il diritto commerciale d’oggi
    IV.1 – gennaio 2005

STUDÎ & COMMENTI

 

GIOVANNI CABRAS

I princìpi dell’arbitrato e l’arbitrato societario

 

Sommario: 1. Il fondamento volontaristico dell’arbitrato. – 2. Nuove prospettive per l’arbitrato. – 3. I problemi dell’arbitrato nelle società. – 4. Ambito di applicazione della nuova disciplina: arbitrato derivante da una clausola compromissoria; arbitrato rituale e irrituale, nonché arbitrato internazionale . – 5. Tipi di società cui si applica la nuova disciplina. – 6. Decorrenza della disciplina sull’arbitrato societario. – 7. Arbitrato di diritto comune.– 8. Esclusività dell’arbitrato societario. – 9. Arbitrato societario e giudizio ordinario. – 10. L’arbitrato nelle società cooperative: rapporto associativo e prestazione mutualistica.

 


   1. Il fondamento volontaristico dell’arbitrato. – Nel nostro ordinamento giuridico l’attività giurisdizionale è considerata una prerogativa dello Stato, al fine di offrire ai cittadini la tutela dei diritti ed evitare che i conflitti tra essi insorti vengano risolti con la forza. Al riguardo, la Costituzione fissa tre princìpi fondamentali: il diritto di tutti ad agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi (art. 24); la regola del giudice naturale precostituito per legge (art. 25); l’attribuzione della funzione giurisdizionale ai magistrati ordinari (art. 102).
   In questo quadro la giurisprudenza dominante ritiene che l’arbitrato, pur svolgendo una funzione giurisdizionale nel senso che conduce ad una decisione della controversia, abbia natura privatistica e sia alternativo – sulla base di un libero consenso, manifestato dalle parti litiganti in via preventiva, con una clausola compromissoria, ovvero, al momento dell’insorgere della lite, con un compromesso – alla giurisdizione statale (1).
   Il fondamento volontaristico dell’arbitrato, che costituisce finora un caposaldo della giurisprudenza per l’ammissibilità di tale istituto alla stregua dei princìpi costituzionali (2), sembra messo in discussione dalla nuova disciplina introdotta per l’arbitrato dagli artt. 34-37 del d. lgs. n. 5/2003, in attuazione della riforma societaria.
   L’arbitrato nell’ambito societario riguarda una pluralità di soggetti (i soci, quelli originari e quelli nuovi, nonché gli amministratori, i liquidatori ed i sindaci, che si succedono nell’incarico), la cui volontà di derogare alla competenza dell’autorità giudiziaria non è espressa nei modi usuali degli accordi compromissori. Infatti, nelle società emerge una volontà comune, che si forma secondo le regole di funzionamento del “gruppo” e, nelle forme capitalistiche, secondo il principio maggioritario. Ciò può apparire in contrasto con quel fondamento volontaristico.
   Si è sostenuto, infatti, che la clausola compromissoria, in quanto negozio giuridico autonomo rispetto allo statuto sociale in cui è inserita, non può esplicare efficacia, alla stregua dei ricordati princìpi costituzionali, nei confronti dei soci dissenzienti (3).
   Per tentare di salvare, in qualche misura, le nuove norme, può individuarsi una manifestazione implicita di volontà, quando nello statuto sociale sia già presente la clausola compromissoria:
   – per i nuovi soci, in quanto, eseguendo conferimenti a favore della società e sottoscrivendo così nuove partecipazioni sociali, aderirebbero al contratto sociale con tutte le sue pattuizione, accettando implicitamente anche quella clausola;
   – per gli acquirenti di partecipazioni sociali dai vecchi soci, in quanto il cessionario subentrerebbe nella situazione giuridica del cedente, compresa la soggezione a quella clausola; qualora poi gli acquirenti manifestino la volontà di non accettare la stessa clausola, sarebbe impedito l’acquisto della qualità di socio (4);
   – per gli amministratori, i liquidatori ed i sindaci, in quanto, accettando il loro incarico, implicitamente dimostrerebbero di voler accettare tutte le disposizioni statutarie, compresa la clausola compromissoria.
   Invece, non sembrerebbe possibile riconoscere una manifestazione, neppure implicita, di volontà per i soci che votino contro l’introduzione di una simile clausola nello statuto sociale e che, in base all’art. 34, 6° comma, possono sottrarsi ad essa solo recedendo dalla società: il loro espresso dissenso in sede assembleare non potrebbe mai essere inteso come un implicito consenso, tenuto conto del carattere di negozio giuridico autonomo riconosciuto alla clausola compromissoria rispetto al contratto o atto cui inerisce.
   Invero, se si vuole cercare a tutti i costi una specifica manifestazione di volontà a favore della clausola compromissoria, un consenso può ravvisarsi anche per i soci dissenzienti che, pur avendo votato contro l’introduzione della clausola, decidano di rimanere nella società, non esercitando nei termini di legge (art. 2437-bis cod. civ.) il recesso ad essi spettante ed accettando così – implicitamente, ma necessariamente – quella clausola.
   Può ritenersi allora che il socio dissenziente abbia sì espresso in sede assembleare la sua contrarietà all’introduzione della clausola, ma solo nella dialettica interna della società, manifestando poi il proprio consenso al mutamento del sistema di giustizia, a seguito della opzione personale nell’alternativa tra l’uscita dalla società o la continuazione del rapporto sociale in presenza della clausola. In altri termini, la volontà contraria manifestata originariamente dal socio è superata implicitamente dalla successiva volontà del medesimo socio di rimanere nella società.
   Ritengo, però, che non sia necessario seguire questo volontarismo esacerbato e che debba essere considerato meglio il carattere societario dell’arbitrato. Al riguardo, va considerato che le regole convenzionali di funzionamento della società, contenute nello statuto o nell’atto costitutivo (5) ed approvate in conformità ai criteri di formazione di quella volontà comune, assumono forza di legge, imponendosi a tutti i soci, ancorché dissenzienti, e, in qualche misura anche dei terzi. Si parla perciò di efficacia reale del contratto sociale e dell’atto costitutivo, per indicare la rilevanza giuridica erga omnes delle disposizioni statutarie e, in generale, dell’assetto societario (6).
   In questa prospettiva, l’unica manifestazione di volontà che importa è quella che si esprime nelle forme dell’ordinamento societario, secondo il particolare tipo di società: nelle società di capitali e nelle cooperative con il principio maggioritario. Le deliberazioni così adottate «vincolano tutti i soci, ancorché non intervenuti o dissenzienti» (art. 2377, 1° comma, cod. civ.) e, quelle modificative dello statuto, producono effetti solo con l’iscrizione nel registro delle imprese (art. 2436, 5° comma, cod. civ.). L’efficacia della clausola compromissoria statutaria perciò scaturisce dall’osservanza del procedimento per la formazione della volontà sociale e dalla pubblicità data allo statuto, efficacia che si esplica nei limiti (per la società; per i soci, vecchi e nuovi; per gli amministratori, i liquidatori ed i sindaci) e con i temperamenti (maggioranza qualificata richiesta per l’introduzione della clausola; diritto di recesso concesso ai soci assenti o dissenzienti) stabiliti dalle norme in esame.
   A tale soluzione non è di ostacolo l’autonomia della clausola compromissoria, rispetto all’atto o al contratto in cui è contenuta. Infatti, l’indipendenza funzionale non impedisce alla stessa clausola di essere la clausola di un determinato contratto e di subirne, strutturalmente e formalmente, la regolamentazione (7). Ciò è tanto più vero ora, avendo la novella reso legislativamente tipica la clausola compromissoria societaria, in quanto inserita nello statuto in conformità alle regole del diritto societario.
   Il fondamento volontaristico dell’arbitrato – in conformità all’orientamento tradizionale su tale istituto – può essere perciò tenuto fermo per l’arbitrato societario, intendendo, però, la volontà delle parti litiganti espressa in via preventiva, con l’introduzione della clausola compromissoria e soprattutto con l’osservanza delle forme e della pubblicità prescritte per il tipo di società in cui l’arbitrato è destinato ad operare.
   Più precisamente non è una mera fictio iuris attribuire al procedimento formativo della volontà comune il valore (non già una presunzione) di consenso alla devoluzione per arbitri delle controverse: la volontà che conta, ai fini dell’approvazione della clausola, non è la volontà individuale, ma quella sociale. Peraltro, una volta che si dà rilievo nelle società (di persone, di capitali e cooperative) – come avviene nel nostro ordinamento giuridico – alla collettività organizzata dei soci, le relazioni tra chiunque vi partecipi (e parti sono allora, in questo senso, tanto i soci, quanto i componenti degli organi amministrativi o di controllo, nonché la stessa società) si risolvono nelle regole di funzionamento della società: la volontà comune, espressa alla stregua di tali regole, è volontà dei singoli, in quando imputabile ad ognuno di essi. Nell’arbitrato societario la devoluzione delle controversie agli arbitri allora è frutto esclusivamente della volontà compromissoria di tutte le parti interessate, nel pieno rispetto dell’autonomia privata, e non già della volontà legislativa. D’altronde, riconoscere la rilevanza della volontà individualmente manifestata, consentirebbe che taluna delle parti sia vincolata alla clausola ed altra no, minando così il fondamento stesso della società come organizzazione unitaria per lo svolgimento di un’attività comune (8).
   In questa prospettiva, la novella non estende l’efficacia della clausola compromissoria alla società, ai soci, nonché agli amministratori, ai liquidatori ed ai sindaci, poiché tale efficacia trova la sua fonte giuridica già nel diritto societario e rappresenta un corollario dell’efficacia reale riconosciuta dal nostro ordinamento giuridico all’atto costitutivo delle società (di qualsiasi tipo) ed alle sue modificazioni: più in generale, a tutti gli atti organizzativi delle società. Al contrario, la novella circoscrive l’efficacia di quella clausola – di per sé erga omnes – a quei soli soggetti e, soprattutto, la condiziona al rispetto dei modi e dei contenuti stabiliti dalle norme in esame
   Sia ben chiaro, il legislatore delegato delimita l’efficacia e la portata dell’arbitrato societario non già per un disfavore verso il fenomeno arbitrale (9), ma al contrario per assicurarne, con un sano realismo, l’effettiva operatività nel quadro del diritto vivente, di fronte agli ostacoli concettuali – non importa se fondati o infondati – finora frapposti dalla giurisprudenza teorica e pratica.

