il diritto commerciale d’oggi
    IV.11 – novembre 2005

STUDÎ & COMMENTI

 

GABRIELE RACUGNO
La società cooperativa. I profili generali *

 

SOMMARIO: 1. Genesi. - 2. Scopo mutualistico e scopo lucrativo. - 3. Rapporto sociale e rapporto mutualistico. - 4. I ristorni. - 5. La cooperativa come modello di organizzazione sociale. - 6. Le cooperative «a mutualità prevalente». - 7. Le cooperative «diverse». - 8. Il principio della parità di trattamento. - 9. La c.d. regola della porta aperta. - 10. La variabilità del capitale. - 11. La responsabilità dei soci. - 12. Le norme applicabili. - 13. Le cooperative di diritto speciale. - 14. La società cooperativa con azioni quotate.

 

1. Genesi
   Storicamente la prima cooperativa (1) nasce in Inghilterra (2)nel 1844, a Rochdale, ad opera di un gruppo di operai tessili che mirano, attraverso l’autogestione dell’impresa, a beneficiare direttamente, eliminando l’intermediario imprenditore, della «remunerazione» del capitale che di regola si accresce in favore dello stesso (3). La cooperativa si affianca al sindacato come organizzazione di classe a tutela del proletariato industriale per poi estendersi agli altri ceti sociali (4), favorendo la nascita di una nuova imprenditorialità (5), financo in tempi più recenti anche alle società che operano nel settore della grande distribuzione dando vita così a cooperative fra gli stessi imprenditori (6).
   Lo scopo di solidarietà (7), peraltro, non è sufficiente perché vi sia cooperativa, necessitando che il fine mutualistico venga perseguito attraverso l’esercizio dell’impresa (art. 2082), che, nell’attuale contesto storico in particolare , ricalca nel suo operare le forme organizzative proprie dei modelli capitalistici.
   Le cooperative, peraltro, nate come alternativa al capitalismo, sono public companies, tendenzialmente legate al territorio, da tempo integrate nel mercato, conservando però governance e controlli artigianali e, dato il principio del voto per testa (9), mai scalabili (10).

2. Scopo mutualistico e scopo lucrativo
   La cooperativa, al pari delle società lucrative, è caratterizzata dall’esercizio in comune di un’attività economica (11) e si inserisce nel più generale contesto del sistema delle imprese che la recente riforma del diritto societario ha inteso valorizzare dettando comuni principi alle società capitalistiche ed alle cooperative (12).
   Il connotato qualificante della cooperativa è costituito dallo scopo mutualistico che «si estrinseca nella cosiddetta gestione di servizio al socio ossia nella remunerazione della prestazione mutualistica al socio» (13).
   Lo scopo-mezzo non ha una sua impronta peculiare; è nello scopo-fine che si colloca la distinzione e, quindi, l’originalità di questo tipo sociale, nel quale i soci non svolgono un’attività di impresa per conseguire utili da dividersi: la gestione (autogestione) è volta a fornire direttamente ai soci beni, servizi od occasioni di lavoro a condizioni più vantaggiose di quelle che i soci stessi otterrebbero sul mercato (14). Il vantaggio patrimoniale (il c.d. vantaggio mutualistico) consiste in un risparmio di spesa o in una maggiore remunerazione del lavoro prestato dai soci nella cooperativa (15): vantaggio patrimoniale che, per effetto del rapporto di scambio che il socio instaura con la cooperativa e di cui si dirà nel paragrafo che segue, si produce direttamente nella sfera individuale dei soci stessi, a beneficio dei quali va il margine (16) che nelle imprese lucrative percepisce l’imprenditore. Allo scopo mutualistico, che costituisce il connotato caratterizzante di questo tipo sociale, può aggiungersi, secondo le regole che l’autonomia statutaria vorrà darsi (e nei limiti della stessa), la possibilità di perseguimento di uno scopo lucrativo, del conseguimento di un utile da distribuirsi ai soci in dipendenza delle prestazioni (17) fornite dalla cooperativa a terzi, scopo di lucro che può determinare l’adozione di una «politica di remunerazione della partecipazione piuttosto che del servizio» (18).
   La recente riforma (19), nel riservare i benefici fiscali (20) alle sole cooperative operanti in via prevalente con i soci (21) – nelle quali sono significativamente ridotti i margini del c.d. lucro soggettivo – ha ormai codificato la piena legittimità dell’azione con i terzi (22) da cui discende la produzione di utili e la conseguente possibilità di distribuzione in favore dei soci al pari che nelle società lucrative; di qui l’utilizzo della cooperativa quale strumento di approvvigionamento collettivo dei prodotti da parte della grande distribuzione che mira in tal modo, piuttosto che a perseguire il vantaggio mutualistico, a darsi un modello specifico di organizzazione sociale (23) fondato sull’uguaglianza. Sicuramente incompatibile con lo scopo mutualistico, che per definizione normativa (art. 2511) qualifica e distingue le cooperative nell’àmbito del sistema societario, è l’integrale distribuzione ai soci degli utili prodotti della cooperativa, ed in questo senso il 2° comma dell’art. 2521, al numero 8, prevede che l’atto costitutivo regolamenti la ripartizione degli utili che non può coincidere con l’integrale distribuzione tra i soci (lucro soggettivo) (24), considerato che il successivo art. 2545-quinques prevede che l’atto costitutivo debba indicare le modalità e la percentuale massima di ripartizione dei dividendi (25): in questo senso l’art. 45 della Costituzione, valorizzando l’antiteticità (26) dello scopo mutualistico, basato sulla democraticità, rispetto a quello lucrativo.
   Le più ampie possibilità di reperimento di risorse finanziarie sul mercato offerte dalla riforma, senza distinzione tra cooperative a mutualità prevalente e cooperative diverse, hanno necessariamente presupposto un’adeguata remunerazione dei finanziamenti sia dei soci che dei non soci (art. 2526): quanti si avvicinano ai servizi e ai prodotti della cooperativa agiscono invero in base a valutazioni di “mercato”.

3. Rapporto sociale e rapporto mutualistico
   L’identificazione della fattispecie società, e quindi anche della cooperativa definita dal legislatore come società a capitale variabile con scopo mutualistico (art. 2511), prende notoriamente le mosse dall’art. 2247 che individua nel conferimento di beni o di servizi il momento genetico dell’impresa-società: senza conferimenti non esiste società, né può darsi socio senza obbligo di conferimento (27). Il conferimento ha la funzione di costituire il patrimonio iniziale della società, il capitale di rischio strumentale allo svolgimento dell’attività comune, e costituisce la genesi del rapporto sociale che lega il socio alla società, rapporto che si esplica nella partecipazione individuale all’attività di gruppo (28).
   Nelle cooperative – e qui sta la peculiarità di questo tipo di società – il rapporto sociale non consente, di per sé, il conseguimento dello scopo istituzionale peculiare del modello imprenditoriale, cioè lo scopo mutualistico che si caratterizza per la gestione di servizio a favore dei soci: al rapporto sociale si affianca il rapporto mutualistico, definito dalla Relazione all’art. 2516 come «rapporto contrattuale distinto da quello societario», inteso come reciprocità o vicendevolezza di prestazioni tra ente e aderenti (30).
   E questo rapporto contrattuale si esplica attraverso lo scambio mutualistico (31) che assume un ruolo assorbente nella struttura della cooperativa, da un lato, costituendo la base per la distinzione tra cooperative a mutualità prevalente e non, dall’altro, consentendo, in talune ipotesi, di derogare alla regola del voto capitario (32).
   Il conferimento, che del rapporto sociale costituisce la genesi ed il pendant dell’acquisto della qualità di socio in capo al conferente, ancorché insufficiente per il godimento del vantaggio mutualistico in favore del socio, assume una funzione essenziale anche nella vita dell’impresa cooperativa in quanto destinato ad essere sottoposto alla specifica disciplina del capitale sociale, che, accresciuto dalle riserve (33) per effetto della gestione, rappresenta, (a) sotto il profilo sostanziale l’entità dei mezzi contrattualmente destinati ad essere investiti nell’impresa sociale, (b) sotto il profilo formale, il parametro che, rapportato alle passività, consente di apprezzare il tasso di indebitamento della cooperativa e quindi la capacità della stessa di produrre durevolmente valore (34).
   Entrambi i rapporti, sociale e mutualistico, assumono dunque una valenza causale nella cooperativa, in quanto se è vero che solo attraverso l’esplicazione del secondo il socio può conseguire il vantaggio mutualistico che si concretizza nel ristorno – «che sta alla causa mutualistica della cooperativa come il dividendo a quella lucrativa della s.p.a.» (35) – è incontrovertibile che dal primo derivano le risorse necessarie per lo svolgimento dell’attività di impresa, che costituisce, come è evidente, la premessa sia per l’instaurazione dei futuri scambi contrattuali tra la società e il socio, sia per la valorizzazione del movimento cooperativo organizzato che, sul piano logico, non necessariamente coincide con lo scopo mutualistico inteso nella sua tradizionale accezione soggettiva (36).
   Pur nella discontinuità causale tra società cooperativa e società lucrativa, il capitale sociale, ancorché variabile, continua, anche nella prima, a svolgere un essenziale ruolo organizzativo che si esplica innanzitutto nel rapporto sociale.
   La riforma ha riservato alle cooperative a mutualità prevalente le agevolazioni tributarie (art. 223-duodecies, comma 6°, disp. att.), ma resta propria di tutte le cooperative la funzione sociale di cui all’art. 45 della Costituzione, funzione che esalta e sintetizza i “valori” del sistema cooperativo (37). Significa dunque che anche le cooperative che svolgono prevalentemente la propria attività con terzi – che sovente è la sola che consente a queste imprese di stare sul mercato e di reggere la concorrenza – perseguono, attraverso il rapporto sociale, uno scopo mutualistico (38), una mutualità esterna (39), cioè altruistica o di sistema (40), alimentata con gli utili derivanti dagli scambi con i terzi (41) mediante un metodo democratico di produrre (42) che svolge una funzione calmieratrice sul mercato, valorizzando il mondo della solidarietà e dell’economia sociale e promuovendo al tempo stesso benessere diffuso anche attraverso la diffusione di regole organizzative ispirate alla democrazia. Di qui l’autonomo e non secondario rilievo del rapporto sociale, che, dotando la cooperativa dei mezzi necessari per lo svolgimento dell’attività e valorizzando al tempo stesso la partecipazione del socio anche attraverso la possibilità di sottoscrizione di strumenti finanziari (43), le consente l’apertura al mercato (44) con la creazione di una nuova imprenditorialità ed il perseguimento, al tempo stesso, di finalità di utilità sociale (45).

