il diritto commerciale d’oggi
    III.4 – aprile 2004

STUDÎ E COMMENTI

 

GIOVANNI CABRAS

Promozione di imprese e spin-off nei centri pubblici di ricerca *

 

 

1. Dall’attività inventiva al brevetto; ragione di una esclusiva

   La promozione di imprese e gli spin-off costituiscono come due facce della stessa medaglia, costituita dall’utilizzazione della ricerca scientifica per lo sviluppo imprenditoriale e, in generale, dell’economia. Per parlare di tali argomenti è necessario premettere brevi considerazioni sul sistema brevettuale e sul principio di concorrenza.
   La tutela giuridica nel campo delle invenzioni realizza, in vari modi, un contemperamento degli interessi in gioco. Alla base c’è sempre un riconoscimento positivo, una sorta di plauso, per il contributo che l’invenzione dà alla conoscenza collettiva e, più precisamente, allo sviluppo della società materiale alla quale apparteniamo, anche nelle forme estreme del consumismo.
   È una civiltà materiale, che, quindi, si sviluppa non già per l’invenzione in sé, ma per la sua attuazione pratica. Ciò si esprime, sotto il profilo giuridico, con una premessa e dà luogo ad un corollario. La premessa è che l’invenzione è suscettibile di tutela soltanto se possiede il carattere della industrialità, ossia se possiede l’idoneità ad essere impiegata nel processo produttivo.
   Il corollario è che l’invenzione deve essere attuata: in passato la mancata utilizzazione dava luogo alla decadenza dal brevetto; ora dà luogo soltanto alla soggezione del titolare a licenza obbligatoria a favore ad ogni interessato, dietro pagamento di un equo compenso e con le necessarie garanzie (art. 54-bis legge inv.).
   Analoghe considerazioni valgono per i disegni e modelli.
   L’attività inventiva in tanto è tutelata, in quanto l’innovazione porta ad un beneficio nella produzione di beni e di servizi; inoltre, poiché nella attuale realtà economica sono le imprese ad occuparsi della produzione di beni o servizi, ecco diventare essenziale il rapporto tra mondo della ricerca, dove si creano le invenzioni, e mondo delle imprese, dove si producono beni o servizi con quelle invenzioni.
   Non può tacersi che solitamente i singoli inventori e talvolta pure i laboratori ed i centri di ricerca non hanno necessariamente le capacità (mentalità, risorse finanziarie, disponibilità di tempo) per sfruttare direttamente l’invenzione (o il disegno e modello). Per cui c’è il rischio che la ricerca non trovi adeguato sbocco nello sviluppo economico, se non si opera sui fattori che, superando quegli ostacoli, favoriscono il transfer tecnologico.

 

