|
||
|
||
III.7/8 – luglio/agosto 2004 |
GIURISPRUDENZA
I lettori possono intervenire sulla questione,
inviando le loro opinioni alla Redazione
TRIBUNALE ROMA, 6 luglio 2004 – Giud. des. Vannucci – Ditta Federici & Igliori c. Igliori
La clausola statutaria che in una società per azioni prevede – per la partecipazione dei soci in assemblea – il deposito delle azioni “nei termini e con le modalità previste dalla legge”, è inapplicabile dopo il 1° gennaio 2004, non essendo più richiesto tale adempimento dalla riforma societaria.(Omissis)
1) Il 17 maggio 2004 le azioni della Ditta Federici & Igliori per Costruzioni Edilizie S.p.A. (di seguito denominata “Ditta”) appartenevano: alla Renovatio S.r.l., alla Barna S.r.l., alla C.I.L. S.p.A., in amministrazione straordinaria: a Liliana Federici; agli eredi di Natalina Federici in Tasca.
I nomi di tali soggetti sono scritti sul libro dei soci della società.
Su tali azioni non sussistono limitazioni all’esercizio del diritto di voto nelle assemblee ordinarie (essendo le azioni rispettivamente appartenenti a C.I.L. S.p.A. ed a Renovatio S.r.l. sottoposte a pegno in favore della Banca di Roma con esercizio del diritto di voto del creditore pignoratizio solo per le assemblee straordinarie).
Per il giorno 17 maggio 2004, in Roma, Via Flaminia, n. 322 (luogo diverso dalla sede della società), è stata convocata, in seconda convocazione, assemblea ordinaria di Ditta con all’ordine del giorno, per quanto qui interessa, “revoca e sostituzione degli amministratori e dei sindaci”.
Presidente del consiglio di amministrazione della società, come tale legittimato di regola per statuto (art. 13, primo comma) a presiedere l’assemblea, era Ulisse Igliori.
Il giorno 17 maggio 2004 l’organo amministrativo collegiale (composto da otto persone) era decaduto, in base alla clausola simul stabunt simul cadent contenuta nell’art. 15, terzo comma, dello statuto, essendo venuta meno la maggioranza dei relativi componenti.
All’ora fissata per l’adunanza si sono presentati in Via Flaminia, n. 322 (studio del dott. Parasassi) rappresentanti dei soci Barna S.r.l., C.I.L. S.p.A., in amministrazione straordinaria, Liliana Federici ed eredi di Natalina Federici in Tasca. Non era invece presente alcuno in rappresentanza del socio Renovatio S.r.l..
Le azioni di cui erano proprietari i soci presenti in quella occasione erano state depositate presso lo studio del dott. Parasassi in Roma, Via Flaminia, n. 322 nei cinque giorni precedenti il 7 maggio 2004 (giorno della assemblea in prima convocazione).
Ulisse Igliori, assumendo la carica di presidente dell’adunanza, ha constatato che le azioni erano state depositate dai soci presenti in luogo diverso dalla sede sociale e, per tale motivo, ha dichiarato non costituita l’assemblea: allontanandosi quindi dai locali di Via Flaminia.
A quel punto, poco dopo tale evento, i soci presenti, ritenendo tale comportamento illegittimo, hanno deciso di nominare presidente dell’assemblea il rappresentante in assemblea degli eredi Tasca e, dopo la costituzione della stessa da parte di tale presidente, di proseguire la adunanza presso la sede della società in Roma, Via San Daniele del Friuli, n. 12 (data l’indisponibilità del dott. Parasassi a consentire l’ulteriore occupazione dei locali del proprio studio, anche in considerazione dell’ora tarda): in quel luogo l’assemblea ha, per quanto qui interessa, nominati componenti il consiglio di amministrazione i Signori Domenico Spagnolo (presidente), Marco Lacchini, Ilaria Pascucci, Eileen Tasca, Francesco Rago e Roberto Beccali.
Gli amministratori nominati con la delibera della cui legittimità Ulisse Igliori dubita hanno provveduto o far iscrivere nel registro dette imprese l’accettazione della nomina (art. 2383, quarto comma, cod. civ.).
La delibera in questione è stata impugnata dal socio assente Renovatio S.r.l. e la relativa esecuzione non è stata fino ad oggi sospesa (art. 2378, quarto comma, cod. civ.).
2) Ulisse Igliori, per contrastare la sussistenza del vantato diritto della società ad ottenere da lui la consegna di libri e documenti sociali (la cui tutela urgente Ditta invoca mediante emissione di provvedimento ex art. 700 cod. proc. civ.), evidenzia che la deliberazione di nomina dei nuovi amministratori è stata assunta col voto esclusivo di oggetti non legittimati all’intervento in assemblea per non avere costoro depositato presso la sede sociale le azioni di cui erano rispettivamente titolari entro il termine di cui all’art. 4, secondo comma, legge n. 1745 del 1962: e sarebbe, per tale motivo, giuridicamente inesistente ovvero nulla.
