il diritto commerciale d’oggi
    IV.4– aprile 2005

STUDÎ & COMMENTI

 

SAVERIO BARTOLI
Il Trust autodichiarato nella Convenzione di L’Aja sui trusts

 

1. Premessa
   A partire dalla fine dell’anno 2001, dunque in tempi relativamente recenti, il cosiddetto trust “autodichiarato” (detto anche “statico” o “unilaterale”) (2) è stato oggetto di ben sei pronunzie giudiziarie (3), quattro delle quali (4) ne hanno dichiarato l’ammissibilità nel nostro ordinamento giuridico.
   Si presenta così l’occasione di analizzare più a fondo questa figura, soffermandosi in particolare sul problema della sua collocazione all’interno della Convenzione di L’Aja (5).

2. Cenni sul trust autodichiarato nel diritto inglese
   È noto che nell’ordinamento inglese il disponente può istituire un trust, alternativamente, o mediante trasferimento dei beni ad un trustee ovvero dichiarandosi trustee di detti beni (6).
In quest’ultimo caso, i beni resteranno (stante la coincidenza fra disponente e trustee) in proprietà del disponente, ma risulteranno affetti da quel vincolo di destinazione opponibile ai terzi che è tipico di qualunque trust.
   Com’è stato osservato (7), il trust in cui disponente e trustee coincidono (declaration of trust) è stato creato da una sentenza inglese dell’inizio del XIX secolo (8).
   Quanto alla forma della declaration of trust, valgono le regole generali proprie di qualunque atto inter vivos istitutivo di trust: essa è infatti a forma libera, salvo che abbia ad oggetto immobili, nel qual caso dovrà essere provata per iscritto (9).
   Quanto al contenuto della dichiarazione di volontà del disponente, pur non essendo richieste formule sacramentali, deve risultare in modo inequivoco che costui intese assumere il ruolo di trustee dei propri beni, e non semplicemente effettuare una donazione (10).
   La declaration of trust è un atto unilaterale (11) e non recettizio, nel senso che non occorre, ai fini della sua efficacia, che essa sia comunicata ai beneficiari (12): dall’omessa comunicazione, però, potrebbe in certi casi desumersi o che il trust è inesistente poiché il disponente non era del tutto convinto di istituirlo (13), ovvero che il trust è affetto da nullità per simulazione, in quanto il disponente lo ha istituito allo scopo di farne conoscere l’esistenza ai propri creditori e non anche ai destinatari delle sue utilità economiche (14).

3. Il problema relativo all’applicabilità o meno della Convenzione di L’Aja sui trusts al trust autodichiarato
3.1. I lavori preparatori e l’art. 2 della Convenzione
   Nella sua stesura originaria, l’art. 2 paragrafo primo della Convenzione affermava (15) che per trust s’intendono i rapporti giuridici istituiti da un soggetto “qualora dei beni siano trasferiti a o trattenuti da” un trustee.
   Detta chiara formulazione, non ritenendo indispensabili né un’alterità soggettiva fra disponente e trustee, né un trasferimento di beni dal primo al secondo, da un lato forniva una nozione di trust conforme a quella tradizionalmente presente nell’ordinamento inglese (16), dall’altro non lasciava dubbi in ordine all’applicabilità della Convenzione anche ai trusts autodichiarati.
   Nel corso dei lavori preparatori, però, la norma in esame è stata modificata, pervenendo in tal modo alla sua odierna formulazione, secondo la quale per trust s’intendono i rapporti giuridici istituiti “da un soggetto, il disponente, qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo di un trustee”.
   Occorre in primo luogo osservare che l’inserimento dell’espressione “il disponente” ha fatto sì che la lettera della norma appaia ora richiedere che disponente e trustee siano soggetti diversi (17).
   Preme comunque subito evidenziare che la menzione del disponente, come risulta dai lavori preparatori (18), lungi dall’esser frutto di una precisa scelta normativa nel senso suindicato, avvenne unicamente per venir incontro a richieste in tal senso da parte di delegati di Paesi di civil law.
   Quanto poi all’introduzione nella norma dell’espressione “beni posti sotto il controllo di un trustee” in luogo di quella “beni trasferiti a o trattenuti da un trustee”, detta modifica, a dispetto della poco convincente spiegazione ufficiale che ne fu data (19), in realtà altro non fu che il (maldestro) frutto dell’interazione di due orientamenti presenti in seno alla Conferenza di L’Aja.
   Il primo di tali orientamenti, proprio dei delegati dei Paesi di common law ed a più riprese emerso nel corso dei lavori (anche con riguardo ad altri articoli), mirava a far varare una nozione convenzionale di trust la quale fosse di facile ed immediata comprensibilità anche per i Paesi di civil law (20).
   Ciò è tanto vero che i delegati dei Paesi di common law non dettero, per lo più, particolare peso alla detta modifica, in quanto essi – data la loro antica familiarità con l’istituto del trust - giudicarono le due espressioni sostanzialmente equivalenti (21).
   Il secondo orientamento, assai diffuso fra i delegati partecipanti alla Conferenza (quale che ne fosse l’estrazione giuridica) mirava a far varare una nozione convenzionale di trust che, sia pur ponendosi in contrasto con i “puristi” intendimenti palesati nel preambolo della Convenzione (22), non fosse ristretta al trust propriamente detto, ma risultasse aperta anche alle cosiddette “trust-like institutions”, cioè ad altri istituti (propri anche di Paesi estranei all’area della common law) ad esso più o meno analoghi.
   La finale e lata formulazione dell’art. 2 paragrafo primo, pertanto, ha finito per esser fonte di almeno due ordini di rilevanti problemi ermeneutici:
   a) quello (che non può esser affrontato nella presente sede, ma che tende a ricevere risposta positiva) (23) dell’applicabilità della Convenzione solo al trust propriamente detto, ovvero anche alle “trust-like institutions” le cui caratteristiche siano in linea con la previsione della citata norma;
   b) quello (che è oggetto del presente scritto) dell’applicabilità della Convenzione non solo ai trusts con trasferimento al trustee, ma anche ai trusts autodichiarati.
   Occorre altresì osservare fin d’ora che nessun sicuro contributo alla soluzione di quest’ultimo problema appare fornito dall’ultimo paragrafo del medesimo art. 2 (24), per il quale “il fatto che il disponente conservi alcuni diritti e facoltà (25) … non è necessariamente incompatibile con l’esistenza di un trust”: come sembra risultare dai lavori preparatori (26), infatti, è pressoché certo che fra tali “diritti e facoltà” non possa figurare l’ipotesi in cui il disponente si autodichiari trustee.
   Il problema del rapporto fra trust autodichiarati e Convenzione, però, non pare poter esser adeguatamente affrontato senza la previa disamina della genesi di un’ulteriore norma, cioè dell’art. 4.

