il diritto commerciale d’oggi
    III.9 – settembre 2004

STUDÎ & COMMENTI

 

GIUSEPPE ALESSI

L’amministrazione straordinaria accelerata (legge Parmalat)

 

SOMMARIO: 1. L. 18 febbraio 2004, n. 39: considerazioni generali. – 2. Una nuova procedura concorsuale? – 3. Requisiti e ammissione alla procedura. – 4. Dichiarazione dello stato di insolvenza. – 5. Programma. – 6. Debiti di massa e interessi . – 7. Un nuovo tipo di concordato. – 8. Azioni revocatorie. – 9. Aiuti di Stato. – 10. Rapporti con le altre procedure concorsuali.

 

1. L. 18 febbraio 2004, n. 39: considerazioni generali

   La legge 18 febbraio 2004, n. 39, che ha convertito con profonde modifiche il decreto legge 23 dicembre 2003, n. 347, recante misure urgenti per la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza, suscita nel giurista profondo interesse ma anche forti perplessità.
L’interesse discende dal rilievo che la citata legge introduce, dopo appena quattro anni dal d. lgs. n. 270/99, che dettò la nuova disciplina dell’amministrazione straordinaria, numerose e importanti innovazioni.
   La prima innovazione riguarda l’ammissione alla procedura che avviene sulla base di nuovi requisiti soggettivi e mediante un procedimento accelerato e invertito rispetto a quello previsto dal d. lgs. n. 270: viene prima emesso il decreto del Ministro delle attività produttive (di seguito, per brevità, solo Ministro) che dispone la procedura e nomina il commissario straordinario e subito dopo emanata la sentenza del tribunale che dichiara lo stato di insolvenza.
   Di fatto viene eliminato il periodo di osservazione previsto dall’art. 8 d. lgs. n. 270/99 (in appresso, per brevità, d. lgs. n. 270), così che l’ammissione alla procedura viene accelerata ed è immediata.
   I motivi dell’ammissione immediata alla procedura sembrano due.
   Uno è di carattere generale e consiste nell’evitare la perdita di quote di produzione o di mercato, che si verifica durante il periodo di osservazione, allorché è incerto se l’impresa verrà sottoposta all’amministrazione straordinaria (di seguito, per brevità, A.S.) o dichiarata fallita. Disponendo immediatamente la A.S. e nominando il commissario straordinario si dà un segnale rassicurante per i fornitori, i dipendenti ed il mercato sulla continuità aziendale.
   Il pericolo che durante il periodo di osservazione l’impresa perda una parte dell’avviamento è concreto non solo per l’incertezza della procedura cui essa verrà sottoposta, ma anche per la scarsa affidabilità che riscuote l’imprenditore insolvente che continui l’esercizio dell’impresa o per il poco tempo che il commissario giudiziale, impegnato a redigere la relazione, può dedicare alla gestione dell’impresa.
   Il secondo motivo dell’ammissione immediata alla procedura è contingente e particolare e consiste nella improvvisa esplosione del caso Parmalat.
   Poiché il Gruppo Parmalat è formato anche da molteplici società con sede all’estero e alcune banche creditrici e molti obbligazionisti risiedono in paesi esteri, occorreva evitare che nei Paesi della CE venisse aperta una procedura concorsuale di insolvenza (c.d. principale), con l’obbligo per l’Italia di dichiarare il fallimento delle società del Gruppo Parmalat con sede in Italia (c.d. procedure secondarie) in virtù del Regolamento CE 1346/2000, entrato in vigore in Italia il 31/5/2002.
   Va preso atto che, nonostante il clamore, la sorpresa e la sfiducia che lo scandalo Parmalat ha suscitato, l’ammissione immediata delle società italiane del Gruppo Parmalat alla A.S. ha evitato sia perdite di produzione o di mercato, sia l’instaurarsi di procedure principali di insolvenza aperte in altri Paesi della CE.
   La seconda innovazione, forse la più importante e preoccupante, è la previsione, introdotta in sede di conversione del decreto legge, di una nuova e strana figura di concordato, di cui si dirà ampiamente più avanti.
   La terza innovazione, forse la più traumatica, consiste nella proponibilità delle azioni revocatorie anche se viene autorizzato un programma di ristrutturazione economica e finanziaria (art. 6).
Tale previsione si rileva inutile dal punto di vista pratico, errata sul piano sistematico e di dubbia costituzionalità, come si dirà ampiamente più avanti.
   L’ultima innovazione riguarda l’accertamento del passivo e prevede che l’opposizione allo stato passivo si propone con reclamo al tribunale, entro venti giorni dalla comunicazione, ex art. 26 legge fallimentare e viene decisa con decreto camerale.
   Tale innovazione appare discutibile poiché per l’accertamento dei crediti e delle cause di prelazione appare più idoneo il giudizio ordinario di cognizione che consente di svolgere attività istruttoria e di proporre ricorso per cassazione per tutti i motivi previsti dall’art. 360 cod. proc. civ.
Volendo esprimere un giudizio complessivo sulla nuova legge sembrano emergere tre tendenze del Governo e del Parlamento sulla gestione della crisi delle grandi imprese che abbiano più di mille dipendenti e debiti per almeno un miliardo di euro.
   La prima tendenza è quella di riservare una disciplina speciale alla crisi delle grandi imprese caratterizzata dall’apertura immediata della procedura e dalla definizione celere di essa mediante un nuovo tipo di concordato.
   Così che nel nostro ordinamento le imprese commerciali insolventi se piccole sono dichiarate fallite, se medie e risanabili economicamente vengono sottoposte alla A.S. disciplinata dal d. lgs. n. 270, se grandi sono ammesse alla A.S. prevista dalla nuova legge.
   La seconda tendenza è quella di ridurre i poteri che il d. lgs. n. 270 aveva attribuito al tribunale, specialmente per l’apertura della procedura e la conversione di essa in fallimento, e di ampliare quelli del Ministro delle attività produttive cui compete l’apertura della procedura con la continuazione automatica dell’esercizio dell’impresa, senza alcun esame, né preventivo né successivo del tribunale, sulla recuperabilità dell’equilibrio economico dell’impresa.
   Si ritorna all’antico, e cioè al potere discrezionale del Ministro, previsto dalla legge n. 95/79, aspramente criticato dagli organi comunitari poiché il decreto ministeriale che apre la procedura e fa continuare l’esercizio dell’impresa può comportare aiuti di Stato se questo o enti pubblici sono creditori dell’impresa in A.S. dovendo essere soddisfatti dopo che sono stati pagati con prededuzione i debiti di massa.
   Il d. lgs. n. 270 nel dettare la nuova disciplina della A.S. aveva opportunamente sottratto alcuni poteri all’autorità amministrativa per attribuirli a quella giudiziaria, tra cui soprattutto quelli relativi all’apertura, alla conversione ed alla chiusura della procedura.
   Così che la nuova procedura era stata da me definita “giuriamministrativa” per il lodevole equilibrio raggiunto tra i poteri delle due autorità che convivono nella A.S.
   La legge n. 39/2004 spezza tale delicato equilibrio ampliando i poteri del Ministro e comprimendo quelli del tribunale.
   La terza tendenza che emerge dalla legge n. 39/2004 è quella di un rinato dirigismo dello Stato nella disciplina della crisi della grande impresa in palese contrasto con l’orientamento liberale e con la tutela dell’autonomia privata emersi nella recente riforma delle società di capitali e nella progettata riforma delle procedure concorsuali.
   Il nuovo dirigismo statale si manifesta soprattutto nel conferire al Ministro il potere di ammettere l’impresa insolvente alla procedura senza alcuna indagine sulla recuperabilità dell’equilibrio economico di essa e al commissario il potere straordinario di predisporre la proposta di concordato e di decidere, mediante la costituzione delle classi e il trattamento differenziato di esse, della sorte dei crediti.
   Sarebbe stato preferibile non rompere il delicato equilibrio tra Ministro e tribunale dettato dal d. s. n. 270, non eliminare il periodo di osservazione, ma ridurre drasticamente i termini per il deposito della relazione, per le osservazioni e per il decreto del tribunale, e non prevedere il nuovo tipo di concordato e le azioni revocatorie.
   La nuova legge ha creato un pasticcio poiché i requisiti per l’ammissione alla procedura vengono accertati prima dal Ministro e poi dal tribunale con gli inconvenienti che vedremo più avanti, ma nessuno accerta la recuperabilità dell’equilibrio economico dell’impresa: e tale accertamento è essenziale ed indispensabile in una procedura che nasce, per previsione legislativa e per scelta dello stesso imprenditore insolvente, con programma di risanamento economico e finanziari.

