 abbia correttamente affermato la violazione dell’obbligo di lanciare l‘OPA da parte di Mediobanca e Premafin-SAI, in conseguenza del patto parasociale che legava le due società sin dal tempo del lancio dell’OPA su Montedison da parte di Italenergia, circostanza a quel tempo non gradita a Mediobanca che, come secondo azionista di riferimento della società Fondiaria, non apprezzava gli interessi manifestati dal gruppo FIAT sulle sorti di Fondiaria. L’azione di concerto, pertanto, è servita a SAI e Mediobanca per creare un nuovo polo assicurativo di primaria importanza, sotto la loro diretta influenza, utilizzando le risorse e il patrimonio di due società che, all’epoca erano ben collegate all’interno del mercato assicurativo italiano (cfr. dichiarazioni testi Ciani e Maranghi).
È altrettanto pacifico che il consolidamento del controllo operato con la fusione tra Fondiaria e SAI ha aggiunto valore alla società neo-costituita. In atti, infatti, è ben rappresentato che il CdA di Fondiaria, all’epoca, avversava la mancata OPA e non tanto la fusione tra le due società. I convenuti, peraltro, non hanno specificamente contestato l’affermazione dell’attore, laddove ha sostenuto che gran parte dell’indebitamento di Premafin verso Mediobanca sia stato onorato mediante la liquidazione dell’ingente patrimonio immobiliare che era appartenuto a Fondiaria, una volta eseguita la fusione con SAI, consentendo alla medesima di ammortizzare la forte esposizione finanziaria assunta per l’acquisto della partecipazione di controllo alle onerose condizioni sopra esposte: essi, difatti, hanno cercato di contrastare detto argomento solo cercando di dimostrare, tramite le prove testimoniali, che SAI aveva sostenuto l’acquisto delle azioni Fondiaria utilizzando esclusivamente proprie risorse finanziarie.
A prescindere dalla fondatezza o meno degli assunti di cui sopra, del tutto marginali ai fini della decisione, la questione giuridica in esame non concerne l’eventuale pregiudizio che Fondiaria può avere subito nel cambio dell’assetto di controllo, posto che i soci-investitori, di riflesso, non hanno subito un deprezzamento dei loro investimenti, come attestato e ampiamente documentato dai convenuti nelle loro difese. In particolare, i convenuti hanno prodotto prove numeriche del fatto che Promofin non ha ricevuto alcun danno dall’operazione, poiché sommando i dividendi assegnati agli azionisti e le rivalutazioni delle quotazioni di FONDIARIA-SAI ottenute mediante il concambio per la fusione (4 azioni Fondiaria per 1 azione SAI),la loro partecipazione avrebbe ottenuto un capital gain di euro 500.000,00 rispetto al valore delle azioni al tempo in cui Mediobanca e Sai avrebbero dovuto lanciare l’OPA.
Parte attrice, partendo dalla premessa della violazione dell’obbligo di OPA da parte delle convenute, in via principale, afferma che il danno alla sua posizione giuridica soggettiva si è irrimediabilmente verificato al tempo in cui le due società convenute avrebbero dovuto lanciare l’OPA, per un ammontare che comprende due elementi:
1) in primo luogo, il lucro cessante, ovvero il mancato guadagno per la mancata vendita della partecipazione al prezzo di OPA, sarebbe pari a € 7,652, risultante dalla media aritmetica tra € 9,50 (il prezzo più alto pagato da SAI nel periodo rilevante), e 5,804 (il prezzo di borsa medio ponderato delle azioni Fondiaria nei dodici mesi precedenti).