   2. Nuove prospettive per l’arbitrato. – La nuova disciplina dell’arbitrato societario è suscettibile, però, anche di una interpretazione evolutiva. Qualora si ritenga superabile il nesso tra disponibilità dei diritti e compromettibilità delle controversie, è possibile valorizzare gli aspetti fortemente innovativi del d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 5.
   Infatti, la novella dispone la vincolatività della clausola compromissoria per tutta una serie di soggetti (società; soci, vecchi e nuovi; amministratori, liquidatori e sindaci), senza richiedere una manifestazione individuale della loro volontà; inoltre, le medesime norme comprendono espressamente nella competenza arbitrale controversie su diritti indisponibili (limitatamente a questioni incidentali) e, comunque, sulla validità di deliberazioni assembleari, sia pure con la previsione che, in entrambi i casi, gli arbitri devono decidere secondo diritto e con lodo impugnabile anche ai sensi dell’art. 829, 2° comma, cod. proc. civ. (art. 36, 1° comma). Per i soggetti e le controversie il punto d’incontro, che segna in concreto il perimetro della competenza arbitrale sotto il profilo soggettivo ed oggettivo, è l’ordinamento sociale nel suo attuarsi con lo statuto disposto e con l’attività svolta, ossia l’assetto effettivamente operante e vigente: la sua compagine sociale e i suoi organi sociali, nonché i conflitti che insorgono tra di essi.
   Le norme in esame – salvo che si voglia considerare il fondamento volontaristico dell’arbitrato come una regola intoccabile, in quanto imposta da princìpi costituzionali, ed anzi un tabù – sembrano aprire nuove prospettive per l’istituto arbitrale, muovendo dal riconoscimento della funzione giurisdizionale esercitata dagli arbitri, in modo perfettamente analogo a quello dell’autorità giudiziaria ordinaria. In particolare, la clausola compromissoria, contenuta negli statuti sociali, rivela una connotazione squisitamente processuale, come una convenzione per la semplice scelta di un giudice diverso da quello offerto dallo Stato per governare i conflitti dell’ordinamento costituito dalla società (10). È il gruppo sociale (11), in quanto tale, ad assoggettarsi volontariamente al sistema di giustizia privata adottato statutariamente, con conseguenti limiti sotto il profilo soggettivo (efficacia della clausola per la società, i soci e, ove, previsto, per amministratori, liquidatori e sindaci) e soprattutto oggettivo (le controversie sociali arbitrabili).
   La sfera di competenza arbitrale, tradizionalmente vincolata alla disponibilità dei diritti controversi ed alla legittimazione delle parti litiganti, appare allora fissata – nell’arbitrato societario – dalla legge, sulla base di una scelta primigenia (introduzione nello statuto della clausola compromissoria) delle parti circa le possibili loro controversie. In quest’ordine di idee si spiega, non solo la compromettibilità di questioni (sia pure pregiudiziali) attinenti a diritti indisponibili, ma anche la sottrazione alle parti del potere di nomina degli arbitri, con l’attribuzione di tale potere, sotto pena di nullità, esclusivamente ad un soggetto estraneo alla società (art. 34, 2° comma).
   Peraltro, l’origine privata dell’attribuzione di poteri decisionali agli arbitri può comportare soltanto la conseguenza che quei poteri siano suscettibili di limitazione già “a monte” nella clausola compromissoria (anziché solo “a valle”, come avviene nei giudizi davanti all’autorità giudiziaria, al momento della domanda giudiziaria), nel senso che la decisione arbitrale non potrà estendersi a controversie non comprese nella predetta clausola ovvero a soggetti nei confronti dei quali questa non abbia efficacia (12).
   D’altro canto, la stessa nozione di “disponibilità” dei diritti sembra assumere nelle società una connotazione diversa da quella usuale nei rapporti di scambio, dovendosi confrontare con un fenomeno associativo, qual è la società, nel quale l’agire dei suoi organi e dei partecipanti è giuridicamente valutato alla stregua di regole organizzative, secondo i vari tipi societari. In tale ordine d’idee e forse in modo eccessivo, si è ritenuto che nell’arbitrato societario la compromettibità comprenda tutto ciò che sia suscettibile di decisione nell’ambito sociale (13).

