il diritto commerciale d’oggi
    IV.3 – marzo 2005

STUDÎ & COMMENTI

 

PAOLO FERRO-LUZZI
Sui quorum delle assemblee degli azionisti di risparmio *

 

   1-. Mi viene ricordato che l’art. 146, comma 3, del d. lgs. n. 58/98, T.U.F. disciplina i “quorum” deliberativi dell’assemblea degli azionisti di risparmio, prevedendo: «In deroga all’art. 2376, secondo comma, del codice civile, l’assemblea, salvo i casi previsti dal comma 1, lettere b, e d, delibera in prima e seconda convocazione col voto favorevole di tante azioni che rappresentino rispettivamente almeno il venti ed il dieci per cento delle azioni in circolazione; in terza convocazione l’assemblea delibera a maggioranza dei presenti, qualunque sia la parte di capitale rappresentata dai soci intervenuti. Si applica l’art. 2416 del codice civile».
   1.1-. Appunto in relazione all’ipotesi di cui all’art. 146, comma 1, let. b, T.U.F., mi viene domandato se il requisito dell’approvazione da parte di almeno il 20% del capitale della categoria sia esclusivo, o si cumuli a quello dell’approvazione da parte di almeno 2/3 del capitale rappresentato nella riunione.

   2-. Se pure il testo dell’art. 146, T.U.F. non sia preclaro esempio di tecnica legislativa, a me pare ragionevole ritenere che il requisito del: «… voto favorevole di tante azioni che rappresentino almeno il venti per cento delle azioni della categoria» (v. art. 146, comma 1, let. b,), non si cumuli con quello dell’approvazione: «di almeno due terzi del capitale rappresentato in assemblea…», richiesto, per il rinvio disposto in sede generale alle: «disposizioni relative alle assemblee straordinarie» per le assemblee speciali delle diverse categorie di azioni, dall’art. 2376, comma 2, c.c.. In altri termini: mi par chiaro che il venti per cento previsto dall’art. 146, comma 1, let. b, T.U.F., sia autonomo “quorum” deliberativo, assorbendo, per così dire, il “quorum” costitutivo, o meglio costituendo ad un tempo l’uno e l’altro “quorum” per l’assemblea speciale che interessa.

   3-. Plurime e convergenti le ragioni di tale convinzione.
   È necessario, innanzi tutto, soffermarsi sulla formulazione dell’art. 146, comma 3, T.U.F., formulazione alquanto contorta; in effetti:
   – il comma 1 elenca le materie di competenza dell’assemblea “speciale” degli azionisti di risparmio (l’articolo in esame fa parte della Sezione IV, del Capo II, del Titolo III del T.U.F., dedicato appunto alle “Azioni di risparmio”), ma in due casi, appunto le lett. b e d, viene determinato anche il “quorum” deliberativo, se propriamente di “quorum” può parlarsi, affermando la necessità del: «voto favorevole di tante azioni che rappresentino almeno il venti per cento delle azioni della categoria»;
   – il comma 3 (ricordato sopra, v. 1-.) è in principio formulato come eccezione (esordisce infatti con l’espressione: «In deroga…») alla disciplina codicistica dell’art. 2376, comma 2, c.c. (ricordato sopra, v. 2-.), e dispone per le deliberazioni dell’assemblea speciale degli azionisti di risparmio “quorum” di voto del venti e del dieci per cento in prima e seconda convocazione «delle azioni in circolazione» (espressione formalmente diversa da quella usata al comma 1 per i casi nei quali, per le materie di competenza dell’assemblea degli azionisti di risparmio è anche indicato un “quorum” di voto, posto che in tal caso si parla di «di azioni della categoria», ma sul punto non ci si può soffermare); in terza convocazione, invece, basta il voto favorevole: «della maggioranza dei presenti». All’eccezione, ripeto per come è formulata la norma, alla disciplina codicistica è posta un’eccezione: «salvo i casi previsti dal comma 1, lettere b e d,».
   È verosimilmente per questo modo contorto di legiferare che sorge il dubbio per cui è quesito, e cioè che alle assemblee speciali degli azionisti di risparmio per l’argomento che interessa, pregiudizio dei diritti di categoria, si applichi il “quorum” di voto di cui all’art. 146, comma 1, let. b, nonché il quorum previsto in sede generale, “quorum” che per il rinvio disposto dall’art. 2376, comma 2, c.c. (v. 2-.) finisce per essere quello dei: «due terzi del capitale rappresentato in assemblea», previsto per le assemblee straordinarie delle società quotate dall’art. 126, comma 4, T.U.F..
   3.1-. Non è il caso, né la sede, per tentare di comprendere le ragioni di una tale “contorta” tecnica legislativa; ritengo invece opportuno individuare, allora sul piano sistematico, la ragione, e dunque anche la più esatta portata, della particolare disciplina delle “assemblee speciali” degli azionisti di risparmio dettata dall’art. 146, T.U.F..
   Sinteticamente, osservo allora:
   a) che in sede codicistica la disciplina delle assemblee speciali, art. 2376, c.c., è dettata per l’ipotesi di esistenza di «diverse categorie di azioni» (diverse dalle azioni ordinarie, si intende), e con riferimento specifico, se pur a rigore forse non esclusivo, all’ipotesi di cui al comma 1, e cioè alla necessità di approvazione da parte dell’assemblea «speciale dei soci della categoria interessata» delle deliberazioni dell’assemblea “generale” che pregiudichino i diritti di una di queste “diverse” categorie;
   b) si comprende così il rinvio alla disciplina delle assemblee straordinarie, disposto dal comma 2, per la disciplina di queste assemblee speciali, dato che le assemblee straordinarie hanno tipicamente per oggetto le “basi essenziali” (uso l’ordine concettuale del Codice del 1942) del rapporto sociale (v. art. 2365, c.c., ante Riforma), e, quand’anche necessarie per la sopravvivenza della società (talora variazioni del capitale) richiedono un forte consenso della compagine sociale (vedi art. 2369, ante Riforma, in particolare comma 2, ed ivi il diverso trattamento dell’assemblea ordinaria);
   c) le azioni di risparmio, sconosciute al sistema del Codice del 1942, presentano problematiche particolari, diverse, ed in larga parte estranee a quelle a base della disciplina codicistica delle assemblee speciali, per la natura di queste azioni, per il contenuto dei diritti che attribuiscono, nonché per poter essere, e normalmente essere, al portatore;
   d) si comprende così perché nella sede propria della disciplina di tali azioni (almeno sino alla Riforma) si sia prevista una assemblea dei portatori, la sua competenza specifica (v. appunto art. 146, T.U.F.) e i “quorum” di votazione;
e) meno si comprende perché, acriticamente ed in fondo inutilmente, si sia voluto richiamare in principio l’istituto delle “assemblee speciali” codicistico (v. la rubrica stessa dell’art. 146, T.U.F. “Assemblee speciali”), e così ritenere, postulare applicabile l’art. 2376, c.c., senza avvertire che in realtà gli argomenti di competenza dell’assemblea degli azionisti di risparmio sono in massima parte (tranne appunto quelli previsti dalle lett. b e d del comma 1, dell’art. 146, comma 1, T.U.F.) del tutto estranei ai temi in principio propri delle assemblee speciali nel Codice Civile, nonché ai temi di competenza propria dell’assemblea straordinaria, essendo spesso di rilevanza ben minore (si pensi alla nomina ed alla revoca del rappresentante comune);
   f) diviene così evidente che, in maniera ripeto acritica, postulando una sorta di dipendenza del T.U.F. rispetto al Codice Civile, e ritenendo così in principio applicabile quest’ultimo, si è sentita la necessità per la disciplina di principio (quella contenuta all’art. 146, comma 3) di affermare che essa è in deroga al Codice Civile.
   Io ritengo che ad una lettura sistematica della normativa propria delle azioni di risparmio emerga chiaramente come la disciplina dell’art. 146 T.U.F. sia una disciplina autonoma e autosufficiente, non in principio derogatoria nel senso sopra indicato, e che pertanto il “quorum” previsto al comma 1 per gli argomenti di cui alle lett. b e d sia autosufficiente.
   Sotto altro aspetto, devo poi rilevare che stabilire una maggioranza del 20%, e poi in aggiunta una maggioranza dei 2/3 dei presenti in assemblea, significa postulare una forte presenza in assemblea, presenza che invece è appunto uno dei problemi rilevanti per la disciplina delle azioni di risparmio (v. e,).