3.2. I lavori preparatori e l’art. 4 della Convenzione
   Il testo definitivamente approvato dell’art. 4 (27) della Convenzione afferma che essa “non si applica a questioni preliminari relative alla validità dei testamenti o di altri atti giuridici, in virtù dei quali determinati beni sono trasferiti al trustee”.
   Per comprendere pienamente il significato precettivo della norma, occorre tener presente che, com’è noto (28), all’interno della composita fattispecie costitutiva di un trust si devono distinguere da un lato il negozio istitutivo (il quale contiene il “programma” del trust) e dall’altro il negozio dispositivo (il quale trasferisce il diritto dal disponente al trustee ovvero, nel caso di trust autodichiarato, determina la nascita del vincolo di destinazione proprio del trust in capo a beni che sono e restano nella titolarità del disponente).
   Costituisce intendimento dell’art. 4 quello di rendere, appunto, estraneo all’ambito applicativo della Convenzione ogni profilo di validità, sia formale che sostanziale, del negozio dispositivo (29): in tale ottica, quindi, il profilo della validità formale e sostanziale di detto negozio sarà disciplinato non già dalla legge regolatrice del trust (30), ma dalle norme di diritto internazionale privato proprie dei singoli Stati (31).
   Poiché, da un lato, fra i delegati in seno alla Conferenza era diffuso il convincimento che l’esistenza e la validità di un negozio dispositivo fosse pregiudiziale alla venuta ad esistenza del trust previsto nell’atto istitutivo (32) e, dall’altro lato, costituisce prassi diffusa nell’ordinamento inglese quella di far precedere il negozio istitutivo dal negozio dispositivo (33), tali circostanze produssero in sede di lavori preparatori almeno due ordini di conseguenze:
   a) le questioni attinenti alla validità del negozio dispositivo vennero qualificate come “preliminari”, e tale aggettivo venne inserito nel testo dell’art. 4 (34);
   b) si tentò di rendere palpabile l’intendimento perseguito mediante l’art. 4, implicante in sostanza una dicotomia fra negozio dispositivo (estraneo all’ambito applicativo della Convenzione, in quanto – ad avviso dei delegati - concernente una fase anteriore alla venuta ad esistenza del trust) e negozio istitutivo (soggetto, invece, alla Convenzione), facendo frequente ricorso all’immagine della “fionda” o “rampa di lancio” per il primo ed a quella del “sasso” o “razzo” per il secondo (35).
   Pur se la scelta sub a) e quella sub b) non sono risultate particolarmente felici , il testo dell’art. 4 è abbastanza chiaro nel suo significato per quanto riguarda i trusts caratterizzati da un trasferimento ad un trustee.
   I problemi ermeneutici nascono, invece, allorché venga in questione la figura del trust autodichiarato, poiché la parte finale del testo definitivo dell’art. 4, come si è visto all’inizio di questo paragrafo, fa riferimento a “testamenti o…altri atti giuridici, in virtù dei quali determinati beni sono trasferiti al trustee”, senza alcun riferimento espresso – appunto - alla declaration of trust.
   Un’osservazione preliminare s’impone: il testo dell’art. 4 (che parla di “trasferimento” dei beni al trustee) non coincide con quello dell’art. 2 (che, come si è visto al § 3.1, nel fornire la nozione convenzionale di trust parla di “controllo” del trustee sui beni).
   Ciò ha fatto sì che, nel corso dei lavori preparatori, taluni delegati si siano fatti latori di proposte di modifica del testo provvisorio dell’art. 4, volte a porlo in linea con quello dell’art. 2.
   La prima proposta, proveniente dai delegati inglese e statunitense (37), mirava a sostituire nell’art. 4 il concetto di “trasferimento” con quello di “controllo”.
   Ciò allo scopo, appunto, di rendere chiara la scelta di escludere dall’ambito applicativo della Convenzione ogni profilo di validità, sia formale che sostanziale, del negozio dispositivo non solo nei trust con trasferimento al trustee, ma anche in quelli autodichiarati (38).
   La proposta in questione incontrò un iniziale vasto favore fra i delegati (39), ma nel prosieguo si fece inopinatamente marcia indietro e finì per esser approvato il sopra menzionato testo provvisorio dell’art. 4 (40), in quanto dai più si ritenne (discutibilmente) da un lato che detto testo, tutto sommato, era riferibile anche ai trusts autodichiarati e dall’altro lato che non era opportuno introdurvi una nozione (quella, appunto, di “controllo”) che già era utilizzata, a fini diversi, dall’art. 2 (41).
Una seconda (e successiva) proposta di modifica dell’art. 4, proveniente dai delegati australiano, inglese, canadese, statunitense ed irlandese (42), prevedeva che alla parte finale di tale norma dovesse aggiungersi la frase “or set aside by a person to be held by himself as trustee”, sì da rendere ancor più inequivoco (anche – si badi - per i giuristi di common law) il riferimento ai trusts autodichiarati (43).
   La proposta, però, giunta in un momento in cui i lavori preparatori si trovavano ormai in una fase avanzata e vigorosamente osteggiata, in particolare, dal delegato francese (44), non venne accolta (45) in quanto ancora una volta si ritenne che il testo dell’art. 4 fosse già sufficientemente chiaro nella sua riferibilità anche ai trusts autodichiarati.
   Se dunque appare evidente come fosse diffuso intendimento dei delegati quello di rendere applicabile l’art. 4 anche ai trusts autodichiarati, non si può certo dire, ad ogni modo, che detto intendimento sia stato reso trasparente dal testo definitivamente approvato di tale norma: di ciò viene dato atto, del resto, anche nel noto Explanatory Report della Convenzione redatto da A.E. Von Overbeck (46).

3.3. La posizione della dottrina italiana prima dell’intervento della giurisprudenza
   Nel periodo compreso fra l’entrata in vigore della Convenzione e le prime pronunzie giurisprudenziali in tema di trust autodichiarato (47), la dottrina italiana si è pochissimo occupata del problema se la Convenzione si applicasse o meno ad un trust siffatto.
   Secondo un autore (48), la soluzione dev’essere negativa per almeno due ragioni:
   a) poiché il testo definitivo del primo paragrafo dell’art. 2 ha sostituito, alla nozione di “beni trasferiti a o trattenuti da” un trustee, quella di “controllo sui beni” da parte del trustee;
   b) poiché tale testo definitivo, definendo il trust come “rapporto giuridico istituito da una persona, il disponente…qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo di un trustee”, implica l’alterità soggettiva fra disponente e trustee (49).
   Altri autori optano, invece, per la soluzione positiva, ma lo fanno solo implicitamente e/o senza motivare sul punto (50), ovvero fornendo argomentazioni di difficile con divisibilità, in quanto fondate su una visione (del tutto isolata) del trust come soggetto di diritto civilistico (51).
   Risulta maggiormente consapevole e meglio argomentata, invece, l’opinione positiva di chi (52) fa leva sull’ultimo paragrafo dell’art. 2, che consente al disponente di conservare “diritti e facoltà” relative al trust dopo la sua istituzione (53), per concludere che l’espressione fra virgolette comprende anche l’ipotesi in cui il disponente di autodesigna trustee (54).
   Da segnalare infine l’autorevole opinione di chi (55), pur ammettendo che trattasi di tesi non priva di ombre, finisce per optare per la soluzione positiva facendo leva in particolare sull’andamento dei lavori preparatori, da cui si evince (56) che la menzione del “disponente” nel primo paragrafo dell’art. 2 fu introdotta solo per venire incontro ai delegati degli Stati di civil law (i quali aspiravano ad una formulazione chiara al punto da risultare “scolastica” della norma descrittiva del trust), in quanto per i delegati degli Stati di common law era pacifica l’applicabilità della Convenzione ai trusts autodichiarati.