2. Esclusiva brevettuale e libera concorrenza

   La tecnica di protezione delle invenzioni (l’esclusiva) sembrerebbe in contrasto con i princìpi fondamentali del nostro sistema economico. Non mi riferisco tanto all’art. 41 Cost., che pone come guida la libertà di iniziativa economica; mi riferisco soprattutto all’ordine economico stabilito per tutti i Paesi dell’Unione Europea con l’accordo di Maastricht del 1992, ossia al «principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza».
   Orbene la libera concorrenza sembrerebbe escludere la posizione di privilegio che nasce dal diritto di privativa attribuita all’inventore per la produzione e la commercializzazione del trovato. Certamente l’esclusiva dell’inventore, se non vuole assumere un odioso privilegio, deve confrontarsi con la libera concorrenza. Di ciò potrebbe parlarsi a lungo: qui voglio solo mettere in luce che la concorrenza non è lesa dalle privative industriali, ma anzi stimola il ricorso alle invenzioni. Infatti, la concorrenza tra le imprese si realizza essenzialmente offrendo beni e servizi migliori rispetto a quelli degli altri concorrenti ovvero a prezzi più convenienti: per entrambe le forme di competizione un contributo importante è rappresentato dall’innovazione tecnologica.
   Il mercato concorrenziale impone perciò l’impiego di invenzioni sempre nuove per rispondere in modo competitivo alla domanda del mercato o anche per suscitare nuova domanda nello stesso mercato. D’altro canto, l’esclusiva, attribuita al titolare dell’invenzione brevettata, consente di ripagare gli investimenti effettuati per conseguirla e, quindi, favorisce la ricerca di nuove ricerche.
     Un riconoscimento analogo c’è per il know-how, che, oltre a presentarsi nella forma di invenzione non brevettata (e tutelata con le misure atte a prevenirne la rivelazione), si accompagna sovente alle invenzioni brevettate e che assicura una esclusiva di fatto, senza limiti temporali, sia pure sotto la precarietà che il segreto venga meno.
   Il tema della concorrenza ha una valenza che riguarda anche il modo con cui la ricerca si trasfonde nel mondo delle imprese, poiché non è indifferente per il mercato se l’autore dell’invenzione decida di riservarne a sé lo sfruttamento, oppure lo affidi ad imprese già esistenti o ad altre di nuova costituzione. In questo senso la ricerca pubblica, con la sua naturale destinazione allo sfruttamento da parte di tutte le imprese, presenta un ulteriore aspetto di sintonia tra la proprietà industriale ed il mercato concorrenziale, come vedremo tra poco.
   Procediamo, però, con ordine.

 

3. Il circolo virtuoso tra ricerca e imprese

   Il rapporto che si instaura tra ricerca e imprese opera sul piano della reciproca convenienza, per le sinergie che si possono realizzare e per la prospettiva di essere un rapporto biunivoco. Più precisamente, concentrando l’attenzione sulla ricerca pubblica, sembra proporsi il seguente itinerario:

• dalla ricerca pubblica ››› ricerca fondamentale ››› ricerca applicata ››› innovazioni per le imprese
• dalle imprese ››› sollecitazioni ed esigenze ››› commesse ››› alla ricerca (pubblica e privata)

in modo da porre in essere un percorso che, per diventare un circolo virtuoso, richiede, però, la presenza, di una terza figura, tra la ricerca e le imprese: la figura dell’investitore, perché:

• la ricerca richiede risorse finanziarie
• lo sviluppo delle imprese richiede altrettante risorse finanziarie.

   Investire nella ricerca tecnologica presenta una forte rischiosità, ma, oltre ad essere un’attività essenziale per lo sviluppo economico del Paese, può dare anche opportunità di grandi profitti, specie se gli investimenti sono effettuati con professionalità ed anche ripartiti in una pluralità di iniziative, per attenuare i rischi per i possibili esiti negativi di singole iniziative.
   Tra le iniziative che la Commissione Europea si è proposta di avviare nello scorso anno per raggiungere l’obiettivo di portare il livello degli investimenti in ricerca al 3% del PIL entro il 2010, c’è quella di aiutare gli Stati membri a rivedere la disciplina dei diritti di proprietà industriale «allo scopo di promuovere il transfer di tecnologia all’industria e la creazione di spin-off» (Comunicazione della Commissione, Investire nella ricerca: un piano d’azione per l’Europa, 2003, p. 14).
   In tal senso si muovono da tempo varie organizzazioni, italiane (quali i liason office degli atenei, vedi quello dell’Università della Calabria) ed internazionali (vedi, ad esempio, la rete Scone ovvero Unico). Un apporto importante è fornito poi dalle organizzazioni territoriali volte a porre in relazione la ricerca con le imprese; tra tali organizzazioni svolgono una utile funzione i parchi scientifici e tecnologici (vedi il sito della loro associazione), nonché i consorzi tra università.