   3. I problemi dell’arbitrato nelle società. – Circa l’arbitrato in materia societaria, la situazione attuale è rappresentata da due aspetti apparentemente contraddittori: l’ampia diffusione delle clausole compromissorie negli statuti sociali (14) e l’estrema difficoltà di svolgere, in concreto, il procedimento arbitrale. Questa contraddizione si spiega essenzialmente con il fatto che nelle società il deferimento ad arbitri delle controversie tra i soci, nonché tra questi e la società, normalmente deriva da una generale previsione – nel corpo dello statuto sociale – di una apposita clausola compromissoria, inserita nella stipulazione dell’atto costitutivo o aggiunta successivamente con una modifica statutaria. Quando insorge, in concreto, una controversia, emergono allora le difficoltà di applicare tale clausola alla questione controversa ed alle parti che vi sono coinvolte, a causa della specificità delle questioni societarie.
   Peraltro, la costituzione di una società – sia essa di persone, di capitali o cooperativa – dà luogo ad un ordinamento sociale (15) e ad un’attività comune che si protraggono per un lungo lasso di tempo e che coinvolgono anche interessi di soggetti estranei alla stessa società ed ai suoi soci.
   Per queste ragioni, l’arbitrato in materia societaria sollevava vari ordini di problemi, riguardanti, in particolare gli aspetti qui di seguito sommariamente indicati per avere un quadro schematico delle situazioni, cui la novella cerca di porre rimedio:
   a) l’efficacia della clausola riguardo ai nuovi soci, che non hanno stipulato l’atto costitutivo, nel quale è contenuta la clausola compromissoria, nonché riguardo agli amministratori, ai liquidatori ed ai sindaci, che non sono parti del medesimo atto;
   b) le controversie societarie non compromettibili per arbitri, segnatamente per deliberazioni affette da nullità o che comunque coinvolgono interessi di terzi estranei alla società;
   c) la deferibilità della decisione arbitrale ad un organo sociale ovvero ad arbitri da esso designati, essendo dubbio che in tal caso gli arbitri possiedano il requisito della terzietà rispetto alle parti litiganti.
   A tali problemi, connessi con l’organizzazione ed il funzionamento delle società, se ne aggiungevano altri, che, pur non essendo tipici dell’arbitrato nell’ambito societario, in esso si presentano frequentemente e che riguardano i seguenti aspetti:
   d) le controversie con più di due parti, controversie nelle quali è inapplicabile la cosiddetta clausola arbitrale binaria, contenuta sovente negli statuti societari e che prevede un collegio arbitrale composto da tre arbitri, di cui due nominati da ciascuna parte ed il terzo nominato dagli altri due arbitri;
   e) le questioni incidentali non compromettibili, che comportano la sospensione del giudizio arbitrale, essendo riservate dal codice di rito alla competenza del giudice ordinario.
   In realtà, molte di queste difficoltà risentivano di un perdurante sfavore – specie in giurisprudenza e nonostante le contrarie indicazioni contenute nella riforma dell’arbitrato (legge 5 gennaio 1994, n. 25) – per la giustizia arbitrale. Ciò ha indotto il legislatore ad intervenire ora in modo specifico nella materia, nell’ambito della riforma del diritto societario, per rimuovere ostacoli o preclusioni ritenuti esistenti, secondo gli orientamenti interpretativi prevalenti, nella disciplina previgente.
   Pertanto, la disciplina dell’arbitrato contenuta nel d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, pur essendo finora pacifica l’ammissibilità di clausole compromissorie negli statuti societari (16), presenta un carattere profondamente innovativo. Parimenti, le disposizioni che nella nuova disciplina introducono limitazioni (17), in realtà, costituiscono ampliamenti nell’operatività effettiva (che è quella che importa) dell’arbitrato in materia societaria.

   4. Ambito di applicazione della nuova disciplina: arbitrato derivante da una clausola compromissoria; arbitrato rituale e irrituale, nonché arbitrato internazionale. – Il d. lgs. n. 5/2003 prevede un nuovo rito processuale per tutta una serie di controversie che vanno al di là della materia societaria, quali i rapporti di intermediazione mobiliare, taluni rapporti bancari ed il credito per le opere pubbliche (art. 1, lettere d, e ed f, del medesimo decreto). Per l’arbitrato, invece, la novella si occupa soltanto di quello societario (18), anzi delimita l’ambito di applicazione agli arbitrati derivanti da una clausola compromissoria contenuta nell’atto costitutivo o nello statuto (19) di una società, con esclusione perciò degli arbitrati derivanti da un compromesso stipulato a lite insorta (20).
   Che la nuova disciplina non si applichi ai compromessi trova conferma nei lavori preparatori al decreto delegato: in una prima versione dell’art. 34, 5° comma, si escludeva che potessero essere oggetto di compromesso (oltre che di clausola compromissoria) le controversie nelle quali sia obbligatorio l’intervento del pubblico ministero. Nella versione finale del decreto il riferimento al compromesso – criticato dai primi commentatori (21) – è omesso, intendendosi regolamentare soltanto gli arbitrati che scaturiscono da una clausola compromissoria statutaria.
   Si discute se le nuove norme si applichino anche alle clausole compromissorie stipulate con atto separato rispetto all’atto costitutivo ovvero contenute in patti parasociali o in negozi relativi al trasferimento di partecipazioni sociali (22). Sembra preferibile seguire la soluzione negativa per entrambi i problemi (23), poiché la lettera e lo scopo della novella suggeriscono l’intento di voler fare dell’arbitrato – sulla base della determinazione espressa dai soci nell’atto costitutivo e nello statuto – una giustizia “sociale”, che si impone perciò in base alla particolare efficacia, di cui tali atti sono dotati, mentre ne sono privi altri atti, nei quali può ugualmente inserirsi una clausola compromissoria, con applicazione, però, della disciplina arbitrale di diritto comune.
   Al riguardo si è obiettato che in tal modo i soci potrebbero eludere le prescrizioni della novella (e, in particolare, l’obbligo di far designare gli arbitri da un soggetto estraneo), semplicemente configurando la clausola compromissoria, anziché come una disposizione statutaria, come un atto separato, coevo o successivo all’atto costitutivo (24). Non si tratta, però, di una incongruità, poiché l’arbitrato derivante da una simile clausola compromissoria non può neppure usufruire degli aspetti positivi della nuova disciplina, quale l’ampia sfera di efficacia soggettiva (tutti i soci, compresi quelli nuovi; gli amministratori, i liquidatori ed i sindaci; la società) e oggettiva (lodo anche sulle controversie riguardanti deliberazioni assembleari o su questioni incidentali circa diritti indisponibili) della clausola.
   Parimenti, non sembra sostenibile che la novella si applichi alle clausole compromissorie contenute in patti parasociali o in contratti per il trasferimento di partecipazioni sociali con espresso richiamo di tali contratti alla disciplina delle norme qui commentate (25), poiché il d. lgs. n. 5/2003 non introduce un tipo sui generis di arbitrato, ma regolamenta l’arbitrato rituale o irrituale, assoggettandolo – in quanto scaturisca da una clausola compromissoria statutaria – ad una disciplina speciale.
   Peraltro, la limitazione della novella alle sole clausole compromissorie contenute negli statuti sociali si impone in base all’art. 12, 3° comma della legge delega (legge 3 ottobre 2001, n. 366), che conferiva al Governo il potere di disciplinare soltanto le clausole statutarie.
   È stato perciò definito endosocietario (26) l’arbitrato previsto dagli art. 34-37 del d. lgs. n. 5/2003, per significare che la nuova disciplina riguarda soltanto le controversie interne alla società. Parleremo, comunque, di arbitrato societario, in quanto tale qualificazione evidenzia sufficientemente i caratteri dell’istituto, chiarendo, in particolare, che si tratta di una forma di giustizia per la società (ossia per i rapporti che in essa si formano), ma non nella società (gli arbitri devono essere tutti designati da un soggetto estraneo).
   Infine, circa il tipo di arbitrato, il d. lgs. n. 5/2003 non opera alcuna distinzione, comprendendo nella nuova disciplina, tanto l’arbitrato rituale, quanto quello irrituale (27), cui fa, peraltro, esplicito riferimento l’art. 35, 5° comma. È diffusa, tuttavia, l’opinione della sostanziale inoperatività, sotto il profilo pratico, dell’arbitrato irrituale in sede societaria (28).
   Parimenti, la novella conferma l’applicabilità dell’arbitrato internazionale, di cui agli artt. 832 ss. cod. proc. civ., anche in materia societaria, con la conseguenza che l’arbitrato societario può assumere tale qualificazione, qualora ne ricorrano i presupposti, con soggezione del giudizio arbitrale a quelle disposizioni del codice di rito per quanto non previsto dalle norme speciali, introdotte dal d. lgs. n. 5/2003.

