il diritto commerciale d’oggi
    IV.12 – dicembre 2005

GIURISPRUDENZA

 

TRIBUNALE PARMA, ordin. 18 novembre 2005 – Giud. Sinisi; Parmalat s.p.a. in ammin. straord. c. HSBC Bank plc
    Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347 (che consente di esercitare l’azione revocatoria fallimentare nelle procedure di amministrazione straordinaria pur in presenza di autorizzazione all’esecuzione del programma di ristrutturazione), in riferimento all’art. 3 Cost., in quanto le azioni revocatorie non sono consentite nell’analoga procedura di amministrazione straordinaria di cui al d. lgs. 8 luglio 1999, n. 270, e in riferimento all’art. 41 Cost., in quanto il risanamento dell’impresa mediante l’esperimento dell’azione revocatoria fallimentare costituisce un ingiustificato privilegio per l’impresa ammessa alla procedura.

 

(Omissis)
FATTO
   Con atto di citazione ritualmente notificato, PARMALAT s.p.a. esponeva che, con decreto del Ministro delle attività produttive del 24 dicembre 2003, era stata assoggettata alla procedura di Amministrazione straordinaria ex D.L. n. 347/2003 (conv. nella L. 39/2004) e D. Lgs. n. 270/1999; che con sentenza depositata il 27 dicembre 2003, l’intestato Tribunale aveva dichiarato l’insolvenza della società attrice, con estensione della procedura concorsuale a Parmalat Finanziaria s.p.a. ed a quasi tutte le altre società riconducibili alla famiglia Tanzi, ivi comprese quelle operanti nel settore turistico, la holding Coloniale S.p.A. e ad una trentina di concessionarie di distribuzione di prodotti Parmalat; che il “gruppo” Parmalat aveva intrattenuto un rapporto continuativo con HSBC Bank plc, uno dei principali operatori finanziari esistenti sul mercato internazionale, estrinsecatosi nella prestazione di un’ampia gamma di servizi bancari e finanziari, fra i quali rapporti di conto corrente bancario in euro e finanziamenti a breve; instava, quindi, per ottenere la revocatoria - ex art. 67, secondo comma, legge fall. - di rimesse in conto corrente, pagamenti di interessi e commissioni su conto corrente, rimborsi di finanziamento, eseguiti da Parmalat s.p.a. a favore della convenuta nel corso del periodo sospetto, per un importo indicato in complessivi € 2.286.577,79.
   Costituitasi ritualmente in giudizio, la HSBC, prima di scendere all’esame del merito, con riferimento all’elemento sia soggettivo che oggettivo della azione revocatoria, ha sollevato le eccezioni pregiudiziali di incostituzionalità e incompatibilità dell’art. 6 cit. legge 39 (c.d. Marzano), rispettivamente con gli artt. 3 e 41 della Costituzione e con i principi di concorrenza sanciti dagli articoli 3, 10, 82, 87 e 88 del Trattato CE.
   Ciò posto quanto alla natura delle difese rassegnate in atti dalle parti, osserva in diritto questo Giudice.

DIRITTO
Rilevanza della questione
   La rilevanza della questione di legittimità costituzionale è insita nella proposizione dell’azione revocatoria ex art. 67 legge fall., richiamato dall’art. 49 del D.lg. 270 pur in presenza di autorizzazione all’esecuzione del programma di ristrutturazione, possibilità concessa, appunto, dall’art. 6 D.L. 23 dicembre 2003, n. 347, conv. con mod. in L. 18 febbraio 2004, n. 39, e succ. modd., azione altrimenti non proponibile, come meglio si vedrà in seguito.
   In particolare, la parte attrice ha concluso chiedendo al Tribunale:
   «Nel merito:
   1. Revocare ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 67, comma 2, legge fallimentare, le rimesse affluite sul c/c n. 01080712-4 acceso da Parmalat S.p.A. presso la convenuta HSBC Bank plc Filiale di Milano, Piazzetta Bossi n. 1, per un importo complessivo di Euro 542.714,84 come meglio indicati al paragrafo 2.1 della narrativa.
   2. Revocare ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 67, comma 2, legge fallimentare gli interessi e le commissioni addebitati sul predetto conto nell’anno precedente l’ammissione della società attrice alla procedura di amministrazione straordinaria, per un importo complessivo di Euro 90.753,91 come meglio indicati al paragrafo 2.2 della narrativa.
