il diritto commerciale d’oggi
    III.6 – giugno 2004
GIURISPRUDENZA

I

TRIBUNALE ROMA,18 febbraio 2004 – Giud. Caliento – ENI s.p.a. c. Panorama s.p.a.
   La vendita sottocosto di prodotti costituisce atto di concorrenza sleale, quando per la non remuneratività del prezzo o per altre caratteristiche dell’offerta, si imponga ai concorrenti una reazione eccessivamente onerosa, senza che occorra un intento monopolistico del venditore sottocosto

 

II

TRIBUNALE TORINO, Torino 25 marzo 2004 – Giud. Contini – Associazione Artigiana Panificatori di Torino c. G.M.C. s.a.s.
   La vendita in un supermercato di un bene di largo consumo (come il pane) a prezzo irrisorio a chi acquisti altri prodotti nel medesimo supermercato è illecita, in quanto appare finalizzata all’accaparramento di nuova clientela a discapito di chi venda esclusivamente quel bene.

Commento di Orsola Milani

I

     Motivi della decisione. – Può considerarsi un dato pacificamente acquisito al processo, perché non contestato ed anzi ammesso dalla convenuta, oltre ad essere documentalmente provato, la vendita sotto costo da parte di Panorama nei propri ipermercati di Roma dei prodotti Agip Sint2000 ed Agip Sint Turbodiesel 2000 nei periodi 26-10/7.11.1998 e 22-2/7.3.1999.
    La convenuta afferma la legittimità del proprio operato sostenendo che si è trattato di vendite promozionali, effettuate per periodi limitati di tempo e ad prezzo leggermente inferiore quello di acquisto.
    La tesi così svolta non può essere condivisa. Il prezzo di vendita del prodotto (£.29.900) è inferiore di £.4.900 a quello di acquisto comprensivo di Iva (£.34.800) e tale differenza, nella sua obiettività, non può certamente ritenersi minima, specialmente se si valuta in relazione alla ripetizione della vendita del prodotto a distanza di pochi mesi, al numero di pezzi venduti (11.850) e alla massiccia pubblicità, sui giornali, con manifestini e con cartelloni stradali, dalla quale è stata accompagnata. D’altra parte, la nozione di vendita sottocosto acquisita come dato normativo non consente alcuna distinzione quantitativa ai fini della relativa individuazione. La relativa nozione, contrariamente a quanto sembra ritenere la convenuta con le perplessità manifestate in ordine all’effettiva applicazione da parte di AgipPetroli del proprio listino prezzi, si deve determinare in relazione al proprio e non all’altrui prezzo di acquisto, essendo tale conclusione conforme alla definizione di vendita sottocosto che offrono agli artt. 10 L. 80/80, 15 D. lgs. 114/98 (vendita ad un prezzo inferiore a quello di acquisto maggiorato di Iva) e 1 del D.P.R. 218/2001 e che è accolta dai precedenti di legittimità (Cass. 2743/83; 2910/83; 6316/83; 14844/01) e comunitari (Corte Giust. 24.11.1993 C. 267 e 268/91; 13.8.95 C. 63/94).
    La nozione di vendita sottocosto è accolta dal nostro legislatore in relazione all’esigenza di disciplinare le c.d. vendite straordinarie e cioè le vendite di liquidazione, le vendite di fine stagione e le vendite promozionali, queste ultime effettuate dall’esercente dettagliante per tutti o una parte dei prodotti merceologici e per periodi di tempo limitati. Le vendite straordinarie sono sottoposte a rigorose condizioni e limitazioni, la cui inosservanza determina un regime di sanzioni assai rigoroso.
    Nella fattispecie deve escludersi che il genere di vendita praticato dalla convenuta possa essere ricondotto ad alcuno di tali tipi di vendita straordinaria. Non è stato neppure dedotto che si sia trattato di vendite di liquidazione o di fine stagione e certamente, non trova obiettivo riscontro l’assunto della convenuta che si sia trattato di venditore promozionali, in quanto essa non ha dichiarato lo sconto o il ribasso praticato, esprimendolo in percentuale su prezzo di vendita normalmente praticato che avrebbe dovuto essere esposto al pubblico, ancor meno figura l’esplicita indicazione che si sia trattato di merci offerte in vendita sottocosto, così come prescritto