4. I ristorni
   Si è appena detto nelle pagine che precedono che il compenso del rapporto mutualistico è rappresentato dal ristorno (46). Il termine è ben noto al mondo della cooperazione, ma è la prima volta, con la riforma del 2003, che trova una sua precisa collocazione nel codice civile (47).
   L’art. 2545-sexies, rubricato appunto ristorni, ne àncora la ripartizione fra i soci in proporzione (48) «alla quantità e qualità degli scambi mutualistici», prescindendo dal capitale conferito: l’istituto trova applicazione sia nelle cooperative a mutualità prevalente che nelle c.d. cooperative diverse.
   Il ristorno (49) costituisce così una tecnica di attribuzione ai soci del vantaggio mutualistico – scilicet di remunerazione del servizio mutualistico – in modo differito: i soci acquistano dalla cooperativa senza immediato risparmio, cioè corrispondendo i medesimi prezzi praticati dalla cooperativa ai terzi relativamente ai vari beni e servizi prodotti, e conseguono, successivamente, il rimborso dello sconto di cui al tempo dell’acquisto non hanno beneficiato; questo per quanto concerne le cooperative di consumo, nelle quali si ha sostanzialmente un ribaltamento in favore dei soci della differenza tra il prezzo dagli stessi corrisposto sugli acquisti e la somma dei costi e delle spese affrontati dalla cooperativa, rispettivamente, per l’approvvigionamento e il finanziamento dell’impresa. In quelle di produzione e lavoro la postergazione attiene alla integrazione della retribuzione, di guisa che il socio beneficia in tal modo, nel primo caso, di un risparmio di spesa e nel secondo di una maggiore remunerazione, sempre naturalmente in proporzione alla qualità e quantità degli scambi mutualistici, rimanendo esclusi dalla distribuzione fra i soci a titolo di ristorno le eccedenze derivanti dallo scambio con i terzi che costituiscono utili in senso proprio (50) e come tali assoggettati alla relativa disciplina.
   I criteri per la ripartizione dei ristorni, come si dirà più innanzi, sono rimessi all’autonomia contrattuale in sede statutaria (art. 2521, comma 3°, n. 8): non esiste, peraltro, un diritto del socio al ristorno (51), considerato che la relativa distribuzione non potrà non tenere conto delle esigenze sia passate che future dell’impresa – ed in particolare degli investimenti necessari per renderla competitiva – e come tale è rimessa ai poteri discrezionali degli organi sociali secondo le regole dello statuto e del regolamento sociale.
   In ogni caso, e qui trova conferma la differenza con gli utili (52), i ristorni potranno essere distribuiti indipendentemente da ogni rapporto e proporzione tra patrimonio netto e indebitamento complessivo della cooperativa (53).

5. La cooperativa come modello di organizzazione sociale
   Nate storicamente per consentire alle classi sociali meno abbienti di superare il gap che per le stesse andava determinando la rivoluzione industriale, le cooperative costituiscono attualmente, nel panorama non soltanto italiano, un «modello specifico di organizzazione sociale» idoneo a correggere gli squilibri dei sistemi economici capitalistici (54), di guisa da costituire una stockholders society il cui operare si riverbera ed offre tutela anche a coloro che della cooperativa non sono soci (55). Sia quindi che operi prevalentemente con i soci, sia che l’attività venga indirizzata per lo più verso i terzi – come necessariamente accade nelle cooperative che operano nella grande distribuzione – la cooperativa assolve la funzione causale sua propria anche mediante la peculiare organizzazione incentrata sul voto capitario (56) che la caratterizza.
   In questo senso la riforma del 2003, rimettendo all’autonomia statutaria l’individuazione dei requisiti dei soci (artt. 2521, n. 6 e 2527, comma 1°), consente alla cooperativa di dare vita ad una compagine sociale i cui partecipanti non necessariamente perseguono, quale fine primario, il personale e diretto scambio mutualistico, essendo piuttosto interessati alla valorizzazione dell’attività di impresa che assolve di per sé una funzione sociale e solidaristica destinata a soddisfare interessi collettivi non riconducibili al solo vantaggio dei soci (57). Mentre la legge Basevi individuava con un alto grado di tassatività i requisiti dei soci (art. 23 d. lgs. cps. n. 1577/1947) – sicché la ammissione di elementi tecnici ed amministrativi doveva ritenersi consentita «nel numero strettamente necessario al buon funzionamento dell’ente» (58) – attualmente, in nome della «parola d’ordine» autonomia statutaria (59) che ha caratterizzato la riforma, sono venuti meno i vincoli del passato, salvo naturalmente il godimento dei benefici tributari (60) che accompagna le sole cooperative nelle quali i soci mirino a conseguire la massima utilità attraverso le occasioni di scambio con la società. In altri termini lo scopo mutualistico, che della cooperativa costituisce l’elemento teleologico, può essere attuato anche in presenza di una discontinuità tra rapporti sociali e rapporti mutualistici. La gestione di servizio, può così assumere un ruolo non prevalente che peraltro è compensato dal carattere aperto, democratico e non speculativo che costituisce il dna costante della mutualità, anche alla luce dell’art. 45 della Costituzione che riconosce la funzione sociale della cooperazione attraverso una varietà di funzioni, indipendentemente dalla intensità dello scopo mutualistico (61).

6. Le cooperative «a mutualità prevalente»
   L’equilibrio tra rapporto sociale e rapporto mutualistico è, come si è visto, rimesso all’autonomia statutaria. La cooperativa può svolgere la propria attività non soltanto con i soci, ma anche con terzi, ove lo statuto lo preveda (art. 2521, comma 2°). E l’attività con i terzi può addirittura essere prevalente, né sussistono limiti legali alla ripartizione degli utili tra i soci ben potendo lo statuto (art. 2521, comma 3°, n. 8), dedotta naturalmente la riserva legale e la quota di utili destinata ai fondi mutualistici (art. 2545-quarter e art. 11, comma 4°, l. 59/1992), ripartire anche larga parte degli utili fra i soci (62), ancorchè la formulazione letterale del 1° comma dell’art. 2545-quinquies («percentuale massima di ripartizione dei dividendi tra i soci cooperativi») può essere intesa come indice di non distribuzione integrale.
   Il legislatore, peraltro, in attuazione della legge delega, ha inteso valorizzare il rapporto mutualistico rispetto al rapporto sociale riconoscendo una particolare meritevolezza sotto il profilo del vantaggio fiscale alle cooperative a mutualità prevalente (63), cioè a quelle che operano prevalentemente con i soci (64), circostanza questa che dovrebbe attenuare quelle distorsioni delle regole concorrenziali che di per sé le agevolazioni tributarie determinano a favore delle cooperative.
L’art. 2512 definisce società cooperative a mutualità prevalente (65), in funzione del rapporto mutualistico, quelle che (66): 1) svolgono la loro attività prevalentemente in favore dei soci, consumatori o utenti di beni o servizi; 2) si avvalgono prevalentemente, nello svolgimento della loro attività, delle prestazioni lavorative dei soci; 3) si avvalgono prevalentemente, nello svolgimento della loro attività, degli apporti di beni o servizi da parte dei soci (67); quelle cooperative cioè la cui caratteristica strutturale è costituita dalla doppia veste, di socio e di utente che assumono i suoi componenti. L’art.2512 fonde così lo scambio mutualistico con i settori di attività cooperativa: la qualificazione della prevalenza è in funzione del diverso modo di acquisizione del vantaggio mutualistico, secondo che si tratti del settore della cooperazione di consumo, del settore della cooperazione di produzione e lavoro, e del settore della cooperazione di servizi (68).
   L’art. 2513 stabilisce quindi i criteri per la definizione della prevalenza (69) indicando i parametri quantitativi, riferiti al valore degli scambi con i soci (70) attraverso i quali gli amministratori e i sindaci ne documentano la sussistenza nella nota integrativa.
   Schematicamente:

Tipo di società
cooperativa
Parametro di
riferimento
Test
Cooperativa
di consumo o
di utenza
Ricavi delle vendite
Ricavi dalle vendite di beni e dalle prestazioni di servizi a favore dei soci > 50% dei ricavi totali aziendali (voce “A1” del conto economico).
Cooperativa
di lavoro
Costo del lavoro
Costo del lavoro dei soci > 50% del costo totale del lavoro (voce “B9” del conto economico)
Cooperativa
di conferimento
di servizi
Costo dei servizi
Costo dei servizi erogati ai soci > 50% del costo totale per servizi (voce “B7” del conto economico).
Cooperativa
di conferimento
di beni
Costo delle merci e
delle materie prime
acquistate
Costo dei beni apportati dai soci > 50% del costo totale delle merci e delle materie prime (voce “B6” del conto economico).
Cooperativa
agricola (74)
Quantità o valore dei
prodotti agricoli
Quantità o valore dei prodotti conferiti dai soci > 50% della quantità o del valore totale dei prodotti

   Quando si realizzano contestualmente più tipi di scambio mutualistico, la condizione di prevalenza è documentata facendo riferimento alla media ponderata dei valori percentuali.
   Infine, considerata la varietà imprevedibile di possibili fattispecie che dalla realtà operativa possono scaturire, il legislatore della riforma ha affidato al Ministro delle attività produttive (75) il compito di stabilire ragioni derogatorie al requisito della prevalenza.
   In ogni caso la condizione di prevalenza non è rimessa a valutazione ex ante, ma é verificata a posteriori nel bilancio di esercizio (art. 2513, comma 1°) (76).
   L’art. 2514 stabilisce altresì i requisiti di non lucratività che debbono prevedere nei propri statuti le cooperativa a mutualità prevalente, introducendo una limitazione dei diritti patrimoniali dei soci, con la consueta finalità di remunerare il servizio piuttosto che la partecipazione capitalistica. In particolare: a) il divieto di distribuire i dividendi in misura superiore all’interesse massimo dei buoni postali fruttiferi, aumento di due punti e mezzo rispetto al capitale effettivamente versato; b) il divieto di remunerare gli strumenti finanziari offerti in sottoscrizione ai soci cooperatori in misura superiore a due punti rispetto al limite massimo previsto per i dividendi (77); c) il divieto di distribuire le riserve fra i soci cooperatori (78); d) l’obbligo di devoluzione, in caso di scioglimento della società, dell’intero patrimonio sociale, dedotto soltanto il capitale sociale (79) e i dividendi eventualmente maturati, ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione (80).
   Le clausole che precedono possono essere introdotte, come pure soppresse, con le maggioranze previste per l’assemblea straordinaria, di guisa che il passaggio da cooperativa a mutualità prevalente e viceversa non necessita di ricorrere all’istituto della trasformazione, a conferma della unitarietà del modello cooperativo.
   Le cooperative a mutualità prevalente presuppongono così a monte una duplice scelta statutaria e gestionale, che costituisce il presupposto per il godimento delle agevolazioni tributarie (art. 223-duodecies, comma 6°, disp. att. d. lgs. n. 6/2003) e consentono di potenziare patrimonialmente l’impresa (81).