   3. Revocare ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 67, comma 2, legge fallimentare il pagamento di complessivi Euro 1.653.109,04 a titolo di rimborso per capitale ed interessi dei finanziamenti eseguiti da Parmalat s.p.a. in favore di HSBC Bank plc, come meglio indicati al paragrafo 2.3 della narrativa.
   4. Per l’effetto dichiarare tenute e condannare la convenuta a pagare alla procedura di Amministrazione Straordinaria di Parmalat S.p.A. e per essa al suo Commissario Straordinario, Euro 2.286.577,79 ovvero il diverso, maggiore o minore importo che sarà ritenuto di giustizia, oltre interessi e maggior danno (che si indica come pari al tasso prime rate ABI, ovvero in subordine al tasso di rivalutazione monetaria Istat) dalla domanda al saldo».
   Parte convenuta:
   «- in via pregiudiziale, effettuare, sulla base di quanto esposto in narrativa, un’interpretazione dell’art. 6 della Legge 18 febbraio 2004 n. 39, come modificata dalla legge 5 luglio 2004 n. 166 (Legge Marzano) in conformità agli artt. 3 e 41 della Costituzione (limitando, quindi, l’ambito di applicazione dell’azione revocatoria di cui alla Legge Marzano esclusivamente alla fase dell’eventuale procedura di cessione dei beni aziendali che seguirebbe al sostanziale insuccesso della fase di risanamento ordinario o concordatario) e, per l’effetto, rigettare l’azione revocatoria promossa dall’attrice nei confronti di HSBC Bank plc in quanto inammissibile; in subordine, ove l’Ill.mo Tribunale non ritenga possibile accedere ad un’interpretazione secondo Costituzione dell’art. 6 della Legge Marzano, accertata la rilevanza e non manifesta infondatezza dell’eccezione di incostituzionalità sollevata da HSBC Bank plc, ai sensi dell’art. 1 Legge Costituzionale 9 febbraio 1948 n. 1 e dell’art. 23, comma 2, Legge 11 marzo 1953 n. 87, sospendere il presente giudizio e rimettere gli atti alla Corte Costituzionale;
   - accertare e dichiarare l’incompatibilità della Legge Marzano, interamente o limitatamente all’art. 6, con gli artt. 87 ed 88, terzo comma Trattato CE c/o con gli artt. 3, 10 e 82 Trattato CE, previa, ove necessario, sospensione del presente giudizio e rinvio ex art. 234, commi 1, lett. a), e 2, Trattato CE, alla Corte di Giustizia CE (a) della questione pregiudiziale, avente ad oggetto l’interpretazione dell’art. 87 Trattato CE, ed in particolare diretta ad accertare se la nozione di aiuti di Stato vietati ai sensi dell’art. 87 Trattato CE includa anche un regime normativo istitutivo di una procedura di risanamento dell’impresa insolvente, derogatorio alle disposizioni vigenti in materia fallimentare, analogo a quello stabilito nella Legge Marzano, e/o l’attribuzione al commissario straordinario, nominato nell’ambito di una procedura di risanamento di un’impresa insolvente analoga a quella regolata dalla Legge Marzano, della facoltà di promuovere azioni revocatorie ordinarie nel corso della fase di realizzazione del programma di risanamento dell’impresa; e/o (b) della questione pregiudiziale, avente ad oggetto l’interpretazione degli artt. 3, 10 e 82 Trattato CE, ed in particolare diretta ad accertare se un regime di risanamento dell’impresa insolvente applicabile ad imprese di elevate dimensioni in termini occupazionali e finanziari che, in deroga alle ordinarie disposizioni vigenti in materie fallimentari, attribuisca agli organi di controllo dell’impresa la facoltà di esercitare azioni revocatorie fallimentari nel corso della realizzazione del programma di risanamento, di per sé o nei casi in cui l’impresa insolvente ammessa alla relativa procedura abbia, singolarmente o congiuntamente con altra impresa, una posizione dominante su uno specifico mercato, sia idoneo a favorire la realizzazione di pratiche abusive, vietate dall’art. 82 Trattato CE, o rafforzarne gli effetti, in violazione dei fondamentali principi comunitari in materia di libera concorrenza delle imprese. Per l’effetto, disapplicare la Legge Marzano, interamente o limitatamente all’art. 6 della Legge Marzano stessa nel caso di specie e rigettare l’azione revocatoria avversaria in quanto esercitata dal commissario straordinario dell’attrice nei confronti di HSBC Bank plc in difetto del necessario potere;
   - nel merito, rigettare integralmente le domande avversarie in quanto infondate in fatto e diritto per tutti i motivi compiutamente esposti in narrativa».