dall’art. 10 ult. co. L. 80/80. L’inosservanza di tutte le indicazioni prescritte e l’inesistenza delle condizioni che normalmente presidiano le vendite promozionali ed una forma di pubblicità chiaramente rivolta non ad informare correttamente i clienti di una vendita promozionale, determinata da ragion contingenti, ma ad attirarli con preferenza assoluta rispetto a tutti i possibili concorrenti, escludono la riconducibilità della condotta della convenuta ad alcuna delle scriminanti normativamente previste ed anzi portano a concludere che la violazione che le norme regolatrici delle vendite straordinarie costituiscano sintomo sicuro della condotta di concorrenza sleale serbata dalla convenuta.
    A tale riguardo e con riferimento al rapporto di concorrenza tra le attrici e la convenuta, contestato da quest’ultima facendo riferimento alla grande diversificazione dei prodotti da essa offerti in vendita, alla marginalità dell’offerta in vendita degli oli lubrificanti per autoveicoli ed alla possibilità di spalmare i ribassi effettuati su un singolo prodotto su altri prodotti venduti ai prezzi normalmente praticati, si deve osservare che il concetto di clientela va ricondotto a quello di consumatori finali in relazione ai singoli prodotti e, poiché, tutte le imprese coinvolte, sia pure a diversi livelli della catena produttiva, vendono, direttamente o tramite agenti o operatori commerciali inseriti o meno nella propria rete distributiva, i prodotti in questione al dettaglio, identica è la clientela a cui si rivolgono. La sussistenza del rapporto concorrenziale, infatti, va valutata in relazione al singolo prodotto, dal momento che è il prodotto, inteso come strumento atto a soddisfare determinati bisogni, che determina, unitamente al fattore territoriale, la identità della clientela a cui l’offerta si rivolge (Cass. 14844/01).
    Ai fini dell’accertamento della sussistenza di ipotesi di concorrenza sleale nella vendita sottocosto si deve osservare come l’orientamento giurisprudenziale che chiedeva il c.d. intento monopolistico cioè il requisito soggettivo dell’operatore di eliminare dal mercato un concorrente determinato (App. Milano 22.5.1973, GADI 1973, 658) sia ormai superata nella giurisprudenza di legittimità e di merito a partire da Cass. 274/83, la quale nel rilevare come la libertà di concorrenza non sia illimitata e trovi limite nell’artificiosa manipolazione dei valori dell’offerta e come le norme sulla concorrenza sleale proteggano non il singolo operatore ma l’intero ceto imprenditoriale, ha rilevato che la ratio del divieto della vendita sotto costo sia da individuare nella obiettiva esigenza di presidiare le regole di competizione economica, laddove alternare i valori dell’offerta con l’artificiosa riduzione sotto costo dei prezzi per eliminare la concorrenza e riemergere poi imponendo al mercato la legge del proprio profitto significa, innanzi tutto, fuorviare il giudizio dei consumatori il quale premia, con l’acquisto di prodotti a prezzo non remunerativo, l’immeritevole autore di un illusorio benessere collettivo ovvero, secondariamente e di riflesso, infrange le regole su cui gli operatori economici confidano, affrontando il mercato nella misura consentita dalla opinata produttività del proprio sistema e dalle condizioni obiettive della produzione, sicché, in definitiva, esattamente l’alterazione di siffatte condizioni oggettive risulterebbe vietata dalla norma dell’art. 2598 n.3 cod. civ., che, reprimendo ogni abuso, ne vuole garantire la conservazione.
    A ben vedere Cass. 83/2743 si inserisce in quell’orientamento giurisprudenziale che ricostruisce la fattispecie della concorrenza sleale prescindendo dalla intenzione psicologica dell’agente. Secondo tale orientamento, infatti, è da considerarsi illecita la condotta dell’agente per l’effetto e non per l’intento monopolistico, che la vendita sotto costo può determinare e per il suo carattere anomalo e contrario con la fisiologia dell’attività dell’impresa e con gli interessi della collettività, specialmente ove si producano effetti rilevanti e non esistano cause giustificatrici contingenti Il del tipo normativamente previsto.