   5. Tipi di società cui si applica la nuova disciplina. – La legge delega delimitava la emananda disciplina in materia di arbitrato agli «statuti delle società commerciali». Il decreto delegato, invece, parla genericamente di società e ciò fa ritenere che si sia voluto estendere l’ambito di applicazione della nuova disciplina a tutte le società, comprese le società semplici (29), salvo che si sollevi una questione di legittimità costituzionale per eccesso di delega. Invece, seconda una diversa opinione (30), la dizione legislativa dovrebbe essere intesa in senso restrittivo, limitando l’applicazione della nuova disciplina arbitrale alle sole società commerciali.
   Poiché, pur non essendoci un’espressa definizione legislativa, si intendono come società commerciali, sulla base dell’art. 2249 cod. civ., tutti i tipi di società diversi dalle società semplici (31), la clausola compromissoria può essere sicuramente prevista negli atti costitutivi o negli statuti, oltre che delle società in nome collettivo ed in accomandita semplice, anche nelle società di capitali ed in quelle cooperative, senza che occorra ricercare, per queste ultime, indici normativi di ammissibilità (32).
   Piuttosto, la novella presuppone, per la sua applicazione (in particolare, per il deposito della domanda arbitrale: art. 35, 1° comma), che la società sia iscritta nel registro delle imprese e questo appare allora il vero discrimen per l’ammissibilità della nuova disciplina. Tale iscrizione è prevista per tutte le società commerciali, tenute ad iscriversi nella sezione ordinaria, ed anche per le società semplici, che devono iscriversi nella sezione speciale (33) (art. 8 della legge 29 dicembre 1993, n. 580). In questo senso, può ritenersi non contrastante con la legge delega l’art. 34 del d. lgs. n. 5/2003, disponendo una disciplina per le clausole compromissorie di tutte le società (e non solo di quelle commerciali), purché si intendano solo le società iscritte nel registro delle imprese, nelle sue varie sezioni.
   Corollario di questa soluzione è l’inapplicabilità della nuova disciplina alle società che non siano iscritte nel registro delle imprese, come avviene nelle società irregolari (34).
   Nell’ambito delle società per azioni la novella opera poi una distinzione, precludendo l’applicazione dell’arbitrato societario alle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio (art. 34, 1° comma).
   Infine, lo stretto collegamento che esiste tra la riforma del diritto societario ed il decreto in materia processuale, nel quale sono contenute le norme in esame, induce a delimitare l’ambito di applicazione dell’arbitrato societario alle sole società italiane, essendo la normativa sostanziale di riferimento quella italiana 35().

   6. Decorrenza della disciplina sull’arbitrato societario. – Per l’applicazione delle norme in esame non è previsto espressamente un periodo transitorio (un diritto transitorio è stabilito, tuttavia, per l’adeguamento delle clausole statutarie compromissorie: art. 41, 2° comma). Ciò non significa che la nuova disciplina in tema di arbitrato sia completamente applicabile, a partire dal 1° gennaio 2004 (data di entrata in vigore della novella, ai sensi dell’art. 43). Infatti, i procedimenti arbitrali pendenti a tale data continuano ad essere regolati dalla disciplina previgente (art. 41, 1° comma).
   D’altro canto, va esclusa, la perdurante efficacia – trascorso il periodo transitorio – delle clausole compromissorie statutarie non conformi al d. lgs. n. 5/2003 (36). Pur non essendo stabilito esplicitamente l’obbligo di adeguarle, è evidente che l’introduzione delle nuove norme imperative (e, in particolare, la prescrizione di demandare ad un terzo la nomina degli arbitri) comporta la sopravvenuta nullità delle medesime clausole. Più precisamente, una disposizione negoziale, qual è la clausola compromissoria contenuta in uno statuto sociale, è nulla – e perciò inefficace – quando contrasta con una norma inderogabile (ancorché sopravvenuta); né è necessario che la legge stabilisca espressamente un obbligo di adeguamento.
   Né c’è alcun motivo per non seguire, nel caso specifico, le regole usuali in tema di nullità degli atti giuridici, per contrasto con una nuova disposizione inderogabile, tanto più che la novella si propone di rendere operativamente efficaci, attraverso quelle disposizioni, gli arbitrati societari e sembra impensabile che si sia consentito alle società ed ai soci – omettendo l’adeguamento – di sfuggire ad esse e di far applicare la disciplina dell’arbitrato di diritto comune. In caso di mancato e tempestivo adeguamento, la clausola compromissoria statutaria sarà nulla e, quindi, le controversie sociali rientreranno nella competenza del giudice ordinario.