2. Una nuova procedura concorsuale?

   I primi commentatori del decreto legge n. 347/2003 (M. FABIANI – M. FERRO, Dai tribunali ai ministeri: prove generali di degiurisdizionalizzazione della gestione delle crisi d’impresa, in Fallimento, 2004, 2, 132) si sono posti il problema della natura della procedura prevista dal predetto decreto e cioè se sia stata creata una nuova procedura concorsuale o se si tratti di una sottospecie della A.S. di cui al d. lgs. n. 270.
   I citati Autori optano per la seconda soluzione sia perché nelle premesse del decreto si fa riferimento a «misure integrative e correttive della normativa vigente in materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza», sia perché la creazione di una nuova procedura concorsuale non avrebbe consentito di aprire in Italia la procedura principale ai sensi del regolamento comunitario sull’insolvenza.
   A causa delle numerose e importanti modifiche apportate al d. lgs. n. 270 dal decreto legge e dalla legge di conversione sembra potersi ritenere che la legge n. 39/2004 abbia introdotto nel nostro ordinamento una nuova procedura concorsuale, che si può definire come amministrazione straordinaria accelerata (A.S.A.).
   Tale procedura si distingue dalla A.S. disciplinata dal d. lgs. n. 270 per i requisiti e la condizione di ammissione, per il procedimento di apertura, per la finalità, per il concordato, per le azioni revocatorie e per l’opposizione allo stato passivo.
   La nuova legge più che integrare e correggere la normativa dettata dal d. lgs. n. 270, che è rimasta immutata, ha in realtà creato una nuova figura di amministrazione straordinaria riservata solo alle imprese di enormi dimensioni occupazionali e debitorie che intendono seguire il programma di risanamento.
   Solo per tali imprese la nuova legge prevede un procedimento accelerato di ammissione, invertito rispetto a quello disposto dal d. lgs. n. 270, l’eliminazione del periodo di osservazione e della recuperabilità del riequilibrio economico dell’impresa, quale condizione per l’ammissione alla procedura, una nuova figura di concordato, del tutto diverso da quello disciplinato dall'art. 78 d. lgs. n. 270, la proponibilità delle azioni revocatorie anche se viene autorizzato il programma di ristrutturazione economica e finanziaria, in contrasto con l’art. 49 d. lgs. n. 270, ed il reclamo al tribunale ex art. 26 legge fallim. contro l’esclusione dallo stato passivo.
   L’ammissione alla procedura avviene senza alcuna selettività, perché non è richiesta la condizione della recuperabilità dell’equilibrio economico, ma solo i requisiti occupazionale e debitorio.
Anzi, accadono due cose ancora più singolari.
   Non è più il commissario straordinario che in base alle cause dell’insolvenza decide quale programma redigere, ma è la stessa impresa insolvente che decide e con l’istanza di ammissione alla procedura dichiara di voler perseguire il programma di ristrutturazione economica e finanziaria, presumendo di potere non solo recuperare l’equilibrio economico ma anche di conseguire il risanamento finanziario.
   Inoltre, è previsto che la procedura, disposta per l’attuazione del programma di ristrutturazione, possa chiudersi per concordato non appena il programma viene autorizzato, così che l’attuazione del programma avviene dopo il ritorno in bonis dell’imprenditore, e cioè dopo la chiusura della procedura.
   Pertanto, la procedura concorsuale delineata dalla nuova legge appare più che una sottospecie della A.S. come una procedura diversa dalla A.S., di cui recepisce solo alcune norme, e nella ipotesi di chiusura per concordato è composta da un misto di amministrazione controllata e concordato preventivo recependo dalla prima il presupposto di risanamento finanziario, la durata massima del relativo piano e le maggioranze per l’approvazione della proposta e dal secondo l’effetto esdebitatorio e la omologazione.
   In realtà, nonostante le premesse del decreto legge, la nuova normativa non modifica né integra il d. lgs. n. 270 che continua ad applicarsi alle medie imprese indicate nell’art. 2 nella sua originaria versione, ma introduce nuovi istituti e procedimenti non previsti dal d. lgs. n. 270 e detta nuove norme in contrasto con tale decreto legislativo.
   La disciplina del d. lgs. n. 270 è solo integrativa di quella dettata dalla legge n. 39/2004, in quanto compatibile, così come numerose norme del fallimento sugli effetti per l’imprenditore, per i creditori e sui rapporti preesistenti sono richiamate nella disciplina della liquidazione coatta amministrativa (artt. 200, 201 e 203 legge fallim.).
   In conclusione, la legge n. 39/2004 sembra dettare una nuova procedura concorsuale che, ad onta del nome, appare diversa dalla A.S. disciplinata dal d. lgs. n. 270.
   Così che esistono nel nostro ordinamento concorsuale tre procedure di amministrazione straordinaria: quella introdotta dalla legge 95/79 (c.d. legge Prodi) ancora vigente per le vecchie procedure in virtù dell’art. 106 d. lgs. n. 270; quella disciplinata dal d. lgs. n. 270 (c.d. Prodi bis) e quella istituita dalla recente legge n. 39/2004 (c.d. Prodi ter o legge Marzano o legge Parmalat).
   Chi segue attentamente le vicende del Gruppo Parmalat ha la netta sensazione che la nuova legge sia stata dettata su misura per risolvere l’insolvenza di tale Gruppo e nutre il dubbio che la disciplina legislativa frettolosamente adottata obbedisca ad una accurata regia che mira a salvare l’attività tradizionale della Parmalat, chiudendo velocemente la procedura con un concordato che dovrebbe imporre pesanti sacrifici al sistema creditizio e soddisfare in parte i crediti dei dipendenti, degli obbligazionisti e dei fornitori.