   Riassumendo e concludendo:
   a) che in sede codicistica per le assemblee speciali, soprattutto in considerazione dello specifico oggetto per cui sono in via diretta previste (ho perplessità sulla possibilità di assemblee speciali su altri argomenti), si sia previsto un rinvio alla disciplina delle assemblee straordinarie è perfettamente concepibile;
   b) che per le assemblee straordinarie (e qui mi riferisco soprattutto alla disciplina particolare delle società quotate) si stabilisca una disciplina che fa perno su una certa partecipazione all’assemblea e comunque su una certa quantità di voti, atteso il loro oggetto, è ancora perfettamente concepibile;
   c) che le assemblee dei portatori delle azioni di risparmio debbano considerarsi “a priori” assemblee speciali, e quindi sottoposte in principio alla disciplina delle assemblee straordinarie, è frutto di una del tutto acritica impostazione, derivata soprattutto da una presunta superiorità del Codice Civile sul T.U.F.;
   d) che le assemblee dei portatori di azioni di risparmio debbano occuparsi anche di argomenti che di per sé sarebbero di competenza dell’assemblea ordinaria, è sicuro;
   e) che allora si detti per queste assemblee una disciplina autonoma da quella delle assemblee straordinarie, disciplina che al limite prevede una possibilità di deliberazione analoga a quelle delle assemblee ordinarie in seconda convocazione, è perfettamente comprensibile e logico;
   f) che una particolare “quantità” di voti fosse però necessaria per le deliberazioni delle assemblee degli azionisti di risparmio, soprattutto per quelle che pregiudicano i diritti della categoria, cioè quelle che in sede di disciplina generale sarebbero sottoposte alla ricordata disciplina delle assemblee straordinarie, è ancora perfettamente concepibile;
   g) che dunque nulla suggerisce sul piano sistematico la presenza del doppio quorum nel caso in esame;
   h) che infine nulla vieta, anche a livello esegetico, di interpretare l’art. 146, comma 3, riferendo l’inciso «salvo i casi previsti dal comma 1, lettere b e d,», alla successiva parte della disposizione, cioè: «delibera…», anziché alla parte precedente: «In deroga…». Essendo l’espressione, ripeto parlo sul piano esegetico, contenuta fra due virgole, è dunque possibile connetterla alla precedente o alla successiva, onde essenziale diviene l’argomento sistematico che ho esposto.

* Parere pro veritate

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