7. Le cooperative «diverse»
   La linea di confine tra cooperative a mutualità prevalente e cooperative diverse (82), che non godono delle agevolazioni fiscali (83) e sono quindi assimilate sotto questo profilo alle imprese con finalità lucrativa, è costituito dal superamento del volume complessivo del cinquanta per cento degli scambi con terzi non soci, oltre naturalmente dalla mancanza nello statuto della previsione dei limiti di cui all’art. 2514. Quei vincoli di indivisibilità e indisponibilità del patrimonio tra i soci che caratterizzano le cooperative a mutualità prevalente non sussistono per le cooperative diverse, il cui patrimonio è in larga parte divisibile fra i soci (84). L’attenuazione delle finalità mutualistiche e il mancato godimento da parte di queste cooperative dei benefici tributari si traduce in una maggiore libertà di trasformazione, ben potendo le cooperative diverse, a differenza di quelle a mutualità prevalente, trasformarsi in società lucrative, devolvendo ai fondi mutualistici (85) per la promozione e lo sviluppo della cooperazione il valore effettivo del patrimonio sociale che eccede il capitale (art. 2545-decies).
   Pur nella distinzione, il decreto attuativo della riforma, in questo lavorando ai margini della legge delega, ha mantenuto anche le cooperative «diverse» nell’àmbito della disciplina generale delle cooperative, in una concezione unitaria della cooperazione (86) che vede sì due sottocategorie di imprese mutualistiche, ma ascrivibili allo stesso genere: comuni sono, infatti, fra l’altro, le regole sulla variabilità del capitale, della porta aperta, dei requisiti dei soci, dell’uguaglianza nel voto e dei limiti ai conferimenti. L’adozione dei requisiti propri della mutualità prevalente, come pure la soppressione degli stessi, compete alle maggioranze previste per l’assemblea straordinaria (art. 2514, ult. comma).

8. Il principio della parità di trattamento
   Comune a tutte le cooperative è la regola della parità di trattamento nei rapporti mutualistici (art. 2516). La norma è rivolta ad evitare discriminazioni nell’attuazione del rapporto mutualistico (87) che caratterizza la società cooperativa in quello che è il rapporto di scambio o associativo, a seconda del settore di attività cooperativa (88), mediante il quale il socio consegue il vantaggio mutualistico, ma non è imposta nei rapporti con i terzi (89).
   Sotto questo profilo saranno suscettibili di impugnativa, come di intervento sanzionatorio da parte del collegio sindacale e dell’autorità di vigilanza, quelle delibere che, senza una ragione oggettiva, introducono diversità di prestazioni sia nella costituzione del rapporto mutualistico che nella esecuzione (90), senza che sussista, conseguentemente, un obbligo di contrarre della cooperativa: la società legittimamente può non accogliere quelle richieste dei soci che impediscono di far fronte a quelle possibili di altri soci, calibrando il proprio operare secondo parametri oggettivi di guisa da evitare che, a parità di condizioni, possano sussistere nei rapporti di scambio discriminazioni tra i soci.
   La regola, invero, pur essendo rivolta specificamente ai rapporti mutualistici, costituisce espressione del più alto principio di democraticità e solidarietà che caratterizza la cooperativa, e quindi concerne anche il rapporto sociale, ed in particolare i diritti amministrativi e patrimoniali dei soci. La norma denota l’apertura ad un principio che coinvolge sotto ogni profilo la vita della società e trova la sua più alta e caratterizzante espressione nella regola del voto per testa (91).
   Dalla norma può anche ricavarsi una regola ulteriore: l’inderogabilità della parità di trattamento sia in relazione al rapporto sociale (92) che a quello mutualistico. E ciò non soltanto perché l’art. 2516 usa il verbo «deve», ma in quanto ogni diversa interpretazione minerebbe alla radice il ruolo solidaristico che la cooperativa assolve. Neppure, dunque, con il consenso di tutti i soci (93) potrà essere sospeso il principio che – a differenza che nelle società lucrative (94) dove peraltro la stessa regola della proporzionalità tra conferimento e diritti inerenti alla qualità di socio (95) è derogabile (96) – nega la possibilità di introdurre meccanismi che comunque alterano l’eguaglianza dei soci nella vita sociale (97).
   Peraltro, la violazione del principio di parità di trattamento (ritenuto vigente già prima dell’introduzione dell’art. 2516 ad opera del d. lgs. n. 6/2003), che espone gli amministratori a responsabilità (98) ex artt. 2395-2519 (99), non incide sulla validità dei rapporti contrattuali di scambio mutualistico (100) con i soci favoriti.

9. La c.d. regola della porta aperta
   L’art. 2528, con formula felice che ricalca il più noto dei caratteri storici della cooperazione, è rubricato «procedura d’ammissione e carattere aperto (101) della società». La norma va letta in stretto collegamento con il principio della variabilità del capitale, di cui si dirà in appresso, principio che comporta verosimilmente l’inammissibilità di una clausola statutaria che fissi a priori un numero massimo di soci.
   L’ingresso del nuovo socio, recita il 2° comma dell’art. 2524, non importa modificazione nell’atto costitutivo in quanto rientra nella normalità della vita della cooperativa , tant’è che le irregolarità nelle procedure di ammissione di nuovi soci possono determinare financo la revoca degli amministratori e dei sindaci e la gestione commissariale della società (art. 2545-sexiesdecies, comma 3°).
   Nel rispetto dell’equilibrio economico-finanziario dell’impresa e dell’interesse della società a non accogliere soggetti privi dei requisiti statutariamente richiesti o comunque non idonei per storia personale di condotta ad omogeneizzarsi nella compagine sociale (102), il consiglio di amministrazione (103), pur non sussistendo un obbligo espresso in tal senso, ha il dovere di non procedere con discriminazioni nelle procedure di ammissione di nuovi soci. L’art. 2528, comma 3°, richiede specificamente che la deliberazione di rigetto della domanda di ammissione sia motivata.
   Per converso non sussiste un diritto dell’aspirante socio all’ingresso nella cooperativa (104), che potrà richiedere il riesame della propria istanza soltanto all’assemblea (art. 2528, comma 4°) e non già all’autorità giudiziaria, essendo l’ammissione un atto di autonomia per sua natura incoercibile (105), ma unicamente suscettibile di indiretta sanzione nel caso in cui dalla comparazione tra le domande accolte e le domande rigettate emergano irregolarità nella gestione delle procedure di ammissione dei nuovi soci (106), come puntualizzato dal richiamato art. 2545-sexiesdecies, comma 3°.

10. La variabilità del capitale
   Il capitale sociale delle cooperative, che ha la funzione di valorizzare l’effettiva partecipazione del socio alla vita della società (107), ha una disciplina particolare rispetto alle regole delle società capitalistiche lucrative, e trova la sua fonte negli articoli 2511 e 2524. La prima disposizione, che svolge anche una funzione definitoria del tipo sociale, esordisce affermando che le cooperative «sono società a capitale variabile»; la seconda precisa che «il capitale sociale non è determinato in un ammontare prestabilito» (art. 2524), ed è destinato a mutare automaticamente in ragione dell’entrata ed uscita dei soci (108) senza necessità di modificare l’atto costitutivo, così contribuendo a consentire la fruizione della cooperativa ad un numero sempre più ampio di soggetti (109) in un’ottica solidaristica e democratica di valorizzazione della gestione di servizio. La variabilità del capitale comporta che gli effetti del contratto non siano limitati alle parti dell’accordo.
   Conclude il quadro normativo generale l’art. 2545-duodecies che dalla perdita integrale del capitale sociale fa discendere lo scioglimento della cooperativa, con conseguente inapplicazione della regola generale in tema di società di capitali che ricomprende fra le cause di scioglimento la riduzione del capitale al di sotto del minimo legale (110) (art. 2484, n. 4).
   Pur non sussistendo un capitale minimo, né comportando l’ammissione di nuovi soci modificazione dell’atto costitutivo (111) (art. 2524, comma 2°), l’ordinamento non solo non consente, al pari che nelle società capitalistiche, rimborsi del capitale ai soci in assenza di una possibilità di interlocuzione da parte dei creditori sociali (112), ma si preoccupa massimamente che sia costantemente incrementato il patrimonio della società attraverso l’obbligatorio annuale accantonamento a riserva del trenta per cento degli utili, nonché mediante il divieto di ripartizione tra i soci delle riserve indivisibili.
   Il capitale di regola si implementa attraverso i conferimenti da parte dei nuovi soci che, senza che ciò comporti come si è detto modificazione dell’atto costitutivo, per lo più si accompagnano al versamento di un soprapprezzo (art. 2528, comma 2°) al fine di evitare che delle riserve accantonate vengano a beneficiare gli ultimi arrivati.
   Il conferimento da parte del nuovo socio segue alla ammissione dello stesso nella compagine sociale in seguito a domanda dell’interessato accolta dagli amministratori: cosiddetta porta aperta (art. 2528), che, pur con le facilitazioni introdotte in proposito dalla riforma, non comporta il diritto all’accoglimento della domanda anche nella sussistenza dei necessari requisiti, ma costituisce pur sempre un carattere indelebile della cooperativa nella quale non potrebbe configurarsi un capitale fisso (113) che verrebbe a precludere la diffusione dei benefici della mutualità, destinati per converso ad àmbiti potenzialmente illimitati.