Non manifesta infondatezza
1. Dedotta incostituzionalità dell’art. 6 cit. legge per contrarietà ai principi di cui all’ari 3 Cost.
   La Corte Costituzionale ha, in più occasioni, sancito che il principio di eguaglianza inibisce al legislatore di operare arbitrarie discriminazioni fra soggetti in situazioni identiche o affini; il giudizio di legittimità costituzionale, ai sensi dell’art. 3 Cost. ha, pertanto, ad oggetto la ragionevolezza delle classificazioni legislative.
   Onde valutare il rispetto del principio di uguaglianza, è fondamentale l’esatta identificazione degli interessi sottesi alle norme messe a raffronto: se coinvolgono interessi omogenei per essere gli stessi partecipi di fattispecie identiche/analoghe, assicurando una tutela di diversa intensità (senza che esista un ulteriore interesse tutelando, atto a giustificare l’opzione per l’apprestamento di due diversi regimi), la norma che tutela in maniera diversa gli interessi comuni ad entrambe, dovrà reputarsi irragionevole e contraria al precetto costituzionale di cui all’art. 3 cit.; laddove, invece, gli interessi sottesi non siano omogenei, dovrà considerarsi irragionevole una disciplina di tipo analogo, che non tenga conto delle disuguaglianze fra le situazioni di fatto disciplinate.
   La giurisprudenza costituzionale ha, più volte, dichiarato l’illegittimità di norme di legge per violazione del solo art. 3 Cost., senza la necessità di rilevarne il conflitto con altri valori costituzionali (così, ad es., le sentenze n. 260 del 23 luglio 1997, n. 162 del 28 maggio 2001, n. 254 del 20 giugno 2002), in ragione dell’evidente rilevanza assegnata al principio di ragionevolezza nel senso indicato, quale parametro fondativo del precetto costituzionale di eguaglianza.
   Nell’ipotesi in esame, vanno messi a raffronto gli articoli 6 e 4 bis del D.L. 23 dicembre 2003, n. 347, conv. con mod. in L. 18 febbraio 2004, n. 39, come modificata dal D.L. 3 maggio 2004, n. 119, conv. con mod. in L. 5 luglio 2004, n. 166 e dal D.L. 28 febbraio 2005, n. 22, conv. con mod. in L. 29 aprile 2005, n. 71, e gli artt. 49 e 78 del D. Lgs. 8 luglio 1999 n. 270 (c.d. Legge Prodi bis).
   Entrambi i provvedimenti regolano la procedura di amministrazione straordinaria, applicabile alle imprese di grandi dimensioni che versino in stato di insolvenza, perseguendone la ristrutturazione economica e finanziaria, a salvaguardia degli interessi dei lavoratori e dei fornitori, oltre che dei creditori; si differenziano nelle sole fasi di ingresso e nei requisiti dimensionali di ammissione alla procedura (cfr. artt. 1 D.L. 347/03 e 2 D. Lgs. 270/99 citt.), in termini di personale ed ammontare dei debiti, senza che a tali differenze possa assegnarsi il rango della ragionevolezza costituzionalmente necessario a preservarne il sindacato sotto il profilo indicato.
   In particolare, come osservato dalla unanime dottrina, comparando i richiamati presupposti, si ricava che in tutti i casi in cui risulta applicabile la Legge Marzano è sempre applicabile anche la Legge Prodi bis, e l’opzione per l’una o per l’altra procedura è rimessa, dal legislatore interamente alla impresa insolvente, la quale manifesti l’intenzione di «avvalersi della procedura di ristrutturazione economica e finanziaria di cui all’articolo 27, comma 2, lettera b) del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270»: in altri termini, la legge Marzano rimette alla sola impresa insolvente l’iniziativa d’apertura della procedura, nell’intento di salvaguardare e perseguire con immediatezza quello stesso programma di ristrutturazione economica e finanziaria, cui la legge Prodi bis dà ingresso solo in esito alla fase di valutazione delle «concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico delle attività imprenditoriali» di cui agli artt. 27-30 delle citata legge.
