il diritto commerciale d’oggi
    IV.7-8 – luglio-agosto 2005

STUDÎ & COMMENTI

 

RITA GISMONDI
La nuova disciplina del concordato preventivo
e gli accordi di ristrutturazione dei debiti

 

 

1. Il quadro normativo
   Il decreto legge 14 marzo 2005, n. 35, recante “Disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale”, convertito con modificazioni nella legge 14 maggio 2005, n. 80 (1), ha apportato una serie di rilevanti innovazioni – oltre che in materia di azione revocatoria fallimentare – alla disciplina del concordato preventivo, mutandone in modo significativo la fisionomia ed i tratti essenziali.
   La riforma del concordato preventivo è stata attuata mediante inserimento delle nuove previsioni nel tessuto della legge fallimentare, con conseguenti problemi interpretativi e di coordinamento, cui non si è ovviato neppure in sede di conversione del citato decreto legge (2). È assai probabile (ed auspicabile) che ai suddetti inconvenienti si riesca ad ovviare in sede di attuazione della delega per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali, contenuta nell’art. 1, quinto e sesto comma della legge 14 maggio 2005, n. 80 (3). Nei principi e criteri direttivi imposti alla legislazione delegata, tuttavia, nulla è previsto in merito al concordato preventivo (salvo la estensione al concordato fallimentare delle principali novità recentemente introdotte in via d’urgenza nella disciplina del concordato preventivo) (4).
   Dalla Relazione illustrativa al citato decreto legge emerge che il concordato preventivo dovrebbe divenire, in virtù delle nuove regole, lo strumento attraverso il quale la crisi dell’impresa può essere risolta anche mediante accordi stragiudiziali che abbiano ad oggetto la ristrutturazione dell’impresa, mentre la suddivisione dei creditori in classi dovrebbe avere lo scopo di rendere più omogenea l’espressione dei diversi interessi nel contesto della procedura.
   In linea generale, inoltre, dalla recente disciplina legislativa sembra emergere una maggiore facilità di accesso alla procedura ed una complessiva accelerazione della stessa (5).
   Sebbene non sia agevole, allo stato, fare delle previsioni in merito alla pratica applicazione della nuova disciplina di concordato preventivo ed alle relative possibili ricadute, si indicano di seguito, senza alcuna pretesa di completezza, una serie di osservazioni relative alle principali novità.

2. Condizioni per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo
   Dall’esame delle nuove previsioni in tema di concordato preventivo emerge, in primo luogo, il venir meno dei requisiti soggettivi di meritevolezza precedentemente enunciati dell’art. 160, primo comma l. fall. (i.e. iscrizione nel registro delle imprese da almeno un biennio; regolare tenuta della contabilità; non assoggettamento alla procedura di fallimento o di concordato preventivo nei cinque anni precedenti; mancanza di condanne per bancarotta o per delitti contro il patrimonio, la fede pubblica, l’economia pubblica, l’industria o il commercio).
   La scelta di eliminare i suddetti requisiti – già criticata, peraltro, da autorevole dottrina (6) – non rileva, peraltro, solo per l’accesso alla procedura di concordato, ma anche in sede di omologazione. Il previgente art. 181 l. fall., infatti, prevedeva l’accertamento da parte del giudice della sussistenza delle condizioni di ammissibilità del concordato, nonché la verifica che l’imprenditore fosse meritevole del beneficio (cfr. infra, § 5).
   Non risulta tuttavia modificato il successivo art. 162 l. fall., il quale, nella sua attuale formulazione, continua a fare riferimento alle condizioni previste nel primo comma del citato art. 160 l. fall. (ormai di tenore completamente diverso), oltre che a quelle del secondo comma (non più esistente) di detto articolo. Si tratta, evidentemente, di uno dei vari difetti di coordinamento presenti nel testo della legge fallimentare in conseguenza delle modifiche apportate in sede di decretazione d’urgenza (7).
   La nuova disciplina, inoltre, prevede che l’imprenditore può proporre ai creditori un concordato qualora si trovi in stato di crisi (e non più di insolvenza). La condizione oggettiva per l’ammissione alla procedura di concordato preventivo, pertanto, non si identifica più con la unitaria nozione di cui all’art. 5 l. fall. (i.e. la manifestazione dell’incapacità dell’imprenditore di soddisfare regolarmente le proprieobbligazioni). L’accesso al nuovo concordato preventivo sembra essere piuttosto subordinato al verificarsi di una situazione ben più variegata e complessa.
   In attesa delle prime pratiche applicazioni sul punto, si può ipotizzare che lo stato di crisi costituisca un fenomeno patologico, determinato da fenomeni di squilibrio e di inefficienza, tale da impedire condizioni di economicità nella gestione aziendale e da determinare perdite di varia entità (dalle quali poi può derivare l’insolvenza). A tal proposito, potrebbe essere opportuno fare riferimento alla nozione adottata nel testo c.d. di maggioranza elaborato dalla Commissione Trevisanato, secondo cui per crisi deve intendersi una “situazione patrimoniale, economica o finanziaria in cui si trova l’impresa, tale da determinare il rischio di insolvenza”.
   La nozione di crisi sembrerebbe, quindi, rappresentare un fenomeno che precede l’insolvenza e prelude alla stessa. Non è del tutto chiaro, peraltro, se il nuovo concordato preventivo sia stato configurato dal Legislatore come percorso alternativo al fallimento (sul presupposto che lo stato di crisi sia una formula generica e vaga, idonea a comprendere stato di insolvenza, crisi di liquidità, crisi economica) (8), ovvero se sia fondato su una situazione di difficoltà economica diversa (meno grave e reversibile) rispetto al fallimento, con la conseguenza che il giudice, accertato lo stato di insolvenza, dovrebbe rigettare l’istanza di concordato preventivo (9).
   È plausibile ritenere che il Legislatore abbia inteso riferirsi ad una situazione di crisi al fine di consentire un intervento già in situazioni di difficoltà e, quindi, ancor prima che il dissesto sia irrimediabile. È unanimemente riconosciuto, infatti, che il ritardo dell’imprenditore nell’affrontare la situazione e nel trovare l’accordo con i creditori finisca per pregiudicare in modo irreparabile la possibilità di porre rimedio alla crisi.
   Vi è anche chi ha ipotizzato un possibile contrasto tra il presupposto oggettivo della procedura di concordato preventivo, come di recente modificato, e le previsioni di cui al Regolamento (CE) n. 1346/2000 del Consiglio, del 29 maggio 2000, relativo alle procedure di insolvenza transfrontaliera, che presuppongono procedure concorsuali fondate sull’insolvenza del debitore, lo spossessamento parziale o totale del debitore stesso e la designazione di un curatore (cfr., in particolare, l’art. 1, primo comma del citato Regolamento).