 

4. Il volano degli investimenti: gli incentivi pubblici

   Per favorire l’afflusso degli investimenti nell’innovazione tecnologica e far avviare quel circolo virtuoso, nel nostro ordinamento giuridico sono previsti agevolazioni ed incentivi pubblici di vario genere: contributi a fondo perduto, crediti agevolati, contributi in conto interesse, crediti d’imposta, prestazione di garanzie, e così via.
   Due sono i provvedimenti principali di intervento: il d. lgs. n. 297/1999 per il finanziamento delle attività di ricerca e sviluppo industriale, attraverso il FAR (Fondo per le Attività di Ricerca), e la legge n. 46/1982 per l’innovazione tecnologica delle imprese, con il FIT (Fondo Innovazione tecnologica).
   Sono provvedimenti di incentivazione a carattere generale, ossia rivolti alle imprese anche già esistenti, poiché si vuole favorire l’ammodernamento del settore industriale, al fine di accrescerne la competitività nei mercati internazionali. Data la pluralità di strumenti incentivanti e l’esigenza delle imprese di cogliere le opportunità offerte da ciascuno di essi, è previsto un sistema (il PIA-Pacchetto integrato di agevolazioni) che permette alle imprese di presentare un unico programma pluriennale di sviluppo – e soprattutto di presentare un’unica domanda – per richiedere agevolazioni a valere su diversi strumenti.
    Queste indicazioni sono volutamente sintetiche (primo, perché non sono un esperto di agevolazioni industriali; secondo, perché ogni strumento di incentivazione richiederebbe un discorso a sé stante, che non possiamo fare in questa sede), in quanto servono soltanto ad introdurre il secondo aspetto del tema affidatomi, ossia l’avvio di nuove imprese per sfruttare le invenzioni, il know-how e, più in generale, le capacità umane ed organizzative formatisi nella ricerca universitaria e dei centri pubblici.
    Che obiettivo dei vari strumenti di incentivazione sia anche quello di trovare uno sbocco alla ricerca pubblica è confermato dal fatto che tra i Ministeri che erogano finanziamenti alle imprese c’è pure il MIUR (ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca), il quale, in collaborazione con il MIT (ministero dell’innovazione tecnologica), ha emesso, da ultimo (25 febbraio scorso) un bando di 25 milioni di euro per la ricerca applicata all’Ict (tecnologia dell’informazione e la comunicazione), al fine di sostenere la competitività delle aziende, soprattutto piccole e medie (PMI).
   Per aiutare le imprese ad accedere a questi incentivi, ma anche i centri di ricerca, che vogliono trovare imprese interessate ad utilizzarli, esistono “sportelli” di consulenza presso enti locali, camere di commercio, consorzi universitari (vedi, ad esempio, Aster, Spinner, ecc., oltre che le forme professionali di consulenza (professionisti e imprese). Queste ultime figure, promuovendo i loro servizi a pagamento, svolgono anche una importante funzione di informazione, solitamente gratuita (vedi ad esempio, tra i tanti casi reperibili su Internet, il sito della Società di fisica applicata).

 