3.4. L’intervento della giurisprudenza italiana
   Come si è detto al § 1, a partire dalla fine del 2001 sono state finalmente emesse le prime sei decisioni giudiziarie in tema di trusts interni autodichiarati , le quali si riferiscono tutte al problema della loro trascrivibilità presso le Conservatorie dei Registri Immobiliari (58).
   Quattro di tali decisioni hanno ordinato detta trascrizione, mentre due hanno dichiarato legittimo il rifiuto del Conservatore di procedervi (59): appare pertanto evidente come la giurisprudenza allo stato prevalente abbia dato per scontato, a monte, che la Convenzione si applichi anche ai trust autodichiarati.
   Risulta però curioso come nessuna delle quattro decisioni favorevoli a detti trusts abbia mostrato di essere a conoscenza del fatto che la questione è in realtà (come si è visto e come si vedrà) tutt’altro che pacifica.
   La decisione del Trib. Pisa 27.12.2001, infatti, si limita ad affermare, apoditticamente (60), che l’applicabilità della Convenzione ad un trust del genere è un fatto “di immediata percezione e pacifico, quindi da accennare soltanto”, poiché nel caso di specie il disponente aveva scelto per il trust la legge regolatrice inglese ed “il trust, senza eccezione per questo tipo di trust, è previsto nell’ordinamento inglese esplicitamente invocato” da detto disponente.
   Il Tribunale mostra così di accogliere l’argomento che era contenuto nel reclamo predisposto, avverso la trascrizione con riserva disposta dal Conservatore, dal notaio rogante (61).
   Non pare però trattarsi di argomento convincente: se infatti è pacifico che la legge inglese, scelta dal disponente in quel caso, ammette il trust autodichiarato (62), ciò non aiuta certo a risolvere il problema che si pone a monte, cioè se il trust autodichiarato come tale (quale che sia, cioè, la legge regolatrice scelta dal disponente) rientri o meno nell’ambito applicativo della Convenzione (63).
   Ancora minore appare lo sforzo ermeneutico delle altre tre decisioni favorevoli ai trusts autodichiarati: in esse, infatti, non è dato reperire neppure un abbozzo di motivazione al riguardo.
   Secondo Trib. Milano 8-29.10.2002, infatti, “non è oggetto di valutazione la validità o meno del trust, ma unicamente il profilo strettamente formale della sua trascrivibilità”; il Trib. Verona 8.1.2003 afferma incidentalmente che “la caratteristica precipua del trust … non è tanto il trasferimento … al trustee (mancante nella concreta fattispecie, in cui la stessa persona è ad un tempo disponente e trustee) quanto la separazione (o segregazione) dei beni”; il Trib. Parma 21.10.2003, infine, non dedica al trust autodichiarato neppure una parola.
   Si ha quindi l’impressione che la giurisprudenza in esame abbia sprecato un’importante occasione per munire di solide basi argomentative la tesi (peraltro condivisibile, come si vedrà nel § 3.6) che include i trusts in esame nell’ambito applicativo della Convenzione.
   Tale impressione risulta, purtroppo, rafforzata dalla considerazione che il più organico tentativo di dare in sede giudiziaria una risposta appagante alla questione oggetto del presente scritto è stato, ad oggi, effettuato dall’unica decisione contraria ai trusts autodichiarati (trattasi di Trib. Napoli 1.10.2003), secondo la quale, in estrema sintesi:
   a) il trust cui fa riferimento l’art. 2 della Convenzione postula che disponente e trustee siano soggetti diversi (64);
   b) il disegno di legge sui trusts n°6547 del 1999 (65) postula anch’esso l’alterità soggettiva di cui al punto a), giungendo al punto di riservare l’attività di trustee a società fiduciarie, banche, società di gestione del risparmio ed imprese di investimento abilitate ex Testo unico dell’intermediazione finanziaria (Decreto Legislativo n°58 del 1998);
   c) la finalità familiare perseguita dal trust nel caso di specie (66) può essere attuata facendo ricorso all’istituto nostrano del fondo patrimoniale.
   Appare comunque evidente che, se l’argomento sub a) appare dotato di una sua plausibilità (67), diverse considerazioni meritano quelli sub b) e sub c): quanto al primo, infatti, non si comprende quali spunti ermeneutici possa fornire (se non de jure condendo) un disegno di legge (peraltro, a quanto consta, abbandonato da tempo); quanto al secondo, esso si atteggia come una petizione di principio, la quale, fra l’altro, mostra di non tener conto delle notevoli differenze esistenti fra trust e fondo patrimoniale (68).

3.5. La dottrina italiana successiva all’intervento della giurisprudenza
   Neppure l’emissione delle sei decisioni giudiziarie di cui si è detto al § 3.4 appare aver destato la dottrina italiana dal suo torpore relativamente alla problematica in oggetto: a parte casi del tutto isolati (69), infatti, gli autori che hanno avuto modo di commentare tali decisioni hanno speso ben poche parole su tale questione e si sono concentrati su quella (parimenti oggetto di tali decisioni) della trascrivibilità dei trusts (70).
   Solo due autori, a quanto consta, hanno tentato di supportare di idonee motivazioni la tesi dell’applicabilità della Convenzione ai trusts autodichiarati.
Il primo autore (71), che già in precedenti contributi aveva aderito (sia pur non senza dubbi) alla tesi in questione (72), ha così argomentato:
   a) poiché il trust autodichiarato corrisponde al nostro negozio fiduciario statico e quest’ultimo è ammesso dalla giurisprudenza (73), ne discende che detto tipo di trust (null’altro essendo che una fiducia statica prevista e regolata da una legge straniera) può trovare applicazione in Italia a prescindere da quella che debba ritenersi la portata applicativa della Convenzione;
   b) poiché la nozione di trust contenuta nel primo paragrafo dell’art. 2 della Convenzione è assai ampia (74), in essa ben può farsi rientrare il tipo di trust in questione.
   Preme osservare che, se l’affermazione sub a) pare non persuadere del tutto, in quanto trust statico e fiducia statica sono assimilabili ma non identificabili (75), quella sub b) risulta del tutto condivisibile.
   Il secondo autore (76), dopo aver da un lato escluso che la soluzione favorevole al trust statico possa fondarsi sull’ultimo paragrafo dell’art. 2 (77), dall’altro osservato che parrebbero a prima vista far propendere per la soluzione negativa sia il dettato del paragrafo primo dell’art. 2 (che parrebbe postulare l’alterità soggettiva fra disponente e trustee), sia l’andamento dei lavori preparatori, finisce comunque per optare per la soluzione positiva facendo essenzialmente leva sull’argomento secondo il quale la Convenzione concentrerebbe la sua attenzione non tanto sulle modalità costitutive di un trust, quanto sugli effetti giuridici del medesimo (78).
   A dire dell’autore, ciò emergerebbe da varie norme della Convenzione, quali gli artt. 2 paragrafo secondo e 11 (che individuano gli effetti del trust), l’art. 4 (che, escludendo dall’ambito applicativo della Convenzione le questioni attinenti al conferimento in trust, mostrerebbe l’interesse di essa per la situazione successiva all’istituzione del trust stesso), l’art. 8 (che individua gli aspetti del rapporto giuridico avente fonte nel trust disciplinati dalla legge regolatrice di esso) e l’art. 20 (che, consentendo agli Stati aderenti di estendere la Convenzione anche a trust diversi da quelli espressamente istituiti di cui all’art. 3 e come tali privi di un soggetto disponente, cioè ai constructive e resulting trust, mostrerebbe una volta di più l’interesse di essa per il rapporto giuridico di trust piuttosto che per le sue modalità istitutive).
   La tesi dell’autore in esame non appare però convincente, poiché se è indubitabile che, all’interno della Convenzione, vi siano numerose norme dedicate agli effetti giuridici del trust, non si può certo trascurare il fatto che essa contiene, altresì, una norma (appunto l’art. 2 paragrafo primo) che fornisce la nozione convenzionale di trust e che, letta in correlazione all’art. 3, pone a monte il preliminare problema ermeneutico dell’includibilità o meno, nell’ambito applicativo della Convenzione, dei trusts espressamente istituiti nei quali disponente e trustee siano la stessa persona.
   La particolare importanza dell’art. 2 si evince altresì dal fatto che, com’è stato osservato (79), esso è norma insolita rispetto agli schemi usuali adottati per le Convenzioni di diritto internazionale - con particolare riguardo a quelle di L’Aja – in quanto in esse viene di solito evitata qualunque definizione dell’istituto cui devono applicarsi.