3. La proposta concordataria: il piano e la suddivisione dei creditori in classi
   Come è noto, secondo la precedente formulazione dell’art. 160 l.fall. la proposta di concordato preventivo era caratterizzata da un contenuto tipico, che poteva manifestarsi nelle due forme del concordato con garanzia (i.e. offerta di serie garanzie reali o personali del pagamento di almeno il 40% dell’ammontare dei crediti chirografari entro sei mesi dalla omologazione del concordato, nonché dei relativi interessi, in caso di dilazione maggiore), ovvero con cessione dei beni (i.e. cessione di tutti i beni del debitore ai creditori, sempreché la valutazione di tali beni faccia fondatamente ritenere che i creditori possano essere soddisfatti almeno nella misura sopra indicata).
   Ai suddetti schemi venivano ricondotte, peraltro, anche forme diverse e miste di concordato (ad esempio, con cessione di beni ed un pagamento in percentuale, oppure con cessione dei beni ad un assuntore), ben note nella prassi e riconosciute da dottrina e giurisprudenza.
   La nuova disciplina non ha riproposto l’alternativa tra concordato con garanzia e concordato con cessione dei beni, la cui rigidità costituiva il contrappeso del sacrificio imposto ai creditori. Il fulcro della procedura è ora rappresentato da un piano redatto dall’imprenditore e proposto ai creditori, caratterizzato da grande flessibilità riguardo sia alle modalità di soddisfazione dei crediti che alle attività nelle quali si realizza la ristrutturazione.
   In particolare, il piano può prevedere:
   a) la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei beni, accollo, o altre operazioni straordinarie, ivi compresa l’attribuzione ai creditori, nonché a società da questi partecipate, di azioni, quote, ovvero obbligazioni, anche convertibili in azioni, o altri strumenti finanziari e titoli di debito;
   b) l’attribuzione delle attività delle imprese interessate dalla proposta di concordato ad un assuntore; possono costituirsi come assuntori anche i creditori o società da questi partecipate o da costituire nel corso della procedura, le azioni delle quali siano destinate ad essere attribuite ai creditori per effetto del concordato;
   c) la suddivisione dei creditori in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei;
   d) trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse.
   Il suddetto piano non costituisce una novità assoluta nel nostro ordinamento, essendo chiaramente modellato sulle previsioni contenute nell’art. 4-bis della legge 18 febbraio 2004, n. 39 in tema di ristrutturazione industriale delle grandi imprese in stato di insolvenza (la c.d. “Legge Marzano”) (10).
   Il piano può avere una finalità di vera e propria ristrutturazione del passivo, mediante forme tecniche di intervento sui crediti in via satisfattiva, diretta o indiretta, ovvero mediante alienazione dell’attivo.
   Da un lato, il piano può consentire la prosecuzione della attività di impresa, che dovrebbe tradursi in un sensibile incremento dei risultati economico-finanziari e quindi del valore dei complessi produttivi capaci di generare reddito; dall’altro lato, può avere l’effetto di riservare il beneficio riveniente dalla continuazione della attività (e dal conseguente atteso aumento di valore) ai creditori.
   Quanto alla possibilità di cedere le attività ad un assuntore (eventualmente costituito dai creditori o da società le cui azioni sono destinate ad essere attribuite ai creditori), sarà interessante valutare le applicazioni pratiche, anche alla luce del precedente rappresentato dalla proposta di concordato formulata nell’ambito della procedura di amministrazione straordinaria delle società del gruppo Parmalat, attualmente al vaglio dei creditori (11).
   Rispetto alla precedente disciplina, il nuovo concordato preventivo non prevede quindi alcun vincolo di carattere economico per la soddisfazione dei creditori. In altri termini, il debitore può proporre ai creditori qualsiasi soluzione che ritenga possa ricevere il loro consenso, sulla base di schemi assai vari e flessibili.
Altra novità significativa è rappresentata dalla suddivisione dei creditori in classi. Si tratta, in particolare, di una soluzione mutuata, sia pure con alcuni adattamenti, dal diritto anglosassone (si veda, in particolare, l’esperienza del Chapter 11) e già introdotta nel nostro ordinamento con le previsioni relative alla procedura di amministrazione straordinaria di cui alla Legge Marzano.
   La suddivisione dei creditori in classi ed i trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse costituiscono indubbiamente un elemento di flessibilità del concordato, volto a rendere effettivo il principio della par condicio e a riconoscere le specificità delle varie posizioni creditorie. La logica e le modalità di formazione delle classi, infatti, dovrebbero essere destinate a riservare ai creditori quanto a loro spettante in base alla posizione rivestita nel concorso piuttosto che ad agevolare l’imprenditore ad ottenere il consenso dei creditori (12).
   Da più parti, tuttavia, è stato paventato il rischio di una disparità di trattamento tra i creditori, ovvero di possibili abusi a danno di determinate categorie di creditori (13). Se è vero, infatti, che il tribunale, in sede di ammissione alla procedura di concordato preventivo, dovrà valutare la correttezza dei criteri di formazione delle diverse classi adottati dal debitore (cfr. art. 163 l. fall.), resta in ogni caso escluso da ogni verifica giudiziale il trattamento proposto per ciascuna di esse (14).
   Si segnala, peraltro, che la valutazione di correttezza dei criteri di formazione delle classi rappresenta uno dei (rari) casi in cui il giudice è chiamato, nel contesto della nuova procedura di concordato preventivo, ad un più penetrante controllo di merito e non di mera legalità (sul punto si veda anche infra, §§ 4 e 5).
   Ci si potrebbe domandare, inoltre, la ragione per cui il Legislatore abbia riservato all’autorità giudiziaria il controllo sui criteri di formazione delle classi e non anche sugli altri requisiti richiesti per l’ammissione alla procedura ed, in particolare, sulla fattibilità del piano (15).
   Sarà interessante verificare la ricaduta pratica della suddivisione dei creditori in classi, valutando, in particolare, possibili interferenze con l’ordine dei privilegi e delle cause legittime di prelazione. L’art. 160 lett. c) l. fall., infatti, subordina la suddivisione dei creditori in classi ad un criterio di omogeneità di posizioni giuridiche (oltre che di interessi economici) (16).