Sottraendo il prezzo d’OPA al prezzo medio dei titoli all’epoca in cui, secondo legge, Sai, Premafin e Mediobanca avrebbero dovuto lanciare l’OPA (18 febbraio 2002-marzo 2002); pari a € 5,094 per azioni di lucro cessante sarebbe equivalente a € 2,558 per azione;
2) in secondo luogo, il danno emergente, realizzatosi con il deprezzamento delle azioni ordinarie di Fondiaria occorso nello stesso periodo in cui l’attrice ne ha mantenuto la proprietà confidando nella probabilità che fosse adempiuto l’obbligo ex lege di lanciare l’opa. L’attrice misura tale elemento di danno dalla data del primo comunicato CONSOB del 10 agosto 2001 a quella del terzo comunicato Consob del 18 dicembre 2002: la differenza tra il corso di borsa a quelle due date viene indicata in € 3,121 per azione.
Le convenute, anche in questo caso, non contestano i calcoli, ma la sussistenza di un effettivo danno subito dagli azionisti di Fondiaria, non solo per il fatto che le azioni nel tempo si sarebbero valorizzate, ma anche per più pregnanti considerazioni di ordine giuridico in merito alla sussistenza di un diritto degli azionisti pretermessi di ricevere il corrispettivo dovuto per l’OPA e di un effettivo danno da lucro cessante.
In linea di diritto, le convenute rappresentano che la violazione della legge sull’OPA, per legge sanzionate con la sterilizzazione dei voti e l’obbligo di rivendere la quota che ha superato la soglia del 30%, non sarebbe in grado di determinare, in capo agli azionisti che non sono stati destinatari di un’offerta da parte degli obbligati, la lesione di una posizione soggettiva giuridicamente rilevante e che, comunque, detta violazione non integrerebbe sicuramente un inadempimento contrattuale, come tale, risarcibile ricorrendo alle categorie del lucro cessante e del danno emergente, usualmente utilizzate per compensare le aspettative di corrispettivo e di lucro deluse nei rapporti obbligatori rimasti inadempiuti.
Nel caso in questione, le convenute rilevano come l’aspettativa di “lucro da OPA” sia stata reintegrata con l’ottemperanza alla sanzione irrogata dalla CONSOB il 18 dicembre 2002 (idem est rivendita della quota in eccedenza); inoltre, le società aggiungono che l’aspettativa dei soci di ricevere l’offerta di acquisto sia stata frustrata in radice dal secondo comunicato CONSOB che, nel maggio 2002, ha considerato insussistente il presupposto soggettivo per il lancio dell’OPA (il concerto). Nel suddetto contesto, l’intervenuta fusione tra le due società, non contrastata dagli azionisti di Fondiaria, avrebbe interrotto il nesso causale tra fatto ed evento lesivo, atteso che sia Mediobanca che Premafin hanno onorato l’obbligo di rivendere le quote che superavano la soglia rilevante imposto come sanzione dalla CONSOB nel terzo comunicato del 18 dicembre 2002, e la stessa CONSOB ha rilevato che i voti dei cinque cavalieri bianchi e di Mediobanca non sono stati decisivi per la validità della delibera che ha nominato il nuovo CdA: il controllo, dunque, sarebbe stato raggiunto nei fatti a prescindere dal superamento della soglia rilevante avvenuto al tempo dell’intervento dei cinque Investitori. A parere delle società convenute, pertanto, il controllo di Premafin e Mediobanca in Fondiaria-SAI è stato conseguito per altra via, e precisamente attraverso la fusione di Fondiaria con SAI e in ragione della forte percentuale di partecipazione di Premafin in SAI (cfr. comparsa di risposta di Mediobanca, pp. 14 ss.), il che non dà luogo ad OPA ai sensi dell’art. 215 comma 5, lett.e T.U.F.. In ultima analisi, le convenute affermano che, quand’anche si affermasse che l’illecito commesso abbia natura extra-contrattuale, esso non potrebbe comunque essere compensato con un risarcimento commisurato all’aspettativa di profitto delusa (il lucro cessante), rientrando tale concetto nella categoria del danno da inadempimento contrattuale.