   Il richiamo alla legge Prodi bis rende pertanto evidenti gli estremi di stretta continuità esistenti con la legge Marzano, ponendosi questa come opzione ulteriore dell’impresa insolvente il cui mancato esercizio da parte del debitore non preclude il suo assoggettamento alla procedura regolata dal D. Lgs. n. 270/99, con il perseguimento - secondo il diverso snodo procedurale ricordato - della medesima finalità quale indicata dall’art. 1 della citata legge, nella «ristrutturazione economica e finanziaria previsto e disciplinato dall’art. 27, 2° comma lett. b ».
   Al riguardo, va osservato come le innovazioni legislative introdotte dal D.L. 347 (e succ. modd.) tendono a dare maggiore celerità alla fase di ammissione dell’impresa alla procedura (art. 2, Ammissione immediata all’amministrazione straordinaria) senza, peraltro, alterare sostanzialmente i caratteri funzionali della procedura, che restano pur sempre comuni alla Legge Prodi bis, quale normativa generale di riferimento cui la Legge Marzano fa espresso rinvio.
   Ciò posto in via di analisi del tessuto normativo in esame, venendo all’oggetto del presente giudizio, entrambi i sistemi normativi prevedono la possibilità di esperire l’azione revocatoria di cui all’art. 67 legge fall., ma in forza delle ricorrenza di estremi fra loro non serenamente conciliabili.
   In argomento, è noto il dibattito giurisprudenziale apertosi dopo l’emanazione della legge n. 95/1979 (c.d. legge Prodi), sfociato in una ferma posizione assunta dalla Suprema Corte sul punto (cfr. l’arresto 27 dicembre 1996 n. 11519), che indusse il legislatore alla sostituzione del regime istituito con la Legge del 1979 con quello della c.d. Prodi bis, escludendo espressamente la possibilità per il commissario straordinario di proporre le azioni revocatorie fallimentari nel corso della fase di risanamento dell’impresa.
   L’art. 49, comma 1, D. Lgs. n. 270/99, prevede infatti che: «le azioni per la dichiarazione di inefficacia e la revoca degli atti pregiudizievoli ai creditori previste dalle disposizioni della sezione III del capo III dei titolo II della legge fallimentare possono essere proposte dal commissario straordinario soltanto se è stata autorizzata l’esecuzione di un programma di cessione dei complessi aziendali».
   Detta previsione normativa ha reso il nostro ordinamento nuovamente in linea con le finalità connaturate all’azione revocatoria fallimentare, la quale mira, appunto, a ricostruire il patrimonio dell’imprenditore (secondo la teoria indennitaria) ovvero a ripartire la perdita derivante dall’insolvenza tra una collettività di creditori più ampia rispetto ai soli soggetti che si trovano ad essere tali al momento dell’apertura della procedura (teoria anti-indennitaria); duplice, dunque, la funzione: recuperatoria e ridistributiva, inconciliabile con procedure non finalizzate alla liquidazione bensì alla conservazione dell’impresa, nelle quali in pendenza di risanamento, non vi è un patrimonio da ripartire tra i creditori, né una perdita da ridistribuire.
   L’art. 6 cit. dispone che «il commissario straordinario può proporre le azioni revocatorie previste dall’art. 49 e 91 del D. 1g. 270 anche nel caso di autorizzazione all’esecuzione del programma di ristrutturazione, purché si traducano in un vantaggio per i creditori».
   Ci si trova di fronte ad una rinnovata estensione dell’ambito di applicazione dell’azione revocatoria fallimentare, prevedendo la possibilità, per il commissario straordinario, di esperirla in una procedura finalizzata alla ristrutturazione ed alla conservazione dell’impresa (come palesato dagli artt. 1 D.L. 347 e 4 legge 39/2004), interrompendo così immotivatamente quel legame di continuità prima evidenziato tra finalità concretamente perseguite dalla procedura e strumenti alla stessa connessi.