    Il diverso orientamento, che si è andato sempre più affermando in dottrina ed in giurisprudenza, sia di legittimità (Cass. 91/5787) che di merito, è, viceversa, incentrato sulla svalutazione della valenza monopolistica della pratica concorrenziale, dando risalto alla sua idoneità a danneggiare l’altrui azienda ed alla sua contrarietà ai principi della correttezza e ne ha affermato l’illeceità quando, per la non remuneratività del prezzo o per altre caratteristiche dell’offerta, la vendita sotto costo imponga ai concorrenti una reazione eccessivamente onerosa.
    Aderendo a tale ultimo orientamento deve ravvisarsi nella condotta della convenuta la dedotta ipotesi di concorrenza sleale. Vengono in considerazione al riguardo la rilevante non remuneratività del prezzo, che, come già precisato, deve essere valutata non in relazione al paniere dei prodotti offerti in vendita da panorama, ma in relazione al singolo prodotto costituito dagli oli lubrificanti, la notevole quantità dei prodotti venduti (complessivamente 11.850 pezzi), la ripetitività delle operazioni commerciali a distanza di pochi mesi l’una dall’altra in assenza di specifiche contingenti ragioni chiaramente espresse, la durata dell’offerta protratta per un notevole periodo di tempo in tutti gli ipermercati gestiti in Roma dalla convenuta, l’omissione di qualsiasi adempimento richiesto dalla legge per inserire la pratica svolta in alcuna delle eccezioni di liceità normativamente previste e, in particolare, la mancata adozione di corrette regole pubblicitarie che, impedendo al consumatore la necessaria informazione in ordine ai termini di comparazione dell’offerta del ribassista, funziona semplicemente come collettore di clientela o specchietto per le allodole. Dalla pubblicità effettuata appare evidente l’intento commerciale della convenuta di attrarre i consumatori utilizzando i generi merceologici, già impostisi sul mercato come i migliori, offerti i vendita sottocosto quali persuasivi strumenti atti a “trainare” la vendita, al reale prezzo di mercato, degli altri generi, così “agganciando” la clientela con modalità antigiuridiche per mancanza di correttezza professionale, inducendola non solo all’acquisto dei generi offerti in vendita sottocosto, peraltro, di carattere marginale nell’ambito del paniere complessivo offerto in vendita, e, quindi, ad un prezzo impraticabile dagli altri concorrenti, ma anche all’acquisto degli altri prodotti offerti a prezzo di mercato. L’effetto finale è quello di determinare uno sviamento della clientela in danno delle attrici, le quali vengono private degli sforzi produttivi, commerciali e pubblicitari per produrre un prodotto di grande rinomanza, per imporlo sul mercato affrontando i costi per costituire una selezionata ed efficiente rete distributiva e per pubblicizzarlo adeguatamente con sponsorizzazioni ed altre adeguate forme pubblicitarie in grado di informare correttamente e congruamente il consumatore sulla bontà del prodotto e di orientarlo nella relativa scelta a preferenza di altri consimili. Al contrario, la pubblicità della convenuta ispirata al principio di funzionare come collettore di clientela assume, rispetto a quella delle attrici, un carattere parassitario ed in grado, persino, di attrarre, per la facilità degli acquisti nella vendita al dettaglio (scontrino fiscale invece di fattura), anche operatori commerciali professionali, che normalmente si approvvigionano presso le attrici.
    Lo stesso Garante della Concorrenza e del mercato, nel parere del 18.6.1998, richiamato dalla convenuta per legittimare il proprio operato, pur operando su un piano e per il raggiungimento di scopi ben diversi da quelli del giudice ordinario, che deve accertare se la condotta di un imprenditore configuri una delle ipotesi di concorrenza sleale, precisa che alcune pratiche di vendita a prezzi inferiori ai costi possono essere ricomprese nell’ambito del divieto di concorrenza sleale di cui all’art. 2598 cod. civ.. A tale fine, il migliore criterio di discrimine tra la liceità e l’illiceità della condotta appare essere quello quantitativo (Cass. 99/827), che certamente sussiste nel presente caso.