Più in generale, le convenute assumono che l’omissione del lancio dell’offerta di acquisto non sia fonte di responsabilità extracontrattuale o contrattuale in quanto, rispetto alla normativa che impone l’obbligo di OPA, gli azionisti non vanterebbero una posizione giuridicamente rilevante, ma solo un interesse di fatto, non configurabile neanche come interesse legittimo, con ciò citando i precedenti provenienti dal distretto meneghino richiamati dal G. Relatore nel decreto sopra citato, tutti riferiti a una normativa (L. 142/1992) superata dal T.U.F. in cui non era prevista l’OPA totalitaria (Crf. C.App. Milano, Foro It.I°, 1, col. 2712 e seg.).
Ritiene il Collegio che le questioni sollevate dalle parti convenute, tutte degne di attenta e approfondita considerazione siano in parte infondate, non potendo esse valere per regolare fattispecie come quella in esame.
In relazione agli obblighi di lanciare l’OPA si ritiene, innanzitutto, che il T.U.F. in oggetto contenga un’esplicita consacrazione del principio di parità di trattamento fra tutti i portatori di strumenti finanziari quotati che si trovano in identiche condizioni (art. 92 T.U.F.), poiché il legislatore con tale dizione, ha inteso attribuire un ruolo rilevante ai diritti dei singoli investitori che, come tali, devono essere protetti mediante il rispetto delle regole primarie e secondarie immesse nell’ordinamento per regolamentare il mercato. La portata del suddetto principio non è certo quella, alquanto riduttiva, di inutilmente ripetere un principio di eguaglianza tra le azioni che compete alla disciplina classica delle società per azioni.
Ragionando su queste basi, l’obbligo di lanciare l’OPA si configura, nel sistema, come un obbligo contrattuale che ope legis si inserisce nel contratto sociale sotteso allo strumento finanziario, l’adesione al quale si determina con il semplice acquisto delle azioni diffuse sul mercato regolamentato, posto che la legge impone a chi acquista i titoli di società quotate di rispettare le regole del mercato imposte a tutela degli investitori che, anche solo con piccoli e irrisori acquisti nel loro insieme finiscono per alimentarlo e sostenerlo in maniera rilevante. Da quel momento in poi, invero, in ciascun azionista investitore insorge l’aspettativa, giuridicamente rilevante e adeguatamente protetta dal legislatore con norme d’azione, a che le regole di trasparenza e di affidamento del mercato vengano da chiunque rispettate, onde finalizzi una concreta protezione dei diritti incorporati nella partecipazione oggetto dell’investimento.
Senonché va osservato che per quanto concerne la posizione del singolo azionista rispetto alla normativa di settore, le disposizioni ivi contenute, mentre, da un lato, impongono direttamente all’acquirente del pacchetto di controllo l’obbligo di OPA, dall’altro lato, come sanzione non prevedono l’adempimento specifico dell’obbligo di lanciare l’OPA, bensì solo quella di rivendere il pacchetto acquisito in eccedenza: nell’ambito della legislazione in esame, non è stato previsto, come sanzione, il potere del singolo azionista pretermesso di ottenere coattivamente il risultato mancato attribuendogli specifici strumenti giuridici idonei a imporre l’OPA all’acquirente inadempiente (cfr. Tribunale di Milano, 20 marzo 2000, Le Società, II, 2000, p.1357).
Dovendo interpretare una normativa posta a tutela della trasparenza del mercato, tuttavia, non è condivisibile l’opinione di chi, sulla base degli assunti di cui sopra, afferma che, prima della pubblicazione dell’offerta, il singolo azionista può solo fare un legittimo affidamento sul lancio dell’OPA da parte di chi ha acquisito una posizione di controllo rilevante, in quanto il relativo obbligo discende direttamente dalla legge ed è tutelato, in via secondaria, dall’opera di vigilanza dell’autorità amministrativa preposta al controllo e alla comunicazione delle specifiche sanzioni interdittive e riequilibratici (sterilizzazione dei voti in assemblea e obbligo di rivendita entro l’anno ex art. 110 T.U.F.).