11. La responsabilità dei soci
   La riforma del 2003 ha profondamente innovato l’impianto normativo concernente la responsabilità personale dei soci. Secondo il codice del 1942 la cooperativa poteva essere sia società con soci a responsabilità limitata (art. 2514), sia società con soci a responsabilità illimitata (art. 2513). Inoltre nelle cooperative a responsabilità limitata, l’atto costitutivo poteva stabilire che ciascun socio rispondesse per somma multipla dell’ammontare della propria quota (114).
   A differenza che nella società di persone trattavasi, comunque, di responsabilità, solidale fra i soci e sussidiaria rispetto alla società, emergente soltanto in caso di liquidazione coatta amministrativa o di fallimento (115).
   Il legislatore ha oggi stabilito che nelle società cooperative per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio (art. 2518), «confermando in tal modo il rafforzamento del principio dell’autonomia giuridica delle strutture cooperative» (116).
   Peraltro, pur non potendo il socio, secondo la disciplina legale, essere costretto ad intervenire con ulteriori esborsi a fronte di perdite (117), è consentita – in quell’ottica di valorizzazione a tutto campo dell’autodeterminazione societaria che costituisce un cardine della riforma – la previsione statutaria di esborsi ulteriori dei soci a titolo di controprestazione dei servizi mutualistici (118).

12. Le norme applicabili
   Con un rinvio residuale il nuovo art. 2519 ha disposto l’applicabilità alle società cooperative delle disposizioni sulle società per azioni in quanto compatibili. Non già quindi un appiattimento normativo sulla spa (119), da cui la cooperativa può ormai ritenersi affrancata disponendo di una organica e completa disciplina propria (120), ma soltanto un rinvio di chiusura volto a colmare eventuali lacune.
   Il 2° comma dell’art. 2519 offre inoltre la possibilità che, in forza di previsione statutaria, trovino applicazione, in quanto compatibili (121), le norme sulla società a responsabilità limitata (122) nelle cooperative con un numero di soci cooperatori inferiori a venti ovvero con un attivo dello stato patrimoniale non superiore a un milione di euro (123).
   Per le cooperative costituite da almeno tre soci persone fisiche, ma inferiori a nove, il modello s.r.l. riveste carattere di obbligatorietà (art. 2512, comma 2°).
   Per entrambi i rinvii si pone così un più generale problema di compatibilità, non più come in passato, relativamente a specifici istituti, ma a tutto campo, cioè con l’intera disciplina, rispettivamente, sia della società per azioni che della società a responsabilità limitata.
   L’esame dei singoli profili verrà di volta in volta effettuato nel corso dell’esposizione (124).
   Può osservarsi, per converso, come le disposizioni dettate in generale dal legislatore sulle cooperative (titolo VI del quinto libro del codice civile) non siano applicabili agli enti mutualistici diversi dalle società (art. 2517) (125).

13. Le cooperative di diritto speciale
   L’art. 5, comma 3°, della legge delega prevede l’esclusione dalla riforma dei consorzi agrari, delle banche popolari, delle banche di credito cooperativo (126) e degli istituti della cooperazione bancaria.
   Si tratta di settori della cooperazione molto diversi tra loro (127) e, specie, per le cooperative operanti nel settore creditizio, di imprese rette con un faticoso equilibrio tra ragioni della mutualità e ragioni della banca. Ed al fine di evitare incertezze interpretative in ordine ai profili della «prevalenza», l’art. 223-terdecies, comma 1°, delle norme di attuazione del d. lgs. n. 6/2003, ha stabilito che «alle banche popolari ed alle banche di credito cooperativo si applica l’art. 223-duodecies» (128), che subordina la conservazione delle agevolazioni fiscali alle cooperative che abbiano adeguato i propri statuti alle disposizioni che disciplinano le società cooperative a mutualità prevalente.
   In ogni caso alle cooperative regolate dalle leggi speciali (129) le disposizioni del codice civile sono applicabili in quanto compatibili con quelle leggi (art. 2520).
   Dopo aver dettato queste preclusioni il legislatore nulla ha aggiunto circa le possibilità di ricorso all’autonomia statutaria da parte delle cooperative di diritto speciale in generale. Il silenzio deve essere interpretato tendenzialmente nel senso del divieto, non potendo, di regola, introdursi per contratto (130) le nuove regole sulla cooperazione che hanno trovato preclusione per via normativa.

14. Le società cooperative con azioni quotate
   È questo un settore che attualmente concerne essenzialmente le banche popolari alle quali si applica, fra l’altro, la disciplina generale dettata dal t.u.f. (d. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58), che concerne, senza distinzioni fra società lucrative e società mutualistiche (131), tutte le «società italiane con azioni quotate in mercati regolamentati italiani o di altri paesi dell’Unione Europea» (art. 119). Deve trattarsi, in particolare, di società che emettano azioni, quindi cooperative alle quali si applicano le disposizioni sulla società per azioni e che al tempo stesso siano ammesse alla quotazione.
   Secondo l’art. 135 del t.u.f., nelle società cooperative le percentuali di capitale individuate nel codice civile l’esercizio di diritti da parte dei soci sono rapportate al numero complessivo dei soci stessi (132): così, in particolare, il 4° comma dell’art. 157 relativo all’impugnativa della delibera di approvazione del bilancio; ma la regola concerne in generale tutte le fattispecie nelle quali l’esercizio del diritto è in funzione della misura di partecipazione al capitale sociale (133).

* Il saggio costituisce il primo capitolo, suscettibile di limitate modifiche e integrazioni, del volume “La società cooperativa”, di prossima pubblicazione nel Trattato di diritto commerciale diretto da Vincenzo Buonocore (Giappichelli).

NOTE

   (1) Operante nel settore del consumo. La letteratura in materia di cooperazione è vastissima: tra i più recenti studi monografici antecedenti alla riforma del 2003, cfr. V. BUONOCORE, Diritto della cooperazione, Bologna, 1997; A. BASSI, Le società cooperative, Torino, 1995; G. BONFANTE, Imprese cooperative, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1999; G. TATARANO, L’impresa cooperativa, Milano, 2002; L. F. PAOLUCCI, Le società cooperative, Milano, 1999; A. CECCHERINI, Le società cooperative, in Trattato Bessone, Torino, 1999; sulla letteratura risalente, v. la fondamentale opera di P. VERRUCOLI, La società cooperativa, Milano, 1958.
   Fra i primi studi generali sulla riforma possono ricordarsi le Relazioni contenute negli Atti del Convegno di Courmayeur del 27/28 settembre 2002 (in particolare quelle di A. BASSI, La «filosofia» della riforma delle società cooperative, e di G. BONFANTE, La società cooperativa, raccolte nel volume La riforma del diritto societario, Milano, 2003, rispettivamente, a 271ss. e 281 ss.) e negli Atti del Convegno di Padova-Abano Terme del 5/7 giugno 2003 (in particolare quella di V. BUONOCORE, La società cooperativa riformata: i profili della mutualità, in Le grandi opzioni della riforma del diritto e del processo societario, Padova, 2004, 51 ss.); v., ancora, gli Atti del convegno di Genova dell’8 marzo 2002, La riforma del diritto cooperativo, a cura di Graziano, Padova, 2002.
   La materia della cooperazione è stata quindi oggetto di approfondimento ad opera, fra l’altro, di vari commentari dedicati alle nuove norme sul diritto societario introdotte dal d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, ed in particolare: La riforma del diritto societario, 10, a cura di G. Lo Cascio, Milano, 2003 (nel prosieguo Commentario Lo Cascio); La riforma delle società, 4, a cura di M. Sandulli e V. Santoro, Torino, 2003 (nel prosieguo Commentario Sandulli-Santoro); Il nuovo diritto societario, 2***, Commentario diretto da G. Cottino e G. Bonfante, O. Cagnasso, P. Montalenti, Bologna, 2004 (nel prosieguo Commentario Cottino); Il nuovo diritto delle società, IV, Padova, 2005 (nel prosieguo Commentario Maffei Alberti); Commentario alla riforma delle società, diretto da P. Marchetti, L.A. Bianchi, F. Ghezzi, M. Notari, Milano, 2005 (nel prosieguo Commentario Marchetti).

   (2) La cooperazione appare con questo nome nel 1821 ad opera di Robert Owen, e sta a qualificare in un primo momento un movimento utopistico per la creazione di colonie agricole comunistiche; questo nome viene in seguito assunto da un movimento già in atto nella stessa Inghilterra, sin dal 1760, e costituito da lavoratori che gestivano delle società per l’approvvigionamento di viveri: così T. BOTTERI, Economia cooperativa, Roma, 1974, p. 3. Per un esame dello sviluppo delle principali legislazioni europee, con particolare riferimento a quella italiana, cfr. P. VERRUCOLI, La società cooperativa nella legislazione italiana: dal codice di commercio del 1882 al codice civile del 1942, in Il movimento cooperativo nella storia d’Italia, 1854-1975, a cura di F. Fabbri, Milano 1979, p. 798 ss. Sull’inserimento del movimento cooperativo nel sistema economico italiano, v. U. ROMAGNOLI, Il sistema economico nella Costituzione, in Trattato Galgano, I, Padova, 1977, p. 171 ss. Per un esame del difficile rapporto tra l’art. 45 della Costituzione e la legislazione ordinaria, cfr. V. BUONOCORE, Diritto della cooperazione, cit., p. 47 ss.

   (3) La nascita della società cooperativa, come fenomeno distinto dalla società di mutuo soccorso, mostra l’articolato svolgersi di un «movimento che mira a contestare nelle sue più diverse manifestazioni la “legge” capitalistica della remunerazione del capitale, a sottrarre all’applicazione di questa “legge” i ceti sociali apportatori di plus-valore»: F. GALGANO, Le istituzioni dell’economia capitalistica, Bologna, 1974, p 165.