   7. Arbitrato di diritto comune. – La delimitazione dell’ambito di applicazione delle nuove norme ai soli arbitrati derivanti da una clausola compromissoria contenuta nello statuto sociale rivela il carattere speciale di tali norme rispetto alle disposizioni stabilite per l’arbitrato nel codice di procedura civile, che rimangono operanti per tutti gli arbitrati.
   Si tratta, tuttavia, di una nuova disciplina dell’istituto arbitrale, non già della disciplina di un nuovo istituto. L’arbitrato societario, per tutti gli aspetti non considerati dal d. lgs. n. 5/2003, continua ad essere soggetto alla regolamentazione dell’istituto, contenuta, per quanto riguarda l’arbitrato rituale, nel codice di procedura civile (37). Più precisamente, la novella non introduce una nuova forma di arbitrato, ma dispone regole particolari (38), in aggiunta o in deroga, ma solo in parte, alla disciplina generale. Ne sono una conferma la limitatezza delle nuove norme – insufficienti a disciplinare in modo autonomo l’intero procedimento arbitrale (39) – e soprattutto le disposizioni derogatorie (inspiegabili, se si trattasse di un genus diverso di arbitrato) alle norme del codice di rito.
   La delimitazione della novella ai soli arbitrati derivanti da una clausola compromissoria solleva, altresì, il problema dell’operatività dell’arbitrato di diritto comune nelle controversie in materia societaria, sulla base di una clausola compromissoria stipulata in atti diversi dallo statuto sociale o sulla base di un compromesso stipulato a lite insorta (40).
   In astratto, non può escludersi che per le medesime controversie deferite in arbitrato possano applicarsi regole diverse, a seconda che il procedimento arbitrale scaturisca o no da una clausola compromissoria statutaria. A questa possibilità si riferisce la Relazione al d. lgs. n. 5/2003, quando precisa che il modello arbitrale codicistico rimane «naturalmente ultrattivo anche in materia societaria».
   Non va dimenticato, tuttavia, che l’arbitrato di diritto comune non ha trovato finora molto spazio in materia societaria (situazione che, come spiegato dianzi, ha indotto il legislatore ad introdurre le norme in esame) e che, quindi, la coesistenza di due forme arbitrali sembra più teorica che reale. Sicuramente non è vietato che, rispetto a controversie insorte in materia societaria, le parti litiganti stipulino un compromesso (41), che sarà assoggettato completamente, in caso di arbitrato rituale, al codice di rito (42).
   Semmai sembra ipotizzabile un’efficacia espansiva della novella, per la possibilità di applicare – analogicamente e non già in via diretta (43) – le nuove disposizioni agli arbitrati “ordinari”. In particolare, ciò può proporsi per la disciplina dell’intervento volontario del terzo (44), ammessa dall’art. 35, 2° comma, disponendo la proroga del termine per la pronuncia del lodo, nonché può proporsi per il potere arbitrale di sospendere l’efficacia delle deliberazioni assembleari impugnate (45), ai sensi dell’art. 35, 5° comma. Invece, non è possibile estendere all’arbitrato ordinario l’art. 35, 1° comma, che dispone l’obbligo di depositare il lodo nel registro delle imprese (46), poiché nel sistema della pubblicità commerciale vige la regola della tassatività circa gli atti da iscrivere (47).
   In ogni caso, va considerata come una interpretazione autentica del codice di rito la precisazione secondo cui «la devoluzione in arbitrato, anche non rituale, di una controversia non preclude il ricorso alla tutela cautelare a norma dell’articolo 669-quinquies del codice di procedura civile» (art. 35, 5° comma) (48).

   8. Esclusività dell’arbitrato societario. – Il passo, dianzi citato, della Relazione di accompagnamento al d. lgs. n. 5/2003 ha fatto pensare che il nuovo modello arbitrale non sia alternativo a quello codicistico e che, quindi, le società siano libere di adottare, con una clausola compromissoria statutaria, l’uno o l’altro (49) ovvero – per differenti controversie – entrambi i modelli (50). A favore di quest’ultima ipotesi si fa notare che il “vecchio” arbitrato si adatta meglio del nuovo alle controversie bilaterali (51).
   Inoltre, si è sostenuto che nelle norme in esame non vi si riscontrerebbe l’esplicita volontà di precludere ai soci di inserire nello statuto sociale una clausola compromissoria che rimetta le loro controversie ad un arbitrato societario vecchio stile (52).
   Certamente, è indiscutibile che, in seguito al d. lgs. n. 5/2003, coesistano due discipline dell’arbitrato, quella generale del codice di rito e quella speciale della novella. Ciò non implica, però, una libertà di scelta circa la disciplina da applicare, per due ordini di motivi.
   Innanzitutto, considerato che le nuove norme hanno un evidente carattere di specialità, la fattispecie in esse prevista è sottratta alla disciplina dell’arbitrato di diritto comune, per tutte le disposizioni incompatibili, con la conseguenza che agli arbitrati derivanti da una clausola compromissoria statutaria si applicano soltanto quelle norme (oltre quelle compatibili del codice di rito). Pertanto, tra l’una e l’altra disciplina opera un’alternatività, sulla base di diverse fattispecie: clausola compromissoria nello statuto sociale ovvero clausola compromissoria in altri atti o compromesso.
   Inoltre, la nuova normativa si caratterizza per la sua imperatività (la rubrica dell’art. 35 è intitolata, significativamente, come “disciplina inderogabile del procedimento arbitrale”), imponendosi in tutti gli arbitrati che scaturiscano da clausole compromissorie, inserite liberamente negli statuti societari (53). Più precisamente, queste ultime – sia quelle preesistenti, sia quelle introdotte ex novo dopo l’entrata in vigore delle norme in esame – sono soggette alle nuove regole, tanto per l’ammissibilità della stessa clausola, quanto per la regolamentazione del procedimento arbitrale. Peraltro, come in ogni situazione giuridica, le parti sono libere di porre i presupposti (ossia realizzare la fattispecie legale) per l’applicazione di una determinata disciplina, che poi si applica automaticamente, senza che occorra una determinazione delle stesse parti.
   Non c’è bisogno di una espressa indicazione circa l’esclusività della nuova disciplina per gli arbitrati scaturenti da una clausola compromissoria statutaria, siccome il fondamento normativo di tale esclusività sta nel fatto stesso di essere una disciplina (per di più dichiaratamente qualificata come imperativa), ossia la regolamentazione giuridica – che solo il legislatore può fissare, non già le parti – di una determinata fattispecie, qual è il rimettere preventivamente per arbitri le controversie sociali.
   Come si è notato per altri aspetti, la novella riconosce sì ampiamente l’autonomia privata nei rapporti societari, ma la vincola nelle forme e nei modi previsti dalla stessa novella. Per l’arbitrato societario le norme in commento seguono un’analoga tecnica legislativa, secondo un criterio discretivo c.d. di opt-in: è stabilita una regola legale per la clausola compromissoria e l’arbitrato che ne deriva; regola che ha un contenuto fortemente inderogabile, ma che è applicabile soltanto se la società, avvalendosi della libertà negoziale, introduca tale clausola nel proprio statuto o atto costitutivo (54), arricchendone il contenuto legale sulla base dell’autonomia privata (55).
   Pertanto, diversamente da quanto sostenuto da una parte della dottrina (56), non sembra che la disciplina dell’arbitrato di diritto comune si applichi alle clausole compromissorie statutarie per controversie diverse da quelle insorgenti tra i soci, tra questi e la società, ovvero riguardanti gli amministratori, i liquidatori ed i sindaci, poiché tali soggetti comprendono tutti quelli cui possa esplicare efficacia la stessa clausola.
   D’altronde, qualora talune controversie tra società, soci, amministratori, liquidatori o sindaci non siano compromettibili con l’arbitrato societario, a maggior ragione non potrebbe scaturire dalla clausola compromissoria un valido ed efficace arbitrato di diritto comune, essendo le nuove norme volte a superare ostacoli e preclusioni esistenti rispetto a quest’ultimo.