Da queste considerazioni, pertanto, non può trarsi la conclusione che la normativa in questione, costituendo una lex perfecta, esaurisca gli strumenti di autotutela accordati dall’ordinamento a chiunque vanti una posizione giuridicamente rilevante (art. 24 Cost.), atteso che, nell’attuale ordinamento, l’ingiustizia del danno costituisce una fattispecie autonomamente rilevante (art. 2343 c.c.): ove si affermasse questo, sul presupposto che non sarebbe ipotizzabile, nemmeno in astratto, un intervento del cittadino perché le sue ragioni sono automaticamente fatte salve dalle iniziative istituzionali previste dalla legge, si tradirebbe in radice il principio di eguaglianza affermato nell’art. 92 T.U.F., accedendo a un’interpretazione della legge non in linea con la carta costituzionale e con le recenti affermazioni della giurisprudenza di legittimità in tema di risarcibilità del danno da lesione degli interessi legittimi (cfr. S.U.Cass. 550/1999. Foro It. 1999, I, 2487; S.U. Cass. 2207/2005, in tema di legge antitrust).
Quanto sopra osservato in linea di diritto, consente di affermare che l’obbligo di lanciare l’OPA, determinando un diritto di exit con partecipazione al premio di maggioranza in capo a tutti gli azionisti, abbia tutti i connotati di un vero e proprio obbligo giuridico contrattuale, discendente dalla legge, la cui tutela è specificamente rafforzata da sanzioni penali e amministrative, proprio perché il legislatore, contemperando diversi interessi, invece di obbligare l’inadempiente all’acquisto forzoso, ha scelto la via di riequilibrare la posizione di eguaglianza tra i soci imponendo la vendita del pacchetto che ha consentito di superare la soglia del 30% e la sterilizzazione dei voti, sul presupposto che tali sanzioni siano sufficienti a scoraggiare violazioni o a riportare la situazione nel pristino stato. Di fronte ai possibili scenari che si possono presentare in relazione alla violazione dell’obbligo di lanciare l’OPA, il legislatore ha ovviamente preso in considerazione quello normale e più incisivo, il quale presuppone che l’organo di vigilanza intervenga in maniera efficiente e tempestiva nell’orientare i comportamenti, imponendo sanzioni che sono in grado di riportare il socio scalatore nella posizione di partenza, neutralizzandolo definitivamente. In tal caso, è ovvio che il singolo azionista non potrebbe lamentare la lesione della sua posizione, soggettiva nei confronti dello scalatore o la lesione di un interesse legittimo nei confronti della Pubblica Amministrazione, posto che la legge ha predisposto meccanismi di tutela in grado di azzerare il vantaggio ottenuto da chi ha violato la normativa di riferimento: è questo il caso preso in esame dal Tribunale di Milano nella sentenza 20 marzo 2000, Pres. Tarantola, Rel. Sperti, Dalle Carbonare e altri c. Cfda, CYO e Consob, (in Le Società, n. 11/2000, pp 1357 ss.) ove il contravventore, adempiendo l’obbligo di rivendere il pacchetto di controllo comminato come sanzione dalla CONSOB, in ossequio alla normativa all’epoca vigente (L. 149/1992), ha perso la posizione di controllo della società riportando la situazione nel pristino stato.
Il legislatore, dunque, non ha espressamente contemplato l’ipotesi, che si può comunque verificare, in cui l’azionista scalatore non ottemperi alla sanzione, irrogata dalla CONSOB, di rivendere il pacchetto di controllo o l’ipotesi, verificatasi nel caso di specie, in cui l’azionista scalatore, abbia consolidato nei fatti il dominio sulla società pur vendendo successivamente la quota del pacchetto di controllo eccedente la soglia, aggirando l’obbligo di OPA, con altre successive manovre comunque idonee a mantenere il dominio conquistato. In entrambi i casi balza in evidenza come sanzioni predisposte dal legislatore e la loro concreta applicazione possano non essere in grado di tutelare le posizioni soggettive degli azionisti, e ciò allorquando le sanzioni non raggiungano l’obiettivo di neutralizzare i risultati illeciti ottenuti dal contravventore. Questi ulteriori fattori rivelano come il sistema sanzionatorio approntato dal legislatore, tendendo a tutelare, con norme d’azione primarie e secondarie, il sistema nel suo complesso, può rivelarsi inidoneo a reintegrare pienamente il pregiudizio subito dall’azionista investitore, anche in considerazione dell’esiguità delle pene edittali approntate dal legislatore in sede penale.