   Quanto precede comporta, a parere di chi giudica, la non manifesta infondatezza dei profili di incostituzionalità dell’art. 6 D.L. 347, come modificato, con riferimento alla previsione di cui all’art. 49 L. Prodi bis., rapportato al principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Carta costituzionale: ed in particolare, il legislatore del 1999, operando un bilanciamento degli interessi coinvolti nel dissesto della grande impresa, ne aveva limitato l’esperibilità al solo programma di liquidazione dell’impresa, attuato dagli organi della procedura, espressamente escludendola per il programma di ristrutturazione, ritenendo che il sacrificio patrimoniale dei terzi fosse ammissibile soltanto in vista del interesse - ritenuto meritevole dell’ordinaria tutela concorsuale - alla ripartizione fra tutti i creditori (anche quelli divenuti tali in seguito alla revoca dei pagamenti) del patrimonio del debitore insolvente, secondo le regole stabilite dalla legge a tutela della par condicio creditorum. Rendendo ammissibile la revocatoria anche durante la fase di risanamento dell’impresa, l’art. 6 della Legge Marzano ha ampliato il sacrificio dei terzi, ribaltando la scelta consapevolmente operata con l’art. 49 della Legge Prodi bis.
   Ciò appare privo di giustificazione se valutato alla stregua del canone di ragionevolezza costituzionale sopra evidenziato: la revocatoria di cui all’art. 49 e quella di cui all’art. 6, per i motivi esposti, si collocano all’interno di procedure disciplinanti fenomeni analoghi, coinvolgono interessi omogenei e perseguono il medesimo obiettivo, cioè il recupero dell’equilibrio economico delle attività imprenditoriali mediante “prosecuzione, riattivazione o riconversione” (art. 1 D. Lgs. 270/1999), per il tramite di un programma di ristrutturazione senza che sia dato comprendere le ragioni del superamento di quanto così recisamente escluso dall’art 49 del cit. D. Lgs. 270.
   La stessa Corte Costituzionale, nel dichiarare infondata la questione di legittimità dell’art. 67 legge fall. in riferimento agli artt. 3, 24, 47 Cost., nella parte in cui assoggetta a revocatoria anche i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili effettuati con mezzi normali dal debitore nel periodo c.d. sospetto, ha espressamente affermato che, con detta azione, il principio generale della stabilità dei diritti (con ciò intendendo l’interesse dei terzi a non subire la revoca dei pagamenti ricevuti) subisce una deroga solo ai fine di «... tutelare le ragioni del concorso tra i creditori ... il legislatore ha costruito l’azione revocatoria fallimentare per contemperare l’interesse dei creditori di recuperare al patrimonio del fallito la maggiore quantità di beni, in vista dell’esecuzione concorsuale, con quello al normale svolgimento dell’attività economica ed alla stabilità dei diritti» (cfr. Corte Cost. 27 luglio 2000, n. 379).
   L’irragionevolezza della disparità di trattamento riservata ai terzi destinatari dall’azione revocatoria esperita ex art 6 legge in esame risulta, infine, amplificata, ove si consideri come l’opzione a favore della “Marzano” sia sostanzialmente rimessa dal legislatore all’unilaterale iniziativa dell’impresa insolvente, la quale potrebbe essere opportunisticamente motivata dalle possibilità di eterofinanziamento insito nell’esercizio di azioni revocatorie, altrimenti precluse dal regime ordinario previsto dal citato articolo 49.
   La distorta finalità attribuita all’azione revocatoria nell’ambito della Legge Marzano non può dirsi lenita dalla condizione posta al suo esercizio (nella versione finale faticosamente raggiunta dal legislatore dopo due interventi di modifica): subordinare l’esercizio al fatto che le azioni revocatorie si traducano in un vantaggio per i creditori risulta in realtà del tutto pleonastico, posto che, come confermato anche dalla Corte Costituzionale nella sentenza citata, l’interesse dei creditori costituisce l’unico ed esclusivo bene giuridico alla cui tutela è preordinato l’istituto dell’azione revocatoria fallimentare, ragione in sé della norma e non finalità da rimettere all’esito volubile della verifica da operarsi concretamente nel singolo caso.