   (4) Il sistema cooperativo è attualmente un attore economico di primo piano: le connessioni tra mercato e cooperative sono forti, strette e di lungo periodo, nei più svariati campi, dall’agroalimentare al terziario avanzato, passando per l’edilizia, il consumo e i servizi finanziari. Complessivamente le cooperative determinano il 7% del Pil (cfr. Il Sole – 24 Ore, 25 agosto 2005 n. 232, p. 30).

   (5) Che potrebbe ora utilizzare la cooperativa in funzione di training considerati gli ampi spazi di trasformazione da società cooperativa in società lucrativa offerti dalla recente riforma (d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 6): cfr. G. BONFANTE, in Commentario Cottino, cit., p. 2382. Sulla base di questi nuovi spazi ha trovato nella dottrina valorizzazione la tesi che individua la mutualità nel suo carattere strutturale piuttosto che in quello causale: cfr. E. TONELLI, in Commentario Sandulli-Santoro, cit., p. 10; in questo senso già, E. SIMONETTO, La cooperativa e lo scopo mutualistico in Riv. soc., 1971, p. 245 ss. La centralità dell’attività mutualistica, intesa come gestione di servizio al socio (lo «scambio mutualistico» di cui al 1° comma dell’art. 2512), non sembra peraltro scalfita dalla recente riforma, che, come si avrà modo di verificare nel corso della trattazione, individua un modello unitario di cooperativa a cui la Costituzione (art. 45) riconosce funzione sociale ancorché lo svolgimento dell’attività in favore dei soci non abbia carattere prevalente.

   (6) Anche nelle cooperative accade dunque che «il contratto modella la realtà sulla quale incide ma esso stesso ne è per più versi plasmato», secondo l’incisiva immagine con cui si apre il saggio di C. CACCAVALE, Giustizia del contratto e presupposizione, Torino, 2005.

   (7) «Cooperazione e solidarietà sono all one»: così, V. BUONOCORE, Diritto della cooperazione, cit., p. 23.

   (8) Quantomeno a far data dalla legge 31 gennaio 1992, n. 59, che ha agevolato la remunerazione del capitale ed ha introdotto nuovi modelli partecipativi non dissimili da quelli delle imprese capitalistiche: cfr. V. BUONOCORE, Diritto della cooperazione, cit., p. 119, che considera la riforma del ‘92 «una sorta di svolta epocale nella lunga vita del movimento cooperativo».

   (9) Che, peraltro, impedisce ai soci di esercitare un efficace controllo sul management, di guisa che le tecnostrutture sono destinate a diventare il padre-padrone dell’impresa.

   (10) Le cooperative possono essere solo controllanti e mai controllate, salvo il caso di controllo contrattuale previsto dalla nuova disciplina del gruppo paritetico cooperativo (art. 2545-septies), su cui infra cap. X.

   (11) Svolta con metodo economico, che comporta l’impostazione di un programma imprenditoriale nel quale i ricavi siano idonei a coprire quanto meno i costi della gestione, un budget cioè che, in via minimale, veda il conto economico chiudere quantomeno in pareggio: in argomento v., ora, E. LOFFREDO, Economicità e impresa, Torino, 1999.

(12) Cfr. il richiamo all’art. 2 della legge delega 3 ottobre 2001, n. 234, da parte dell’art. 5 della medesima legge. Sui principi generali della riforma, v. C. ANGELICI, La riforma delle società di capitali, Padova, 2003.

(13) G. BONFANTE, in Commentario Cottino, cit. p. 2379. Per una posizione antitetica, seppure di anni ormai risalenti, cfr. E. M. LEO, La legge sulle casse rurali ed artigiane e l ‘essenza della cooperativa, in Riv. soc., 1966, p. 522 ss.: secondo questo A. non sussisterebbe alcuna finalità tipica del contratto di società cooperativa. Sullo scopo mutualistico nel dibattito della dottrina, cfr. V. BUONOCORE, Diritto della cooperazione, cit., p. 106 ss.

   (14) Relazione al codice civile, n. 1025.

   (15) Rispettivamente nelle cooperative di consumo e di lavoro, a cui si aggiungono le cooperative che si avvalgono nello svolgimento della loro attività degli apporti di beni e servizi da parte dei soci (art. 2512, n. 1, 2, 3).

   (16) Inteso come differenza positiva tra ricavi e costi, destinato nella cooperativa a costituire il vantaggio mutualistico conseguito dai soci stessi sotto forma di minor costo dei beni e servizi offerti dalla società ai soci o di maggiore remunerazione dei beni e servizi forniti dai soci alla società. Nelle pagine che seguono verrà chiarito come il vantaggio mutualistico possa essere realizzato immediatamente o, in via differita, con la tecnica del ristorno.

   (17) Quelle medesime prestazioni che istituzionalmente la cooperativa destina ai soci in funzione di quel rapporto che, tradizionalmente, viene definito «gestione di servizio», di cui al paragrafo seguente.

   (18) Così G. BONFANTE, in Commentario Cottino, cit., p. 2377, il quale ritiene nondimeno che la libertà statutaria dovrà pur sempre rispettare la regola della prevalenza dei ristorni sui dividendi (p. 2304), ancorché lo stesso A. debba ammettere che mancano disposizioni in tal senso (p. 2380).

   (19) Cioè quella contenuta nella riforma organica della disciplina delle società di capitali di cui al d. lgs. 1° gennaio 2003, n. 6, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 6, entrata in vigore il 1° gennaio 2004, che ha fra i suoi immediati precedenti: il c.d. progetto Mirone, il progetto di legge Veltroni e il disegno di legge Fassino. Sul primo, in particolare, consegnato ai Ministri della Giustizia e del Tesoro il 15 febbraio 2000 (v. in Giur. comm., 2000, I, p. 316), si è soffermata l’attenzione degli studiosi: v., fra gli altri, R. COSTI, Proprietà e imprese cooperative nella riforma del diritto societario, in Giur. comm., 2001, I, p. 129 ss.; G. BONFANTE, Il progetto Mirone: la disciplina delle società cooperative, in Riv. coop., 2000, p. 7 ss.; E. ROCCHI, Una riforma (organica) delle società cooperative: alcune annotazioni a margine della c.d. bozza Mirone, in Giur. comm., 2000, I, p. 407 ss. Per uno sguardo d’insieme sulla riforma, v., ora, il commento di un autorevole componente della Commissione: A. BASSI, Principi generali della riforma delle società cooperative, Milano, 2004.

   (20) Che consistono sostanzialmente nella esclusione dalla tassazione di una parte degli utili destinati alla riserva obbligatoria: cfr., in particolare, la circolare dell’Agenzia delle entrate 15 luglio 2005, n. 34, che, anche attraverso schemi ed esempi pratici, fa luce sulle novità normative, introdotte dalla legge 30 dicembre 2004, n. 311 (“Finanziaria 2005”), che hanno ridisegnato la disciplina fiscale, rilevante ai fini della imposizione sui redditi, delle società cooperative e loro consorzi.

   (21) Cioè quelle che lavorano principalmente per i propri iscritti o grazie al loro lavoro.

   (22) Già prevalente in fatto, rispetto all’attività mutualistica con i soci, nelle cooperative di consumo: cfr. G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, 2, Diritto delle società, Torino, 2002, p. 568.

   (23) Fra le più significative realtà in proposito può ricordarsi la Conad (Consorzio nazionale dettaglianti) che costituisce forse la più significativa organizzazione cooperativa di imprenditori indipendenti in Italia, con una struttura articolata su tre livelli: gli imprenditori soci, cioè i titolari degli esercizi commerciali; le cooperative, grandi centri di acquisto e di distribuzione; il Consorzio nazionale, ovvero la centrale di servizi, marketing e comunicazione per l’intero sistema. Sempre nel settore della grande distribuzione, nel ricco arcipelago delle cooperative di consumo, emergono la Unicoop di Firenze, la Coop. Adriatica e l’Estense, vere e proprie gigantesche slot machine per il flusso di denaro che producono, secondo il colorito linguaggio giornalistico (Corriere della Sera, 12 febbraio 2004).

   (24) Mentre nessun limite sussiste in merito alla produzione ed al conseguimento di utili da parte della cooperativa (lucro oggettivo).

   (25) In ogni caso tutte le cooperative, a rafforzamento del movimento cooperativo, debbono devolvere una quota pari al 3 per cento degli utili di esercizio ai Fondi mutualistici per lo sviluppo del settore (art. 11, comma 4°, legge n. 59/1999).

   (26) Cfr. F. GALGANO, Le società cooperative, in Trattato Galgano, XIX, t. 1, Padova, 2004, p. 499, che incentra il «carattere di mutualità» con l’assenza di «fini di speculazione privata».

   (27) Per tutti, V. BUONOCORE, Manuale di diritto commerciale, a cura del medesimo, Torino, 2003, p. 126.

   (28) G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale , 2, cit., p. 5.

   (29) Inteso come causa del contratto sociale.

   (30) Dalla duplicità di rapporti discende una differente efficacia del recesso del socio dalla cooperativa, immediata per il rapporto sociale, differita per quello mutualistico (art. 2532).

   (31) Costituito dai contratti di compravendita fra cooperativa e socio nelle cooperative di consumo; dai rapporti di lavoro nelle cooperative di produzione e lavoro. A questi due modelli base si aggiungono le cooperative di servizio, specie tra imprenditori.

   (32) Cfr. l’art. 2538, comma 3°, con riferimento alle cooperative di secondo grado, e l’art. 2543, comma 2°, concernente l’elezione dell’«organo di controllo».

   (33) Sugli obblighi di accumulazione patrimoniale nelle riserve è fra l’altro basata la distinzione tra cooperative a mutualità prevalente e altre cooperative.

   (34) I profitti realizzati sono in misura non secondaria accantonati a riserva non distribuibile e quindi reinvestiti nella società oppure devoluti ad altre finalità mutualistiche. La legge n. 59/1992 impone la devoluzione di una quota degli utili, e del patrimonio in caso di liquidazione, ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione.
(35) Così G. BONFANTE, in Commentario Cottino, cit., p. 2627.

   (36) Sulla valorizzazione dello scopo mutualistico in funzione antagonista allo sviluppo del movimento cooperativo, cfr. A. BASSI, Principi generali della riforma, cit., p. 27 ss.

