1. Introduzione
La riforma dei reati societari, attuata con il D. Lgs. n. 61 del 2002, nonché le prospettive che il disegno di legge, recante “Interventi per la tutela del risparmio”, sembra destinato ad aprire in tema di diritto penale dell’impresa, offrono lo spunto per formulare qualche riflessione con riferimento alle complesse problematiche, di natura generale, connesse con la necessità di individuare con esattezza, sotto il profilo temporale, l’ambito di efficacia delle norme penali.
Appare opportuno, in primo luogo, sottolineare come il predetto disegno di legge si muova, per così dire, in controtendenza rispetto alle scelte normative, operate dal Legislatore in sede di riforma della disciplina degli illeciti penali ed amministrativi, riguardanti le società commerciali.
Il sistema delineato dalla novella del 2002 appare infatti caratterizzato, rispetto a quello previgente, da una riformulazione delle più importanti norme incriminatrici, nell’ottica di una maggiore coerenza con i principi di colpevolezza, di tassatività e di necessaria offensività dell’illecito penale, nonché da una riduzione, sotto il profilo quantitativo, delle ipotesi delittuose, a favore di quelle contravvenzionali.
Da una prima lettura del disegno di legge per la tutela del risparmio, attualmente all’esame della Commissione Parlamentare, emerge invece un sistema sostanzialmente basato su ipotesi aggravate di fattispecie già disciplinate dall’ordinamento, laddove l’evento dannoso risulta posto a carico del soggetto agente a mero titolo di responsabilità oggettiva.
La possibilità che due interventi legislativi di segno opposto vadano ad incidere, nell’arco di un periodo relativamente breve, sullo statuto penalistico delle società commerciali, rende quanto mai attuale il problema, rappresentato dalla natura del rapporto, sussistente tra la vecchia e la nuova disciplina, questione che si presenta strettamente connessa con quella, più generale, dell’individuazione dell’ambito di validità temporale delle norme penali.2. La successione di leggi in materia di reati societari: continuità normativa o abolitio criminis?
Non risultando possibile, in questa sede, analizzare la vicenda legislativa concernente il diritto penale societario con riferimento alle singole fattispecie, ci si deve interrogare, su un piano generale, circa la possibilità di ritenere sussistente, in relazione alla materia de qua, una situazione di continuità, oppure di discontinuità normativa, tra la disciplina previgente, la novella del 2002 ed il disegno di legge per la tutela del risparmio: ci si deve domandare, in altre parole, se il susseguirsi di tali interventi legislativi determini una abrogazione (e, contestualmente, una nuova incriminazione) delle fattispecie precedentemente previste, ovvero integri semplicemente un fenomeno di successione di leggi penali nel tempo.
È agevole comprendere, a questo punto, come la questione rivesta una notevole importanza pratica, giacché optare per l’una o per l’altra soluzione significa inquadrare la materia degli illeciti, riguardanti le società commerciali, nell’ambito di applicabilità del secondo oppure del terzo comma dell’art. 2 cod. pen..
Nell’ipotesi di abrogazione di una disposizione incriminatrice, accompagnata dall’introduzione di una nuova norma, eterogenea rispetto a quella sostituita, si è infatti in presenza di un fenomeno di abolitio criminis retroattiva, e nuova incriminazione irretroattiva (art. 2, secondo comma, cod. pen.); qualora invece la nuova norma risulti, in relazione al medesimo fatto di reato, speciale rispetto a quella sostituita, troverà applicazione quella più favorevole per il reo (art. 2, terzo comma, cod. pen.).
Per impostare correttamente il problema è necessario, pertanto, prendere le mosse dall’individuazione degli elementi, ai quali attribuire rilievo parametrico ai fini della distinzione tra abrogazione e successione di leggi: si deve, a tal proposito, segnalare la presenza di un contrasto giurisprudenziale, sorto proprio con riferimento alla successione di leggi in materia di reati societari, e risolto dalle Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione con la sentenza n. 25887 del 26 marzo 2003.