Fino al 31 dicembre 2003 la disciplina legale relativa al diritto all’intervento in assemblea di società per azioni da parte dei relativi azionisti si connotava per l’esistenza di norma imperativa desumibile dal contenuto dell’art. 2370 cod. civ. e dell’art. 4, secondo comma, della legge n. 1745 del 1962.
Secondo consolidata opinione dottrinale e giurisprudenziale, l’art. 4, secondo comma, della citata legge n. 1745 costituiva parziale modificazione della disposizione contenuta nell’art. 2370 cod. civ. in tema di legittimazione all’intervento in assemblea di società per azioni.
La norma risultante dalla integrazione determinata dalla citata legge del 1962, secondo cui gli azionisti, ancorché già iscritti nel libro dei soci, non potevano intervenire in assemblea se non avessero depositato le azioni di cui erano titolari entro il termine di cinque giorni presso i luoghi dalla stessa norma indicati, aveva, come detto, natura imperativa (non derogabile quindi dall’autonomia statutaria), in quanto posta a tutela di interesse pubblico per il soddisfacimento di interesse di carattere generale, ed era quindi applicabile anche nell’ipotesi di assemblea totalitaria: con la conseguenza che la partecipazione in assemblea di colui che, ancorché iscritto nel libro dei soci, non avesse provveduto al tempestivo deposito delle azioni a suo nome emesse comportava l’invalidità assoluta - ovvero l’inesistenza (nel caso di partecipazione all’adunanza e conseguente esercizio del voto solo dai soci che non avessero depositato le azioni nel termine di cui al citato art. 4 per averle date in pegno a terzi) – della deliberazione assembleare assunta per illegittima costituzione dell’assemblea (cfr., fra le molte, Cass. 8 ottobre 1979, n. 5197; App. Venezia, 22 giugno 1995; App. Roma, 14 marzo 1988; Trib. Milano, 21 settembre 1989; Trib. Milano, 8 febbraio 1988).
Il 1° gennaio 2004 è entrato in vigore il D.lgs. n. 6 del 2003, in materia di riforma della disciplina legale delle società di capitali e cooperative.
L’art. 2370, primo e secondo comma, cod. civ. ha con ogni evidenza espunto, in funzione dell’intervento in assemblea degli azionisti, l’obbligazione di origine legale, ed inderogabile dall’autonomia privata, di deposito delle azioni presso la sede legale della società ovvero presso le aziende di credito indicate nell’avviso di convocazione; limitandosi ad assegnare tale diritto agli azionisti cui spetta il diritto di voto (primo comma) secondo le disposizioni sul punto recate, in senso positivo ovvero negativo, di volta in volta dalla legge ovvero dallo statuto (ad esempio: art. 2351 cod. civ.; art. 2352, primo comma, cod. civ.; ari- 2353 cod. civ.; art- 2357-ter, secondo comma, cod. civ.) , con facoltà per lo statuto di richiedere il preventivo deposito delle azioni presso la sede sociale ovvero presso banche entro un termine anteriore alla data fissata per l’assemblea che solo per le società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio non può essere superiore a due giorni (secondo comma).
Il presidente dell’assemblea, nell’esercizio dei poteri di controllo ad esso assegnati dall’art. 2371 cod. civ., deve quindi solo controllare che gli intervenuti in assemblea siano soggetti titolari al diritto di voto; non prevedendo il precedente art. 2370 cod. civ. alcun precetto ex se (indipendentemente, quindi, dalle disposizioni di origine legale ovvero statuaria attributive di diritto di voto) inderogabile quanto alle condizioni legittimanti intervento e voto in assemblea.
Igliori evidenzia però che secondo l’art. 12 dello statuto di Ditta «per l’ammissione all’assemblea dei soci, il preventivo deposito delle azioni deve eseguirsi nei termini e con le modalità previste dalla legge»: il che determinerebbe, quanto meno fino al 30 settembre 2004, la necessità della formalità in discorso, conservando transitoriamente tale clausola la propria efficacia fino all’adeguamento dello statuto della società “alle nuove disposizioni inderogabili” recate dal decreto n. 6 (art. 223 – bis, primo e quinto comma, att. cod. civ.).
La clausola esprime un generico rinvio recettizio alla disciplina legale, contenuta in norme inderogabili, relativa all’intervento in assemblea in vigore fino al 31 dicembre 2003; con la conseguenza che, secondo quanto evidenziato dall’autorevole dottrina richiamata dalla ricorrente (pagine 9-11 della memoria depositata il 30 giugno 2004), il rinvio dalla stessa recato non può che riferirsi alla legge vigente al tempo vigente in cui la clausola deve trovare applicazione, dal momento che quest’ultima non derogava a norma di legge dispositiva, ma richiamava solo il contenuto di norma di legge imperativa in vigore al tempo del relativo inserimento.