3. Requisiti e ammissione alla procedura

   I requisiti per l’ammissione alla amministrazione straordinaria accelerata (in prosieguo, per brevità, A.S.A.) sono indicati nell’art. 1 legge n. 39/2004.
   Il requisito soggettivo è complesso poiché si compone dei seguenti elementi: qualità di imprenditore commerciale, soggetto alla disciplina del fallimento; intenzione di avvalersi della procedura di ristrutturazione economica e finanziaria ex art. 27 d. lgs. n. 270 e cioè, più propriamente, della procedura di A.S. con programma di ristrutturazione; lavoratori subordinati non inferiori a mille da almeno un anno; debiti, comprese le garanzie concesse, per almeno un milione di euro.
   Requisito oggettivo è lo stato di insolvenza.
   I requisiti sono diversi da quelli richiesti dall’art. 2 d. gs. n. 270 poiché per quello occupazionale si passa da duecento dipendenti a mille e per l’esposizione debitoria viene stabilito un parametro fisso, molto elevato, al posto del rapporto tra debiti, attivo patrimoniale e ricavi.
   Inoltre, la procedura è riservata solo alle grandi imprese insolventi che intendono avvalersi della A.S. con programma di ristrutturazione economica e finanziaria ai sensi dell’art. 27, comma 2, lettera b) d. lgs. n. 270.
   È un requisito di ammissione singolare che induce a ritenere, a contrariis, che la grande impresa insolvente che intende attuare un programma di cessione dei complessi aziendali dovrebbe avvalersi della disciplina dettata dal d. lgs. n. 270, che prevede requisiti soggettivi diversi.
   Appare singolare che sia l’impresa a decidere quale programma seguire e non il commissario straordinario in base alla relazione che accerta le cause dell’insolvenza. Ma è ancora più strano che una stessa grande impresa possa scegliersi la disciplina concorsuale poiché se decide di avvalersi del programma di ristrutturazione si applica la legge n. 39/2004 mentre se dichiara di voler attuare il programma di cessione dei complessi aziendali si adotta, invece, la disciplina del d. lgs. n. 270.
   In verità, l’art. 4, comma 4 prevede la sostituzione del programma di ristrutturazione con quello di cessione dei complessi aziendali.
   Ma se la nuova legge prevede la sostituzione del programma perché non consente all’impresa di avvalersi sin dalla richiesta di ammissione alla procedura del programma di cessione dei complessi aziendali?
   L’istanza di ammissione immediata alla A.S.A. può essere proposta solo dalla impresa, va rivolta al Ministro delle attività produttive e deve essere motivata e documentata. Contestualmente va presentato ricorso al tribunale per la dichiarazione dello stato di insolvenza (art. 2).
   La motivazione dell’istanza deve riguardare le cause della crisi ed i motivi della ammissione immediata alla procedura e la documentazione deve provare sia i requisiti occupazionale e debitorio sia le linee guida del programma di risanamento economico e finanziario.
   Opportunamente in sede di conversione del decreto legge è stato previsto il contestuale ricorso al tribunale per la dichiarazione dello stato di insolvenza. Tale ricorso preclude al tribunale di dichiarare il fallimento della grande impresa e gli impone di attendere la comunicazione del decreto ministeriale prima di dichiarare lo stato di insolvenza. Che la sentenza di insolvenza debba necessariamente seguire al decreto ministeriale risulta chiaramente dall’art. 2, comma 3 e dagli artt. 3 e 4, comma 1.
   Pertanto, la procedura si apre con un atto amministrativo e non con un provvedimento giurisdizionale.
   Il Ministro, «valutati i requisiti di cui all’art. 1» dispone con decreto, immediatamente comunicato al tribunale competente, l’ammissione “immediata” dell’impresa alla A.S.A. e nomina il commissario straordinario, che svolge anche le funzioni di commissario giudiziale (artt. 2 e 3).
   In base all’art. 2 il Ministro valuta soltanto i requisiti occupazionale e debitorio, il programma di ristrutturazione e la qualità di imprenditore commerciale e prende atto delle dichiarazioni dell’impresa di essere insolvente.