   Né la non manifesta infondatezza della previsione normativa in esame risulta lenita dalle considerazioni espresse dalla difesa della procedura attrice, per la quale l’azione revocatoria prevista dalla Legge sarebbe incompatibile con la finalità di prosecuzione e risanamento dell’attività d’impresa, qualora il risanamento andasse a beneficio dell’imprenditore insolvente (Parmalat S.p.A. in amministrazione straordinaria, odierna attrice) - cd. risanamento soggettivo; diverrebbe compatibile, qualora l’attività d’impresa venisse ceduta, anche mediante patto di concordato, ad un soggetto terzo (l’assuntore o la “nuova” Parmalat S.p.A.) - cd. risanamento oggettivo, in quanto il regime di ragionevolezza non andrebbe più vagliato con l’art 49 comma 1 Legge Prodi bis bensì con l’art. 124, comma 2, legge fall. In particolare, assume la difesa di parte attrice come dovrebbe nell’ipotesi in esame operarsi una distinzione fra risanamento oggettivo e soggettivo, in quanto la ristrutturazione di cui all’art. 27, comma 2, lett. b del D. Lgs. n. 270/1999 va sempre a vantaggio dell’imprenditore insolvente, in quanto egli resta titolare e gestore dell’azienda oggetto di risanamento, donde il divieto l’esperimento di azioni revocatorie, invece consentito nel caso di cessione dei complessi aziendali prevista dall’art. 27, comma 2, lett. a; la ristrutturazione Parmalat mediante il concordato non va a vantaggio dell’imprenditore insolvente (e cioè degli azionisti della “vecchia” Parmalat), sarebbe pertanto, sotto questo aspetto, assimilabile alla cessione dei complessi aziendali prevista dall’art. 27, comma 2, lett. a, cit., nonché al concordato fallimentare con cessione delle revocatorie al terzo assuntore, di cui all’art. 124 l. fall.
   Siffatto argomentare poggia su assunti indimostrati, sulla base dei quali raggiunge esiti non condivisibili in quanto:
   a) va osservato che la previsione di cui all’art 6 della L. Marzano assicura lo strumento revocatorio alla procedura di amministrazione straordinaria in quanto tale, per il programma di ristrutturazione perseguito, a nulla rilevando che il commissario provveda al suo perseguimento “in via ordinaria” , secondo le modalità consuete (art. 4) ovvero “straordinaria”, attraverso il concordato, annoverato tra gli strumenti del programma di ristrutturazione (cfr. art. 4 bis, comma 1, per il quale «nel programma di ristrutturazione, il commissario può prevedere la soddisfazione dei creditori attraverso un concordato …»).
   In altri termini, l’eccezione di parte fonda la legittimità costituzionale della previsione di cui all’art 6 sulla proposta di concordato, nella sola ipotesi in cui lo stesso preveda un patto di assunzione (con dubbio richiamo ai principi di cui all’art 124 legge fall. superamento immotivato di ogni richiamo “mediano” agli artt. 78 L. Prodi bis e art. 214 l. f.), concordato questo che costituisce una - e solo una - delle modalità di attuazione del piano di ristrutturazione, rendendo così evidente come tale condizione di assenta legittimità costituzionale vacilli - nell’argomentazione della stessa parte - in ogni ipotesi altra e diversa di ristrutturazione. Né va, infine, sottaciuto come anche nella legge Prodi bis sia possibile procedere ad una ristrutturazione per il tramite di un concordato proposto da un terzo, senza peraltro che venga alterata la scelta lucidamente operata dal legislatore del 1999, permettendo al terzo assuntore di avvantaggiarsi di azioni incompatibili con le finalità della procedura di risanamento.
   b) Il concordato in esame costituisce, per espressa indicazione di legge e per opzione concretamente perseguita e realizzata dal Commissario Straordinario, semplice modalità del programma di ristrutturazione, come tale inidoneo a sorreggere l’assunto di parte, volto a privilegiare una considerazione del tutto autonoma degli esiti concordatari e della normativa ad essa connessa, rispetto alla legge Marzano. Al riguardo, si ricorda come con la recente sentenza del 1° ottobre 2005, questo Tribunale abbia omologato il concordato ex art. 4 bis, D.L. n. 347/03 e succ. modd., «con assunzione da parte della società Parmalat s.p.a., con sede legale in Collecchio (PR)», disponendo l’immediato trasferimento all’Assuntore «di tutti i beni, i diritti, le partecipazioni sociali e le azioni giudiziarie promosse.».