   (37) In argomento, anche per ogni riferimento, v. il saggio di A. BASSI, Rileggendo l’art. 45 della Costituzione, in Studi in onore di Gastone Cottino, VI, Padova, 1997, p. 1251 ss.

   (38) Tant’è che tutte le cooperative, e non solo quelle a mutualità prevalente, devono illustrare, a mezzo degli amministratori e dei sindaci, nelle relazioni sul bilancio, i criteri seguiti nella gestione sociale per il perseguimento dello scopo mutualistico (art. 2545).

   (39) Concetto questo alquanto fumoso che sembra oggi trovare legislativa conferma nel 2° comma dell’art. 2520, che riconosce legittimità a determinate cooperative disciplinate da norme speciali «destinate a procurare beni e servizi a soggetti appartenenti a particolari categorie anche di non soci». Per un esame del dibattito sulla mutualità esterna, cfr. G. BONFANTE, Imprese cooperative, cit., p. 86 ss., ove l’A. ricorda come già Vivante, nel 1886, teorizzava l’esistenza di una cooperativa che distribuisse i suoi vantaggi agli utenti e non solo ai soci. In quest’ottica la c.d. mutualità esterna, contrapposta a quella contrattuale in senso stretto, assegna alle cooperative lo scopo di soddisfare i bisogni non solo dei soci ma anche della categoria sociale cui gli stessi appartengono: l’essenza del fenomeno è da ravvisare, secondo P. VERRUCOLI, Le società cooperative, cit., specie cap. II, par. 2, nel «collegamento funzionale tra la società cooperativa ed un gruppo sociologico» o nell’«attivazione della categoria di un determinato settore economico».

   (40) Un ruolo significativo assumono in proposito le cooperative fidi che coniugano mutualità e finalità speculative, su cui v., ora, il d.l. 30 settembre 2003, n. 269, conv. dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, che, peraltro, allontana, talvolta, la disciplina di queste cooperative da quella generale del codice civile. Sui problemi finanziari delle industrie minori e sulle difficoltà di accesso al mercato del credito per la piccola e media impresa, si vedano le sempre attuali pagine introduttive dello studio di D. VITTORIA, I problemi giuridici dei consorzi fidi, Napoli, 1981. Per una critica alla c.d. mutualità «di sistema», v. V. BUONOCORE, Diritto della cooperazione, cit., p. 318, e, ora, A. BASSI, Principi generali della riforma, cit., p. 68 ss.

   (41) G. OPPO, Mutualità e lucratività, in Riv. dir. civ., 1992, p. 364; G. MARASA’, Problemi in tema di finanziamento delle cooperative e di finanziamento della cooperazione nella l. n. 59 del 1992, in Contratti associativi e impresa, Padova, 1995, p. 48 ss.

   (42) E. SIMONETTO, La cooperativa e lo scopo mutualistico, cit., p. 245 ss.

   (43) Cfr. R. COSTI, I profili patrimoniali del nuovo diritto della cooperazione, in Il nuovo diritto societario fra società aperte e società private, a cura di P. Benazzo, S. Patriarca e G. Presti, Milano, 2003, p. 219 ss.

   (44) La sottocapitalizzazione ha sovente impedito alle cooperative di svolgere adeguatamente la loro stessa funzione mutualistica. Sul ruolo di democratizzazione e apertura del mercato a nuovi soggetti e sulla cooperativa come stockholders society, cfr. G. BONFANTE, in Commentario Cottino, cit., p. 2376 ss.

   (45) In questo senso era incentrato, in particolare, il disegno di legge Fassino, che, aveva introdotto un non condivisibile differente regime di vigilanza tra cooperative «costituzionalmente riconosciute» e «non riconosciute».

   (46) Sui ristorni e, in generale, sui diritti del socio - che ha avuto scambi mutualistici - ai vantaggi cooperativi, cfr. V. BUONOCORE, Diritto della cooperazione, cit., p. 232 ss.

   (47) Per qualche sporadica menzione, cfr. gli artt. 7 e 8 del r.d. 12 febbraio 1911, n. 278, sui consorzi di cooperative ammissibili ai pubblici appalti, e, in tempi più recenti, le varie norme fiscali che ne hanno consentito la deducibilità, seppure parziale, dal reddito delle cooperative: da ultimo il d.l. 15 aprile 2002, n. 63, convertito con la l. 15 giugno 2002, n. 112. In argomento v., ora, la rigorosa impostazione di G. TERRANOVA, Riserve, dividendi e ristorni nella riforma, in Le cooperative dopo la riforma del diritto societario, a cura di M. Sandulli e P. Valensise, Milano, 2005. Sui rapporti tra codice civile e leggi speciali regolanti settori specifici dell’attività cooperativa (queste ultime, peraltro, non costituiscono oggetto del presente volume), v. G. MARASÀ, Problemi della legislazione cooperativa e soluzioni della riforma, in Le cooperative prima e dopo la riforma del diritto societario, a cura di G. Marasà, Padova, 2004, p. 17 ss.

   (48) Di qui la sicura illegittimità di una clausola statutaria che preveda un ristorno uguale per tutti i soci.

   (49) Cfr. E. CUSA, I ristorni nelle società cooperative, Milano, 2000, ed ora, La nozione civilistica di ristorno, in Riv. coop., 2003, p. 21 ss. Sulle origini e sullo sviluppo del concetto di ristorno, nonché per un esame dell’attuale disciplina, v. G. BONFANTE, in Commentario Cottino, cit., p. 2623 ss., il quale affronta anche le problematiche relative al trattamento fiscale del ristorno, ivi, 2630 ss.

   (50) G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, 2, cit., p. 591. In questo senso la risoluzione n. 1727 E del 5 giugno 2002 dell’Agenzia delle Entrate che ha escluso possano costituire oggetto di ristorno i risultati della gestione intercorsi con non soci.

   (51) Cass., 8 settembre 1999, n. 9513, in Società, 2000, p. 43; App. Milano, 15 novembre 1996, in Società, 1997, p. 668. In argomento, G. FAUCEGLIA, Note in tema di distribuzione dei ristorni nelle società cooperative, in Giur. comm., 2000, II, p. 232.

   (52) Che costituiscono il metodo tipico di remunerazione della partecipazione capitalistica.

   (53) A differenza, cioè, di quanto accade per i dividendi (art. 2545-quinquies, comma 2°). In ordine alla priorità della distribuzione in forma di ristorno su quella in forma di dividendo, cfr. G. MARASÀ, op. ult. cit., p. 15. Una regolamentazione a sé è prevista per le cooperative di lavoro nelle quali, secondo l’art. 3 della legge 3 aprile 2001, n. 142, la possibilità di integrazione delle retribuzioni ai soci mediante ristorni discende direttamente dalla legge, con il limite massimo del trenta per cento dei trattamenti retributivi complessivi.

   (54) A. BASSI, L’impresa societaria con scopo mutualistico, in Manuale di diritto commerciale, a cura di V. Buonocore, cit., p. 426.

   (55) Sul ruolo di tutela del lavoro in sé svolto dalle cooperative di lavoro, come pure di tutela dei consumatori ad opera delle cooperative di consumo, cfr. G. BONFANTE, in Commentario Cottino, cit., p. 2376.

   (56) Il voto capitario, peraltro, se da un lato valorizza il principio di uguaglianza dei soci, dall’altro, come si è detto, costituisce, come si è detto, il limite del singolo rispetto al ruolo egemonizzante degli organi sociali, sì da costituire un’efficiente difesa contro scalate esterne.

   (57) Cfr. ASSOCIAZIONE PREITE, Il diritto delle società, a cura di G. Olivieri, G. Presti, F. Vella, Bologna, 2004, p. 326.

   (58) Così il 3° comma del richiamato art. 23.

   (59) Che, pur nel suo rilievo, non potrà mai assumere la valenza dirompente che è destinato a svolgere nelle società di capitali, considerata la fragile posizione del singolo socio, con la conseguenza che le clausole derogatorie rispetto al sistema legale troveranno la loro fonte necessariamente nelle elaborazioni suggerite dalle associazioni nazionali di rappresentanza ed assistenza del movimento cooperativo in funzione del contesto economico ed ambientale nel quale la cooperativa opera. Sulle «parole d’ordine» della riforma, v. C. ANGELICI, La riforma delle società, cit., p. 111.

   (60) Cfr. il richiamato 6° comma dell’art. 223-duodecies disp. att.

   (61) Cfr. il profetico studio del prof. G. OPPO, Finalità mutualistiche e carattere lucrativo nelle società cooperative, in La nuova disciplina delle società cooperative, Milano, 1993, p. 1 ss.

   (62) L’entità dell’utile distribuibile non incide sui ristorni che costituiscono debiti verso i soci e come tali vanno a bilanciare i ricavi nel conto economico della cooperativa.

   (63) Anche alla luce dei risultati a cui erano pervenute la dottrina (V. CALANDRA BONAURA, Crediti di società cooperative e privilegio generale sui mobili, in Giur. comm., 1981, II, p. 357) e la giurisprudenza (Cass., 29 marzo 2001, n. 4585) ante riforma, può oggi ritenersi che l’appartenenza alla categoria delle cooperative a mutualità prevalente costituisca anche il presupposto per beneficiare del privilegio previsto dall’art. 2751-bis n. 5 e 5 bis (concernenti, rispettivamente, le cooperative di produzione e lavoro, le cooperative agricole e i loro consorzi), con esclusione quindi delle cooperative c.d. diverse: sulla portata della riforma, v. S. PATTI, I privilegi, Milano, 2003, p. 214 ss.

   (64) Il 2° comma dell’art. 2521 considera quale unica fattispecie legale quella della cooperativa che opera esclusivamente con i soci, necessitando un’apposita previsione statutaria perché la cooperativa possa operare anche con i terzi: la mutualità pura costituisce il modello legale, la cooperativa di base, ancorché in assenza delle clausole di non lucratività (art. 2514) non sarà soggetta allo statuto della mutualità prevalente, né, conseguentemente, potrà godere delle agevolazioni tributarie: ma, giustamente, è stato rilevato come non abbia senso prevedere clausole di non lucratività in una cooperativa che, non operando con i terzi, non produce utili: così, A. BASSI, Principi generali della riforma, cit., p. 72, ove l’A. affronta anche il problema della sorte degli atti compiuti con i terzi non soci nelle cooperative c.d. pure e conclude per l’applicabilità della sanzione dell’inefficacia, sanabile successivamente; ma, in senso contrario, Cass., 25 settembre 1999, n. 10602, in Società, 2000, p. 307, che ha stabilito, per le cooperative edilizie, che l’assegnazione di immobile a terzo non socio sarebbe viziata da nullità assoluta.