3.6. La tesi proposta
   Dall’analisi che precede dovrebbe essere emerso con chiarezza che, pur essendovi fra i delegati in seno alla Conferenza di L’Aja un assai diffuso orientamento volto ad includere i trusts autodichiarati nell’ambito applicativo della Convenzione, non si è addivenuti all’approvazione di un testo normativo (mi riferisco all’art. 2 paragrafo primo) formulato in modo da rispecchiare in modo inequivoco detto orientamento (80).
   Sembra possibile escludere, però, che ciò sia accaduto perché ha finito per prevalere, in sede di lavori preparatori, un orientamento contrario all’inclusione di siffatti trusts nell’ambito convenzionale.
   Riterrei pertanto corretta (81) la tesi che include tali trusts nella Convenzione, alla luce delle seguenti argomentazioni:
   a) L’art. 2 paragrafo primo, là dove parla di un “disponente” e di un “trustee”, non postula affatto che costoro debbano essere soggetti distinti, ma si limita ad affermare che, per aversi un trust ai sensi della Convenzione, occorre una fattispecie in cui qualcuno svolge il ruolo di disponente e qualcuno (non necessariamente qualcun altro) svolge il ruolo di trustee (82).
   b) L’art. 2 paragrafo primo, che nel testo definitivo parla di “controllo” sui beni da parte del trustee (invece che di beni “trasferiti a o trattenuti da” un trustee, come accadeva in una precedente versione di tale norma), introduce una nozione convenzionale di trust più ampia di quella propria del modello tradizionale anglosassone, al punto che la tesi prevalente include nella stessa anche le cosiddette trust-like institutions (83).
   Ne discende che, a fortori, in detta lata nozione di “controllo” non può non rientrare anche il trust autodichiarato, che è tipologia di trust rientrante in detto modello tradizionale (84).
Riterrei, altresì, che siano invece prive di attinenza con il tema in questione due ulteriori norme della Convenzione, cioè l’art. 2 ultimo paragrafo e l’art. 4.
   Quanto alla prima norma, infatti, essa si limita ad affermare che non può escludersi la validità di un trust in cui il trustee sia altresì beneficiario ovvero in cui il disponente si riservi, nell’atto istitutivo, una serie di “rights and powers”, e tanto la prima quanto la seconda situazione nulla hanno a che fare con quella in cui il disponente sia, altresì, trustee (85).
   Quanto alla seconda norma, si è visto (86) che essa mira semplicemente ad escludere dall’ambito applicativo della Convenzione (per sottoporlo alle regole di conflitto del foro) il solo negozio dispositivo, e non anche l’atto istitutivo di un trust (al quale invece, naturalmente, la Convenzione si applica, ex art. 2 paragrafo primo).
   Si è visto altresì (87) che, pur essendovi fra i delegati in seno alla Conferenza di L’Aja un assai diffuso orientamento volto ad includere nella previsione dell’art. 4 anche il negozio dispositivo proprio dei trusts autodichiarati, anche in questo caso non si è addivenuti all’approvazione di un testo normativo inequivoco in tal senso: la lettera dell’art. 4, infatti, fa espresso riferimento al solo negozio dispositivo implicante “trasferimento” di beni al trustee.
   Come nel caso dell’art. 2 paragrafo primo, però, sembra possibile escludere che ciò sia accaduto perché ha finito per prevalere, in sede di lavori preparatori, un orientamento contrario all’inclusione nell’art. 4 del negozio dispositivo di siffatti trusts.
   L’ambiguità dell’art. 4, però, in questo caso nuoce all’interprete assai meno di quanto accade per quella dell’art. 2 paragrafo primo: ciò in quanto, quale che sia la lettura dell’art. 4 che, con riferimento al trust autodichiarato, si intenda dare, pare indubitabile che detta norma non abbia alcuna attinenza con il tema oggetto di questo scritto.
   Se, infatti, si opta per la tesi secondo la quale anche nel trust autodichiarato vi è un negozio lato sensu dispositivo (come parrebbe preferibile, considerato che il disponente-trustee, pur non trasferendo i suoi beni, crea un vincolo su di essi( (88), ne discende l’applicabilità dell’art. 4 (a dispetto del suo tenore letterale) a quest’ultimo negozio: ciò significa – si badi - che, ferma la riconoscibilità di detto trust autodichiarato in base all’art. 2 paragrafo primo, il suo negozio dispositivo sarà soggetto alle regole di conflitto del foro.
   In tale ottica, quindi, se ad esempio Tizio autodichiara un trust interno immobiliare, i profili di validità formale e sostanziale dell’atto dispositivo (che è fonte, pur in assenza di un trasferimento, del vincolo di destinazione) sono estranei all’ambito applicativo della Convenzione in quanto, ex art. 4, sono regolati dalle norme italiane: ciò significa che il disponente dev’essere capace secondo la legge italiana e che occorre un atto scritto ad substantiam (e non semplicemente una prova scritta dell’istituzione del trust, come prevede la legge inglese e come consentirebbe, in assenza di una norma come il nostro art. 1350 cod. civ., anche l’art. 3 della Convenzione) (89).
   Se invece si opta per la tesi restrittiva secondo la quale, mancando nel trust autodichiarato un negozio dispositivo implicante un trasferimento, l’art. 4 non è applicabile ad un trust siffatto (90), resta comunque ferma l’applicabilità al medesimo della Convenzione in base all’art. 2 paragrafo primo.

Note

   (1) Lo scritto sarà pubblicato nella rivista Trust e attività fiduciarie.

   (2) Gli inglesi parlano al riguardo di declaration of trust.

   (3) Trattasi, in ordine di tempo, di Trib. Pisa (decr.) 22 dicembre 2001 in questa Rivista 2002, 241 nonché in Riv. Not. , 2002, 188 (per commenti su questa vicenda Cfr. M. Lupoi, nota senza titolo a Trib. Pisa cit., Riv. Not. 2002, 192; R. Siclari, Il trust interno tra vecchie questioni e nuove prospettive: il trust statico, Vita Not. 2002, 727; M. L. Mingrone, La giurisprudenza italiana sui trusts: un ulteriore passo verso il riconoscimento dell’istituto, in questa Rivista 2003, 381; D. Muritano, Trust autodichiarato per provvedere ad un fratello con handicap, in questa Rivista 2003, 473; P. Manes, Trust e art. 2740 c.c.: un problema finalmente risolto, Contr. e impr., 2002, 570); Trib. Milano (decr. ) 8-29 ottobre 2002 in questa Rivista 2003, 270 (per commenti su questa vicenda Cfr. F. Steidl, Trust autodichiarati: percorsi diversi della trascrivibilità, in questa Rivista 2003, 376; L. Monti, Trust unilaterale e trascrizione, in questa Rivista 2003, 480); Trib. Verona (decr. ) 8 gennaio 2003 in questa Rivista 2003, 409 (per commenti su questa vicenda Cfr. F. Steidl, Trust autodichiarati, cit. in questa nota e L. Monti, Trust unilaterale, cit. in questa nota); Trib. Napoli (decr.) 1° ottobre 2003, in questa Rivista 2004, 74 (per commenti su questa vicenda Cfr. M. Lupoi, Osservazioni su due recenti pronunce in tema di trust, Riv. Not. 2004, 568); Trib. Parma (decr. ) 21 ottobre 2003, in questa Rivista 2004, 73 (per commenti su questa vicenda Cfr. M. Lupoi, Osservazioni, cit. in questa nota); App. Napoli (decr.) 27 maggio 2004 (che ha confermato Trib. Napoli 1° ottobre 2003, cit. ed è in corso di pubblicazione in questa Rivista, 2004). Sulle sei decisioni ora citate ci si soffermerà più ampiamente nel § 3. 4.