4. La domanda di concordato
   La domanda di concordato deve essere proposta con ricorso al Tribunale del luogo, in cui l’impresa ha la propria sede principale. Al fine di evitare pratiche di forum shopping, è altresì previsto che il trasferimento della sede intervenuto nell’anno antecedente al deposito del ricorso non rileva ai fini della individuazione della competenza.
   La suddetta norma pone quindi una presunzione assoluta di simulazione di tutti i trasferimenti di sede attuati nell’anno anteriore alla presentazione della domanda (con il possibile rischio di una non perfetta coincidenza della situazione legale rispetto a quella reale).
   Il debitore deve presentare, unitamente alla domanda di concordato:
   a) una aggiornata relazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa;
   b) uno stato analitico ed estimativo delle attività e l’elenco nominativo dei creditori, con l’indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione;
   c) l’elenco dei titolari dei diritti reali o personali su beni di proprietà o in possesso del debitore;
   d) il valore dei beni e i creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili.
   Il piano e la suddetta documentazione, inoltre, devono essere accompagnati dalla relazione di un professionista avente i requisiti previsti per la nomina a curatore (cfr. art. 28 l. fall.), che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo. Dalla suddetta norma emerge che non potrà “certificare” il piano il professionista che abbia già esercitato la propria attività professionale nei confronti dell’imprenditore o che comunque si sia ingerito nella gestione dell’impresa nei due anni anteriori all’apertura della procedura. Non sembra del tutto impossibile, peraltro, eludere o aggirare tale requisito di indipendenza.
   Il Tribunale, verificata la completezza e la regolarità della documentazione, dichiara aperta la procedura, limitandosi ad un mero controllo formale, salvo il caso (poc’anzi menzionato) della previsione di diverse classi di creditori.
   Nel contesto di una procedura largamente ispirata in massima parte all’accordo tra debitore e creditori, il controllo dell’autorità giudiziaria appare notevolmente ridotto e relegato a profili di mera legittimità. Al di fuori della delibazione sui criteri di formazione delle classi, tale controllo non investe il merito della proposta di concordato.
   In altri termini, lo scopo del Legislatore sembra essere quello di ridurre l’intervento del giudice, nell’ottica di uno schema negoziale di risoluzione della situazione di crisi che necessita dell’intervento di un organo imparziale e super partes, ma si svolge prevalentemente sul piano dei privati rapporti tra imprenditore e creditori.
   È già stato paventato, tuttavia, il rischio che l’unica garanzia della serietà della proposta sia fornita dalla relazione del professionista, che deve attestare la fattibilità del piano e la veridicità dei dati aziendali (e che non è oggetto di controllo da parte del giudice in sede di ammissione alla procedura).
   A voler tacere in questa sede di eventuali collusioni tra l’imprenditore ed il professionista (il quale potrebbe essere indotto a fornire una rappresentazione non fedele e veritiera della situazione economico-patrimoniale e finanziaria della società), vanno sottolineati i possibili effetti deleteri derivanti dal ritardo nella dichiarazione di fallimento nei casi in cui la proposta di concordato dovesse rivelarsi palesemente infondata.
   Tale circostanza appare ancor più grave, se si considera, da un lato, che il debitore non è più tenuto, come in passato, alla indicazione delle cause dell’insolvenza e dei motivi posti a fondamento della domanda di concordato e, dall’altro, che ai creditori non sono più garantiti minimi legali di soddisfazione.