5. Concorso di persone e strutture per la nascita di imprese

   Il rapporto tra ricerca e imprese, sia pure incentivato dai provvedimenti ricordati, non è agevole e pone tutta una serie di problemi, in particolare, per la diversa impostazione e finalità dei centri di ricerca, rispetto al mondo delle imprese.
   In linea generale, i diritti che spettano al titolare di un brevetto per una invenzione industriale (ma il discorso è analogo per i modelli ed i disegni, nonché per il know-how) possono essere sfruttati:
• dal medesimo titolare / da terzi con il consenso del titolare
• il titolare può disporre del suo diritto di privativa: mediante cessione / licenza (esclusiva o non esclusiva).
   Per le università ed i centri pubblici di ricerca, escluso che essi possano procedere a sfruttare direttamente i diritti di proprietà intellettuale, si pone il problema di operare una scelta – che può essere compiuta volta per volta, oppure in modo sistematico, secondo un piano che tenga conto delle finalità ed esigenze del centro stesso – tra la cessione o la licenza. Escluderei, invece, che un centro di ricerca, dopo aver brevettato l’invenzione, possa decidere di non sfruttarla o, quanto meno, di non tentare di sfruttarla. Semmai, nel caso in cui si ritenga non proficuo brevettare l’invenzione, questa va resa pubblica, in modo da consentirne il libero uso e da impedire a chiunque altro la brevettazione.
   Le due alternative (cessione/licenza) offrono soltanto opportunità di ritorno economico al centro di ricerca, per il corrispettivo della cessione o le royalties della licenza; c’è, invece, una finalità economico-sociale, che il nostro Stato persegue e che non possono trascurare nemmeno le università ed i centri pubblici di ricerca: favorire lo sviluppo delle imprese ed il loro ammodernamento tecnologico. Tale finalità impone agli organi della ricerca pubblica di considerare, nell’ambito della discrezionalità circa i modi di sfruttamento delle invenzioni e degli altri diritti, anche la possibilità di favorire la nascita di nuove imprese e, comunque, l’inserimento in esse di propri ricercatori.
   Invero, la nascita di attività imprenditoriali, con il concorso di persone che si siano qualificate in attività analoghe, non è un fenomeno nuovo. È frequente, infatti, che il bravo tornitore di un’impresa meccanica, si metta in proprio per svolgere la medesima attività, in concorrenza sovente con il suo ex datore di lavoro (il patto di concorrenza è possibile, ma nullo, se non pattuito un corrispettivo e soprattutto se non è contenuto entro limiti di tempo, oggetto e luogo: art. 2125 cod. civ.); ancora più frequente è che si mettano in proprio i collaboratori, le cui competenze non siano sufficientemente sfruttate e ricompensate dall’impresa in cui svolgono la loro attività.
   In tutti questi casi si ha la gemmazione di una nuova impresa in modo competitivo, rispetto a quella originaria. È possibile, tuttavia, che la gemmazione o, come si usa dire nella pratica degli affari, lo spin-off sia favorito dalla stessa impresa originaria, ad esempio, perché vuole concentrarsi sul proprio core business, cessando del tutto determinate funzioni ovvero demandandole all’esterno, in outsourcing, trasferendo così il personale e le attrezzature facenti parte del settore aziendale (si veda ora la nozione di ramo aziendale, contenuta nel nuovo testo dell’art. 2112 cod. civ. introdotto dalla riforma Biagi del lavoro).

 

6. Incentivi per gli spin-off dalla ricerca pubblica

   Le esperienze di spin-off da impresa hanno fatto da battistrada ad operazioni analoghe nel campo della ricerca. Limitando l’attenzione alle ipotesi riguardanti in modo specifico la ricerca pubblica, che ha più difficoltà di quella privata a trovare uno sbocco imprenditoriale, ricordo tre disposizioni che mi sembrano particolarmente significative per favorire un raccordo tra le università ed i centri pubblici di ricerca, da un lato, e le imprese, dall’altro, con la creazione di spin-off.

   A) Distacco temporaneo di ricercatori. Nella legge 24 giugno 1997, n. 196 (norme in materia di promozione dell’occupazione) è previsto il distacco temporaneo (per un periodo non superiore a 4 anni, rinnovabili solo una volta) di ricercatori e tecnici di enti pubblici in laboratori e centri di ricerca privati, mantenendo il rapporto di lavoro ed il trattamento economico e contributivo a carico dell’ente di appartenenza, ma con un compenso a titolo di incentivo a carico dell’impresa beneficiaria (art. 14, 2° comma). Per tali distacchi è prevista la possibilità – invero, solo eventuale – di integrazioni dei contributi ordinari a favore dei centri pubblici di ricerca. A tale disposizione è stata data attuazione con decreto del MURST 5 agosto 1999.

   B) Società partecipate da ricercatori o con il loro concorso. Nel d. lgs. 27 luglio 1999, n. 297 (sul sostegno della ricerca scientifica e tecnologica, per la diffusione delle tecnologie, per la mobilità dei ricercatori) sono previsti contributi a fondo perduto, crediti agevolati, crediti d’imposta, ecc. gestiti da un Fondo per le agevolazioni alla ricerca (FAR) per finanziaria programmi di ricerca industriale, anche a favore di:
«società di recente costituzione ovvero da costituire, finalizzate all’utilizzazione industriale dei risultati della ricerca, […] con la partecipazione azionaria o il concorso, o comunque con il relativo impegno di tutti o alcuni tra i seguenti soggetti: professori e ricercatori universitari, personale di ricerca dipendente da enti di ricerca, ENEA e ASI, nonché dottorandi di ricerca e titolari di assegni di ricerca; … società di assicurazione, banche; …» (art. 2, 1° comma, lettera e).