4. Dichiarazione dello stato di insolvenza

   L’accertamento dello stato di insolvenza spetta esclusivamente al tribunale così come è previsto nel d. lgs. n. 270 e come prevedeva la legge n. 95/79.
   L’ammissione alla procedura in base al decreto ministeriale è “immediata” ma provvisoria e condizionata alla emissione della sentenza che dichiara lo stato di insolvenza.
   Infatti, l’art. 4 dispone che il tribunale entro cinque giorni dalla comunicazione del decreto ministeriale, sentito il commissario straordinario che ex art. 3 deve raccogliere ogni elemento utile per l’accertamento dell’insolvenza, dichiara lo stato di insolvenza con sentenza e nomina il giudice delegato, assegna ai creditori i termini per le domande di ammissione al passivo e fissa l’udienza per la verifica dei crediti.
   Il comma 1-bis dell’art. 4, introdotto in sede di conversione in legge, prevede che qualora il tribunale «accerti l’insussistenza dello stato di insolvenza, ovvero anche di uno solo dei requisiti previsti dall’art, 1, cessano gli effetti del decreto di cui all’articolo 2, comma 2. Restano in ogni caso salvi gli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi della procedura».
   È evidente che il tribunale non accerta soltanto l’esistenza dello stato di insolvenza ma riesamina tutti i requisiti per l’ammissione alla procedura previsti dall’art. 1, e cioè la qualità di imprenditore commerciale, il piano di ristrutturazione, il numero dei dipendenti e l’esposizione debitoria.
   Se il tribunale emette la sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza l’ammissione alla procedura diviene stabile e definitiva, salve le ipotesi di conversione in fallimento. Se, viceversa, si verifichi una delle ipotesi previste dall’art. 4, comma 1-bis cessano gli effetti del decreto ministeriale, e cioè la A.S. si chiude immediatamente e gli organi della procedura decadono.
   Si possono prospettare le seguenti ipotesi: 1) esiste lo stato di insolvenza, non sussistono i requisiti di cui all’art. 1 legge n. 39/2004, ma esistono quelli previsti dall'art. 2 d. lgs. n. 270: il tribunale dichiara lo stato di insolvenza anche d’ufficio ex art. 8 d. lgs. n. 270 e nomina il commissario giudiziale; 2) esiste lo stato di insolvenza, ma mancano i requisiti sia dell’art. 1 legge n. 39/2004 sia dell’art. 2 d. lgs. n. 270: il tribunale dichiara il fallimento, anche d’ufficio; 3) non esiste lo stato di insolvenza o la qualità di imprenditore commerciale: il tribunale rigetta il ricorso con decreto.

5. Programma

   Nella A.S. disciplinata dal d. lgs. n. 270 il programma è istituto qualificante della procedura.
   Il programma viene redatto dal commissario straordinario, in base anche alle cause dello stato di insolvenza risultanti dalla relazione del commissario giudiziale, e può seguire i due indirizzi della cessione dei complessi aziendali o della ristrutturazione economica e finanziaria in base ad un programma di risanamento.
   Viceversa, la legge n. 39/2004 disciplina solo le grandi imprese insolventi che «intendono avvalersi» di un programma di ristrutturazione economica e finanziaria.
   Tre considerazioni: la nuova procedura si applica solo se l’impresa dichiara di volere realizzare un programma di risanamento e non di cessione; il programma di ristrutturazione viene enunciato e abbozzato dall’impresa; il commissario straordinario redige il piano di ristrutturazione secondo i criteri e con il contenuto degli artt. 54, 55 e 56 d. lgs. n. 270.
   Dalla esclusività del programma di ristrutturazione prevista dall’art. 1 discende che la mancata autorizzazione di tale piano dovrebbe comportare la cessazione della procedura aperta per l’attuazione di esso.
   Ma non è così!
   Infatti, l’art. 4, comma 4, prevede che se il Ministro non autorizza l’esecuzione del programma di ristrutturazione «e nel caso in cui non sia possibile adottare il programma di cessione dei complessi aziendali» il tribunale, su richiesta del commissario straordinario, dispone la conversione della procedura di amministrazione straordinaria in fallimento.
   Dalla formulazione della citata norma sembra che la sostituzione del programma possa avvenire immediatamente, d’ufficio, ad opera del Ministro. In realtà, la sostituzione del programma può essere chiesta dal commissario nei modi e nei termini previsti dall’art. 60 d. lgs. n. 270. A tale fine il Ministro se non autorizza il programma di ristrutturazione dovrebbe concedere al commissario un termine per la presentazione di un programma di cessione dei complessi aziendali.
   Inoltre, suscita qualche perplessità il fatto che l’impresa, che ai sensi degli artt. 1 e 2 ha chiesto e ottenuto l’ammissione alla procedura per l’attuazione del programma di ristrutturazione sia, per legge, costretta a vedere eseguito un programma di cessione dei complessi aziendali.
   Infine, ove non sia possibile adottare neppure il programma di cessione dei complessi aziendali, la conversione della A.S.A. in fallimento dovrebbe avvenire non solo su richiesta del commissario straordinario, ma anche d’ufficio, così come previsto per le ipotesi di conversione in corso di procedura ex art. 69 d. lgs. n. 270.