5. Le maggioranze per l’approvazione del concordato, l’omologazione e il ruolo del giudice
   Secondo la precedente formulazione dell’art. 177 l. fall. il concordato preventivo doveva essere approvato dalla maggioranza dei creditori votanti, pari ad almeno due terzi della totalità dei crediti ammessi al voto.
   In linea con quanto già previsto nella Legge Marzano (17), il nuovo testo dispone che il concordato è approvato se riporta il voto favorevole dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto.
   Non risulta modificata la previsione secondo cui i creditori privilegiati non hanno diritto al voto, a meno che non rinuncino al diritto di prelazione. Si deve presumere, pertanto, che i crediti privilegiati debbano essere soddisfatti integralmente. Sarebbe infatti lesivo dei diritti dei creditori privilegiati che la proposta di concordato prevedesse il soddisfacimento in percentuale dei crediti privilegiati (con conseguente assoggettamento alla falcidia concordataria), senza nel contempo consentire al creditore falcidiato di esprimere il suo voto sulla proposta.
   È stato osservato da autorevole dottrina, peraltro, che in questo modo “non si pone rimedio ad uno dei difetti più rilevanti della disciplina previgente” (18). È innegabile, infatti, che la necessità di assicurare in ogni caso il pagamento integrale dei creditori privilegiati costituisca un onere assai gravoso per il debitore e, in molti casi, non abbia reso praticabile la procedura di concordato preventivo.
Regole peculiari sono state dettate per il caso in cui siano previste diverse classi di creditori. In particolare:
   – il concordato è approvato se riporta il voto favorevole dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto nella classe medesima;
   – il tribunale, riscontrata in ogni caso la maggioranza dei crediti ammessi al voto, può approvare il concordato nonostante il dissenso di una o più classi di creditori, se la maggioranza delle classi ha approvato la proposta di concordato e qualora ritenga che i creditori appartenenti alle classi dissenzienti possano risultare soddisfatti dal concordato in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili (regola analoga, benché non del tutto corrispondente, all’istituto del cram down) (19).
   Se è vero, pertanto, che la nuova disciplina del concordato preventivo attribuisce all’autorità giudiziaria un ruolo di garante della mera legalità formale del procedimento, il potere riconosciuto alla stessa in caso di dissenso da parte di una o più classi di creditori costituisce una significativa eccezione.
   Oltre al fatto che la previsione poc’anzi menzionata risulta enunciata nell’art. 177, secondo comma l. fall. e testualmente ripetuta nel successivo art. 180, quarto comma l. fall. in materia di omologazione (nel quale, peraltro, più propriamente dovrebbe essere collocata), è opportuno segnalare come al giudice sia riservata una valutazione prognostica difficile e non del tutto delineata nei suoi contorni (20).
   Ad ogni buon conto, si può ritenere che la suddetta prognosi comporti la valutazione dell’attivo realizzabile e del passivo risultanti dagli elenchi dei creditori, dalla relazione del commissario, dalla documentazione offerta dal debitore, dalla contabilità dell’impresa, dalle risultanze dell’istruttoria esperita, anche eventualmente avvalendosi di poteri inquisitori di cui il giudice gode in materia di acquisizione delle prove (21).
   Né è del tutto scontato, come pure è stato sostenuto, che la valutazione de qua si riferisca, quanto al parametro delle alternative concretamente praticabili, alla percentuale di soddisfazione dei creditori nel caso di fallimento (22), in quanto lo stato di crisi non si identifica – o, quantomeno, non si identifica necessariamente – con lo stato di insolvenza (cfr. supra, § 2).
   I due termini di confronto, inoltre, non sono del tutto omogenei e comparabili, in quanto la locuzione “alternative concretamente praticabili” appare più ampia della mera liquidazione, mentre la “misura della soddisfazione” evoca un risultato utile per il creditore, ma non necessariamente coincidente con il pagamento (si veda, in particolare, quanto disposto nel novellato art. 160 lett. a) l. fall.).
   In merito alle principali novità relative al giudizio di omologazione si segnala, in estrema sintesi, quanto segue:
   – se la maggioranza di cui all’art. 177 l. fall. è raggiunta, il tribunale approva il concordato con decreto motivato (e non più con sentenza);
   – per il Tribunale, come anticipato, è venuto meno l’obbligo di accertare la sussistenza delle condizioni di ammissibilità del concordato, di cui al previgente art. 160 l. fall., nonché di valutare la convenienza economica del concordato, l’adeguatezza delle garanzie offerte e la meritevolezza del debitore (23);
   – l’omologazione dovrà intervenire nel termine di sei mesi dalla presentazione della domanda di concordato, prorogabile per una sola volta di ulteriori sessanta giorni, con conseguente (ed auspicabile) accelerazione della procedura.