   C) SGR (società per la gestione del risparmio). Con provvedimento del 19 luglio 2001 la Banca d’Italia ha previsto la possibilità di costituire SGR con capitale iniziale ridotto (euro 100.000, anziché 1 milione) e con partecipazione prevalente di università, organismi di ricerca ed enti pubblici territoriali, per l’istituzione e la gestione di fondi chiusi al fine di finanziare progetti di venture capital nel settore della ricerca scientifica. Le quote dei fondi sono riservate a investitori qualificati; i fondi gestiti da una stessa società non possono superare l’ammontare di 25 milioni di euro; oggetto dell’investimento sono società orientate all’utilizzazione industriale di applicazioni ad alto contenuto tecnologico. Sulla base di tale disposizione è stata così costituita nel luglio 2002 (ma è divenuta operativa solo nel 2003) Quantica SGR, controllata per il 51% dalla società Rete Ventures (49% CNR, 35% INSTM-Consorzio interuniversitario nazionale per la scienza e tecnologia dei materiali, 16% CSGI-Consorzio interuniversitario per lo sviluppo dei sistemi a grande interfase) e per il resto partecipata dal management della stessa società. Quantica SGR ha costituito di recente il fondo Principia.

   Per comprendere come allo sfruttamento della tecnologia generata dalla ricerca pubblica sia ora giustamente attribuita grande importanza per lo sviluppo economico e l’incremento dell’occupazione nel nostro Paese, si può ricordare che, per la valutazione delle università e dei centri pubblici di ricerca al fine della ripartizione dei finanziamenti da assegnare loro, il Ministero dell’Università richieda, in particolare, di documentare i brevetti, gli spin-off e le partnership realizzati, «anche in termini di risorse impegnate e di impatto occupazionale» (decreto MIUR 16 dicembre 2003).

 

7. I sistemi per la scelta del contraente privato

   Per il trasferimento di tecnologia dalla ricerca pubblica al mondo delle imprese si pongono due questioni delicate: le modalità per la scelta dell’impresa beneficiaria della tecnologia, nonché il tipo di rapporto da instaurare con essa.
   Qualsiasi rapporto si voglia instaurare, si tratta di una attività di diritto privato compiuta dall’università o da un centro pubblico di ricerca. Non esistono al riguardo norme apposite, ma il problema rientra in quello della stipulazione di contratti da parte della pubblica amministrazione, la quale è tenuta, in generale, ad osservare un procedimento per la scelta del contraente privato.
   Più precisamente, la stipulazione del contratto, soggetto al diritto privato, è preceduta da una fase preliminare, regolata dal diritto amministrativo. Si parla perciò di contratti ad evidenza pubblica.
    A tal fine è necessario che l’ente adotti preliminarmente un atto, in cui enunci l’intento di disporre in un certo modo (nel caso specifico, disporre di una propria tecnologia), spiegando le ragioni che giustificano la stipulazione di un contratto, piuttosto che un altro, nonché del criterio per la preferenza tra i vari possibili contraenti (prezzo più conveniente o offerta economicamente più vantaggiosa). Talvolta, questa fase è seguita da un sub-procedimento, volto a determinare tempi e modalità concredte per l’oggetto del contratto; per comprenderci, nella realizzazione delle opere pubbliche, questo sub-procedimento comprende la progettazione dell’opera.
   C’è poi la scelta vera e propria del contraente privato, scelta che, salvo una speciale regolamentazione per settori particolari (regolamentazione che manca nel nostro caso), può avvenire con tre principali sistemi:
• asta pubblica
• licitazione privata
• appalto concorso.
   C’è una fondamentale dicotomia tra il primo sistema, da un lato, e gli altri due, dall’altro. Infatti solo con l’asta pubblica il contraente è scelto tra qualunque soggetto interessato, sia pure individuato tra coloro che siano in possesso di determinate caratteristiche; mentre con gli altri due sistemi la scelta è compiuta solo tra i soggetti invitati dall’ente.
   La particolarità del trasferimento di tecnologia rende di difficile applicazione il sistema dell’asta pubblica, cui si può ricorrere nei soli casi in cui sia indifferente per l’ente stipulare con un soggetto piuttosto che un altro. Ciò si verificherà quando l’università o il centro pubblico di ricerca intendono cedere un brevetto ovvero concederlo in licenza, al solo di fine di monetizzare il valore del brevetto, senza avere un interesse ai modi del suo sfruttamento.
   Al di fuori di queste situazioni, si dovrà seguire una procedura ristretta, ovvero tra imprese scelte, sia pure in una rosa abbastanza ampia, dall’ente. Delle due procedure sopra indicate, una (la licitazione privata) può essere seguita quando si sollecita la presentazione di offerte tra le quali scegliere quella preferibile, sulla base del criterio previamente determinato; mentre l’altra (l’appalto concorso) va seguita quando si chiede al contraente privato di presentare un progetto dettagliato in ordine all’oggetto del contratto.
   La natura pubblica dell’università o del centro di ricerca esclude che, almeno normalmente, si possa seguire la mera trattativa privata, senza possibilità di confrontare le offerte dei possibili interessati. In tal modo il diritto di esclusiva, proprio dei diritti di proprietà intellettuale, si fa strumento di concorrenza, mettendo in lizza le imprese interessate a sfruttarlo nel modo più conveniente.