   9. Arbitrato societario e giudizio ordinario. – L’aspetto più interessante della possibile efficacia espansiva per le nuove norme riguarda la considerazione stessa di arbitrato nel nostro ordinamento giuridico, essendo evidente nel d. lgs. n. 5/2003 l’intento di superare la concezione diffusa che pone l’arbitrato in una posizione subordinata rispetto al giudizio ordinario (57).
   La novella costituisce un notevole passo in avanti per l’equiparazione dell’arbitrato al giudizio ordinario, come forme diverse, ma equipollenti, per la decisione delle controversie; ciò spiega perché in taluni casi è richiesta la decisione secondo diritto. In tal modo l’arbitrato è divenuto più giurisdizionalizzato (58), con una processualizzazione del procedimento, in controtendenza rispetto alla posizione attuale della giurisprudenza, che finora riconosceva una piena funzione giurisdizionale soltanto all’autorità giudiziaria (59).

   10. L’arbitrato nelle società cooperative: rapporto associativo e prestazione mutualistica. – Per le società cooperative l’applicabilità della disciplina in tema di arbitrato societario presenta ulteriori problemi per la presenza, di solito, di una duplicità di rapporti tra i soci e la società: la partecipazione nella società e la prestazione mutualistica.
   Al riguardo l’art. 5 della legge 3 aprile 2001, n. 142 (60) aveva previsto la competenza del giudice civile ordinario per le questioni attinenti al rapporto associativo e la competenza funzionale del giudice del lavoro, compresa l’applicabilità dello speciale arbitrato di cui agli artt. 412-ter e 412-quater cod. proc. civ.), per le questioni attinenti alla prestazione lavorativa del socio. Tale sistema, definito di doppio binario (61), è stato abolito dalla riforma Biagi del mercato del lavoro, che ha modificato quella norma, devolvendo la competenza – sia per le une, sia per le altre questioni – al tribunale in sede ordinaria (art. 9 della legge 14 febbraio 2003, n. 30) (62).
   Sebbene la riforma Biagi abbia anche eliminato ogni riferimento all’arbitrato, la ratio della innovazione legislativa sembra essere quella di sottrarre al rito del lavoro le controversie relative alla prestazione del socio lavoratore, senza escludere – proprio grazie alla competenza attribuita al tribunale ordinario – la compromettibilità delle medesime controversie, sulla base di una clausola statutaria, con l’arbitrato societario (63) o, sulla base di un compromesso stipulato a lite insorta, con l’arbitrato di diritto comune.
   D’altro canto, se l’abolizione del riferimento all’arbitrato nel novellato art. 5 della legge n. 142/2001 dovesse essere inteso come competenza esclusiva dell’autorità giudiziaria ordinaria, con divieto di compromettibilità per arbitri, tale preclusione dovrebbe operare pure per le questioni attinenti al rapporto associativo, stravolgendo così la riforma processuale in materia societaria, la quale nella disciplina transitoria (art. 41 del d. lgs. n. 5/2003) (64) prevede l’arbitrato societario con riferimento esplicito anche alle società cooperative.
   In definitiva, nelle società cooperative tutte le controversie sociali, comprese quelle sulla prestazione mutualistica dei soci lavoratori, sono ricondotte alle regole generali di competenza: del tribunale con rito ordinario ovvero dell’arbitrato societario, in presenza di una clausola compromissoria conforme alle norme in esame.
   Ad una diversa soluzione potrebbe pervenirsi, qualora si interpreti restrittivamente la disposizione della riforma Biagi, nel senso di attribuire alla competenza del giudice ordinario le questioni relative alle prestazioni mutualistiche, ma non quelle relative al rapporto di lavoro, rimaste allora nella competenza funzionale del giudice del lavoro (65) e, quindi, sottratte alla sfera di compromettibilità, ai sensi dell’art. 806 cod. proc. civ., con possibilità soltanto di ricorrere all’arbitrato speciale previsto dall’art. 412-ter cod. proc. civ.
   Pertanto, l’ammissibilità o no dell’arbitrato societario alle prestazioni mutualistiche di tipo lavorativo dipende unicamente dalla ripartizione di competenze tra giudice ordinario e giudice del lavoro nella materia, un problema che, però, non può essere approfondito in questa sede.  

NOTE

   (1) Invero, in dottrina la natura dell’arbitrato è particolarmente controversa, contrapponendosi due diverse teorie, quella della natura privatistica e quella della natura interamente giurisdizionalistica dell’arbitrato. Cfr., in particolare, tra i più importanti esponenti dei due orientamenti, rispettivamente, Carmine Punzi ed Edoardo F. Ricci.

   (2) Per tale motivo sono state sempre dichiarate incostituzionali le norme di legge che prevedevano forme di arbitrato obbligatorio: vedi, da ultimo, Corte Cost. 9 maggio 1996, n. 152, in Foro it., 1996, I, c. 1905; Corte Cost. 24 luglio 1998, n. 325, ivi, 1998, I, c. 2332. Al riguardo vedi ampiamente C. Cavallini, Profili costituzionali della tutela arbitrale, in Riv. dir. proc., 2003, 797 ss., partic. a 808 ss.

   (3) Così G. Ruffini, Il nuovo arbitrato per le controversie societarie, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2004, 495 ss., a 516, secondo cui la possibilità del recesso, offerta ai soci dissenzienti, non potrebbe ovviare alla violazione dei princìpi costituzionali.

   (4) G. Ruffini, Il nuovo arbitrato, cit., 516.

   (5) La riforma del diritto societario opera una distinzione terminologica circa l’atto contenente le norme relative al funzionamento della società, atto che è definito “statuto” solo nelle società per azioni (l’art. 2328, 3° comma, cod. civ., dispone anche che, in caso di contrasto con le clausole dell’atto costitutivo, prevalgano quelle statutarie) ed “atto costitutivo” nelle società a responsabilità limitata. Si tratta, tuttavia, di una convenzione linguistica alquanto discutibile, che non può vincolare l’interprete.

   (6) Cfr., per tutti, B. Libonati, L’impresa e le società, Milano, 2004, 5 s.

(7) Cfr., soprattutto, P. Rescigno, Arbitrato ed autonomia contrattuale, in Riv. arbitrato, 1991, 13 ss., a 23 ss., che parla di autonomia privata collettiva per le clausola compromissorie inserite in contratti associativi.

   (8) Cfr. P. Rescigno, Arbitrato ed autonomia contrattuale, cit., 25, secondo cui pretendere l’approvazione specifica della clausola compromissoria metterebbe «in discussione il principio di parità che vale all’interno della comunità costituita mediante contratto».

   (9) Così, invece, G. Gabrielli, Clausole compromissorie e statuti sociali, in Riv. dir. civ., 2004, II, 85 ss., a 93, secondo cui vi sarebbe «il sostanziale disfavore della novella verso l’arbitrato societario, in contrasto con l’apparenza di una formulazione che vuole fare mostra di agevolarlo».

   (10) Così soprattutto E. F. Ricci, Il nuovo arbitrato societario, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2003, 517 ss. a 522 s.

   (11) In tal senso vedi, prima della novella, P. Rescigno, Arbitrato ed autonomia contrattuale, cit., 24.

   (12) In tal senso vedi G. Arieta e F. De Santis, Diritto processuale societario, Padova, 2003, 600.

   (13) Così A. Zoppini, I «diritti disponibili relativi al rapporto sociale» nel nuovo arbitrato societario, in Riv. società, 2004, 1173 ss., a 1181, il quale, però, dalla diversa nozione di “disponibilità” in materia societaria trae conseguenze non condivisibili.