Rileva a questo punto osservare che, alla stregua della richiamata sentenza del 22 luglio 1999 n. 500/SU, se anche si ammette l’esperibilità di un’azione risarcitoria contro la pubblica amministrazione, sulla premessa che la CONSOB ha poteri di intervento connessi al ruolo primario di regolamentazione e di garanzia che l’art. 91 T.U.F. le attribuisce, il sistema sicuramente non ammette che questa ulteriore possibilità esaurisca le tutele individuali e soggettive nei confronti di chi commette illeciti. Pertanto, le considerazioni di cui sopra in ordine alla risarcibilità del danno ingiustamente subito dagli azionisti minoritari, in quanto titolari di un diritto di recedere dalla società partecipando al c.d. premio di maggioranza, si rafforzano allorquando si confrontano con la giurisprudenza che ha affermato la risarcibilità del danno subito dagli azionisti in conseguenza di eventuali inadempienze da parte dell’Organo amministrativo preposto alla vigilanza, violando i loro interessi legittimi a ottenere adeguata tutela in via amministrativa e preventiva. Trattasi, invero, di due tutele parallele che perseguono diverse finalità preventive e riparatrici.
Proprio in riferimento al caso di specie, appare evidente l’incoerenza delle tesi secondo le quali, in caso di applicazione di sanzioni, le posizioni giuridiche degli investitori abbiano esaurito ogni possibilità di ristoro. La tutela approntata specificamente dal legislatore allo scopo di punire chi viola l’obbligo di OPA, è ovvio, non elide quella che si offre in via ordinaria qualora permanga un danno ingiusto. Il principio del neminem laedere inscritto nell’art. 2043 c.c., difatti, rappresenta il cardine della tutela dei diritti soggettivi, contrattuali e non, poiché parte del presupposto dell’ingiustizia del danno inferto da chi si trovi, comunque, in posizione di garanzia rispetto a quel diritto leso.
Ciò premesso, non pare dubbio che, da un lato, il T.U.F. imponga una vera e propria obbligazione di promuovere l’OPA, e non un semplice onere (come rilevato in alcune pronunce riferite alla superata e meno articolata normativa precedente al T.U.F., cfr. App. Milano, 27 novembre 1998, Foro It. 1999, I 2712-ss.), cosicché il superamento della soglia del 30% di partecipazioni azionarie di una società quotata è qualificabile come fatto idoneo a produrre l’obbligazione in questione in conformità dell’ordinamento giuridico e che, dall’altro lato, creditori della relativa prestazione, ossia aventi diritto a ricevere un’offerta avente determinati requisiti, siano tutti gli altri azionisti, titolari di un vero e proprio diritto incorporato nel titolo che acquistano. Proseguendo nel tracciato concettuale di cui sopra, è altrettanto ovvio che se il danno ingiusto permane nonostante l’irrogazione delle sanzioni e l’ottemperanza alle medesime, esso merita adeguato ristoro da parte di chi ha violato detto obbligo.