 

8. Particolari soluzioni normative ed indicazioni per la ricerca pubblica

   Sulla base di quanto esposto è chiaro come i sistemi tradizionali per la scelta dei contraenti privati siano stati pensati per altre situazioni, quali l’acquisto o la cessione di beni o la realizzazione di opere pubbliche, e non sembrano adattarsi bene ad un rapporto, quale la costituzione di uno spin-off, abbastanza complesso. Occorre allora estendere l’attenzione anche ad altre soluzioni normative.
   Una ipotesi è presente nel settore delle partecipazioni pubbliche e, più precisamente, dell’affidamento di servizi pubblici. Le forme attuali di affidamento sono ora  le seguenti tre: 
   a)  la gara pubblica per la scelta del gestore;
   b)  la scelta del socio privato da associare nella gestione (la cosiddetta partnership pubblico-privato);
   c) la società a totale partecipazione pubblica, società che risponda a due  requisiti o condizioni: che il socio od i soci esercitino sulla società controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che realizzi a parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano. In quest’ultimo caso si parla, secondo la terminologia della giurisprudenza comunitaria, di sistema in house providing.
   Un’altra ipotesi si trova nella nuova disciplina per la realizzazione di opere pubbliche. Infatti, la cosiddetta “Merloni ter” (legge 415/1998 che ha aggiunto nella legge-quadro gli articoli da 37-bis a 37-novies) prevede che un privato (adeguatamente qualificato) possa presentare una proposta dettagliata avente ad oggetto l’esecuzione e la gestione di un intervento già inserito dall’amministrazione nella propria programmazione; tale proposta è sottoposta ad una valutazione dell’amministrazione e, qualora la valutazione sia positiva, è posta a base di una gara per individuare, con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, il soggetto, o i soggetti, chiamati successivamente a competere con il promotore al fine di ottenere la concessione di costruzione e gestione dell’intervento proposto. In ogni caso – ed è questo l’aspetto più importante della nuova disposizione – il promotore ha un diritto di prelazione.
   Una ulteriore ipotesi è contenuta nella recente disciplina per gli appalti  di  lavori  pubblici concernenti i beni culturali (d. lgs 22 gennaio 2004, n. 30), ai quali non si applicano le regole generali degli appalti pubblici, quando i lavori sono realizzati mediante contratti di sponsorizzazione, a cura e spese dello sponsor.
   Da queste particolari soluzioni previste dal legislatore per la scelta del contraente in situazioni specifiche, ritengo di possano trarre indicazioni circa la questione qui esaminata, nel senso che, per il trasferimento di tecnologia dalla ricerca pubblica alle imprese (sia con un semplice atto dispositivo, sia con un rapporto più complesso, qual è lo spin-off), comunque vanno seguite procedure di evidenza pubblica, adattandole – non già eludendole – alla particolarità dell’operazione da compiere in partnership con i privati.
   Semmai, per le università ed i centri pubblici di ricerca è opportuno che ciascuno di questi enti formuli, a monte della scelta del contraente privato nelle singole ipotesi, una programmazione della propria attività, prevedendo anche le modalità di sfruttamento dei risultati della ricerca: non solo per gli aspetti procedurali, ma soprattutto per il merito, predisponendo come una sorta di business plan, nel quale siano previste le modalità per lo sbocco della ricerca nel mercato ed i criteri di individuazione del partner privato. Inoltre, occorre che tali enti regolino il rapporto con i propri ricercatori sulla base di piani di ricerca, disponendo circa la collocazione degli stessi ricercatori nei possibili sbocchi sul mercato. Occorre, altresì, che le convenzioni di ricerca stipulate dalle università o dai centri di ricerca con le imprese, nonché le commesse ricevute da queste ultime, contengano disposizioni specifiche circa le modalità di sfruttamento per i risultati conseguiti con la stessa ricerca o commessa.
   Inoltre, la scelta del partner privato, tra i possibili interessati, implica che si dia a questi ultimi il modo di conoscere e valutare la tecnologia (brevetti, know-how) che si intende sfruttare imprenditorialmente. Data l’importanza che riveste quel genere di informazioni, l’università o il centro di ricerca devono richiedere ai possibili partners un impegno di riservatezza prima di fornire loro informazioni specifiche; al riguardo è opportuno che i dati della ricerca siano messi a disposizione di tutti e nella medesima misura, attraverso data room appositamente predisposte nell’ambito della procedura di evidenza pubblica, perché anche sotto questo profilo si manifesta il principio di concorrenza.