6. Gli accordi di ristrutturazione dei debiti
   Gli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182-bis l. fall. costituiscono senza dubbio una delle principali novità introdotte dalla recente riforma e denotano una attenzione (ed una propensione) del Legislatore per il dato negoziale e privatistico nella soluzione di situazioni di crisi o di difficoltà.
   Il debitore può depositare (e sottoporre, quindi, al successivo controllo dell’autorità giudiziaria) un accordo di ristrutturazione dei debiti stipulato con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti, unitamente ad una relazione redatta da un esperto sull’attuabilità dell’accordo stesso. La suddetta relazione dovrà valutare, in particolare, l’idoneità dell’accordo ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei.
   Quanto al contenuto dell’accordo, si può ritenere che esso non abbia ad oggetto soltanto la negoziazione di condizioni o di dilazioni di pagamento dei creditori aderenti, ma anche disposizioni relative al rifinanziamento dell’impresa, allo scopo di consentire la ristrutturazione e la prosecuzione delle attività.
   L’accordo acquista efficacia dal giorno della sua pubblicazione nel registro delle imprese. I creditori ed ogni altro interessato possono proporre opposizione entro trenta giorni dalla pubblicazione. Il Tribunale, decise le opposizioni, procede alla omologazione in camera di consiglio con decreto motivato. Il decreto del Tribunale è reclamabile dinanzi alla Corte d’appello entro quindici giorni dalla sua pubblicazione nel registro delle imprese.
   Non è del tutto chiaro se gli accordi di ristrutturazione debbano essere collocati nell’alveo della procedura di concordato preventivo ed, eventualmente, considerati come una forma semplificata o rafforzativa dello stesso, ovvero debbano essere qualificati come un patto anteriore (prepackaging), del tutto autonomo e distinto rispetto al concordato preventivo.
   A favore del primo orientamento depone il dato testuale contenuto nell’art. 182-bis (che fa riferimento alla possibilità di depositare l’accordo “con la dichiarazione e la documentazione di cui all’art. 161”), nonché l’elemento sistematico rappresentato dalla collocazione del suddetto articolo nel Titolo III della legge fallimentare.
   Tale ultimo rilievo si presta, peraltro, ad una duplice interpretazione: da un lato, la collocazione nel titolo III potrebbe valere come elemento idoneo a qualificare gli accordi di ristrutturazione dei debiti come uno strumento non indipendente, ma meramente rafforzativo della domanda di ammissione al concordato preventivo; dall’altro lato, gli accordi di ristrutturazione dei debiti sono rubricati autonomamente, accanto al concordato preventivo (si veda, a tal proposito, anche l’articolo 67, comma 3, lett. e) della legge 80/2005, che con riferimento alla esenzione da revocatoria menziona gli accordi omologati ex art. 182-bis in aggiunta al concordato preventivo).
   Va altresì segnalato che gli accordi di ristrutturazione sembrano avere portata innovativa dell’istituto anche in relazione a certe rilevanti differenze procedurali rispetto al concordato preventivo. Nella procedura in esame, infatti, l’intervento dell’autorità giudiziaria è precedente all’adesione dei creditori, mentre gli accordi di ristrutturazione del debito si presentano come intese già perfette a livello privato e il vaglio giurisdizionale interviene solo in un momento successivo.
   La suddetta distinzione non appare meramente teorica e classificatoria. Sul presupposto che gli accordi di ristrutturazione dei debiti siano autonomi e distinti rispetto al concordato, ad esempio, si potrebbe ritenere che l’imprenditore abbia il diritto di avvalersi degli stessi e di richiedere l’omologa anche in un momento precedente alla vera e propria crisi dell’impresa, in assenza di un espresso richiamo nell’art. 182-bis al presupposto oggettivo necessario per l’apertura del concordato.
   L’art. 182-bis l. fall. sembra prevedere una “corsia preferenziale” nella omologazione per le intese già raggiunte dal debitore con una significativa parte del ceto creditorio (24). La finalità perseguita dal Legislatore sembra essere, pertanto, quella di assicurare piena validità giuridica ad intese privatistiche regolative dell’insolvenza, fondate su patti di maggioranza, alla quale si aggiunge la protezione della esenzione dall’azione revocatoria per gli atti, i pagamenti, e le garanzie posti in essere in esecuzione dell’accordo omologato (cfr. art. art. 67, comma 3, lett. e) l. fall.) (25).
   Il beneficio della esenzione dall’azione revocatoria, d’altra parte, è previsto anche per gli analoghi atti posti in essere in esecuzione del concordato preventivo, ma non si estende a coprire la delicata fase anteriore all’apertura della procedura, nella quale il debitore tratta con i creditori senza avere a disposizione la protezione rappresentata dal divieto di azioni esecutive da parte dei creditori. Come è noto, si tratta della fase in cui il debitore svolge la sua attività in condizioni assai difficili, ponendo in essere pagamenti soggetti a revocatoria ed esponendo il creditore che sia disposto ad erogare nuova finanza al rischio di essere chiamato a rispondere, anche sotto il profilo della concessione abusiva di credito (26).