   (4) Trattasi di Trib. Pisa (decr. ) 22 dicembre 2001 [supra nota 3]; Trib. Milano (decr.) 8-29 ottobre 2002 [supra nota 3]; Trib. Verona (decr. ) 8 gennaio 2003 [supra nota 3]; Trib. Parma (decr. ) 21 ottobre 2003 [supra, nota 3]. Occorre però sottolineare che, a ben guardare, l’unica decisione effettivamente contraria al trust autodichiarato è (come meglio si evidenzia nel § 3. 4) Trib. Napoli (decr. ) 1° ottobre 2003 [supra, nota 3], in quanto App. Napoli (decr. ) 27 maggio 2004 [supra, nota 3] ha ritenuto non trascrivibile un trust autodichiarato facendo leva non già sull’inammissibilità di detta figura (il decisum, infatti, non si sofferma sul punto in alcun modo), bensì sull’inammissibilità della trascrizione del trust tout-court alla luce di un preteso principio di tassatività delle ipotesi di atti trascrivibili (principio quest’ultimo – com’è noto – tutt’altro che pacifico: Cfr. successiva nota 58).

   (5) Non è invece possibile trattare in questa sede il tema del raffronto fra trust e negozio fiduciario, con particolare riferimento alla cosiddetta fiducia statica, la quale, com’è noto, presenta forti affinità con il trust autodichiarato (sul rapporto fra quest’ultimo ed il negozio fiduciario Cfr. per tutti in dottrina M. Lupoi, Trusts, Milano 2001, 728 ss. ; S. Bartoli, Il trust, Milano 2001, 361 ss.).

   (6) Il punto è pacifico: Cfr. per tutti A. Underhill-D. J. Hayton, Law relating to Trusts and Trustees, Londra-Dublino-Edimburgo 2003, 144).

   (7) Cfr. M. Lupoi, Trusts [supra, nota 5], 160; M. Graziadei, Diritti nell’interesse altrui, Trento 1995, 248-249; S. Bartoli, Il Trust [supra, nota 5], 67-68.

   (8) Trattasi della sentenza Ex Parte Pye (1811) 18 VES 140, sulla quale si vedano gli autori ed i luoghi citati alla precedente nota 7.

   (9) Cfr. infatti sect. 53 (1)(b) del Law of Property Act 1925. Nel testo si è volutamente evitato di parlare di forma scritta ad probationem, onde evitare fuorvianti assimilazioni con nostri concetti civilistici.

   (10) La decisione Richards v Delbridge (1874) LR 18 Eq 11 distingue, infatti, fra espressioni tipo “I give and make over this property to you”, le quali manifestano la volontà di effettuare una semplice donazione, ed espressioni tipo “I undertake to hold this property for you”, le quali invece manifestano la volontà di istituire un trust autodichiarato. Quale esempio di trust in cui disponente e trustee coincidono è stato ad esempio citato (Cfr. A. Underhill-D. J. Hayton, Law relating [supra, nota 6], 146) quello di cui alla sentenza Paul v. Constance (1977) 1 AELR 195: un uomo che aveva depositato del denaro in un proprio personale conto bancario, aveva però autorizzato la propria convivente a prelevarne delle somme, a più riprese dicendole che ella poteva considerarlo come denaro di entrambi (“the money is as much yours as mine”). Altro noto esempio è costituito dal cosiddetto Totten trust, sul quale si vedano M. Lupoi, Trusts [supra, nota 5], 653-654; V. Bertorello, Il Totten Trust, in questa Rivista 2002, 399; S. Bartoli, Il trust ed il divieto dei patti successori, con particolare riguardo al cosiddetto TottenTrust, in questa Rivista 2002, 207.

   (11) Nel trust autodichiarato, come nel trust testamentario, è particolarmente evidente la natura unilaterale del negozio istitutivo del trust, che dev’essere però sottolineata anche per i trust caratterizzati dal trasferimento di beni dal disponente ad un trustee. Sulle ragioni dell’unilateralità del trust Cfr. M. Lupoi, Riflessioni comparatistiche sui trusts, Eur. e dir. priv. , 1998,425 ss; S. Bartoli, Il trust [supra, nota 5], 117 ss.

   (12) Cfr. A. Underhill-D. J. Hayton, Law relating [supra, nota 6], 145.

   (13) Così è accaduto in Re Cozens (1913) 2 Ch 478.

   (14) Così è accaduto in Midland Bank plc v Wyatt (1995) 1 FLR 697, nonché in questa Rivista 2003, 299.

   (15) Cfr. M. Lupoi, Trusts [supra, nota 5], 502 e 503; S. Bartoli, Il Trust [supra, nota 5], 513.

   (16) Ciò, del resto, in perfetta aderenza con quanto riportato nel preambolo della Convenzione, il quale si riferisce al trust come istituzione tipica creata dalle giurisdizioni di equity nei paesi di common law (Cfr. G. Contaldi, Il trust nel diritto internazionale privato italiano, Milano 2001, 57).

   (17) Lo ammettono M. Lupoi, Trusts [supra, nota 5], 504 ed ivi nota 68; S. Bartoli, Il Trust [supra, nota 5], 513.

   (18) Cfr. A. E. Von Overbeck, Report of the Special Commission, in Hague Conference on private international law. Proceedings of the 15th Session, II, La Haye, 1985, 180-181, che in relazione all’art. 4 paragrafo primo della bozza provvisoria della Convenzione (corrispondente, appunto, all’art. 2 della versione definitiva) afferma: “This provision gives the definition as such of the trust by setting out the three elements considered in English and American doctrine to be essential that there be a trust: property, a trustee and beneficiaries. At the request of experts from the civil law countries, the settlor has also been mentioned”.

   (19) Detta spiegazione ufficiale (reperibile in A. E. Von Overbeck, Report of the Special Commission, in Hague Conference [supra, nota 18], n°30; Id. , Explanatory Report, in Hague Conference [supra, nota 18], 381) afferma che il “trasferimento dei beni al trustee” è stato sostituito con il “controllo dei beni da parte del trustee” non già perché non lo si ritenesse essenziale per la configurabilità di un trust, bensì perché tutto ciò che riguarda il trasferimento al trustee è, come risulta dall’art. 4 della Convenzione (sul quale si tornerà nel successivo § 3. 2), estraneo all’ambito applicativo della stessa. Com’è stato osservato (Cfr. M. Lupoi, Trusts [supra, nota 5], nota 57 a p. 502), però, tale motivazione non convince affatto, in quanto, essendo compito dell’art. 2 della Convenzione semplicemente quello di fornire una definizione di trust, esso ben avrebbe potuto menzionare il trasferimento dei beni al trustee.

   (20) Si veda ad esempio quanto dichiarato dal delegato statunitense Trautman in Hague Conference [supra, nota 18], 238: “the wording “place under control of”…might be better understood by the civil law countries”.

   (21) Ne appare chiaro indice quanto affermato, nel corso dei lavori, sia dal Segretariato del Commonwealth (ad avviso del quale il testo convenzionale “repeatedly stresses a transfer of assets” tanto nell’art. 2 paragrafo primo, che parla di “controllo”, quanto nell’art. 4, che parla di “trasferimento”), sia dal delegato statunitense Trautman (per il quale “there was no difference between transfer and place under the control of, because conceptually there is a transfer when there is a declaration of trust”): Cfr. Hague Conference [supra, nota 18], rispettivamente 214 e 238.

   (22) Si veda infatti la precedente nota 16.

   (23) Sul punto, pertanto, Cfr. per tutti M. Lupoi, Trusts [supra, nota 5],491 ss. , il quale qualifica il trust delineato dalla norma convenzionale come “trust amorfo” (shapeless trust); S. Bartoli, Il Trust [supra, nota 5], 508 ss. L’estendibilità della Convenzione alle trust-like institutions, come si vedrà al § 3. 6, costituisce, fra l’altro, argomento a favore dell’applicabilità di essa, a fortiori, ai trusts autodichiarati.

   (24) Norma corrispondente all’art. 4 paragrafo quarto della bozza provvisoria della Convenzione.