    Gli effetti fuorvianti della condotta concorrenziale illecita della convenuta hanno prodotto gravi pregiudizi per le attrici costrette ad una costosa reazione.
    Nel formulare la relativa richiesta di liquidazione e di risarcimento le attrici hanno sottolineato la piena consapevolezza di s.p.a. Panorama di operare contra jus, le dimensioni delle operazioni effettuate per la ripetitività e la quantità di pezzi esitati, la risonanza delle stesse per l’imponente campagna sostenuta ed il protrarsi delle vendite oltre il periodo programmato. Mentre il primo requisito, che certamente sussiste alla luce delle considerazioni svolte, apre la strada al risarcimento dei danni. Nessuno degli altri elementi prospettati consente di pervenire ad una quantificazione dei danni neppure in via equitativa. Le attrici non hanno formulato alcuna indicazione al riguardo ed è noto che il potere discrezionale del giudice, esercitabile anche di ufficio, presuppone la prova dell’esistenza del danno e la parte non è esonerata dall’onere di fornire gli elementi probatori e i dati di fatto in suo possesso per consentire che l’apprezzamento equitativo sia il più possibile limitato e ricondotto alla funzione di colmare soltanto le inevitabili lacune al fine della precisa determinazione, non a quella di supplire alla carenza probatoria della parte onerata. Nessuno degli elementi offerti, neppure se esaminati congiuntamente, è adeguato allo scopo. Lo stesso dato concernente la quantità dei pezzi venduti sottocosto non appare concretamente utilizzabile ove si consideri che l’acquisto degli stessi è avvenuta presso la Lubex di Vimercate e cioè presso un rivenditore inserito nella rete distributiva Agip e che nessuna prova, neppure da parte di Vi.Ro., è stata fornita in ordine al calo o alla diminuzione delle vendite o alla perdita di specifici affari con i precedenti abituali clienti professionali ed in genere allo sviamento della clientela. Non sono stati offerti elementi neppure per il risarcimento del danno derivante dal discredito presso la clientela professionale o i consumatori essendo noto che, mentre il danno alla reputazione personale consegue automaticamente alla perdita o alla riduzione del valore dell’individuo, traendo nell’art. 2 della Costituzione il suo fondamento normativo, il danno alla reputazione commerciale comporta la prova della patrimonialità del danno, cioè, anche in via presuntiva, la prova della perdita subita. Nel caso in esame, nessuna prova adeguata è stata fornita né sotto il profilo di doglianze o lamentele di rivenditori professionali o di consumatori né sotto il profilo di spese incontrate per accertare l’illecito e per l’assistenza legale stragiudiziale o per approntare campagne pubblicitarie od altre iniziative di settore per rimediare alle conseguenze denigratorie subite.
    Poiché è già stata disposta ed effettuata, nell’immediatezza del fatto, la pubblicità della inibitoria cautelare e non risultano provati negli anni successivi ulteriori episodi di illecito, non appare necessario disporre la pubblicazione anche del dispositivo della presente sentenza.
    Deve, viceversa, essere definitivamente inibito a Panorama spa di operare illecite vendite sottocosto dei prodotti Agip Sint 2000 e Turbodiesel e stabilito per ogni futura violazione di tale divieto l’obbligo della convenuta di corrispondere alle attrici la complessiva somma di € 23,00 per ciascun prodotto venduto sottocosto.
    Le spese seguono la soccombenza e, comprendendovi anche quelle della fase cautelare e le spese di pubblicità disposta con il provvedimento cautelare, si liquidano in favore delle attrici.