Alla luce di quanto sopra non si vede perché la responsabilità civile del mancato offerente nei confronti degli azionisti pretermessi dalla possibilità di aderire all’offerta non possa essere considerata contrattuale e, come tale, regolata dagli artt. 1218 ss. c.c., ravvisandosi la violazione di un diritto che, senza dovere ricorrere ad applicazioni analogiche, per certi aspetti evoca il diritto di prelazione che l’ordinamento accorda a soggetti che si trovino in particolari posizioni privilegiate. E’ assiomatico che, all’interno dell’organizzazione societaria la responsabilità civile nei confronti di tutti gli azionisti di società per azioni quotate, viene a coinvolgere non solo l’azionista inadempiente, ma eventualmente anche gli amministratori della società-bersaglio che ne appoggiano e sostengono l’operato, essendo essi tenuti a gestire la società in conformità degli obblighi di corretta amministrazione loro imposti dalla legge (cfr. artt. 2392 e seg. c.c. vigenti all’epoca dei fatti di cui è causa).
Il suddetto passaggio logico, come si è visto, si costruisce nel momento in cui l’obbligo giuridico di cui sopra si configura come un obbligo di rispettare il principio di eguaglianza tra tutti i soci e in tal senso, si incorpora nell’azione detenuta, inserendosi ex lege nel contratto sociale: in effetti, se si analizzano le regole d’azione di cui è composto il diritto delle società quotate (T.U.F.), si coglie che esse non solo tutelano la trasparenza e l’affidabilità del merito in generale, ma anche gli interessi di eguaglianza dell’azionista quale investitore e proprietario di uno strumento finanziario: la relativa tutela, pertanto, non può certamente risolversi semplicemente sul piano della invalidità validità delle decisioni assembleari della società quotata.
Volendo trarre sintetiche conclusioni in relazione al caso concreto, si è visto come gli azionisti minoritari, a causa di persistenti violazioni dei loro diritti di azionisti investitori commesse da Sai-Premafin e Mediobanca a loro danno, avallate dalla stessa compagine amministrativa della società non sono stati adeguatamente tutelati nel loro inalienabile diritto di ricevere l’offerta di un trattamento egalitario nel mutamento degli assetti proprietari. Ciò, in quanto gli amministratori di società quotate e i suoi interni organi collegiali di vigilanza, nel quadro della speciale normativa in oggetto, hanno specifici doveri non solo verso la società che amministrano ma anche verso il mercato, ponendosi quali primari organi destinatari delle regole di tutela dell’efficienza, trasparenza e affidabilità del mercato del controllo societario e dei capitali (cfr. gli obblighi informativi e di astensione previsti negli artt. 97 e 104 T.U.F.).
Nel caso di specie, poi, non rileva che la CONSOB, con il secondo comunicato del 17 maggio 2002, ha ritenuto cessato il concerto tra Mediobanca e SAI, per togliere rilievo al presupposto soggettivo dell’obbligo d’OPA (il concerto), e da questo trarne elementi a discolpa dei convenuti, atteso che, all’epoca, immediata è stata la reazione degli azionisti pretermessi mediante iniziative giudiziarie tese sia a bloccare il voto dei cinque Investitori nel seno dell’assemblea che ha rinnovato il CdA., che a rimuovere il provvedimento della CONSOB, ritenuto poi illegittimo dal TAR Lazio nell’autunno del medesimo anno. L’obbligo di OPA, difatti, nasce dalla legge in relazione a determinati e obiettivi presupposti (il superamento della soglia del 30%) che prescindono da ogni valutazione soggettiva di organi amministrativi preposti al controllo del mercato degli strumenti finanziari: come tale, una volta che un soggetto versi nella condizione da cui origina l’obbligo, non può esonerarsi dall’onorarvi sull’assunto della mancanza di adeguate indicazioni da parte dell’organo di controllo, atteso che quest’ultimo non può ergersi quale interprete autentico della legge o quale giudice del caso concreto.