7. Il regime transitorio
   In occasione della conversione del decreto legge 14 marzo 2005, n. 35 è stata aggiunta una norma transitoria secondo cui le nuove disposizioni (ad eccezione di quelle relative agli accordi di ristrutturazione dei debiti) “si applicano altresì ai procedimenti di concordato preventivo pendenti e non ancora omologati alla data di entrata in vigore del presente decreto" (art. 2, comma 2-bis del citato decreto legge).
   Come è stato autorevolmente affermato, la norma transitoria non ha risolto tutti i problemi, in quanto permane il dubbio della tenuta delle attività già poste in essere secondo le previgenti previsioni (27). Essendo radicalmente mutato non soltanto il rito, ma lo stesso oggetto della proposta ed i poteri del giudice, il debitore potrebbe avere interesse a revocare o modificare la proposta già presentata, al fine di proporre condizioni diverse e più idonee alla composizione della crisi. I creditori, d’altra parte, potrebbero aver votato la proposta di concordato contando sulla omologazione e, quindi, sulla garanzia rappresentata da un controllo di merito (ora venuto meno, salvo rare eccezioni) da parte dell’autorità giudiziaria, volto ad accertare la convenienza e la meritevolezza del concordato.

8. Conclusioni
   In conclusione, dalla nuova disciplina del concordato preventivo sembra emergere il dato (sicuramente positivo) della esaltazione dell’elemento negoziale e della primaria valenza assunta dal consenso nella risoluzione di situazioni di difficoltà o di crisi.
   La tendenza sembra essere, infatti, quella di attribuire alle parti interessate (i.e. ai creditori ed allo stesso imprenditore) maggiori poteri nella gestione della crisi, privilegiando le soluzioni stragiudiziali e limitando l’intervento dell’autorità giudiziaria, in quanto soggetto super partes, alla risoluzione di controversie.
   Come anticipato, il nuovo concordato preventivo dovrebbe costituire una procedura più agile e flessibile, caratterizzata da maggiore facilità di accesso e da una durata complessiva inferiore rispetto al passato.
   Tuttavia, pare sussistere il rischio che la sensibile riduzione dei poteri di controllo del giudice (essendo venuto meno, come poc’anzi illustrato, il controllo sulla convenienza e meritevolezza del concordato) comporti una diminuzione delle garanzie del ceto creditorio. Ad eccezione dei casi di suddivisione dei creditori in classi – la cui incidenza e frequenza in concreto è, peraltro, ancora da verificare –, l’autorità giudiziaria sembra rivestire un ruolo di mero garante della legalità formale della procedura, con la conseguenza che la serietà e fattibilità del piano e, in buona sostanza, la tutela dei creditori sono rimessi alla relazione del professionista.
   Sullo sfondo, restano una serie di perplessità in merito alla opportunità di procedere, mediante decretazione d’urgenza, ad una riforma parziale e frammentaria, nonché alle incongruenze e ai difetti di coordinamento che ne derivano (cui probabilmente si porrà rimedio in sede di delega per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali). Sebbene risalente ed obsoleta per vari aspetti, la legge fallimentare aveva infatti una sua coerenza ed organicità, mentre interventi legislativi isolati ed affrettati rischiano di costituire la fonte di nuovi contrasti e di inefficienze.

NOTE

   (1) Legge 14 maggio 2005, n. 80, “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell’ambito del Piano d’azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale – Serie Generale n. 111 del 14 maggio 2005, Supplemento Ordinario n. 91, in vigore dal 15 maggio 2005.

   (2) In merito ai difetti di coordinamento ed alle difficoltà interpretative derivanti dalle nuove previsioni (nonché alla tecnica redazionale utilizzata) si veda la puntuale disamina di Panzani, “Il D.L. 35/2005 e la riforma della legge fallimentare”, in www.fallimento.ipsoa.it e i rilievi critici di Lo Cascio, “La nuova legge fallimentare: dal progetto di legge delega alla miniriforma per decreto legge”, in Fall. 4/2005, 361 ss.

   (3) Il Governo è stato delegato ad adottare, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della citata legge, uno o più decreti legislativi recanti la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali. I decreti legislativi dovranno essere adottati su proposta del Ministro della Giustizia e del Ministro dell’Economia e delle Finanze, di concerto con il Ministro delle Attività Produttive, e successivamente trasmessi al Parlamento, ai fini dell’espressione dei pareri da parte delle Commissioni competenti per materia e per le conseguenze di carattere finanziario. I pareri sono resi entro il termine di trenta giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale i decreti sono emanati anche in mancanza dei pareri. Qualora detto termine venga a scadere nei trenta giorni antecedenti allo spirare del termine di centottanta giorni, successivamente, la scadenza di quest’ultimo sarà prorogata di sessanta giorni.