Venuta meno la disciplina legale inderogabile perde quindi immediatamente efficacia la clausola che la stessa richiamava; che non può continuare ad applicarsi, ai sensi dell’ art. 223-bis, primo e quinto comma. disp. att. cod. civ., dal momento che l’unica norma imperativa sul punto recata dall’art. 2370 cod. civ. in vigore dal 1° gennaio 2004 è quella che attribuisce il diritto di intervento agli azionisti che hanno diritto al voto (per legge ovvero per statuto).
Premesso quindi che Igliori, quale presidente di assemblea ai sensi di statuto, non aveva nessun potere di impedire ai soci intervenuti, pacificamente titolari di diritto di voto, di intervenire in assemblea, in maniera legittima costoro, a fronte del rifiuto del primo a considerare costituita l’assemblea (e nella considerazione di comportamenti pregressi posti in essere dallo stesso Igliori), hanno designato altro presidente dell’assemblea, sì da consentire l’espressione del voto secondo la delibera la cui legittimità è oggi (vanamente) contestata.
Sotto altro e concorrente profilo è da evidenziare che la deliberazione assunta con la partecipazione esclusiva ed il voto di soggetti non titolari al diritto di voto era stata in passato qualificata dalla giurisprudenza di legittimità, in ciò contrastata da autorevole e maggioritaria dottrina, come giuridicamente inesistente (cfr. Cass. 18 novembre 1961, n. 2698; Cass. 8 ottobre 1979, n. 5197; Cass. 10 marzo 1999, n. 2053).
Alla luce del precetto contenuto nell’art. 2377, quarto comma, n. 1), cod. civ., è del tutto evidente che il vizio specifico di cui si discute rientra, oggi, nella fattispecie generale di annullabilità prevista dall’art. 2377, primo e secondo comma, cod. civ.; con conseguente non sussistenza di riscontro normativo attuale alla categoria dell’inesistenza di elaborazione giurisprudenziale nella specifica materia (incidentalmente, è appena il caso di osservare che i vizi consistenti nella mancata convocazione dell’assemblea e nella mancanza del verbale dell’assemblea, da tempo qualificati dalla giurisprudenza di legittimità come danti luogo ad inesistenza della deliberazione, sono ora qualificati dalla legge come causa di nullità relativa sanabile della deliberazione assembleare dagli artt. 2379, 2379-bis e 2379-ter cod. civ.; con la conseguenza che nel mutato quadro normativo non sembrano darsi ipotesi di giuridica inesistenza).
In questo contesto normativo, pertanto, il giudice non investito dell’azione di annullamento della deliberazione asseritamente assunta col voto esclusivo di soggetti non legittimati all’intervento in assemblea e, quindi, all’esercizio del voto (nel caso concreto, oltretutto, non prospettabile) non ha nessun potere di accertamento incidentale in ordine alla validità della deliberazione stessa, dovendo solo accertare che la stessa esista; posto che tale decisione può essere annullata, e prima ancora sospesa nei relativi effetti esecutivi nell’ambito del giudizio di impugnazione (art. 2378, quarto comma, cod. civ.), solo in presenza dei presupposti richiesti dall’art. 2377 cod. civ.
Ulisse Igliori non ha quindi attualmente titolo per opporsi all’esecuzione della deliberazione dallo stesso contrastata dal momento che il giudice dell’impugnazione proposta dalla Renovatio S.r.l. non ha ancora adottato il provvedimento di natura cautelare previsto dal più volte citato art. 2378, quarto comma, cod. civ. In conseguenza della nomina dei nuovi amministratori egli è quindi obbligato, per effetto della cessazione del rapporto gestorio a suo tempo allo stesso affidato dall’assemblea quale presidente del consiglio di amministrazione della società (artt. 2392, primo comma, 1375, 1713, primo comma, cod. civ.), a restituire alla società tutti i documenti, a questa appartenenti e ad essa necessari per lo svolgimento della propria attività, di cui abbia il possesso in esecuzione dell’incarico non più sussistente.
Il pregiudizio relativo al diritto alla restituzione è da un lato imminente, in quanto solo dal contenuto dei libri e dei documenti contabili i nuovi amministratori sono in grado di presentare la dichiarazione dei redditi della società e di pagare l’imposta sul reddito (il termine di presentazione della denuncia dei redditi e di pagamento dell’imposta sui redditi è scaduto il 21 giugno 2004; il termine di pagamento dell’ICI è scaduto il 30 giugno 2004), e dall’altro si connota in termini di irreparabilità, posto che dalla lesione dello stesso deriva lo stallo sostanziale dell’attività sociale e di impresa, con conseguenti ulteriori pregiudizi il cui ristoro è oggi difficilmente determinabile per equivalente pecuniario.
Sussistono quindi i presupposti richiesti dall’art. 700 cod. proc. civ. per la concessione dell’invocato provvedimento d’urgenza. (Omissis)