 

II

   In diritto. – Il ricorso cautelare promosso dalla Associazione Panificatori della Provincia di Torino è fondato e merita accoglimento, per le ragioni di seguito indicate.
    I fatti salienti sono in sé pacifici nel senso che effettivamente le resistenti GMC Sas, la GLD snc e la NUOVA BSETTE srl, cui fanno capo diversi supermercati ad insegna CONAD in Torino, hanno posto in essere l’iniziativa commerciale illustrata nel volantino pubblicitario prodotto da entrambe le parti, consiste nell’offerta a chi acquisti, nei giorni di martedì, giovedì e sabato, anche un solo prodotto in uno dei supermercati, 600 grammi di pane per il controvalore di € 0,001, nel periodo compreso tra il 24 febbraio ed il 3 aprile 2004.
    Costituisce dato parimenti non controverso che le modalità con cui l’offerta viene attuata non prevedeva limitazioni per l’acquirente che potrebbe, quindi, accedere più volte al giorno al supermercato ed ogni volta usufruire dell’offerta (ovviamente nei limiti di disponibilità della merce).
    L’istruttoria sommaria ha consentito di accertare che le resistenti acquistano sul mercato di Torino da panificatori “esterni” il pane che viene utilizzato per l’offerta speciale, e il prezzo di acquisto è di circa un euro a chilo, oltre IVA al 4% (v. verbale di udienza e dichiarazioni rese dalle parti resistenti).
    Il sig. Vernaglione, funzionario della Associazione ricorrente ha riferito che l’80% dei titolari delle circa 1000 licenze per panificazione rilasciate in Torino sono iscritti all’associazione ricorrente e che di essi solo il 5% è costituito da imprese che sono solo panificatrici senza punti vendita propri. Il teste ha inoltre individuato, tra i fornitori delle resistenti solo due associati.
    I signori Arduino e Boschi, entrambi panificatori artigianali e titolari di un proprio esercizio commerciale hanno confermato il calo di vendite di pane in corrispondenza dei giorni nei quali ha luogo l’iniziativa della CONAD.
    Parte resistente ha eccepito l’incapacità dei testi a deporre sotto vari profili.
    Si osserva peraltro che tali informatori, pur sentiti sotto giuramento, hanno reso le proprie dichiarazioni nell’ambito del procedimento cautelare all’interno del quale le informazioni possono essere raccolte senza i limiti scaturenti dalle norme dettate per l’istruttoria non sommaria, così che le loro dichiarazioni, a prescindere dall’esistenza o meno di cause di incapacità a deporre, possono senz’altro essere utilizzate ai fini della decisione sulle istanze cautelari.
    Sulla base dei dati raccolti in fase di istruttoria sommaria deve, ad avviso del G.I., affermarsi la sussistenza del fumus boni juris.
    Secondo quanto stabilito dall’art. 15 del D. Lgs. 31 marzo 1998, n.114 “riforma relativa al settore del commercio, a norma dell’art. 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n.59”, sono possibili le “vendite straordinarie” e tra esse le vendite sottocosto che si caratterizzano per la “vendita al pubblico di uno o più prodotti effettuata ad un prezzo inferiore a quello risultante dalle fatture di acquisto maggiorato dell’imposta sul valore aggiunto e di ogni altra imposta o tassa connessa alla natura del prodotto e diminuita degli eventuali sconti o contribuzioni….”.
    Il D.P.R. 6 aprile 2001, n.218 “regolamento recante la disciplina delle vendite sottocosto a norma dell’art. 15, comma 8 del D. Lgs. 31 marzo 1998, n.117 all’art. 2 comma 1) lettera a) ha stabilito che è comunque consentito effettuare la vendita sottocosto dei prodotti alimentari freschi e deperibili.
    Benché quindi le citate previsioni legislative consentano espressamente la vendita sottocosto di un bene alimentare deperibile come il pane, ritiene il Tribunale che, nondimeno, sussista il fumus boni juris in ordine alla configurabilità, nel caso in esame, di un atto di concorrenza sleale ai sensi dell’art. 2598, n.3 cod. civ.