   Nella parte motiva si legge che «con decreto ministeriale in data 23 luglio 2004 il Ministro delle Attività Produttive, d’intesa con il Ministro delle Politiche Agricole e Forestali, visto il parere del Comitato di Sorveglianza in data 20 luglio 2004, autorizzava il programma di ristrutturazione per le suddette società. In data 29 luglio 2004, veniva depositato presso il Tribunale di Parma il programma di ristrutturazione autorizzato, unitamente alla proposta di concordato e all’elenco dei creditori … la proposta di concordato costituisce, per espressa previsione normativa, parte integrante del programma di ristrutturazione predisposto dal Commissario Straordinario … la devoluzione esclusiva del potere di iniziativa al Commissario Straordinario trova la sua ragione giustificatrice nella necessaria integrazione della proposta di concordato con il programma di ristrutturazione, mirando così a contemperare le finalità connesse al ripristino di una condizione di durevole equilibrio in capo alle società in amministrazione straordinaria con le dinamiche solutorie proprie della proposta di concordato. L’adempimento concordatario costituisce quindi parte integrante del piano di risanamento cui risulta funzionalmente rivolto, assumendo quindi una dimensione di strumentalità nuova per l’istituto, in quanto la cessazione della procedura concorsuale con il soddisfacimento a saldo del ceto creditorio perde ogni connotazione di esclusività valutativa normalmente presente nelle varie figure di concordato, venendo a contemperarsi per modalità, interessi coinvolti e termini di pagamento con le esigenze proprie dei processi di ristrutturazione: in altri termini, il programma di ristrutturazione definisce il perimetro delle compatibilità solutorie assicurate dal concordato in ragione della introduzione di una dimensione di flessibilità e/o mobilità degli istituti del concorso mai prima registrata, attenuata negli estremi di illegittima assolutezza, dalla sua ricomposizione in una proposta concordataria capace di consenso.».
   In termini ultimi, si ritiene che le censure di illegittimità si incentrano sulla disciplina generale della procedura stabilita dalla stessa Legge Marzano, nell’ambito della quale l’epilogo naturale del processo di risanamento è costituito dal ritorno dell’imprenditore all’ordinaria operatività industriale, a conclusione del programma di ristrutturazione con qualunque modalità attuato (artt. 4 e 4 bis), ivi compreso il concordato con assunzione che costituisce un ‘ipotesi del tutto eventuale e residuale di conclusione del programma di ristrutturazione dell’impresa, cui il legislatore assegna la sola valenza di determinare l’immediata chiusura della procedura rispetto alla sua fisiologica durata ed al suo naturale espletamento.

2. Dedotta incostituzionalità dell’art. 6 cit. legge per contrarietà ai principi di cui all’art. 41 Cost.
   La facoltà di esperire l’azione revocatoria, nel corso e per la realizzazione della ristrutturazione aziendale, evidenzia un ulteriore profilo di irragionevolezza della norma in esame, per disparità di trattamento tra le imprese operanti nel mercato, in contrasto con il principio della libertà di concorrenza discendente dall’art. 41 della Costituzione.
   Come affermato in dottrina, il risanamento agevolato da misure di sostegno finanziario non può considerarsi un vero e proprio risanamento né in senso economico né giuridico.
   Sotto il primo profilo, infatti, il risanamento equivale alla ritrovata capacità dell’impresa di conseguire dei ricavi superiori ai costi sostenuti: perché sia effettivo, tuttavia, è necessario che la prevalenza dei ricavi sui costi consegua alla capacità di produrre valore e ricchezza e non all’opportunistico intervento di misure esterne alle dimensioni interessate dalla sua concreta operatività. Sotto il profilo giuridico il risanamento indica la ritrovata capacità dell’impresa di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni; se la solvibilità dell’impresa è il risultato esclusivamente del positivo esercizio di azioni revocatorie fallimentari non vi è alcun vero risanamento.
   Il risanamento dell’impresa mediante l’esperimento dell’azione revocatoria fallimentare costituisce quindi un ingiustificato privilegio per l’impresa ammessa alla procedura ex Legge Marzano e determina un effetto distorsivo della concorrenza, in quanto permette all’impresa insolvente di restare sul mercato sfruttando anziché le proprie capacita economiche, risorse finanziarie precluse ai concorrenti.
   Detto effetto è essenzialmente legato alla continuazione dell’impresa: mentre nell’ambito delle procedure di tipo liquidatorio le somme, eventualmente riscosse a seguito del vittorioso esperimento dell’azione revocatoria, sono esclusivamente destinate al soddisfacimento dei creditori, qualora l’azione sia consentita all’interno di una procedura concorsuale di tipo risanatorio essa si trasforma, come già visto, in una forma di finanziamento forzoso a favore dell’impresa insolvente ed a carico dei terzi.