 

9. Forme giuridiche per la partnership pubblico-privato

   Per il passaggio di tecnologie, unitamente ad attrezzature e personale, dalla ricerca pubblica alle imprese, operazione che viene solitamente definita come spin-off – universitario, se vi partecipa l’università (o il centro di ricerca), o accademico, se vi partecipano solo i ricercatori interessati – non esiste una specifica forma giuridica. Infatti, tale operazione può realizzarsi come una associazione in partecipazione, come un consorzio tra enti o come una semplice convenzione; tuttavia, più frequentemente, essa si realizza come conferimento di beni in una società già esistente ovvero di nuova costituzione, solitamente di capitali (spin-off company).
   Circa il tipo societario utilizzabile per gli spin-off, si può soltanto ricordare che l’università o il centro pubblico di ricerca devono evitare che la loro partecipazione nella società dia luogo ad una responsabilità illimitata. Va segnalato che la recente riforma delle società di capitali (d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 6) ha offerto nuove opportunità, non solo perché prevede la responsabilità limitata dell’unico socio sia di s.p.a. sia di s.r.l. (purché siano osservate determinate prescrizioni), ma anche perché consente, tra l’altro, la partecipazione al capitale in misura non proporzionale ai conferimenti (artt. 2346, 4° c., e 2468, 2° c., cod. civ.), nonché nelle società per azioni la costituzione di patrimoni separati, destinati in via esclusiva ad uno specifico affare (art. 2447-bis ss. cod. civ.): è possibile perciò che l’ente pubblico ottenga, nella società risultante dallo spin-off, una partecipazione al capitale superiore alla misura del conferimento effettuato, per tener conto di apporti non conferibili (la prestazione d’opera o di servizi non è suscettibile di conferimento nelle s.p.a.) oppure ottenga, nelle società per azioni, di partecipare allo specifico affare nel quale viene sfruttata la tecnologia apportata nell’impresa.
   Ho parlato di possibilità e di opportunità per l’università o il centro pubblico di ricerca in un duplice senso: infatti, questi enti devono trovare un accordo, da un lato, con i ricercatori, che siano titolari dei diritti di sfruttamento della tecnologia o siano essenziali per la realizzazione del medesimo sfruttamento, e, dall’altro, con il partner o i partners privati. Ciò implica una fase preliminare di negoziazione dell’accordo con tutti i possibili soggetti interessati, negoziazione che deve vedere l’ente pubblico come regista dell’operazione, in vista della finalità pubblica di contribuire allo sviluppo dell’economia e dell’occupazione, ma non necessariamente nella posizione di proponente (tale posizione solitamente è assunta dal soggetto privato oppure dai ricercatori interessati all’iniziativa).
   Inoltre, l’ente pubblico deve decidere se partecipare in misura maggioritaria o minoritaria alla iniziativa. Personalmente ritengo che non possa porsi come regola generale quella, presente in molti regolamenti di università e secondo la quale quest’ultima non deve avere una quota di capitale superiore al 10%. Quel che importa è che l’impegno economico dell’università (o del centro di ricerca) non sia eccessivamente elevato e soprattutto sia ben determinato nel suo tetto massimo; è possibile, tuttavia, che gli appporti dell’ente pubblico consistano in beni in natura (brevetti, know-how, attrezzature: è opportuno che le parti raggiungano un accordo preventivo circa la valutazione di tali beni) e, se si tratta di una s.r.l., anche in prestazioni d’opera o di servizi, senza che occorra sminuire eccessivamente la misura della partecipazione sociale dell’ente pubblico.