Gli opposti orientamenti, che risultavano di volta in volta emergere dalle pronunzie del Supremo Collegio, muovevano da due differenti approcci, di tipo strutturale l’uno, di tipo valutativo l’altro.
Secondo il primo indirizzo la scelta, a favore della continuità o della discontinuità normativa, deve basarsi sull’analisi strutturale delle fattispecie, astrattamente considerate .
Per stabilire se la vicenda legislativa, riguardante un determinato tipo di illecito, integri un’ipotesi di abolitio criminis, oppure costituisca un fenomeno di successione di leggi nel tempo, occorrerebbe in altri termini accertare se gli elementi, che concorrono a definire la tipicità delle fattispecie in esame, presentino o meno, secondo le regole che disciplinano il concorso apparente di norme, una natura omogenea: nel primo caso si tratterebbe infatti di successione di norme, mentre, nell’ipotesi in cui i predetti elementi dovessero risultare eterogenei, sarebbe riscontrabile una vicenda di tipo abrogativo.
Caratteristiche ben diverse presentano i criteri giuridici, richiamati in altre decisioni della Corte nel tentativo di tracciare una linea di demarcazione tra l’area dell’abolitio criminis, e quella della successione di norme penali: paradigmatica si rivela, a tal proposito, la c.d. sentenza Tosetti , concernente gli effetti della sostituzione dell’art. 223, secondo comma, l. fall., che prevede il delitto di bancarotta fraudolenta impropria.
La pronunzia de qua attribuisce infatti un rilievo preminente, rispetto all’analisi formale dei rapporti strutturali tra le fattispecie astratte, all’accertamento della presenza di una situazione di continuità tra le tipologie di illecito, continuità da intendersi come omogeneità del significato lesivo ascrivibile al fatto di reato. Secondo la decisione in esame si renderebbe pertanto necessario il riferimento, ai fini della elaborazione di un criterio distintivo tra abrogazione e successione, ai parametri di natura sostanziale, rappresentati dal bene giuridico, oggetto della tutela penalistica, e dalle modalità dell’offesa, laddove l’applicazione di tali criteri dovrebbe costituire una integrazione necessaria, rispetto alla comparazione strutturale tra le fattispecie astrattamente considerate.
Ora, nell’ipotesi di sostituzione di una norma penale con un’altra che si ponga, rispetto ad essa, in rapporto di specialità, rapporto riscontrabile anche sul piano formale, occorrerebbe tuttavia distinguere, in applicazione dei parametri sostanziali indicati, a seconda che si tratti di specialità per specificazione, oppure di specialità per aggiunta.
Nel primo caso troverebbe infatti applicazione, rispetto agli elementi comuni ad entrambe le figure criminose, la norma più favorevole ai sensi dell’art. 2, terzo comma, cod. pen., mentre la fattispecie generale residua risulterebbe abrogata.
Per quanto riguarda, invece, l’ipotesi di specialità per aggiunta, non sarebbe possibile riscontrare alcuna vicenda di tipo abrogativo, a meno che l’elemento aggiuntivo non abbia una portata tale, da attribuire alla nuova fattispecie un significato lesivo totalmente eterogeneo, rispetto a quello della fattispecie sostituita, nel qual caso ci si troverebbe in presenza di una abolitio totale della norma generale, e di una contestuale nuova incriminazione.
Sulla questione hanno preso posizione, come si è accennato, le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione: prendendo le mosse dalle vicende legislative, rispettivamente concernenti le false comunicazioni sociali di cui all’art. 2621 cod. civ., e la bancarotta fraudolenta impropria di cui all’art. 223, secondo comma, l. fall., con la sopra citata sentenza n. 25887/2003 la Suprema Corte ha infatti precisato che, ai fini della distinzione tra abolitio criminis e successione di leggi penali nel tempo, il criterio da seguire è costituito dalla comparazione strutturale tra le fattispecie astratte.