   (4) In particolare, ai sensi dell’art. 1, sesto comma, lett. a), n. 12 della legge 14 maggio 2005, n. 80, il Governo è delegato a: modificare la disciplina del concordato fallimentare, accelerando i tempi della procedura e prevedendo l’eventuale suddivisione dei creditori in classi che tengano conto della posizione giuridica e degli interessi omogenei delle varie categorie di creditori, nonchè trattamenti differenziati per i creditori appartenenti a classi diverse; disciplinare le modalità di voto per classi, prevedendo che non abbiano diritto di voto i creditori muniti di privilegio, pegno ed ipoteca, a meno che dichiarino di rinunciare al privilegio; disciplinare le modalità di approvazione del concordato, modificando altresì la disciplina delle impugnazioni al fine di garantire una maggiore celerità dei relativi procedimenti.

   (5) La procedura di concordato preventivo infatti si chiude, ai sensi del novellato art. 181 l. fall., entro sei mesi a decorrere dalla presentazione della domanda di concordato, salvo proroga di ulteriori sessanta giorni.

   (6) Si vedano, a tal proposito, le osservazioni di Ferro, “I nuovi strumenti di regolazione negoziale dell’insolvenza e la tutela giudiziaria delle intese fra debitore e creditori: storia italiana della timidezza competitiva”, in Fall. 5/2005, p. 590, secondo cui “È però in agguato una soluzione insistentemente acausale della difficoltà d’impresa che rischia di traghettare al suo salvataggio anche imprenditori sleali e deliberatamente artefici delle insolvenze”.

   (7) Secondo i primi commentatori, la disposizione in esame potrebbe ritenersi implicitamente abrogata, in relazione alla nuova formulazione degli articoli 161 e 163 l. fall. (cfr. Pacchi, “Il nuovo concordato preventivo”, p. 16, in www.fallimento.ipsoa.it.; Panzani, cit., p. 8).

   (8) Pacchi, cit., p. 6.

   (9) In tal senso sembra orientato Bozza, “Il concordato preventivo” (intervento al convegno Paradigma “Crisi di impresa e riforma delle procedure concorsuali”, Roma, 14-15 giugno 2005).

   (10) Come è noto, la legge 39/2004 ha convertito in legge il D.L. 23 dicembre 2003, n. 347, recante misure urgenti per la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza. L’art. 4-bis, primo comma della citata legge, in particolare, dispone quanto segue: “Nel programma di ristrutturazione il commissario straordinario può prevedere la soddisfazione dei creditori attraverso un concordato, di cui deve indicare dettagliatamente le condizioni e le eventuali garanzie. Il concordato può prevedere: a) la suddivisione dei creditori in classi secondo la posizione giuridica ed interessi economici omogenei; b) trattamenti differenziati fra creditori appartenenti a classi diverse; c) la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei creditori attraverso qualsiasi forma tecnica, o giuridica, anche mediante accollo, fusione o altra operazione societaria; in particolare, la proposta di concordato può prevedere l’attribuzione ai creditori, o ad alcune categorie di essi nonché a società da questi partecipate, di azioni o quote, ovvero obbligazioni, anche convertibili in azioni o altri strumenti finanziari e titoli di debito; c-bis) l’attribuzione ad un assuntore delle attività delle imprese interessate dalla proposta di concordato. Potranno costituirsi come assuntori anche i creditori o società da questi partecipate o società, costituite dal commissario straordinario, le cui azioni siano destinate ad essere attribuite ai creditori per effetto del concordato. Come patto di concordato, potranno essere trasferite all’assuntore le azioni revocatorie, di cui all’articolo 6, promosse dal commissario straordinario fino alla data di pubblicazione della sentenza di approvazione del concordato”.

   (11) La proposta di concordato relativa a sedici società del gruppo Parmalat (Parmalat Spa, Parmalat Finanziaria Spa, Eurolat Spa, Lactis Spa, Geslat Spa, Parmengineering Srl, Contal Srl, Dairies Holding International BV, Parmalat Capital Netherlands BV, Parmalat Finance Corporation BV, Parmalat Netherlands BV, Olex SA, Parmalat Soparfi SA, Newco Srl, Panna Elena C.P.C. Srl, Centro Latte Centallo Srl), infatti, prevede (art. 5.1 lett. b) il trasferimento all’Assuntore di tutte le attività delle società interessate dalla proposta di concordato, oltre che la falcidia dei crediti chirografari e la cessione all’Assuntore di tutte le azioni revocatorie e delle azioni di responsabilità, nonché di ogni altra azione, anche risarcitoria, spettante alle società interessate dalla proposta di concordato. In particolare, il paragrafo 1.2 della proposta di concordato prevede un meccanismo che si snoda attraverso i seguenti passaggi:
a) costituzione di una Fondazione avente quale scopo istituzionale quello di consentire la distribuzione delle azioni dell’Assuntore ai creditori chirografari che ne abbiano diritto; b) acquisto, da parte della Fondazione, di una società di capitali che avrà capitale minimo, che si propone come Assuntore del concordato; c) mandato, conferito dai creditori chirografari alla Fondazione come patto del concordato, di sottoscrivere un aumento di capitale dell’Assuntore, compensando i loro crediti, ridotti dalla falcidia concordataria, con il debito da sottoscrizione; d) distribuzione, da parte della Fondazione ai creditori chirografari che ne abbiano diritto, delle azioni dell’Assuntore rivenienti dagli aumenti di capitale in esecuzione del concordato, nel rispetto delle percentuali stabilite dalla proposta di concordato ed attribuzione ai creditori chirografari dei warrant.