6. Debiti di massa e interessi

   Nella nuova disciplina dell’amministrazione straordinaria le disposizioni del d. lgs. n. 270 che disciplinano i debiti di massa sono gli artt. 20, 52 e 67.
   Le prime due norme prevedono che «i crediti sorti per la continuazione dell’esercizio dell’impresa e la gestione del patrimonio dell’imprenditore» rispettivamente dopo la dichiarazione dello stato di insolvenza e dopo l’apertura dell’amministrazione straordinaria «sono soddisfatti in prededuzione, a norma dell’art. 111, primo comma, numero 1), della legge fallimentare»: l’art. 52 aggiunge: «anche nel fallimento successivo alla procedura di amministrazione straordinaria».
   L’art. 67, comma secondo dispone: «Le ripartizioni hanno luogo secondo le disposizioni degli articoli 110, comma secondo e terzo, 111, 112, 113, 114, 115 e 117, secondo e terzo comma della legge fallimentare».
   La legge n. 39/2004 non disciplina i debiti di massa e, pertanto, in virtù del rinvio generale contenuto nell’art. 8, si applicano gli artt. 20, 52 e 67 d. lgs. n. 270 «in quanto compatibili» con la citata legge.
   Secondo il citato art. 20 sono soddisfatti in prededuzione i crediti sorti per la continuazione dell’esercizio dell’impresa e la gestione del patrimonio dell’imprenditore «dopo la dichiarazione dello stato di insolvenza».
   Ma mentre nel sistema del doppio binario introdotto dal d. lgs. n. 270 la sentenza di insolvenza costituiva il primo atto del procedimento di apertura della procedura destinata a sfociare nella A.S. o nel fallimento, viceversa nel sistema delineato dalla legge n. 39/2004 il provvedimento che dispone la procedura di A.S.A. è il decreto ministeriale previsto dall’art. 2, mentre la sentenza di insolvenza, necessariamente successiva al decreto, rende stabile la procedura stessa.
   Sorge il problema della sorte dei debiti sorti per la gestione dell’impresa nel tempo che corre dal decreto ministeriale alla sentenza di insolvenza.
   Probabilmente il legislatore nutre il dubbio che anche nella nuova procedura la prededuzione dei crediti per la gestione dell’impresa non sorga con il decreto ministeriale, ma con la sentenza di insolvenza. Tale dubbio giustifica i tempi brevissimi imposti per la comunicazione del decreto ministeriale al tribunale («immediatamente») e per la pubblicazione della sentenza di insolvenza («entro cinque giorni dalla comunicazione del decreto»). Così che secondo gli artt. 2 e 4 tra il decreto ministeriale e la sentenza di insolvenza dovrebbero correre al massimo sei giorni.
   Tuttavia, dal contenuto degli artt. 3 e 5 legge n. 39/2004 sembra ricavarsi il principio che i crediti per la gestione dell’impresa sorti dopo il decreto ministeriale di apertura della procedura vanno pagati in prededuzione perché il commissario «provvede all’amministrazione dell’impresa» (art. 3) e per gli atti di ordinaria amministrazione o di valore inferiore a 250.000 euro non deve chiedere l’autorizzazione ministeriale (art. 5, comma 2-bis).
   È da ritenersi, inoltre, che il commissario possa eseguire pagamenti anche di debiti anteriori al decreto ministeriale di apertura della procedura purché siano autorizzati dal giudice delegato (art. 18 d. lgs. n. 270/99) e, a mio avviso, purché siano essenziali per la continuazione dell’esercizio dell’impresa e vengano rispettate le cause di prelazione.
   Quanto agli interessi, sorge il problema del tempo della loro sospensione ai sensi dell’art. 55 legge fallim.
   Nella A.S. disciplinata dal d. lgs. n. 270 il problema è risolto dall’art. 18 che dichiara applicabile l’art. 169 legge fallim., che a sua volta richiama l’art. 55 legge fallim., con riferimento alla sentenza che dichiara lo stato di insolvenza.
   Nella nuova A.S. istituita dalla legge n. 39/2004 la sospensione degli interessi non può decorrere dalla sentenza di insolvenza, che è per legge successiva al decreto ministeriale di apertura della procedura, ma deve iniziare da tale decreto poiché la sospensione degli interessi essendo stabilita ai fini del concorso prescinde dall’accertamento dello stato di insolvenza e coincide con l’apertura della procedura concorsuale, che si verifica per il fallimento con la sentenza dichiarativa (art. 55 legge fallim.) e per la liquidazione coatta amministrativa con il decreto ministeriale (art. 200 legge fallim.) oppure si verifica addirittura prima della procedura con la domanda di ammissione ad essa, come per il concordato preventivo (art. 169 legge fallim.).
   La dichiarazione dello stato di insolvenza è rilevante solo per la proponibilità delle azioni revocatorie, il cui presupposto soggettivo è la scientia decoctionis, come si ricava dagli artt. 67 e 203 legge fallim. e 49 d. lgs. n. 270.
   Consegue che la sospensione degli interessi si verifica il giorno in cui viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto del Ministro delle attività produttive che dispone l’amministrazione straordinaria .