    Infatti deve escludersi, in via generale, che la pratica della vendita sottocosto possa considerarsi, dopo l’entrata in vigore delle norme di settore, sempre lecita e conforme ai principi di correttezza professionale.
    Nel caso di specie, come argomentato da parte ricorrente, l’offerta speciale posta in essere dalle resistenti non appare rispettare tali requisiti.
    Infatti essa ha ad oggetto un bene di larghissimo consumo, come il pane, caratterizzato da una peculiare rete produttiva e di vendita, costituita da numerosi piccoli esercizi gestiti dal produttore del bene medesimo, oltre che dai punti vendita di pane fresco esistenti nei supermercati, il prezzo di vendita proposto è certamente sottocosto (il pane viene acquistato dalle resistenti a circa 1 euro al chilo, cui deve essere aggiunta l’IVA al 4% e viene ceduto, qualunque sia la sua tipologia, a un centesimo per 600 grammi), l’offerta è valida, senza limiti minimi di spesa, e il cliente che accede al supermercato se ne può avvalere anche più volte al giorno, essa viene attuata per tre giorni non consecutivi alla settimana tra i quali è compreso il sabato, considerato, per il pane, un giorno di vendite quasi doppie rispetto al normale, l’offerta ha una durata programmata di oltre un mese.
    Tali concerete modalità dell’offerta di un bene alimentare sottocosto appaiono idonee, sulla base di quanto emerso in sede di istruttoria sommaria, a danneggiare gli associati della ricorrente operanti sul mercato di Torino in relazione alla diminuzione delle vendite, in quanto per effetto di tale offerta (quantità di prodotto acquistabile sottocosto, numero dei punti vendita coinvolti nella città di Torino, frequenza trisettimanale dell’offerta) è possibile, come indicato da parte ricorrente, per una famiglia media, approvvigionarsi di pane per tutto il periodo di durata dell’iniziativa ad un prezzo irrisorio.
    Inoltre la durata complessiva dell’iniziativa è tale da incidere sulle abitudini di acquisto dei consumatori che, anche dopo il suo termine, potrebbero verosimilmente essere indotti a non riprendere l’abitudine di acquistare il pane presso il piccolo esercizio, accorpando tutti gli acquisti presso il punto vendita del supermercato, incidendo così sulla clientela dei piccoli esercizi.
    L’assoluta antieconomicità per gli esercenti della vendita del pane ad 1 centesimo di euro per 600 grammi, per tre giorni alla settimana in numerosi punti vendita della città appare infatti finalizzata all’accaparramento di nuova clientela, fatto questo che nel caso in esame incide sulle aziende artigianali di produttori di pane, rappresentate dall’associazione ricorrente, particolarmente svantaggiate in termini di concorrenza nei confronti dei supermercati in quanto i loro esercizi sono caratterizzati (a differenza di quanto potrebbe accadere per altre tipologie di merce) dalla limitatezza dei prodotti messi in vendita (solo pane e prodotti affini).
    Tali rilievi consentono, inoltre, di ritenere infondata l’eccezione di carenza di interesse ad agire, sollevata da parte del resistente, in quanto l’istruttoria ha evidenziato che il reperimento sul mercato dei panificatori di Torino del pane da utilizzare dell’offerta di cui si discute, oltre a coinvolgere solo due associati alla ricorrente, non è tale da escludere la ricaduta negativa sulla maggioranza degli associati (panificatori artigianali) che non potrebbe neppure astrattamente avvantaggiarsi da tale acquisto, non avendo dimensioni tali per poter concorrere all’approvvigionamento della rete di vendita degli affiliati CONAD di Torino.
    Le dichiarazioni rese dai testi De Lido e Arduino confermano l’esistenza del periculum in mora in quanto il protrarsi dell’iniziativa oltre a continuare a produrre i cali di vendite lamentate è idoneo, per quanto detto in precedenza, a produrre uno sviamento di clientela difficilmente recuperabile per i piccoli esercenti.
    Sussistono, quindi, i presupposti per ordinare alle resistenti l’immediata cessazione della campagna di offerta speciale di pane.

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