   (14) Cfr. per tutti G. Silingardi, Il compromesso in arbitri nelle società di capitali, Milano, 1979, 8 ss.
La diffusione delle clausole compromissorie negli statuti societari è testimoniata dalla frequenza con cui si è occupata la giurisprudenza, anche onoraria, fin dall’inizio del Novecento: cfr., anche per le indicazioni giurisprudenziali, A. Scialoja, Saggi di vario diritto, II, Roma, 1928, 210 s.

   (15) Come precisato da B. Libonati, L’impresa e le società, cit., 77, nelle società l’esercizio dell’attività d’impresa riceve una «generale ordinazione» con l’atto costitutivo (contratto o atto unilaterale).

   (16) Cfr. per tutti G. Silingardi, Il compromesso, cit., 18 ss.

   (17) In questo senso si spiega – anche se non si giustifica – la valutazione espressa sulla novella da G. Gabrielli, Clausole compromissorie e statuti sociali, in Riv. dir. civ., 2004, II, 85 ss., a 89, che parla di «impostazione complessivamente illiberale».

   (18) Va segnalata, tuttavia, la tendenza legislativa ad estendere la nuova disciplina dell’arbitrato societario ad altri settori, restii finora ad aprirsi alla giustizia arbitrale, quali il settore della proprietà intellettuale. Infatti, il codice della proprietà industriale, approvato in via definitiva dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 23 dicembre 2004 ed in corso di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, prevede l’applicazione degli artt. 35 e 36 del d. lgs. n. 5/2003 alle controversie in tema di proprietà industriale e di concorrenza. Cfr. A. Frignani, L’arbitrato commerciale internazionale, in Trattato di diritto comm. e dir. pubbl. dell’econ. diretto fa F. Galgano, XXXIV, Padova, 204, 78.

   (19) Come si è già notato (vedi, retro, nota 3), la riforma sostanziale del diritto societario (d. lgs. n. 6/2003), per designare le norme di funzionamento della società, riserva l’espressione “statuto” nelle società per azioni (art. 2328 cod. civ.), mentre parla di “atto costitutivo” nelle società a responsabilità limitata (art. 2463 cod. civ.). L’art. 34 del d. lgs. n. 5/2003, trascurando quella convenzione terminologica, utilizza l’espressione “atto costitutivo”, comprendendovi anche lo statuto delle s.p.a., come si ricava anche dalla rubrica della stessa norma (“oggetto ed effetti di clausole compromissorie statutarie”).
   L’equiparazione degli statuti agli atti costitutivi, come atti nei quali può essere inserita la clausola compromissoria disciplinata dal d. lgs. n. 5/2003, è riconosciuta quasi pacificamente: vedi P. Biavati, Il procedimento nell’arbitrato societario, in Riv. arbitrato, 2003, 27 ss., a 30; E. F. Ricci, Il nuovo arbitrato societario, cit., 524; R. Sali, L’arbitrato per le nuove società. Dodici (piccoli) nodi applicativi e qualche proposta, in Giur. it., 2004. Sembra perplesso al riguardo, invece, P. L. Nela, in Comm. proc. Chiarloni, sub art. 34, 938, nota 38.

   (20) In tal senso vedi E. F. Ricci, Il nuovo arbitrato societario, cit., 524; G. Arieta e F. De Santis, Diritto processuale societario, cit., 600; R. Sali, L’arbitrato, cit.
   Invece, sembrano estendere le nuove norme all’arbitrato sorto sulla base di un compromesso: A. Briguglio, Conciliazione e arbitrato nelle controversie societarie, in Conciliazione e arbitrato nelle controversie societarie, Roma, 2003, 27 ss.

   (21) F. Criscuolo, L’arbitrabilità delle controversie societarie nello schema di decreto delegato e nella cosiddetta “Bozza Vaccarella”, in Conciliazione e arbitrato nelle controversie societarie, Roma, 2003, 21 ss., a 34.

   (22) Vedi A. Briguglio, Conciliazione e arbitrato, cit., 28; M. Bove, L’arbitrato nelle controversie societarie, in Giust. civ., 2003, 473 ss., 493. Vedi pure E. Zucconi Galli Fonseca, in Arbitrato societario a cura di F. Carpi, Bologna, 2004, sub art. 34, 5 s. e 22, secondo la quale le norme in commento si applicano al patto compromissorio stipulato con atto separato, che sia parte integrante dell’atto costitutivo.

   (23) Così G. Ruffini, La riforma dell’arbitrato societario, in Corriere giurid., 2003, 1524 ss., a 1528; E. F. Ricci, Il nuovo arbitrato societario, cit., 524; R. Genghini (e F. Galgano), Il nuovo diritto societario, 2° ediz., II, Gli statuti delle nuove società di capitali, Padova, 2004, 927, nota 700.

   (24) Così R. Sali, L’arbitrato, cit.

   (25) Così F. Corsini, L’arbitrato nella riforma del diritto societario, in Giur. it., 2003, 1285 ss., a 1290.

   (26) P. L. Nela, in Comm. proc. Chiarloni, sub art. 34, 926.

   (27) R. Nobili, Arbitrato e controversie societarie, in Conciliazione e arbitrato nelle controversie societarie, Roma, 2003, 55 ss., a 56-7, il quale, tuttavia, ritiene sconsigliabile il ricorso all’arbitrato irrituale a causa dei dubbi interpretativi cui dà luogo; E. Zucconi Galli Fonseca, in Arbitrato societario a cura di F. Carpi, cit., 38 ss.

   (28) Così G. Arieta e F. De Santis, Diritto processuale societario, cit., 657.

   (29) M. Weigmann, Problemi di diritto transitorio e le clausole compromissorie “statutarie” nelle società di capitali, in Conciliazione e arbitrato nelle controversie societarie, Roma, 2003, 111 ss., a 113, ipotizza perciò un eccesso di delega.

   (30) Così G. Ruffini, La riforma, cit., 1528; S. La China, L’arbitrato. Il sistema e l’esperienza, Milano, 2004, 244.

   (31) Vedi, per tutti. G. Ferri, Le società, in Trattato di diritto civile italiano fondato da F. Vassalli, 3° ediz., Torino, 1987, 72.

   (32) Così, invece, R. Sali, L’arbitrato, cit., il quale rileva come nel d. lgs. n. 5/2003 si trovino riferimenti alle clausole compromissorie cooperative (in particolare, l’art. 42, 2° c., richiama l’art. 223-duodecies disp. attuaz. cod. civ., riguardante la disciplina transitoria per le società cooperative).

   (33) Art. 8 della legge 29 dicembre 1993, n. 580. Sull’iscrizione delle società semplici nel registro delle imprese vedi per tutti A. Pavone La Rosa, Il registro delle imprese, in Trattato di diritto commerciale diretto da V. Buonocore, Torino, 2001, 133 ss.
   Peraltro, la società semplice che eserciti un’attività agricola è attualmente soggetta al regime della pubblicità commerciale, con efficacia dichiarativa dell’iscrizione nella sezione speciale (art. 2 del d. lgs. 18 maggio 2001, n. 228).

   (34) S. La China, L’arbitrato, cit., 244. Ritiene, invece, che l’arbitrato societario possa operare anche nelle società irregolari, ossia quelle costituite con atto scritto, ma non iscritte nel registro delle imprese F. Corsini, L’arbitrato, cit., 1292.
   Nelle società di fatto il problema non si pone neppure, essendo esse prive di un contratto, nel quale possa inserirsi una clausola compromissoria: così pure F. Corsini, L’arbitrato, cit., 1292.