7. Un nuovo tipo di concordato

   Tra le innovazioni introdotte dalla legge n. 39/2004 la più importante e la più devastante è la previsione di un nuovo tipo di concordato, quale modalità di chiusura della procedura.
   È un concordato strano, diverso non solo da quello fallimentare e da quello liquidatorio (art. 124 e 214 legge fallim.), ma anche da quello straordinario previsto dall’art. 78 d. lgs. n. 270.
   È sufficiente rilevare che l’art. 4-bis della nuova legge, che disciplina il concordato, conferisce legittimazione attiva a proporlo solo al commissario straordinario e non all’impresa sottoposta ad A.S. o ad un terzo, prevede l’autorizzazione ministeriale solo per la costituzione delle classi dei creditori ma non anche per la convenienza del concordato e per la sua compatibilità per la conservazione dell’attività produttiva, sembra consentire l’espropriazione dei crediti di alcune classi di creditori rendendo irrilevante in sede di omologa il voto contrario di alcune classi di creditori e prevedendo nella proposta trattamenti differenziati per classi diverse di creditori e l’attribuzione ad alcune categorie di creditori di azioni, quote o obbligazioni.
   È una figura nuova di concordato che recepisce da quello fallimentare il principio del silenzio-assenso, la provvisoria esecutività della sentenza di omologa e l’effetto esdebitatorio, da quello preventivo la irrilevanza dello stato passivo ai fini della votazione, dall’amministrazione controllata le maggioranze per l’approvazione della proposta e dal concordato liquidatorio i termini per l’appello.
   Trattasi di un concordato anomalo, introdotto in sede di conversione con l’art. 4-bis, composto di ben undici commi, che si differenzia notevolmente da quello previsto dall’art. 78 d. lgs. n. 270 per legittimazione attiva, presupposti, condizioni e procedimento.
   Infatti, il concordato di cui all’art. 78 può essere proposto dopo l’esecutività dello stato passivo dall’imprenditore o da un terzo e deve essere autorizzato dal Ministro, previ pareri del commissario e del comitato di sorveglianza. L’autorizzazione ministeriale deve tenere conto della convenienza del concordato per i creditori e della sua compatibilità con la conservazione dell’attività produttiva e si applicano le disposizioni dell’art. 214, commi secondo (opposizioni dei creditori), terzo (sentenza del tribunale che deve tenere conto delle opposizioni), quarto (gravami) e quinto (esecuzione del concordato).
   Viceversa, il nuovo tipo di concordato disciplinato dall’art. 4-bis legge n. 39/2004 viene previsto dettagliatamente nell’ambito del programma di ristrutturazione predisposto dal commissario straordinario che trasmette al tribunale copia del programma entro tre giorni dalla autorizzazione ministeriale e nello stesso termine deposita presso il giudice delegato istanza di definizione della procedura tramite concordato.
   Non è richiesta la preventiva chiusura della verifica dei crediti poiché i creditori sono ammessi al voto in base ad un elenco provvisorio formato dal giudice delegato.
L’autorizzazione ministeriale della proposta di concordato sembra implicita in quella relativa all’esecuzione del programma che prevede il concordato.
   Una specifica autorizzazione ministeriale è richiesta se la proposta di concordato prevede diverse classi di creditori per valutare la correttezza dei criteri di formazione di esse, mentre non è previsto il parere del comitato di sorveglianza sulla suddivisione dei creditori in classi.
   Non è prevista la delibera assembleare sulla proposta ex art. 152 legge fallim. perché la proposta di concordato non viene presentata dall’imprenditore collettivo, ma dal commissario straordinario. L’unico potere riconosciuto dall’art. 4-bis all’imprenditore insolvente è quello di formulare osservazioni scritte sull’elenco dei creditori.
   Trattasi, pertanto, di un concordato coattivo o d’ufficio, non proposto dall’imprenditore, come tutti gli altri tipi di concordato, ma predisposto e imposto dal commissario straordinario.
   Tra le tante innovazioni contenute nell’art. 4-bis la più importante è la divisione in classi dei creditori.
   Il concordato può prevedere la suddivisione dei creditori in classi, trattamenti differenziati tra le varie classi e «la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei creditori attraverso qualsiasi forma tecnica in termini di scadenza, tasso di interesse e presenza di eventuali garanzie reali e personali; in particolare, la proposta di concordato può prevedere l’attribuzione ai creditori, o ad alcune categorie di essi, di azioni o quote, ovvero obbligazioni, anche convertibili in azioni o altri strumenti finanziari o titoli di debito».
   Per l’approvazione del concordato è richiesto il voto favorevole della maggioranza dei crediti ammessi e se sono previste diverse classi di creditori il voto favorevole della maggioranza dei creditori ammessi alla classe che rappresenti la maggioranza dei crediti ammessi alla classe stessa.
   In sede di omologazione, ove siano previste diverse classi di creditori il tribunale può ritenere priva di effetto la mancata approvazione del concordato da parte di una o più classi di creditori qualora la maggioranza delle classi abbia approvato la proposta di concordato e i creditori appartenenti alle classi dissenzienti possano risultare soddisfatti dal concordato in misura non inferiore rispetto «alle altre alternative concretamente praticabili».
   Se meritano approvazione la divisione dei creditori in classi e la partecipazione al voto dei creditori con cause di prelazione, introdotte per la prima volta nel nostro ordinamento concorsuale, suscita fortissime perplessità la disciplina delle classi sia per le modalità di soddisfacimento dei creditori sia per la rilevanza del voto contrario in sede di omologazione.
   La previsione di trattamenti differenziati tra classi diverse e la ristrutturazione dei debiti nei modi sopra indicati sembrano costituire forme di espropriazione dei crediti di alcune categorie di creditori a beneficio di altre categorie ritenute più deboli o danneggiate dall’insolvenza.
   Così, in base a tale disciplina il commissario può prevedere di attribuire ai creditori chirografari appartenenti ad una classe disagiata una percentuale elevata ed a quelli di una classe agiata una percentuale bassa.
   Il commissario può, inoltre, prevedere nel concordato la ristrutturazione dei debiti cambiando scadenze ed interessi, concedendo garanzie e attribuendo ad alcune categorie di creditori quote, azioni o obbligazioni.
   Infine, il trattamento riservato ai creditori dissenzienti è formulato in modo equivoco poiché non sono indicate le «altre alternative concretamente praticabili» e la concreta praticabilità di tali alternative è rimessa alla valutazione discrezionale del tribunale.
Le prospettive sono inquietanti e desolanti.
   In sostanza, chi decide la sorte dei creditori è il commissario che con la divisione di essi in classi, il trattamento differenziato e la ristrutturazione dei debiti può far conseguire ad alcune categorie di creditori anche l’intero credito e ad altre solo una modesta percentuale e per di più in azioni o quote.
   Pur trattandosi di diritti soggettivi il tribunale non può svolgere alcun accertamento sui criteri usati dal commissario per la formazione delle classi: tale accertamento compete al Ministro.
   La divisione dei creditori in classi è prevista anche nel testo della minoranza della Commissione ministeriale per la riforma delle procedure concorsuali, ma opportunamente per l’approvazione del piano di composizione della crisi si richiede la maggioranza qualificata per numero di creditori e ammontare dei crediti di ciascuna classe e si prevede che il tribunale omologhi il concordato se risulta il voto favorevole della maggioranza qualificata sia delle classi sia dell’ammontare complessivo dei crediti e se venga assicurato alle classi dissenzienti un trattamento non deteriore rispetto a quello conseguibile in caso di procedura di liquidazione concorsuale.
   Essendo fortemente probabile che nel piano di ristrutturazione della Parmalat sarà previsto il nuovo tipo di concordato, non è difficile prevedere che la creazione e la disciplina delle classi di creditori operate dal commissario susciteranno forti opposizioni e solleveranno questioni di costituzionalità per violazione della par condicio creditorum e per contrasto con gli artt. 3, 42 e 47 Cost. poiché quasi certamente le classi più colpite saranno quelle che comprendono le banche e i creditori finanziari e le classi più favorite saranno quelle dei dipendenti, dei fornitori e degli obbligazionisti.
   Dalla attenta lettura dell’art. 4-bis emerge il dato di fondo desolante che la nuova procedura non ha per finalità il risanamento economico e finanziario dell’impresa mediante l’esecuzione del programma di ristrutturazione, ma la chiusura immediata di essa mediante il concordato.
Così che il piano di ristrutturazione appare strumentale poiché è certo che non sarà realizzato dal commissario e viene redatto solo per consentire al commissario stesso di prevedere il concordato.
   La procedura si apre e si chiude celermente e scopo di essa è quella di cessare con un concordato.
   Pertanto, l’eventuale risanamento, sbandierato come scopo della nuova procedura, in realtà è secondario e strumentale tanto che di esso non esiste traccia alcuna nell’art. 4-bis neppure ai fini della autorizzazione ministeriale.
   In sostanza, il cuore della legge n. 39/2004 sembra essere non la ristrutturazione economica e finanziaria dell’impresa, ma la sistemazione immediata dell’insolvenza mediante un concordato non proposto dall’imprenditore ma predisposto dal commissario.
   I poteri conferiti dall’art. 4-bis al commissario sono eccezionali e assoluti poiché, pur incidendo sui diritti soggettivi dei creditori, non sono sottoposti ad alcun controllo del tribunale.
   È già gravemente illegittimo che il concordato sia previsto e proposto dal commissario nell’ambito del programma di ristrutturazione, anziché proposto dall’imprenditore con apposita domanda al tribunale.
   Probabilmente il legislatore frettoloso e superficiale ha ritenuto che la formulazione dell’art. 56, comma 3 d. lgs. n. 270 consentisse di prevedere il concordato nel programma poiché, nella parte finale, parla di «definizione mediante concordato».
   Tale ipotesi è avallata dall’art. 4-bis, comma 4 che prevede che il commissario deposita presso il giudice delegato «istanza di definizione della procedura di amministrazione straordinaria tramite concordato», usando la stessa espressione dell’art. 56 d. lgs. n. 270.
   Ma il nuovo legislatore non si è reso conto che la «definizione mediante concordato» di cui all’art. 56 è riferita ai “piani”, concordati tra l’imprenditore e i suoi creditori, che possono essere o di proroga delle scadenze dei debiti o di riduzione dell’importo ma con pagamento alla scadenza originaria.
   Che la procedura, passata in giudicato la sentenza che approva il concordato, si chiuda risulta espressamente dall’art. 4-bis, comma 11 e dall’art. 74 d. lgs. n. 270, senza necessità di alcuna apposita istanza di definizione, quale quella prevista dall’art. 4-bis, comma 4.
   Peraltro, la previsione che l’istanza di definizione sia presentata al giudice delegato è errata poiché la “definizione” o meglio la chiusura della procedura per concordato deve essere dichiarata dal tribunale con decreto motivato ex art. 76 d. lgs. n. 270 e non può essere disposta dal giudice delegato.
   È da ritenersi che il concordato in esame non possa prevedere la cessione delle azioni revocatorie promosse dal commissario poiché tale cessione è prevista per il concordato fallimentare dall’art. 124 legge fallim. che essendo norma eccezionale non è applicabile per analogia al concordato disciplinato dall’art. 4 bis legge n. 39/2004.
   Peraltro, sia l’art. 78 d. lgs. n. 270 sia l’art. 215 legge fallim. che disciplinano il concordato liquidatorio ed il concordato straordinario non prevedono la cessione delle azioni revocatorie.