Si è già visto che, del resto, è inconfutabile che la situazione di controllo da parte dei due azionisti contendenti si sia progressivamente consolidata a partire dal superamento della soglia dl 30% delle azioni di Fondiaria, come ampiamente documentato dalle cronache del tempo, e ciò a prescindere dalle diverse valutazioni espresse dall’organo amministrativo di vigilanza. Il provvedimento della CONSOB del 17 maggio 2002, invero, è stato emesso in un momento in cui non si era pienamente manifestata la persistenza del piano di controllo tenuto segreto dai due soci, resosi evidente e irreversibile solo con l’esercizio dei diritti di call da parte di SAI nei confronti dei cinque Investitori e con il supporto dell’organo amministrativo di nuova nomina che, nonostante le raccomandazioni espresse dal consiglio dimissionario di non procedere alla fusione tra le due società, senza considerare il prezzo dell’OPA mancata, anche ai fini del concambio, ha prontamente eliminato l’incrocio azionario di azioni SAI in Fondiaria, che altrimenti avrebbe formalmente impedito il perseguimento del piano di controllo tra i due azionisti maggioritari (la partecipazione alla delibera di fusione tra le due società per via della sterilizzazione del voto).
Qualora l’azionista dimostri come nel caso in esame, che gli obbligati all’Opa hanno consolidato irreversibilmente la loro posizione di controllo, illecitamente acquisita, neutralizzando nei fatti le sanzioni amministrative irrogate dalla CONSOB in ragione dell’inadempimento accertato, e ciò in conseguenza di ulteriori comportamenti da essi intrapresi che hanno causalmente contribuito a mantenere l’effetto dannoso dell’inadempimento e i vantaggi a questo connessi (il controllo della società senza l’onere dell’acquisto di ulteriori azioni a prezzo maggiorato), risulta evidente l’ingiustizia del danno inferto ai minoritari. In siffatta eventualità, il danno dell’azionista pretermesso, che comunque ha coltivato nel tempo la propria pretesa di adempimento da parte dell’obbligato, consiste nel non avere potuto aderire all’offerta di acquisto e nella mancata possibilità di percepire il premio di maggioranza nonostante il mutamento di assetti proprietari avvenuti all’interno della compagine sociale.
Anche laddove si volesse qualificare il comportamento complessivamente tenuto dai convenuti esclusivamente come un illecito extra-contrattuale integrante un danno ingiusto, con ciò escludendo ogni sua rilevanza contrattuale (cfr., in tal senso, Trib. 20 marzo 2000, Le Società, 11/2000, p. 1362, sopra citato), in ogni caso, la fattispecie risulta provata in tutti i suoi connotati oggettivi e soggettivi di illiceità, per le medesime ragioni di cui sopra. Pertanto, ragionando per via equitativa, sulla scorta dell’art. 1226 c.c., il danno risarcibile non potrebbe non commisurarsi con la differenza tra il valore del titolo al tempo della violazione dell’obbligo di OPA e il prezzo di OPA che il titolo avrebbe avuto, venendo così a coincidere con il lucro cessante indicato dall’attore a titolo di responsabilità contrattuale. All’uopo, non può che richiamarsi la corrente giurisprudenziale che, anche di recente, ha affermato la risarcibilità della perdita di chances, intesa come concreta ed effettiva occasione di conseguire un determinato bene o risultato (Cass. 4400/2004, in Foro It. 2004, I, 1403). Si è, difatti, visto che l’offerta d’OPA incorpora un premio, nella specie il premio non conseguito a causa del comportamento illecito altrui sarebbe stato pari a € 2,558 per ciascuna azione.
Alla luce di quanto sopra osservato, il danno subito dall’attore pretermesso, direttamente ricollegabile all’inadempimento dell’obbligo di OPA e alle successive condotte illecite sopra descritte, collegate a cascata al primo inadempimento delle due convenute, al fine di acquisire comunque una posizione di controllo societario su Fondiaria, non eliminato in radice per effetto delle sanzioni amministrative irrogate dalla CONSOB, corrisponde al lucro cessante di € 2,558 per azione, nei termini indicati dall’attore nel punto a) di cui sopra (tenendo conto del margine di profitto che sarebbe conseguito con l’adesione all’OPA); è altrettanto chiaro che, non potendosi configurare un danno emergente, atteso che le azioni non hanno perso il loro iniziale valore, l’attore non può vantare a buon diritto la pretesa di risarcimento espressa nel punto b) di cui sopra.