   (25) Si precisa che si è fatto uso della traduzione non ufficiale della norma proposta dall’Associazione “Il Trust in Italia” (reperibile ad esempio in Aa. Vv. , Introduzione ai trust e profili applicativi tra dottrina, prassi e giurisprudenza, a cura di S. Buttà, Milano 2002, 209 ss. ), che è in linea con la traduzione ufficiale in lingua inglese (che parla di “rights and powers”) ed appare da preferirsi alla traduzione non ufficiale ministeriale, che usa l’assai più generico termine “prerogative” (sia pure in linea con la versione ufficiale in lingua francese, che parla appunto di “prérogatives”).

   (26) Cfr. ad esempio le osservazioni del Segretariato dei Paesi del Commonwealth reperibili in Hague Conference [supra, nota 18], 214 (per le quali la norma in esame prevede unicamente “that the settlor can reserve certain powers and can also be e a beneficiary; the case of the settlor/trustee is not expressly stated”), ovvero quelle di A. E. Von Overbeck, Explanatory Report, in Hague Conference [supra, nota 18], 380 (il quale, dopo aver evidenziato che in base alla norma in esame “the roles of the different persons involved may be mingled”, in relazione alla figura del disponente si limita ad affermare che egli “may still retain for himself certain decisions”, con ciò – parrebbe - implicitamente escludendo qualunque riferibilità al trust autodichiarato di detta porzione dell’art. 2). Non a caso la delegazione Canadese aveva proposto, ma senza successo, di modificare l’ultimo paragrafo dell’art. 2 nel modo che segue: “The creator of the trust, if he wishes, may retain a power or some powers for himself. He may be a trustee, and he may be a beneficiary” (Cfr. sul punto ancora le osservazioni del Segretariato dei Paesi del Commonwealth reperibili in Hague Conference [supra, nota 18], 214). Sull’argomento Cfr. altresì le note 54 e 77. Com’è noto, i “rights and powers” cui la norma in oggetto (nella sua versione ufficiale in lingua inglese: Cfr. nota 25) fa riferimento pongono la affatto diversa questione del discrimine fra trust valido e trust nullo per simulazione (sham trust), in quanto caratterizzato dalla mancanza di una vera e propria perdita del controllo sui beni da parte del disponente (Cfr. A. Underhill-D. J. Hayton, Law relating [supra, nota 6], 1017: “The final paragraph of article 2 indicates that…the reservation by the settlor of certain rights and powers is…permitted. The Convention does not say which rights they are. To the extent that the assets remain effectively under the control of the settlor, the trust should be treated as a sham trust”): su tale questione Cfr. S. Bartoli, Il trust [supra, nota 5], 198 ss. e bibliografia ivi citata.

   (27) Norma corrispondente all’art. 2 della bozza provvisoria della Convenzione. Per un commento all’art. 4 Cfr. M. Lupoi, Trusts [supra, nota 5], 518 ss. ; L. Fumagalli in Aa. Vv. , Convenzione relativa alla legge sui trusts ed al loro riconoscimento, a cura di A. Gambaro-A. Giardina-G. Ponzanelli, NLCC, 1993, 1238 ss. ; S. Bartoli, Il Trust [supra, nota 5], 524 ss.

   (28) Cfr. M. Lupoi, Trusts [supra, nota 5], 615 ss. e 759 ss. ; G. De Nova, Trust: negozio istitutivo e negozi dispositivi, in questa Rivista, 2000, 162 ss. ; S. Bartoli, Il Trust [supra, nota 5], 125 ss. In senso contrario, limitatamente all’ipotesi di trust autodichiarato, Cfr. recentemente R. Siclari, Il trust interno [supra, nota 3], 730-731.

   (29) La norma in esame appare pertanto presentare un evidente collegamento con l’art. 15 paragrafo primo lettere (c) e (d) della Convenzione, che sancisce il principio per cui le norme convenzionali non ostacolano l’operatività delle norme imperative fissate dalle regole di conflitto del foro in materia di testamenti e di trasferimento della proprietà.

   (30) Essa regolerà infatti, come risulta dall’art. 8 della Convenzione, la validità del(l’atto istitutivo del) trust, la sua interpretazione, i suoi effetti e la sua amministrazione. Quanto al profilo della validità dell’atto istitutivo, se è pacifico che nella previsione di detta norma rientrino le questioni di validità sostanziale, è discusso se vi rientrino altresì quelle di validità formale: la tesi prevalente (Cfr. A. Saravalle in Aa. Vv. , Convenzione relativa alla legge sui trusts [supra, nota 27], 1259-1260; M. Lupoi, Trusts [supra, nota 5], 520), in linea con il contenuto dei lavori preparatori, opta per la soluzione negativa (in senso contrario Cfr. ad esempio L. Fumagalli, La Convenzione dell’Aja sui trusts e il diritto internazionale privato, Dir. Comm. Internaz. 1992, 549 ss. ). Ove pertanto si opti per la tesi prevalente, le questioni di forma del negozio istitutivo dovranno esser risolte (analogamente a quanto accade, in base all’art. 4, per quelle concernenti il negozio dispositivo) alla luce delle norme internazionalprivatistiche dei singoli Stati. Per un commento all’art. 8 Cfr. A. Saravalle in Aa. Vv., Convenzione relativa alla legge sui trusts [supra, nota 27], 1257 ss. ; S. Bartoli, Il Trust [supra, nota 5], 540 ss.

   (31) “The law designated by the Convention applies only to the establishment of the trust itself, and not to the validity of the act by which the transfer of assets is carried out. This act is entirely governed by the law to which the conflicts rules of the forum submit it” (così A. E. Von Overbeck, Explanatory Report, in Hague Conference [supra, nota 18], 381).

   (32) “A transfer of assets to the trustee is a sine qua non condition for the creation of the trust” (così A. E. Von Overbeck, Explanatory Report, in Hague Conference [supra, nota 18], 381).

   (33) Lo rileva M. Lupoi, Trusts [supra, nota 5], nota 117 a p. 589.

   (34) “The word “preliminary” expresses the idea that the instrument of transfer, such as the will, pre-exists the trust” (così A. E. Von Overbeck, Explanatory Report, in Hague Conference [supra, nota 18], 382).

   (35) “Article 4 deals with the delimitation…of the Convention’s scope of application in respect of certain institutions to which resort must be had in order for a trust to spring into life and which give rise to legal operations which are distinct from the trust and preliminary to its inception…it is always necessary to have a launcher, for example a will, a gift or another act with legal effects, which then launches the rocket, the trust. The preliminary act with legal effects, the launcher, does not fall under the Convention’s coverage” (così A. E. Von Overbeck, Explanatory Report, in Hague Conference [supra, nota 18], 381).

   (36) L’utilizzo dell’aggettivo “preliminari” appare infatti fuori luogo, ove si consideri che il negozio dispositivo ben può esser contestuale ovvero successivo al negozio istitutivo (Cfr. M. Lupoi, Trusts [supra, nota 5], 519-520 e 589; S. Bartoli, Il Trust [supra, nota 5], 91). Non a caso, nel corso dei lavori preparatori taluni delegati (quello greco e quello statunitense: Cfr. Hague Conference [supra, nota 18], 238) ne proposero, sia pure senza successo, la soppressione. Quanto poi alle immagini della rampa di lancio e del razzo, è stato osservato (Cfr. M. Lupoi, Trusts [supra, nota 5], 518-519) che esse rischiano soltanto di ingenerare confusione, ove si ometta di tenere presente che nella “rampa di lancio” (cioè nell’ambito della fase genetica del trust) dovrebbero a rigore includersi sia il negozio istitutivo che quello dispositivo (che sono negozi autonomi, pur se eventualmente inseriti in un unitario contesto documentale, come ad esempio nel trust testamentario) e di considerare che l’art. 4 intende invece riferirsi solo a quest’ultimo, poiché per il primo dispone (assoggettandolo alla signoria della legge regolatrice del trust quale individuata dalla Convenzione) il successivo art. 8.