8. Azioni revocatorie

   L’art. 6 legge n. 39/2004 prevede che il commissario straordinario può proporre le azioni revocatorie previste dall’art. 49 d. lgs. n. 270/99 anche dopo l’autorizzazione alla esecuzione del programma di ristrutturazione «purché funzionali, nell’interesse dei creditori, al raggiungimento degli obiettivi del programma stesso».
   La disposizione suscita forti perplessità ed è inutile sul piano pratico ed errata sul piano sistematico.
   Dal punto di vista pratico, le azioni revocatorie non sarebbero “funzionali” e utili al programma di ristrutturazione poiché anche se promosse tempestivamente verrebbero decise dal tribunale non prima di tre anni circa, e cioè dopo la cessazione del programma di ristrutturazione che ha la durata di due anni.
   Inoltre, anche se le azioni revocatorie venissero decise e accolte dal tribunale prima della cessazione del programma di ristrutturazione il commissario non potrebbe utilizzare i pagamenti o i beni revocati dovendo attendere che la sentenza di revoca diventi definitiva e occorrendo almeno sette anni dall’inizio della causa per la decisione in Cassazione.
   Dal punto di vista sistematico, le conseguenze sono ancora più gravi.
   Le azioni revocatorie, infatti, sono previste dalla legge fallimentare e dal d. lgs. n. 270 solo nelle procedure liquidatorie e satisfattive, quali il fallimento, la liquidazione coatta amministrativa e l’amministrazione straordinaria con programma di cessione dei complessi aziendali, ma non anche nelle procedure conservative o di risanamento, quali l’amministrazione controllata, il concordato preventivo e l’amministrazione straordinaria con programma di ristrutturazione.
   Inoltre, le azioni revocatorie per il codice civile sono mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale e possono essere promosse dai creditori per rendere inefficaci nei loro confronti gli atti di disposizione compiuti dal debitore e aggredire i beni revocati con l’esecuzione nei limiti del danno sofferto dai creditori stessi.
   Viceversa, le azioni revocatorie previste dall’art. 6 verrebbero esercitate per agevolare il risanamento economico e finanziario dell’impresa ed il risultato utile di esse non andrebbe a beneficio della massa dei creditori, ma a favore dell’imprenditore sottoposto alla procedura, che ha posto in essere gli atti da revocare.
   Va rilevato che l’amministrazione straordinaria con programma di ristrutturazione non ha finalità liquidatoria o satisfattiva, ma mira al ritorno in bonis dell’impresa risanata, così che i creditori vengono soddisfatti solo dopo la chiusura della procedura, anche se avviene per concordato, come risulta chiaramente dagli artt. 68 e 74 d. lgs. n. 270/99 che prevedono rispettivamente la corresponsione ai creditori solo di acconti e la chiusura senza ripartizione di attivo.
   È per tali motivi che l’art. 49 del d. lgs. n. 270 dispone l’improponibilità delle azioni revocatorie se viene attuato il programma di ristrutturazione.
   Infine, l’art. 6 solleva fondati dubbi di incostituzionalità per violazione dell’art. 3 Cost. poiché si verificherebbe disparità di trattamento tra le grandi imprese insolventi sottoposte all’amministrazione straordinaria con programma di ristrutturazione in base al d. lgs. n. 270, che non possono promuovere le azioni revocatorie, e quelle ammesse alla medesima procedura con analogo programma in virtù della legge n. 39/2004, che possono proporre tali azioni.
   L’improponibilità delle azioni revocatorie non viene meno per l’inciso «nell’interesse dei creditori» inserito furbescamente in sede di conversione poiché in presenza di un piano di risanamento anche se la procedura si chiude con concordato il risultato utile delle azioni revocatorie va sempre a beneficio dell’imprenditore e non viene ripartito tra i creditori.
   Sul piano operativo le azioni revocatorie sono proponibili solo dopo l’autorizzazione ministeriale alla esecuzione del programma sia per la formulazione letterale dell’art. 6 che ricalca quella dell’art. 49, comma 1 d. lgs. n. 270, sia perché la funzionalità di tali azioni rispetto al programma potrà essere valutata solo dopo che il programma stesso è stato autorizzato.