   La critica nei confronti di normative che, favorendo le imprese in fase di ristrutturazione, falsano la libera concorrenza non è un argomento nuovo: in passato sia la Corte di Giustizia CE sia i giudici italiani hanno più volte censurato per ragioni simili la legge 95/79, che conteneva diverse disposizioni tese ad agevolare illegittimamente l’impresa insolvente (cfr., di recente Corte di Giustizia CE 17.6.1999 (C-295/97), Cass. 23.6.2000 n. 8539, App. Trieste 10.2.2004, App. Venezia 26.6.2003, etc.).
   In realtà al di là dei profili comunitari, pur rilevanti in sede intepretativa, l’esercizio dell’azione revocatoria fallimentare nell’ambito di una procedura di ristrutturazione aziendale determina una forte e strutturale distorsione della libera concorrenza tra imprese con conseguente violazione dell’art. 41 della Costituzione.
   L’instaurazione di un regime di libera concorrenza tra le imprese e la sua tutela sono strumentali all’effettiva realizzazione della libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost., con la conseguenza che, seppure non espressamente menzionato dalla Costituzione, il principio di libera concorrenza ha rango costituzionale.
   Tale linea argomentativa è stata fatta propria sia dalla Corte Costituzionale che dai giudici civili ed amministrativi, i quali hanno ricondotto la tutela della libertà di concorrenza all’art. 41 cit.
   «La libertà di concorrenza tra imprese ha, come noto, una duplice finalità: da un lato, integra la libertà di iniziativa economica che spetta nella stessa misura a tutti gli imprenditori e, dall’altro, è diretta alla protezione della collettività, in quanto l’esistenza di una pluralità di imprenditori, in concorrenza tra loro, giova a migliorare la qualità dei prodotti e a contenere i prezzi» (cfr. Corte Cost., 16 dicembre 1982, n. 223; nello stesso senso si veda anche Corte Costituzionale 13 ottobre 2000, n. 419).
   «La libertà di iniziativa economica privata garantita dalla Costituzione (art. 41, comma 1), comprensiva anche della libertà di concorrenza tra imprese, attiene sicuramente a materia disponibile posto che è espressione della libertà di scelta e di svolgimento delle attività economiche riconosciuta al soggetto privato» (cfr. Cass. 21 agosto 1996, n. 7733).
   In altri termini, il principio di libertà dell’iniziativa economica privata garantisce, inter alia, che ogni operatore economico possa operare sul mercato in una situazione di parità con gli altri imprenditori e che il profitto, e quindi il successo, dell’impresa dipenda dal giudizio insito nelle dinamiche di mercato, come costituzionalmente garantite dall’art 41 cost.
   L’irragionevolezza e l’illegittimità di una disciplina che determini una discriminazione tra imprese in concorrenza è stata affermata dalla Corte Costituzionale nella sentenza del 30 dicembre 1997 n. 443, dichiarativa della incostituzionalità, per violazione degli artt. 3 e 41 della Costituzione, dell’art. 30 della L. 4 luglio 1967 n. 580 nella parte in cui non prevedeva che alle imprese aventi stabilimento in Italia fosse consentita, nella produzione e nella commercializzazione di paste alimentari, l’utilizzazione di ingredienti legittimamente impiegati, in base al diritto comunitario, nel territorio della Comunità Europea.

P.Q.M.

visto l’art. 23, legge 11 marzo 1953 n. 87, e gli artt. 3 e 41 Cost.
dichiara
la rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale 6, D.L. 23 dicembre 2003, n. 347, conv., con mod. in L. 18 febbraio 2004, n. 39, come modificata dal D.L. 3 maggio 2004, n. 119, conv. con mod. in L. 5 luglio 2004, n. 166, dal D.L. 28 febbraio 2005, n. 22, conv, con mod. in L. 29 aprile 2005, n. 71, nella parte in cui consente l’esercizio delle azioni revocatorie previste dagli articoli 49 e 91 D. lgs. 270 in costanza di un programma di ristrutturazione e per l’effetto,
dispone
l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale;
(Omissis)

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