   (37) Trattasi del Working Document n° 2.

   (38) “Mr. Hayton (United Kingdom) declared that this Convention should not apply to the rocket launcher, the creation of trusts. It is the local law which applies to the rocket launcher. The idea…is generally reflected in article 2 (ora 4: Ndr), but this article is not wide enough in its operation. Most trusts are created by the transfer of assets from one person, the settlor, to another, the trustee, but the settlor can create a trust by declaring himself a trustee…Article 2 (ora 4: Ndr) will exclude the operation of the Convention in the first case, but not in the second. He pointed out that the proposal was intended to exclude the Convention in both cases. He said the proposal had been worded in such a way that it will fit in with article 4 (ora 2: Ndr). Thus it should cause no extra problem in drafting. The sole intention of the proposal was to exclude all items dealing with the creation of a trust either by transference of assets or in cases where the settlor declares himself the trustee” (così Hague Conference [supra, nota 18], 237). “Mr Trautman (United States)…realized that there is no difference between “transfer” and “place under the control of”, because conceptually there is a transfer when there is a declaration of trust. He would still argue for the wording“place under the control of”: firstly, it reiterated the language used in article 4 (ora 2: Ndr), and secondly, it might be better understood by the civil law countries” (così Hague Conference [supra, nota 18], 238).

   (39) Ciò è tanto vero che essa ricevette il voto favorevole di 23 delegati (fra cui quello italiano, il Prof. A. Gambaro), a fronte di tre soli voti contrari e di un’unica astensione (ciò risulta da Hague Conference [supra, nota 18], 239).

   (40) “The Fifteenth Session, having accepted this proposal, returned however in the end to the terms used in article 2 (ora 4: Ndr) of the preliminary draft” (così A. E. Von Overbeck, Explanatory Report, in Hague Conference [supra, nota 18], 382).

   (41) “It was thought on the one hand that this expressed rather clearly the idea that article 4 also applied to the declaration of trust, and on the other hand it was not desired to take up here the allusion to control which appears in a different perspective in article 2, first paragraph” (così A. E. Von Overbeck, Explanatory Report, in Hague Conference [supra, nota 18], 382). “La Commission avait adopté l’idée de remplacer le mot “transfert” par le mot “controle”, ceci afin de couvrir la “declaration of trust”. A la rèflexion, le Comité de redaction s’est rendu compte que ce terme n’exprimait pas mieux l’idée que le précédent. Il est meme plus clair de parler de transfert” (così Hague Conference [supra, nota 18], 320).

   (42) Trattasi del Working Document n° 60.

   (43) “Mr. Bennett (Australia) … and the other delegates joining this Working Document had found difficulty with the present formulation, which referred to “other acts by virtue of which assets are transferred to the trustee”. He noted that in civil law jurisdictions a settlor’s declaration of trust might be considered a transfer, but queried whether the same result would be reached in all common law jurisdictions. The common law delegations sought to avoid this problem by the formulation contained in Working Document n°60. Although a declaration of trust involved in some sense a transfer of equitable interest and a change in the manner in which this equitable interest was held, many common law lawyers would not understand a declaration of trust to be included within the term “transfer” of article 4. This point could be made clear in the Rapporteur’s Report, but the delegations proposing Working Document n°60 thought it better to make express reference in article 4” (così Hague Conference [supra, nota 18], 325).

   (44) “Mr Beraudo (France) déclare que le probléme dont il est question a été discuté pendant deux ans; il concerne la déclaration de trusts. Le Comité a considéré que les mots employés visaient le transfert juridique à soi-meme en un autre qualité juridique. Cette qualification a été acceptée par les deux juristes de common law et les membres du Secrétariat. Il pense qu’il faut désormais suspender les débats sur cette question” (così Hague Conference [supra, nota 18], 325).

   (45) Più precisamente, essa ricevette 6 voti contrari, 11 astensioni (fra cui quella italiana) e 10 voti favorevoli, ma non venne accolta per difetto della maggioranza assoluta (che era di 14 voti) richiesta per la riapertura della discussione sul punto (Cfr. Hague Conference [supra, nota 18], 325).

   (46) In sede di commento dell’art. 4, infatti, tale autore così si esprime: “The words “assets are transferred to the trustee” are completely clear when the settlor and the trustee are distinct persons. In contrast, one may doubt whether they cover the case of the declaration of trust…The Commission unanimously accepted that the acts by which this change in the capacity in which the assets were held was effectuated must also be envisaged by article 4 and therefore excluded from the Convention’s scope” (così A. E. Von Overbeck, Explanatory Report, in Hague Conference [supra, nota 18], 382).

   (47) Cfr. precedente nota 3.

   (48) Cfr. V. Salvatore, Il trust. Profili di diritto internazionale e comparato, Padova, 1996, 61.

   (49) Su queste modifiche della norma nel corso dei lavori preparatori si veda il § 3. 1.

   (50) È il caso di G. Gallizia, Trattamento tributario dell’atto dispositivo in un trust di beni immobili, in questa Rivista 2001, 148-149; N. Lipari, Fiducia statica e trusts in Aa. Vv. , I trusts in Italia oggi [supra, nota 5], 77. È anche il caso di G. Contaldi, Il trust nel diritto internazionale [supra, nota 16], 76-77, il quale, dopo aver ignorato il problema in sede di commento all’art. 2 della Convenzione, dà ad esso incidentalmente soluzione positiva quando passa al commento dell’art. 4: per l’autore infatti, mancando nel trust autodichiarato un atto dispositivo, da un lato va esclusa l’applicabilità ad esso dell’art. 4 (norma quest’ultima che, come si è visto al § 3. 2, deferisce alle norme di conflitto del foro il compito di disciplinare - appunto - il negozio dispositivo) e dall’altro occorre ritenere che l’unica disciplina di riferimento per un siffatto trust sia quella della Convenzione.

   (51) È il caso di A. De Donato-V. De Donato-M. D’Errico, Trust convenzionale. Lineamenti di teoria e pratica, Roma 1999, 191-193: ad avviso di tali autori, infatti, l’art. 2 sarebbe applicabile anche al trust autodichiarato in quanto, essendo il trust un soggetto di diritto, anche in tale ipotesi si verificherebbe un trasferimento - dal disponente, appunto, all’ente trust, di cui il disponente diverrebbe rappresentante organico - del bene.

   (52) Cfr. L. Fumagalli in Aa. Vv. , Convenzione relativa alla legge sui trusts [supra, nota 27], 1239; A. De Donato-V. De Donato-M. D’Errico, Trust convenzionale [supra, nota 51], 191-193.

   (53) Cfr. § 3. 1 in fine ed ivi nota 25.

   ( 54) Si è visto in precedenza, però, come l’argomento fondato sull’ultimo paragrafo dell’art. 2 non sia di sicura pertinenza: Cfr. § 3. 1 in fine ed ivi nota 26 nonché la nota 77.

   (55) Cfr. M. Lupoi, Trusts [supra, nota 5], 503-504 (identica l’opinione espressa dall’autore anche nella prima ediz. di tale opera: Cfr. Trusts, Milano 1997, 421). Nello stesso senso S. Bartoli, Il Trust [supra, nota 5], 513-514.

   (56) Cfr. § 3. 1 ed in particolare la nota 18.

   (57) Cfr. la precedente nota 3.