Tale criterio si basa, come ha specificato ulteriormente la Corte, sulla ricerca di un’area di coincidenza tra gli elementi oggettivi e soggettivi, individuati dalle leggi succedutesi nel tempo, a prescindere dalle valutazioni concernenti i beni, oggetto della tutela penalistica, e le modalità dell’offesa, parametri che si sarebbero dimostrati, alla prova dei fatti, inidonei a “condurre ad approdi interpretativi sicuri”.
Anche in dottrina si è sottolineato, del resto, come l’impiego di parametri di tipo valutativo si riveli, in ultima analisi, incompatibile con la funzione di garanzia, propria del principio di irretroattività sancito dall’art. 2, primo comma, cod. pen.: il criterio fondato sulla continuità del tipo di illecito sembrerebbe infatti basarsi, secondo l’orientamento prevalente, su apprezzamenti di valore opinabili, come quelli concernenti il bene giuridicamente protetto e le modalità di aggressione, e risulterebbe, pertanto, di incerta applicazione .
Secondo l’orientamento espresso dalle Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione, e condiviso, come si è appena detto, dalla prevalente dottrina, un fenomeno di successione di leggi penali nel tempo sarà, pertanto, ravvisabile ogni qualvolta sussista, tra le fattispecie astrattamente considerate, una relazione strutturale di genere a specie, sia nel caso in cui la norma posteriore abbia un oggetto più specifico rispetto alla precedente, sia nell’ipotesi in cui, al contrario, ne ampli il contenuto: ove tale rapporto di continenza non possa ritenersi esistente si potrà, invece, parlare di abolitio criminis e nuova incriminazione.3. In particolare: il problema del rapporto tra il D. Lgs. n. 61 del 2002 ed il disegno di legge per la tutela del risparmio
È agevole comprendere, alla luce delle considerazioni svolte, come il criterio c.d. della continenza si riveli, ai fini della distinzione tra la vicenda dell’abrogazione e quella della successione di leggi, quello maggiormente rispettoso dei principi generali, dettati dall’art. 2 cod. pen. in materia di successione di leggi penali.
Per quanto riguarda la disciplina dei reati societari, occorre tuttavia far presente che l’applicazione del criterio de quo potrebbe risultare problematica, ove lo statuto penalistico delle società commerciali, quale risulta in seguito alla novella del 2002, venisse nuovamente modificato in seguito alla definitiva approvazione del disegno di legge per la tutela del risparmio.
Tale intervento configura infatti, come si è accennato, la fattispecie delittuosa del “nocumento al risparmio” come ipotesi aggravata, rispetto ad una serie di illeciti penali ed amministrativi precedentemente disciplinati, laddove l’evento dannoso, identificato con il “grave nocumento ai risparmiatori”, viene posto a carico dell’autore della condotta, penalmente rilevante ai sensi della previgente disciplina, a titolo di responsabilità oggettiva; il trattamento sanzionatorio previsto appare, inoltre, estremamente severo (reclusione da tre a dodici anni, e multa non inferiore ad Euro 500.000).
Ora, tra la figura criminosa introdotta dal disegno di legge in parola e le fattispecie precedentemente previste, che verrebbero ad essere aggravate dall’evento, costituito dal “grave nocumento ai risparmiatori”, sussiste certamente (è anzi presente, per così dire, in re ipsa) un rapporto di continenza.
È necessario, tuttavia, sottolineare come appaia lecito dubitare dell’esistenza di una situazione di continuità normativa, e quindi di un rapporto di specialità, tra la disciplina dei reati societari, quale emerge dalla novella del 2002, e quella del nocumento al risparmio.
A prescindere dalle considerazioni, concernenti la natura dell’interesse tutelato, che implicherebbero una presa di posizione a favore del criterio, ormai ritenuto scarsamente affidabile, costituito dalla continuità del tipo di illecito, si deve infatti rilevare come la natura radicalmente eterogenea del regime di responsabilità, rispettivamente previsto dal D. Lgs. n. 61/2002 e dal disegno di legge per la tutela del risparmio, renda estremamente difficoltoso l’inquadramento della nuova figura delittuosa in un rapporto di genere a specie, rispetto agli illeciti precedentemente disciplinati.