9. Aiuti di Stato

   È noto che la A.S. disciplinata dalla legge n. 95/79 è stata dichiarata illegittima e incompatibile con il mercato comune, perché prevede aiuti di Stato che falsano la concorrenza, dalla Corte di giustizia CE con sentenza del 17/6/1999 e dalla Commissione CE con decisione 16/5/2000.
   Il d. lgs. n. 270, che dettò la nuova disciplina della A.S., eliminò tutte le norme che prevedevano aiuti di Stato ma con l’art. 106 dispose la ultrattività della legge n. 95/79 per le vecchie A.S. ancora in corso.
   La Corte di giustizia CE con ordinanza del 24/7/2003 ha dichiarato illegittimo e incompatibile con il mercato comune anche il citato art. 106.
   Occorre chiedersi se la legge n. 39/2004 preveda o meno aiuti di Stato.
   Il problema si pone per la continuazione dell’esercizio dell’impresa e per le azioni revocatorie.
   Quanto al primo problema, va rilevato che la continuazione dell’esercizio dell’impresa viene autorizzata dal Ministro automaticamente, senza accertare la recuperabilità dell’equilibrio economico, e produce debiti di massa che costituiscono un onere supplementare per lo Stato e gli enti pubblici, che sono sempre creditori della grande impresa insolvente, poiché le somme destinate in prededuzione a pagare i debiti di massa riducono proporzionalmente il soddisfacimento dei crediti dello Stato o degli enti pubblici.
   Poiché l’apertura della procedura e la continuazione dell’esercizio dell’impresa disciplinate dalla legge n. 39/2004 avvengono con le stesse modalità previste dalla legge n. 95/79, con l’aggravante anzi che la sentenza di insolvenza non precede ma segue il decreto ministeriale, è probabile che le censure mosse dagli organi comunitari alla legge n. 95/79 vengano reiterate anche contro la nuova legge.
   Anche le azioni revocatorie sembrano configurare aiuti di Stato.
   Infatti, il risultato utile di esse non viene distribuito ai creditori, tra cui rientrano lo Stato e gli enti pubblici creditori dell’impresa, ma va ad esclusivo beneficio dell’imprenditore che con le somme acquisite mediante le azioni revocatorie finanzia il risanamento della propria azienda e paga i debiti di massa sorti per la continuazione dell’esercizio dell’impresa.
   Pertanto, lo scopo istituzionale delle azioni revocatorie, che è quello di reintegrare la garanzia patrimoniale a beneficio dei creditori, viene distorto a favore dell’imprenditore che ha posto in essere gli atti revocati.

10. Rapporti con le altre procedure concorsuali

   La legge n. 39/2004 pone, infine, il problema dei rapporti della nuova A.S. con le altre procedure concorsuali.
   Il fallimento e la nuova A.S. sono procedure intercomunicanti come si ricava anche dall’art. 4, comma 4 legge n. 39/2004 che prevede un caso di conversione, mentre per le altre ipotesi trovano applicazione le disposizioni del d. lgs. n. 270.
   Quanto alle procedure minori si pone il problema della conversione di esse in A.S. nelle ipotesi in cui si dovrebbe fare luogo alla dichiarazione di fallimento.
Il problema è risolto dall’art. 3 d. lgs. n. 270 che dispone in tali ipotesi l’emissione della sentenza di insolvenza.
   Tale soluzione non è applicabile alle grandi imprese insolventi previste dalla legge n. 39/2004 poiché il primo atto del procedimento di apertura non è più costituito dalla sentenza di insolvenza ma dal decreto ministeriale che dispone la procedura di A.S. e nomina il commissario straordinario.
Pertanto, nelle ipotesi in esame ritengo che l’imprenditore debba presentare al Ministro l’istanza di cui agli artt. 1 e 2 legge n. 39/2004.
   Ritengo, inoltre, che nelle ipotesi di concordato preventivo con cessione dei beni e di concordato proposto da impresa in liquidazione non possa attuarsi la procedura prevista dalla legge n. 39/2004, poiché la ristrutturazione è impossibile, e si debba disporre la A.S. con programma di cessione dei complessi aziendali di cui al d. lgs. n. 270 nella prima ipotesi e dichiarare il fallimento nella seconda ipotesi.
   Quanto alla liquidazione coatta amministrativa delle grandi imprese insolventi, poiché in virtù dell’art. 1, legge n. 39/2004 sono ammesse alla A.S. le imprese soggette alle disposizioni sul fallimento e poiché quelle assoggettabili alla liquidazione coatta amministrativa con esclusione del fallimento sono sottratte al fallimento ne consegue che tali ultime imprese in caso di insolvenza non sono soggette all’amministrazione straordinaria .
   Per le grandi imprese soggette sia alla A.S. sia alla liquidazione coatta amministrativa non si applica il criterio della prevenzione, ma prevale la A.S. che tende ad risanamento economico e finanziario dell’impresa.

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