il diritto commerciale d’oggi
    III.5 – maggio 2004

STUDÎ E COMMENTI

 

GIULIANO LEMME

Sull’informazione dei soci nelle s.r.l. dopo la riforma societaria
(Nota a Trib. Civitavecchia, 21 aprile 2004)

 

 

     L’ordinanza del Trib. Civitavecchia, 21 aprile 2004, affronta un tema di notevole interesse, specie a seguito della riforma del diritto societario.
     Infatti, come è noto, il rapporto tra soci ed amministratori può avere esiti conflittuali, ogni qualvolta la minoranza ritenga che questi ultimi perseguano interessi extrasociali, o comunque propri della maggioranza anche a scapito della corretta gestione della società.
     Nelle società per azioni, la patologia dei rapporti tra soci ed organo amministrativo ha il proprio naturale ambito di soluzione nelle norme sul collegio sindacale (e, in primis, negli artt. 2408 e 2409 c.c.). Il problema che dunque si poneva, già prima della recente riforma del diritto societario, era quello di accordare analoga tutela anche ai casi (tipico quello delle srl) nei quali l’assenza del collegio sindacale potesse risolversi in una tutela non adeguata degli interessi della minoranza.
     Si badi bene: anche alle srl era pacificamente applicabile la tutela giurisdizionale dell’art. 2409 c.c.; peraltro, poichè tale tutela richiedeva almeno un “fondato sospetto” di gravi irregolarità gestionali, molto spesso i soci non avevano strumenti effettivi per verificare, prima di intraprendere la via giudiziaria, se effettivamente vi fosse almeno il fumus di una prevaricazione dei loro interessi (e di quelli della società) ad opera degli amministratori.
     A tale situazione, prima della riforma, ovviava l’art. 2489 c.c., il quale prevedeva il diritto dei soci rappresentanti almeno il terzo del capitale sociale di far eseguire annualmente a proprie spese la revisione della gestione; inoltre, a norma dell’ult. co. dell’art. 2490 c.c., i soci potevano ottenere estratti del libro soci e del libro verbali delle assemblee.
     L’ambito della tutela del socio di minoranza è stato notevolmente rafforzato a seguito della riforma; in particolare, sono stati radicalmente mutati i presupposti della azione del socio.
     L’art. 2476, 2° co., c.c., prevede infatti ora che i soci che non partecipano all’amministrazione abbiano non solo il diritto di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali, ma che abbiano altresì il potere di esaminare, anche tramite consulenti, i libri sociali e i documenti relativi all’amministrazione.
     Numerose sono, come è agevole vedere, le novità della disciplina.
     a) anzitutto, muta l’ambito soggettivo: ad esercitare il potere di controllo non deve essere più una minoranza qualificata, ma qualsiasi socio; purchè, precisa la norma, estraneo all’amministrazione. Quest’ultima espressione deve raccordarsi con quella dell’art. 2475 c.c., che prevede il principio generale (ma statutariamente derogabile) in base al quale gli amministratori debbono essere scelti tra i soci.
     b) muta altresì l’oggetto del potere di controllo: non più una generica revisione (per di più solo annuale) della gestione, ma una consultazione accurata di tutti i libri sociali (e non solo del libro soci e di quello delle assemblee), nonchè, e questa ci sembra la novità più significativa, della documentazione attinente alla amministrazione; riteniamo che con tale espressione il legislatore abbia voluto indicare tutta la documentazione (contabile e non) utilizzata o utilizzabile dagli amministratori per gestire la società. L’espressione è in verità così ampia, da comprendere potenzialmente qualsiasi documento pertinente la società.
     Nell’ambito del nuovo quadro normativo, l’ordinanza del Tribunale di Civitavecchia si caratterizza soprattutto per il fatto che, a fronte di una eccezione della società resistente, è stato ritenuto che il diritto del socio abbia natura potestativa, ed il suo esercizio non possa essere condizionato dalla società ad esigenze particolari (rectius: all’assenza di interessi extrasociali) del socio richiedente.
     All’opinione del Tribunale aggiungeremmo solo che, in effetti, residua uno spazio per ritenere la legittimità del rifiuto della società alla richiesta del socio: quello, cioè, di una conclamata estraneità dei motivi della richiesta all’esigenza di controllo sull’amministrazione, e di un contemporaneo, evidente perseguimento di interessi particolari a danno della società. In tal caso, saremmo infatti nell’ambito dell’eccesso di potere (inteso come perseguimento di un fine illecito tramite un mezzo intrinsecamente lecito).
     Va peraltro evidenziato che il sindacato sull’eccesso di potere difficilmente può essere condotto ex ante, ma, almeno nella maggior parte dei casi, emerge solo quando la deviazione dell’atto dallo scopo istituzionale è emersa in maniera evidente. Nel caso di specie, ad esempio, nel momento in cui il socio utilizzasse la documentazione estratta presso la società per carpire segreti industriali. In tal caso, è evidente come si uscirebbe dall’ambito dell’eccesso di potere, per entrare in quello del vero e proprio illecito civile, come tale sanzionato.

 

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