   (35) A. Giardina, L’ambito di applicazione della nuova disciplina dell’arbitrato societario, in Conciliazione e arbitrato nelle controversie societarie, Roma, 2003, 41 ss., a 42. Cfr. pure S. La China, L’arbitrato, cit., 244 (da vedere).

   (36) Così, invece, R. Genghini (e F. Galgano), Il nuovo diritto societario, cit., 927, nota 700; P. L. Nela, in Comm. proc. Chiarloni, sub art. 34, 932; F. Auletta, La nullità della clausola compromissoria a norma dell’art. 34 d. lgs. 17.1.2003, n. 5: a proposito di recenti (dis-)orientamenti del notariato, in Riv. arbitrato, 2004, 361 ss.; A. Zoppini, I «diritti disponibili relativi al rapporto sociale» , cit., 1183.

   (37) In generale, l’art. 1, 4° comma, del d. lgs. n. 5/2003 fa salve le disposizioni del codice di procedura civile, per quanto non diversamente disposto da tale decreto, come precisato da V. Sangiovanni, Le clausole compromissorie statutarie nel nuovo diritto societario italiano, in www.judicium.it.

   (38) Il carattere speciale dell’arbitrato societario è sottolineato da G. Arieta e F. De Santis, Diritto processuale societario, cit., 602 ss.

   (39) P. L. Nela, in Comm. proc. Chiarloni, sub art. 34, 930.
Invero, la Relazione di accompagnamento al d. lgs. n. 5/2003 sottolinea la compiutezza dell’arbitrato societario («La formulazione del testo contribuisce alla creazione di una compiuta species arbitrale») e la sua alternatività all’arbitrato di diritto comune (l’arbitrato societario «si sviluppa senza pretesa di sostituire il modello codicistico»). Tuttavia, i toni enfatici della Relazione non possono superare la realtà normativa, nella quale non c’è – né voleva esserci – una completa ed autonoma disciplina di un tipo arbitrale distinto da quello ordinario.

   (40) A. Briguglio, Conciliazione e arbitrato, cit., 27.

   (41) Così P. L. Nela, in Comm. proc. Chiarloni, sub art. 34, 935.

   (42) Così P. L. Nela, in Comm. proc. Chiarloni, sub art. 34, 935.

   (43) Così, invece, M. Bove, L’arbitrato, cit., 493.

   (44) G. Miccolis, Arbitrato e conciliazione nella riforma del processo societario, in www.judicium.it (inserim. 28.3.2003), 10/17.

   (45) G. Miccolis, Arbitrato e conciliazione, cit.

   (46) Così, invece, M. Bove, L’arbitrato, cit., 494.

   (47) Vedi per tutti G. Marasà e C. Ibba, Il registro delle imprese, Torino, 1997, 80 ss.

   (48) In tal senso si era già pronunciata la Corte Costituzionale, ord. 5 luglio 2002, n. 320.
   Invece, secondo G. Gabrielli, Clausole compromissorie, cit., 88, la nuova norma sarebbe ambigua, in quanto potrebbe essere intesa come una deroga, solo per l’arbitrato societario, alla regola generale di preclusione della tutela cautelare in caso di arbitrato irrituale.

   (49) Così G. Arieta e F. De Santis, Diritto processuale societario, cit., 606, secondo cui la clausola compromissoria statutaria potrebbe escludere espressamente il ricorso alle norme “speciali” del decreto. Vedi pure R. Genghini (e F. Galgano), Il nuovo diritto societario, cit., 928 s.; F. Auletta, La nullità della clausola compromissori, cit., 363; A. Zoppini, I «diritti disponibili relativi al rapporto sociale», cit., 1183; V. Salafia, Alcune questioni di interpretazione del nuovo arbitrato societario, in Società, 2004, 1457 ss., 1458.

   (50) Così P. L. Nela, in Comm. proc. Chiarloni, sub art. 34, 934.

   (51) Così P. L. Nela, in Comm. proc. Chiarloni, sub art. 34, 934.

   (52) Cfr., in particolare, V. Salafia, Alcune questioni, cit., 1458.

   (53) Cfr. F. Corsini, L’arbitrato, cit., 1288; E. Zucconi Galli Fonseca, in Arbitrato societario a cura di F. Carpi, cit., 3; R. Sali, L’arbitrato, cit; V. Sangiovanni, Le clausole compromissorie, cit.

   (54) R. Sali, L’arbitrato, cit., giustamente nota che l’opzione dei soci, con l’introduzione della clausola compromissoria nello statuto, non è tra l’arbitrato societario e quello ordinario, bensì tra l’arbitrato societario e la giustizia ordinaria. D’altronde, questa è l’opzione – necessariamente su base volontaria – che legittima costituzionalmente l’arbitrato, secondo l’orientamento dominante: cfr., per tutti, C. Cavallini, Profili costituzionali, cit., 808 s.

   (55) Cfr. B. Libonati, L’impresa e le società, 81.

   (56) Così G. Arieta e F. De Santis, Diritto processuale societario, cit., 606.

   (57) E. F. Ricci, Aspetti “giurisdizionali” del nuovo arbitrato in materia societaria, in Conciliazione e arbitrato nelle controversie societarie, Roma, 2003, 67 ss., 70.

   (58) E. F. Ricci, Aspetti “giurisdizionali”, cit., 69.

   (59) Il diverso orientamento del legislatore rispetto alla posizione della giurisprudenza è sottolineato da E. F. Ricci, Aspetti “giurisdizionali”, cit., 67 s.
Invece, altri studiosi ritengono che non sia mutato l’approccio legislativo, essendo rafforzata l’efficacia del lodo, rimasto, però, un atto integralmente privato: cfr. in particolare G. Arieta e F. De Santis, Diritto processuale societario, cit., 598 s.

   (60) Tale norma era stata modificata dall’art. 8-ter del decreto-legge n. 411/2001, convertito nella legge n. 463/2001. Vedi G. Bolego, La riforma della posizione giuridica del socio lavoratore di cooperativa, in Nuove leggi civ. comm., 2002, 460 s.

   (61) Cfr. E. Zucconi Galli Fonseca, in Arbitrato societario a cura di F. Carpi, cit., 43.

   (62) Su questa norma vedi, in particolare, D. Buoncristiani, Esclusione e licenziamento del socio lavoratore di cooperativa?, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2003, 1331 ss.

   (63) In tal senso, sia pure dubitativamente, E. Zucconi Galli Fonseca, in Arbitrato societario a cura di F. Carpi, cit., 43.

   (64) Tale disposizione, infatti, richiama l’art. 223-duodecies disp. attuaz. cod. civ., che fissa il diritto transitorio per l’adeguamento degli statuti di società cooperative.
   Se si vuole essere pignoli, l’art. 41 del d. lgs. n. 5/2003 è stato oggetto di rettifica in un momento successivo alla riforma Biagi, confermandosi così la volontà legislativa di applicare l’arbitrato societario a tutte le cooperative, comprese quelle di lavoro.

(65) Per indicazioni in tal senso vedi E. Zucconi Galli Fonseca, in Arbitrato societario a cura di F. Carpi, cit., 44.

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