   (65) Che, a dire il vero, sono costituite per lo più da cooperative di piccola e media dimensione.

   (66) Per quanto concerne le banche popolari e le banche di credito cooperativo, v. il successivo par. 13. Le cooperative sociali (purché osservino le regole di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, che disciplinano queste particolari cooperative) sono considerate, indipendentemente dai requisiti di cui all’art. 2513, cooperative a mutualità prevalente; le cooperative agricole che esercitano le attività di cui all’art. 2135 sono considerate cooperative a mutualità prevalente se soddisfano le condizioni di cui al terzo comma dell’art. 2513 (art. 111-septies delle disposizioni transitorie).

   (67) Le società cooperative a mutualità prevalente si iscrivono in un apposito albo, presso il quale depositano annualmente i propri bilanci.

   (68) Sulla significatività dell’art. 2512 che ha introdotto il collegamento tra lo «scambio mutualistico» e i «settori di attività cooperativa», cfr. V. BUONOCORE, La riforma della società, cit., p. 134.

   (69) Il calcolo della prevalenza ha quale riferimento il conto economico della cooperativa con esclusione delle relative voci non pertinenti ai rapporti di scambio con i soci.

   (70) In passato il criterio adottato era basato esclusivamente sulla prevalenza numerica dei rapporti di scambio con i soci.

   (71) In realtà i sindaci, secondo le regole generali, non avrebbero titolo per assumere posizioni nella nota integrativa, che è un atto degli amministratori.

   (72) In proposito è stato opportunamente rilevato che il calcolo dei ricavi va effettuato sulla base dei prezzi complessivi, computando quindi anche i ristorni: cfr. R. CHIUSOLI, La riforma del diritto societario per le cooperative, in Coop. cons., 2003, p. 17.

   (73) Il punto “B9” del conto economico non ricomprende peraltro i rapporti di lavoro di altro tipo previsti dalla legge n. 142/2001: di qui l’ipotesi di colmare in via interpretativa le lacune della norma, cfr. M. IENGO, La mutualità cooperativa, La riforma delle società cooperative, a cura di R. Genco, Milano, 2003, p. 13.

   (74) Per queste cooperative il legislatore, al criterio generale del valore dei prodotti, ha affiancato quello della quantità.

   (75) L’art. 111-undecies delle norme di attuazione così dispone: Il Ministro delle attività produttive, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, stabilisce, con proprio decreto, regimi derogatori al requisito della prevalenza, così come definite dall’articolo 2513 del codice, in relazione alla struttura dell’impresa e del mercato in cui le cooperative operano, a specifiche disposizioni normative cui le cooperative devono uniformarsi e alla circostanza che la realizzazione del bene destinato allo scambio mutualistico richieda il decorso di un periodo di tempo superiore all’anno di esercizio.

   (76) Quindi il programma economico che la cooperativa si prefigge (si pensi alle cooperative edilizie che appaltino le costruzioni di appartamenti in misura maggiore al numero dei soci) non è decisivo, rilevando unicamente la situazione fattuale finale (per cui, nell’esempio, i soci potrebbero entrare in cooperativa anche nel corso dei lavori).

   (77) Le limitazioni di cui alle lett. a) e b) concernono i soci cooperatori e non si estendono ai possessori di strumenti finanziari, con l’evidente finalità di rendere più appetibile l’investimento in cooperativa per i finanziatori, ancorché il divieto di cui alla lett. b) possa essere agevolmente eluso dai soci - come puntualmente è stato rilevato (G. BONFANTE, in Commentario Cottino, cit., p. 2401) - intestando lo strumento finanziario ai propri familiari.

   (78) Anche questo divieto ha valore solo per i soci cooperatori intendendo la riforma consentire la patrimonializzazione degli strumenti finanziari.

   (79) Tenuto conto, naturalmente, anche dell’eventuale rivalutazione e del sopraprezzo (art. 7 e art. 9 legge 31 gennaio 1992, n. 59).

   (80) La qualifica di cooperativa a mutualità prevalente viene meno quando, per due esercizi consecutivi, la cooperativa non rispetti la condizione di prevalenza di cui all’art. 2513 o modifichi le previsioni statutarie di cui all’art. 2514 (art. 2545-octies).

   (81) Dall’attività svolta con i terzi discendono maggiori margini operativi destinati a far confluire i conseguenti utili nelle riserve indivisibili della cooperativa, consentendole maggiori aperture al mercato: le riserve indivisibili così conseguite sono destinate, come si vedrà nel successivo capitolo VIII, a incrementare il patrimonio della cooperativa anche in caso di perdita della qualifica di cooperativa a mutualità prevalente.

   (82) Il legislatore ha previsto che le cooperative a mutualità prevalente e le cooperative diverse siano distinte anche anagraficamente, stabilendo la suddivisione in due distinte sezioni nell’Albo delle società cooperative tenuto a cura del Ministero delle attività produttive presso il quale vanno depositati annualmente i bilanci (artt. 2515, comma 3°, e 223-sexiesdecies, comma 1°, disp. att.).

   (83) Al pari delle cooperative a mutualità prevalente, le cooperative diverse godono degli ulteriori privilegi sostanziali e processuali e delle agevolazioni comuni a tutte le cooperative, senza distinzione di sorta: e così, parimenti, gli incentivi di varia natura come pure le diverse prelazioni riconosciuti all’impresa cooperativa trovano applicazione indistinta. Che la parificazione tra quelle che nella recente codificazione sono le cooperative a mutualità prevalente rispetto alle cooperative diverse non dovesse essere integrale – sopratutto alla luce dell’art. 45 Cost., considerato il diverso grado di meritevolezza che ha da sempre caratterizzato le varie categorie di cooperative esistenti – emerge già dai più attenti studi di anni ormai lontani: per tutti, cfr. G. MINERVINI, La cooperazione e lo Stato, in Riv. dir. civ., 1969, I, p. 620 ss. Per un compiuto quadro della materia v., ora, C. F. GIAMPAOLINO, La disciplina delle agevolazioni, in Le cooperative prima e dopo la riforma del diritto societario, a cura di G. Marasà, cit., p. 107 ss.

   (84) In caso di scioglimento della società tutto il patrimonio potrà essere ripartito tra i soci con il limite delle riserve indivisibili (art. 2545-ter), cioè, sostanzialmente, della riserva legale che costituisce l’unica riserva indivisibile «per disposizione di legge»: cfr. A. BASSI, Principi generali della riforma, cit., p. 87 e p. 93. Peraltro, costituisce riserva indivisibile anche il valore effettivo dell’attivo patrimoniale nel caso in cui la cooperativa perda la qualifica di cooperativa a mutualità prevalente (art. 2545-octies, comma 2°).

   (85) La ratio della norma è quella di evitare che le cooperative esistenti al tempo dell’entrata in vigore della riforma e che non intendono adeguarsi ai criteri della prevalenza, possono distribuire ai soci gli utili e le riserve indivisibili accumulate prima della trasformazione. Il rafforzamento del movimento cooperativo, oltre che trarre fonte dalla trasformazione delle cooperative diverse, riceve un fondamentale apporto dalla devoluzione del tre per cento degli utili di esercizio da parte di tutte le cooperative in favore dei fondi mutualistici previsti dal 4° comma della legge 31 gennaio 1992, n. 59 (art. 2545-quater, comma 2°), nonché dai patrimoni residui di liquidazione (art. 11 comma 5, legge n. 59/1992; art. 2514, lett. d). Sulla recente nascita dei fondi, cfr. G. BONFANTE, I caratteri generali della riforma nel quadro della legislazione italiana e europea, in La nuova disciplina delle cooperative, Padova, 1993, p. 19 ss., cui adde ulteriori riferimenti nel par. 4 del capitolo VI.

   (86) A dire il vero è questa una scelta voluta dalla Commissione che ha predisposto il testo del d. lgs. n. 6/2003 in quanto la legge delega (n. 366/2001) sembrava favorevole all’introduzione di una disciplina con distinte sottospecie di imprese mutualistiche.

   (87) Così, con una sentenza definita esemplare, Cass., 16 aprile 2003, n. 6016, in Giur. comm., 2004, II, p. 384, con nota di V. BUONOCORE, Rapporto sociale e rapporto mutualistico: una distinzione ineludibile.

   (88) Il vantaggio che il socio si propone di perseguire è cioè strettamente legato al settore merceologico scelto: V. BUONOCORE, La riforma delle società, cit., p. 134.

   (89) La cooperativa è cioè libera sia di contrarre che di determinare il contenuto del contratto quanto si trovi di fronte ad un soggetto non socio nei confronti del quale l’attività sociale ben può essere diretta a produrre guadagni.

   (90) Ricomprendendosi in questa anche la fase estintiva, così G. BONFANTE, in Commentario Cottino, cit., p. 2409.

   (91) Nel senso che l’art. 2516, estendendo la regola paritaria anche al rapporto di scambio, completa il quadro delle tutele dei soci cooperatori, cfr. G. BONFANTE, in Commentario Cottino, cit., p. 2410.

   (92) A dire il vero in proposito, mentre una parte della dottrina ritiene che la regola di cui all’art. 2516 attenga unicamente al rapporto mutualistico, ivi compreso il ristorno, e non ricomprenda quindi, almeno in via diretta, i diritti amministrativi e patrimoniali dei soci (G. BONFANTE, in Commentario Cottino, cit., p. 2410), altri autori ritengono che la norma ricomprenda anche le vicende dal rapporto sociale (E. TONELLI, in Commentario Sandulli-Santoro, cit., p. 48).

   (93) Per una posizione più possibilista, v. G. BONFANTE, in Commentario Cottino, cit., p. 2412, nell’ipotesi in cui la discriminazione a favore di alcuni soci venga giustificata con futuri vantaggi per tutta la cooperativa.