   (58) Sul problema della trascrivibilità dei trusts immobiliari (che tende ormai a ricevere soluzione positiva) Cfr. S. Bartoli, Il Trusts [supra, nota 5] 579 ss. e 796 ss. ; F. Steidl, Trusts autodichiarati [supra, nota 3]; R. Dogliotti, “La pubblicità del trust nel settore immobiliare”, in Aa. Vv. , “Il trust nel diritto delle persone e della famiglia”, a cura di M. Dogliotti ed A. Braun, Milano 2003, 47 ss. Si consulti altresì il sito web: www. il-trust-in-italia. it.

   (59) Cfr. la precedente nota 4, nella quale sono altresì esposte le ragioni per cui solo una delle due decisioni contrarie alla trascrizione del trust autodichiarato può ritenersi, altresì, contraria a tale tipologia di trust.

   (60) R. Siclari, Il trust interno [supra, nota 3], 744, parla al riguardo di “motivazione volutamente scarna e laconica”.

   (61) Trattasi, com’è noto, del Notaio Daniele Muritano di Empoli, che ringrazio di avermi fornito il reclamo in questione.

   (62) Cfr. la precedente nota 9.

   (63) Così anche R. Siclari, Il trust interno [supra, nota 3], 746.

   (64) “La legge 364/1989 di ratifica…della Convenzione…prevede espressamente (articolo 2) come debbano sussistere quanto meno due soggetti…: da un lato il costituente e dall’altro il trustee, con un limitatissimo potere di ingerenza del primo” (così Trib. Napoli 1. 10. 2003 [supra, nota 3]).

   (65) Reperibile in questa Rivista, 2000, 259 ss.

   (66) L’atto istitutivo affidava infatti al trustee, in particolare, il compito di erogare i redditi dal trust fund ai quattro figli della disponente per “coprire le spese per la frequenza a corsi di formazione, di frequenza scolastica, di frequenza universitaria e post-universitaria, di specializzazione, di educazione e formazione culturale, sportiva e ricreativa” (così riferisce la motivazione di Trib. Napoli 1. 10. 2003 [supra, nota 3]). Com’è stato evidenziato (Cfr. M. Lupoi, Osservazioni [supra, nota 3]), essendo l’atto in questione notevolmente carente a livello sia di tecnica redazionale sia (soprattutto) di giustificazione causale, non si può escludere che anche tali circostanze abbiano indotto il decidente a valutare negativamente il negozio.

   (67) Come si è visto nel § 3. 1.

   (68) Sul tema Cfr. M. Lupoi, Trusts [supra, nota 5], 624 ss. ; S. Bartoli, Il trust [supra, nota 5], 314 ss.; Id. , La conversione del fondo patrimoniale in trust”, in Aa. Vv. , Il trust nel diritto [supra, nota 58], 207 ss. ; M. L. Cenni, Trust e fondo patrimoniale, in Aa. Vv. , Il trust nel diritto [supra, nota 58], 111 ss.

   (69) Cfr. M. Lupoi, I trust nel diritto civile, Torino 2004, 259; Id. , Osservazioni [supra, nota 3]; R. Siclari, Il trust interno [supra, nota 3], spec. 743-749.

   (70) Il discorso vale per tutti i contributi citati alla nota 3, eccezion fatta per quello di R. Siclari e per quello di M. Lupoi citato per secondo. Più precisamente, tali contributi o forniscono motivazioni a dir poco stringate in ordine all’ammissibilità del trust autodichiarato (Cfr. D. Muritano, Trust autodichiarato [supra, nota 3], 474: “tale struttura di trust secondo taluno non era contemplata dalla Convenzione, anche se gli argomenti favorevoli alla sua ricomprensione sono indubbiamente maggiori di quelli contrari”; P. Manes, Trust e art. 2740 cc [supra, nota 3], 571: “il caso esaminato dalla corte toscana riguarda un particolare atto istitutivo di trust, nel quale, come ben possibile, è lo stesso soggetto che unilateralmente si dichiara trustee di propri beni”; F. Steidl, Trust autodichiarati [supra, nota 3], 376: “Un simile trust appartiene senza ombra di dubbio ad una delle tipologie conosciute dalla legge regolatrice, nella specie quella inglese…Non vi è quindi questione sulla validità del trust secondo la legge regolatrice”), ovvero non spendono parola alcuna sull’argomento (Cfr. M. Lupoi, nota senza titolo [supra, nota 3]; L. Monti, Trust unilaterale [supra, nota 3]; M. L. Mingrone, La giurisprudenza italiana [supra, nota 3]).

   (71) Cfr. M. Lupoi, I trust nel diritto civile [supra, nota 68], 259, Id. , Osservazioni [supra, nota 3].

   (72) Si veda la precedente nota 55.

   (73) Cfr. il leading case costituito da Cass. 3911/1975, Giur. It. , 1977, I, 1, 984 ss. e successivamente Cass. 4438/1982 inedita; Cass. 5663/1988, Foro It. , 1989, I, 101; Cass. 6024/1993, Giur. Comm. , 1994, II, 5-8.

(74) Si ricorderà, infatti, che detta norma afferma l’esistenza di un trust allorché il trustee abbia il “controllo” sui beni, senza cioè esigere che vi sia necessariamente un trasferimento di beni a costui: Cfr. il precedente § 3. 1.

   (75) Sul punto si rinvia ai contributi citati alla precedente nota 5.

   (76) Cfr. R. Siclari, Il trust interno [supra, nota 3], spec. 743-749.

   (77) Cfr. R. Siclari, Il trust interno [supra, nota 3], 747. Sul tema del rapporto fra trust statico ed ultimo paragrafo dell’art. 2 della Convenzione Cfr. altresì le precedenti note 26 e 54.

   (78) Cfr. R. Siclari, Il trust interno [supra, nota 3], 748.

   (79) Cfr. R. Luzzatto, Legge applicabile e “riconoscimento” di trusts secondo la Convenzione de L’Aja, in questa Rivista 2000, 11.

   (80) Sottolinea l’inadeguata formulazione della norma in questione rispetto agli intendimenti dei redattori anche una delle più autorevoli monografie straniere sui trusts di diritto inglese: Cfr. A. Underhill-D. J. Hayton, Law relating [supra, nota 6], 1015 (“Where a settlor declares himself as trustee…it is doubtful whether it can be said that “assets have been placed under the control of a trustee” within the meaning of article 2. This might suggest that declarations of trust are excluded from the Convention. However, there seems to be no reason why a declaration by the settlor of himself as trustee should be excluded”).

   (81) Supero in tal modo le perplessità a suo tempo espresse in S. Bartoli, Il trust [supra, nota 5], 513-514.

   (82) Per questo argomento Cfr. in particolare § 3. 1 nota 18 e § 3. 3 note 55 e 56.

   (83) Sul punto Cfr. § 3. 1 nota 23.

   (84) Per questo argomento Cfr. in particolare § 3. 5 nota 74.

   (85) Per questo argomento Cfr. in particolare § 3. 1 note da 24 a 26 e § 3. 5 nota 77.

   (86) Cfr. § 3. 2.

   (87) Cfr. § 3. 2.

   (88) Su questa linea ermeneutica Cfr. le precedenti note da 37 a 45, nonché A. Underhill-D. J. Hayton, Law relating [supra, nota 6], 1026 (“Where the settlor declares himself trustee of property, matters are less certain. Although there will be no transfer of legal title, there will still be the passing of a right from the would-be settlor, namely the right to the beneficial interest in the property”).

   (89) Cfr. precedente nota 9.

   (90) Per questo minoritario orientamento Cfr. ad esempio J. Mowbray-L. Tucker-N. Le Poidevin-E. Simpson, Lewin on Trusts, Londra, 2000, 288 (“As there is no transfer of legal title, there is no preliminary issue to be decided about any transfer”); G. Contaldi, Il trust nel diritto internazionale [supra, nota 16], 76-77. Sull’opinione di quest’ultimo autore v. altresì la precedente nota 50.

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