   (12) Così Lo Cascio, La nuova legge fallimentare, cit., p. 362. Sul punto si veda anche Stanghellini, “Piano di regolazione dell’insolvenza, classi di creditori e liquidazione”, Seminario di Studi, in Fall. 2004, p. 28.

   (13) Dal momento che è il debitore a suddividere i creditori in classi e a proporre trattamenti differenziati (fermo restando il controllo da parte del giudice, di cui infra, nel testo), il debitore potrebbe infatti privilegiare i creditori più forti (per lui più temibili) riservando agli altri creditori un trattamento deteriore. Sul punto si veda, più diffusamente, Pacchi, “Il nuovo concordato”, cit., p. 11.

   (14) Lo Cascio, cit., p. 362, sottolinea come il concordato preventivo non possa “essere retto da un principio di autotutela, ma da un’eterotutela. L’eterotutela non può tradursi in un giudizio di accertamento delle maggioranze dei creditori o di valutazione della correttezza della formazione delle classi dei creditori”.

   (15) In tal senso Panzani, cit., p. 9.

   (16) Si veda, in particolare, l’opinione di Bozza, “Il concordato preventivo”, cit., secondo cui la suddivisione dei creditori in classi potrebbe assumere rilievo solo per la categoria dei creditori chirografari, non essendo possibile sovvertire con la suddetta previsione l’ordine dei privilegi.

   (17) L’art. 4-bis, commi 8 e 9, dispone: “Il concordato è approvato se riporta il voto favorevole dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Ove siano previste diverse classi di creditori, il concordato è approvato se riporta il voto favorevole dei creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto nella classe medesima. I creditori possono esprimere il loro voto, da fare pervenire presso la cancelleria del tribunale nel termine stabilito dal giudice delegato, tramite telegramma, ovvero lettera raccomandata, ovvero altra modalità ritenuta idonea dal giudice delegato medesimo. I creditori che non fanno pervenire il proprio voto o che non si legittimano al voto entro il suddetto termine si ritengono favorevoli all’approvazione del concordato. Se la maggioranza di cui al comma 8 è raggiunta, il tribunale approva il concordato con sentenza in camera di consiglio. Quando sono previste diverse classi di creditori, il tribunale, riscontrata in ogni caso la maggioranza di cui al comma 8, può approvare il concordato nonostante il dissenso di una o più classi di creditori, se la maggioranza delle classi ha approvato la proposta di concordato e qualora ritenga che i creditori appartenenti alle classi dissenzienti possano risultare soddisfatti dal concordato in misura non inferiore rispetto alle altre alternative concretamente praticabili”.

   (18) Così Panzani, cit., p. 5.

   (19) Nel Chapter 11 il cramdown è disposto dalla bankruptcy court se almeno una delle classi ha votato a favore e se la classe dissenziente non riceve un trattamento iniquo (fair and equitable standard). Il fair and equitable standard è stato interpretato nel senso che (i) il singolo creditore non può essere soddisfatto in misura inferiore rispetto a quanto potrebbe ricevere in sede di liquidazione, e (ii) una classe di creditori di grado inferiore non può essere soddisfatta se i crediti di rango superiore non vengono prima integralmente soddisfatti (cd. absolute priority rule).

   (20) Si veda Ferro, cit., p. 593, il quale segnala “l’ambiguità di una prognosi sul grado di soddisfacimento dei creditori dissenzienti all’interno di una procedura che non è più fondata su precise misure di soddisfazione dei debiti, bensì di ristrutturazione anche fantasiosa degli stessi ovvero cessione degli attivi con forme tecniche assumibili dai creditori in modo a loro volta rischioso, cioè senza la possibilità di determinazione certa di percentuali di pagamento”.

   (21) In tal senso Panzani, cit., p. 11.

   (22) Si veda, in tal senso, Pacchi, cit., p. 19.

   (23) Secondo il previgente art. 181, primo comma l. fall. “Il Tribunale, accertata la sussistenza delle condizioni di ammissibilità del concordato e la regolarità della procedura, deve valutare, oltre al raggiungimento delle maggioranze prescritte dalla legge, (i) la convenienza economica del concordato per i creditori, in relazione alle attività esistenti e all’efficienza dell’impresa, (ii) se le garanzie offerte diano la sicurezza dell’adempimento del concordato o, in caso di concordato con cessione dei beni, se i beni offerti siano sufficienti per il pagamento dei crediti nella misura indicata, e (iii) se il debitore, in relazione alle cause che hanno provocato il dissesto ed alla sua condotta, è meritevole del concordato”.

   (24) Ferro, cit., p. 594.

   (25) Secondo una opinione (Ferro, cit. p. 595), con l’esenzione da revocatoria per gli accordi omologati ex art. 182bis l. fall. verrebbe assecondata la capacità di alcuni creditori (le banche) di promuovere negoziazioni preconfezionate rispetto allo svolgimento della procedura di concordato, che viene semplificata o ridotta.

   (26) In tal senso, Panzani, cit., p. 6.

   (27) Bozza, cit.

Top

Home Page