L’intenzione originaria del legislatore “riformatore” era quella di occuparsi esclusivamente delle società c.d. “non quotate”, in definitiva delle società di diritto comune. L’art. 2325 bis c.c., comma 2, rappresenta una testimonianza di quell’intenzione prevedendo, come è noto, che le norme in tema di società per azioni recate dal novellato codice civile si applichino alle società con azioni quotate nei mercati regolamentati “in quanto non diversamente disposto da altre norme di questo codice o di leggi speciali”.
Del resto, in occasione degli interventi pubblici immediatamente successivi al d.lgs. n.6 del 2003, alcuni membri della commissione Vietti avevano apertamente affermato l’insensibilità alla novella delle legislazione speciale in materia di diritto societario, in particolare del testo unico finanziario ( di seguito, t.u.f.) e del testo unico bancario ( di seguito, t.u.b.).
In tale direzione spingevano esigenze politiche - quali ad esempio quella di “tagliare fuori” dal dibattito la Banca d’Italia - oltre che la difficoltà di mettere mano, nel poco tempo a disposizione, a legislazioni ipertecniche e oltretutto dense di rinvii a fonti secondarie.
Già altri autori in altre sedi, a ridosso della pubblicazione del decreto di riforma, hanno espresso le proprie riserve sul punto. All’evidenza poteva trattarsi solo di un’utopia ritenere che fosse possibile isolare il diritto societario comune da quello speciale, senza preoccuparsi della presenza dei “vasi comunicanti”.
Di ciò non ha tardato ad accorgersi lo stesso legislatore che, a poco più di un anno dalla riforma è intervenuto con un decreto correttivo (d.lgs. n.37 del 2004) avente la finalità, fra l’altro, di raccordare il t.u.b. e il t.u.f. al novellato codice civile, dunque al riformato diritto societario “comune”.
Quanto al t.u.b., la direttrice lungo la quale si è mosso il decreto correttivo è stata quella di offrire all’impresa bancaria la concreta possibilità di avvalersi della semplificazione di alcuni vecchi istituti e della previsione di nuovi istituti recati dalla riforma. Penso, ad esempio, alla facoltà di adottare sistemi di governance alternativi al sistema c.d. tradizionale e alla conseguente necessità di fare riferimento anche al requisito d’”indipendenza” che, accanto alla tradizionale “onorabilità” e “professionalità”, deve ora essere posseduto dai soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso banche (art.26, t.u.b.).
Con riferimento agli assetti proprietari, tema che assume un ruolo centrale nel sistema dell’impresa bancaria, si registra anzitutto l’introduzione all’art.1, comma 2, del t.u.b. di una lettera h) quater che consente di ricomprendere nella locuzione “partecipazioni” :”le azioni, le quote e gli altri strumenti finanziari che attribuiscono diritti amministrativi o comunque i diritti previsti dall’art. 2351, ultimo comma, del codice civile”.
La modifica è conseguenza del mutato assetto delle basi finanziarie delle società per azioni e, in particolare, della circostanza che, mentre nel passato il diritto di voto in assemblea era l’unico strumento in grado d’influire sulla gestione sociale e dunque era necessario monitorare essenzialmente i titolari di diritto di voto, con la riforma si sono moltiplicati gli strumenti per influire sulla gestione sociale stessa (in particolare v. artt. 2346-2351, c.c.). Anzi, si è addirittura consentito che l’autonomia dei privati possa “inventare” i diritti che, al di là del voto “classico”, consentono d’influire sulla gestione sociale e le regole che presiedono alla circolazione degli strumenti finanziari deputati ad incorporare tali diritti, oltre che le regole per l’esercizio dei più volti menzionati diritti.
Ciò spiega il senso dell’introduzione, all’art.1, comma 2, del t.u.b. della lettera h quinquies) in tema di “partecipazioni rilevanti”: quelle che comportano il controllo della società e le partecipazioni individuate dalla Banca d’Italia..”tenendo conto dei diritti di voto e degli altri diritti che consentono d’influire sulla società”.
Pure si spiega, come effetto “domino” delle ricordate nuove definizioni, che ora l’art.19 non fa più riferimento all’acquisizione di azioni o quote che comportano il “controllo” della banca, ma all’acquisizione di “partecipazioni rilevanti”, termine comprensivo anche delle partecipazioni di controllo.
In proposito si osservi che ai fini del controllo si affida alla Banca d’Italia il compito d’individuare, non solo i diritti di voto, ma anche “gli altri diritti” che siano in tal senso “rilevanti”. Il riferimento è ovviamente ai diritti, più sopra ricordati con riguardo alla nuova definizione di partecipazione rilevante, “che consentono d’influire sulla società”.
Più in generale, poi, si sostituisce il riferimento ad azioni o quote con quello più ampio (e correlato all’ estensione delle basi finanziarie della spa realizzata dalla riforma) di “titolare delle partecipazioni” o “titolare di partecipazioni rilevanti”.
Per tenere conto di questo mutamento di rotta si è corretta anche la nozione di controllo recata dall’art.23. Così, l’influenza dominante non è misurata più dall’accordo soltanto con “altri soci” ma, da qualunque “accordo” che consenta di nominare revocare la maggioranza, non più solo “degli amministratori”, ma anche del “consiglio di sorveglianza”. Ancora, è rilevante l’accordo che consente, non già la maggioranza solitaria dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria, sibbene dei voti rilevanti ai fini delle deliberazioni relative alle materie di cui agli artt. 2364 e 2364 bis. (vale a dire di quelle materie che sono di competenza dell’assemblea ordinaria, competenza che varia in ragione della presenza o meno nella s.p.a. del consiglio di sorveglianza) in accordo con le modifiche delle competenze dell’organo assembleare.
In questa prospettiva era logico che, nel regolare la sospensione del diritto di voto per le violazioni delle ricordate disposizioni in tema di assetti proprietari, si dovesse comprendere anche la sospensione, non solo del diritto di voto, ma anche “degli altri diritti che consentono d’influire sulla società”.
Allo stesso modo le modalità d’impugnazione delle deliberazioni (o del “diverso atto”, in coerenza con le novità circa la possibilità di influire sulla gestione sociale anche a prescindere dall’azione, dal voto in assemblea e dunque, in sostanza, anche a prescindere da quell’atto tipico che è la “deliberazione”) adottate in dispregio delle menzionate norme sono state adeguate agli interventi del legislatore riformatore in tema d’invalidità delle delibere assembleari (v. art. 24, co.2).
Va infine segnalata l’introduzione di un quarto comma all’art. 108 t.u.b. che obbliga i soggetti privi dei requisiti di onorabilità ad alienare le partecipazioni, possedute in intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale, eccedenti le soglie previste dal comma 2 dello stesso articolo.
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