Pertanto, l’importo complessivo di risarcimento ammonta in € 3.406.872,00, cui vanno ad aggiungersi gli interessi legali calcolati dalla data dell’accertato inadempimento (18 dicembre 2002), come richiesto dall’attore, sino al saldo: detto importo è dovuto all’attore a titolo di risarcimento del danno da lucro cessante da parte delle convenute SAI e Mediobanca, in via tra loro solidale; poiché l’attore non ha dimostrato di avere ricevuto un danno superiore ex art. 1224, comma 2, c.c. non essendo all’uopo sufficiente la generica presunzione derivante dalle qualità personali del creditore o dalle abituali attività commerciali o industriali (Corte Cass. 67/4729), si respinge ogni ulteriore domanda relativa all’applicazione di tassi d’interessi superiori a quello legale.
Le ulteriori domande di danno dell’attore, conseguentemente, devono essere disattese, in quanto infondate, non sussistendo alcun danno emergente in relazione a una situazione in cui l’attore, mantenendo il suo pacchetto azionario, non ha subito alcuna perdita riferibile all’andamento dei titoli, risultando che, all’opposto, sino ad oggi i titoli hanno acquistato valore. La maggiore utilità di c.a € 500.000,00, valutata in relazione all’attuale corso del titolo, tuttavia, non potrebbe valere ai fini di una compensatio lucri cum damno, atteso che non si tratta di un elemento valutabile quale effettivo guadagno ricevuto per la vendita dei titoli, ancora in possesso dell’attore; si osserva difatti che, in ogni caso, il Tribunale ha riconosciuto solamente il danno correlato al mancato profitto al tempo dell’inadempimento, corrispondente al differenziale tra prezzo di OPA e valore del titolo al tempo della subita cessione (18 febbraio 2002), atteso che quel margine di profitto dovuto in caso di exit per adesione all’OPA non è più recuperabile da parte dell’attore, al quale è mancata la possibilità di aderire all’offerta obbligatoria di acquisto a quel determinato prezzo.
Le spese di lite, in ragione dell’esito della causa che pone l’attore in posizione di parziale soccombenza sul quantum del danno, vengono compensate nella misura di un terzo; la restante parte di 2/3 è posta a carico solidale dalle convenute Mediobanca s.p.a. e Fondiaria SAI s.p.a., soccombenti nella restante parte della domanda, in via tra loro solidale, e vengono liquidate in € 52.848,36 di cui € 5.072,25 per diritti e € 2.235,87 per esborsi.
Poiché l’accoglimento di parte della domanda principale non permette a questo Tribunale di affrontare il merito della domanda subordinata dell’attore, svolta anche n ei confronti di Premafin s.p.a., (controllante di SAI), ricorrono giusti motivi per compensare le spese tra l’attore e Premafin s.p.a.
PQM
Il Tribunale, Sezione Ottava Civile, definitivamente pronunciando sulle domande dell’attore:
1) in parziale accoglimento della domanda principale dell’attore Promofinan s.p.a. condanna i convenuti Fondiaria-SAI s.p.a. e Mediobanca s.p.a., in via tra loro solidale, al risarcimento del danno pari a € 3.406.872,00, in ragione di € 2,558 per ogni azione di Fondiaria detenuta, cui vanno aggiunti gli interessi legali dovuti dalla data dell’accertato inadempimento dell’obbligo di lanciare l’OPA (18 dicembre 2002) sino al saldo; respinge le ulteriori pretese di risarcimento del danno;
2) condanna i convenuti Fondiaria-SAI s.p.a. e Mediobanca, Banca di Credito Finanziario s.p.a., alla rifusione di due terzi delle spese processuali sopportate dall’attore, liquidate in complessive € 52.848,36;
3) compensa le spese tra l’attore Promofinan s.p.a. e il convenuto Premafin s.p.a.

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