   (94) Sullo schema cooperativistico che consente la partecipazione di un socio al vantaggio mutualistico senza comprimere la partecipazione degli altri, cfr. F. D’ALESSANDRO, La Seconda direttiva e la parità di trattamento degli azionisti, in Riv. soc., 1987, p. 12.

   (95) G. FERRI, Potere e responsabilità nell’evoluzione della società per azioni, in Riv. soc., 1956, p. 35 ss., ove è rimarcato il rapporto tra investimento, potere e rischio.

   (96) Solo per gruppi di azionisti nella s.p.a., anche per posizioni individuali nella s.r.l.; sui limiti del dogma dell’eguaglianza dei diritti dei soci, v., ora, C. TEDESCHI, “Poteri di orientamento” dei soci nelle società per azioni, Milano, 2005.

   (97) Le eccezioni non possono essere rimesse all’autonomia contrattuale, che non può alterare «la funzione sociale della cooperazione», ma trovano la loro fonte unicamente nella legge, come accade per il socio in prova i cui diritti ed obblighi possono essere modellati (e quindi anche ridotti rispetto agli altri soci) dall’atto costitutivo per un periodo non superiore a cinque anni (art. 2527, comma 3°). Sulla possibilità che l’atto costitutivo e i regolamenti deroghino alla eguaglianza dei soci in relazione al godimento dei servizi sociali, cfr. A. BASSI, Principi generali della riforma, cit., p. 45.

   (98) Cfr. Cass., 2 aprile 2004, n. 6510, in Società, 2004, p. 1239, con nota di R. GENCO.

   (99) Derivando dalla violazione una lesione del patrimonio personale del socio direttamente originata da un comportamento antigiuridico degli amministratori della società e non già quale danno riflesso del patrimonio sociale.

   (100) Cfr. Cass., 23 marzo 2004, n. 5724, cit.

   (101) Sul principio della porta aperta dopo la riforma, v. G. DI CECCO, Il capitale e le altre forme di finanziamento, in Le cooperative prima e dopo la riforma, cit., p. 467 ss. Sulla storia dell’istituto, v. G. BONFANTE, La legislazione cooperativa. Evoluzione e problemi, Milano, 1984, che rivisita i principi propugnati in proposito dall’Alleanza Cooperativa Internazionale, principi che in realtà, salvo che nel settore del consumo, non hanno sempre trovato effettiva applicazione data la chiusura ai nuovi soci per lo più praticata dalle cooperative.

   (102) Ricomprendendo in tal senso anche soggetti non graditi per posizioni politiche rispetto agli ideali che caratterizzano la cooperativa.

   (103) Competenza questa che non può costituire oggetto di delega consiliare: art. 2544, comma 1°.

   (104) Sulle conclusioni negative del dibattito, cfr. A. PIRAS, Le società cooperative, in AA.VV., Diritto commerciale, Bologna, 2004, p. 344 ss.

   (105) Cfr. G. OPPO, L’essenza della società cooperativa e gli studi recenti, in Riv. dir. civ., 1959, I, p. 381.

   (106) Irregolarità che non dovrebbero rilevare ai fini del controllo giudiziario (artt. 2545-quinquiesdecies e 2409).

   (107) A differenza delle imprese lucrative intese come strumento di valorizzazione in sè del capitale: cfr. F. GALGANO, Le società cooperative, cit., p. 509; nonché, con riguardo alle nuove concezioni dell’impresa, non necessariamente capitalistica, fondate sulla massimizzazione a ogni costo, e a breve termine, del suo valore di mercato in borsa, cfr. L. GALLINO, L’impresa irresponsabile, Torino, 2005, p. 102 ss.

   (108) Di qui il probabile divieto di fissazione statutaria di un numero massimo di soci.

   (109) Cfr. ASSOCIAZIONE PREITE, cit., p. 329.

   (110) Quale logica conseguenza della mancanza di un capitale minimo. Ma in proposito, alla luce della possibilità, introdotta dalla riforma, che la cooperativa deliberi un aumento di capitale a pagamento mediante modifica dell’atto costitutivo (art. 2524, comma 3), v. G. BONFANTE, in Commentario Cottino, cit., p. 2467 ss.

   (111) La riforma, come meglio si vedrà in prosieguo, e come si è appena detto, ha peraltro ammesso anche la possibilità di aumenti di capitale a pagamento mediante modificazioni dell’atto costitutivo secondo le regole vigenti nelle società di capitali (art. 2524, comma 2°).

   (112) Trovando applicazione l’art. 2445 in tema di società per azioni in quanto norma applicabile anche alle cooperative (art. 2519).

   (113) La mutualità chiusa è caratteristica dei consorzi e non delle cooperative: cfr. G. OPPO, L’essenza della società cooperativa, cit., p. 369.

   (114) Il codice civile del ‘42 disciplinava così, in linea generale, le varie gradazioni di responsabilità previste allora per le casse rurali e artigiane (cfr. artt. 1, 2, r.d. 26 agosto 1937, n. 1706).

   (115) Discusso era il criterio di partecipazione alle perdite di ciascun socio: sulle origini dell’evoluzione della normativa abrogata, cfr. G. RACUGNO, La responsabilità dei soci nelle cooperative, Milano, 1983.

   (116) Relaz. al d. lgs. n. 6/2003.

   (117) Al socio di cooperativa, al pari di quello di società di capitali, non possono essere richiesti ulteriori esborsi a titolo di conferimento, neppure a fronte di perdite.

   (118) Cfr. G. BONFANTE, in Commentario Cottino, cit., p. 2416.

   (119) Così V. BUONOCORE, La riforma delle società, Milano, 2004, p. 131.

   (120) L’abrogato art. 2516 rinviava espressamente ad una serie di disposizioni in tema di società per azioni, così esordendo «alle società cooperative si applicano in ogni caso ...».

   (121) Per una puntuale individuazione delle norme sulle s.r.l. inapplicabili alle cooperative, cfr. G. BONFANTE, in Commentario Cottino, cit., p. 2427, il quale rileva in proposito: «Al momento si può solo osservare come sia inapplicabile il 2° co. dell’art. 2462 riguardante la società con un unico socio; l’art. 2463 derogato dall’art. 2521; l’art. 2466, 1° co., derogato dall’art. 2531 in tema di mancata esecuzione dei conferimenti; l’art. 2469, 2° co. derogato dall’art. 2530; l’art. 2470 sull’efficacia e pubblicità del trasferimento almeno per quanto concerne i commi 2° e s.; l’art. 2471 derogato dell’art. 2537; l’art. 2471 bis in tema di pegno, usufrutto e sequestro della partecipazione stante il disposto dell’art. 2537 che vieta al creditore particolare del socio di agire esecutivamente sulla quota o le azioni del medesimo; l’art. 2473 in tema di liquidazione della quota del socio receduto derogato dell’art. 2535; l’art. 2473 bis riguardante l’esclusione del socio regolata dall’art. 2533; l’art. 2579 bis, 2° e 4° co. in tema di quorum assembleari previsti dell’art. 2538; l’art. 2482 ter in tema di riduzione del capitale al disotto del minimo, salvo intendere l’obbligo di ricostituzione quando si sia perso tutto il capitale sociale».

   (122) L’art. 111-septies delle disposizioni di attuazione dispone che le piccole cooperative di cui alla legge 7 agosto 1997, n. 266, devono trasformarsi in società cooperative a responsabilità limitata entro il 31 marzo 2005.

   (123) L’art. 223-sexiesdecies riserva al Ministro delle attività produttive, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, l’adeguamento triennale del parametro dell’attivo patrimoniale secondo le variazioni degli indici Istat.

   (124) Per un approfondito esame dell’art. 2519, cfr. E. TONELLI, in Commentario Sandulli-Santoro, p. 55 ss.

   (125) Sul punto, anche per una individuazione di questa araba fenice, che sarebbero gli «enti mutualistici diversi dalle società», v. G. BONFANTE, in Commentario Cottino, cit., p. 214, che richiama la sentenza del Cons. Stato, 23 settembre 1992, n. 1016, secondo cui tali sarebbero le società di mutuo soccorso, i fondi aziendali, le casse mutue e aziendali, le associazioni agrarie di mutua assicurazione, le associazioni aventi finalità sociali e assistenziali.

   (126) Cfr. A. BASSI, Principi generali della riforma, cit., p. 18 ss.; M. CONDEMI, L’esclusione dalla riforma societaria delle banche costituite in forma cooperativa: questioni interpretative e prospettive di intervento, in Atti del seminario della Cassa forense, Roma, 2003, p. 655 ss.

   (127) Cfr. A. PIRAS, Le società cooperative, cit., p. 354, che valorizza, peraltro, l’identità del fenomeno sotto il profilo causale. In argomento, per tutti , cfr. V. BUONOCORE, Società cooperative (Cooperative speciali), in Enc. giur., XXIV, 1993.

   (128) Così il testo novellato ad opera dell’art. 19-ter del d. l. 9 novembre 2004, convertito con modificazioni in legge 27 dicembre 2004, n. 306

   (129) Alle cooperative di credito si aggiungono, fra le altre cooperative di diritto speciale, le cooperative edilizie, le cooperative agricole, le cooperative editoriali, le cooperative di solidarietà sociale.

   (130) Tra le possibili integrazioni statutarie possono rientrare senz’altro quelle concernenti la disciplina dei ristorni.

   (131) Sull’applicabilità, quantomeno in via di principio, del capo II del t.u.f. alle società cooperative con azioni quotate, cfr. G. DI CECCO, in Intermediari finanziari, mercati e società quotate, a cura di A. Patroni Griffi, M. Sandulli, V. Santoro, Torino, 1999, p. 1210 ss.

   (132) Cfr. R. SANTAGATA, in Testo unico della finanza, Commentario diretto da G. Campobasso, II, Torino, 2002, p. 1111 ss.

   (133) Fra cui: art. 2367 (convocazione dell’assemblea su richiesta della minoranza), art. 2393-bis, comma 2°, (azione sociale di responsabilità), art. 2408, comma 2° (denuncia al collegio sindacale), con l’eccezione delle disposizioni sulla sollecitazione e raccolta delle deleghe di voto dettata per le società per azioni quotate che, ai sensi del 4° comma dell’art. 137, «non si applicano alle società cooperative».

Top

Home Page