 

10. Patti parasociali e clausole convenzionali

   Pur non esistendo una tipizzazione giuridica degli spin-off, questi per molti versi presentano affinità con un’altra operazione imprenditoriale, ugualmente atipica, ma che presenta una maggiore tradizione. Mi riferisco alle joint ventures, con le quali più imprenditori collaborano tra loro, mantenendo ciascuno la propria autonomia, per mettere insieme beni, capitali e capacità tecniche per la realizzazione di una iniziativa comune, solitamente complessa. Orbene dall’esperienza delle joint ventures, anche in Italia, si possono trarre utili indicazione sulla regolamentazione pattizia degli spin-off, in particolare, per l’esigenza di fissare in patti parasociali la posizione di ciascuna parte, secondo i seguenti criteri:

• nomina degli organi sociali: riservare un certo numero di amministratori all’università o al centro di ricerca; riservare a questi ultimi la nomina della maggioranza dei componenti negli organi di controllo;
• gestione operativa attribuita, con la relativa responsabilità, al partner privato e con ampi poteri di controllo al socio pubblico;
business plan predisposto preventivamente, con previsione della occupazione lavorativa minima e dei rapporti con i ricercatori;
• vie d’uscita dall’iniziativa per l’università o il centro di ricerca: ad esempio, con l’obbligo del partner privato di acquistare la partecipazione dopo una certa data;
• criteri pretederminati per la valutazione della partecipazione al momento della cessione: ad esempio con una clausola di c.d. di earn-out (sulla base della performance della società o altro);
• corrispettivi per l’utilizzazione di attrezzature o servizi dell’università o del centro di ricerca.

   Una caratteristica degli spin-off è di contribuire efficacemente, non solo allo sfruttamento della ricerca ed all’avvio di nuove attività imprenditoriali, ma pure allo sviluppo economico e sociale. In questa prospettiva non è irrilevante per la stessa impresa, anche ai fini del suo successo, essere scaturita da uno spin-off universitario o accademico. Per questo l’università o il centro di ricerca dovranno prevedere che l’impresa utilizzi per un certo periodo di tempo il marchio dell’ente pubblico (o un marchio apposito per le spin-off companies), secondo un accordo di licenza, a titolo gratuito o a pagamento. Infatti, tale marchio, seppure non si può garantire il buon esito dell’iniziativa economica, esprime serietà ed affidabilità nell’applicazione imprenditoriale dell’innovazione, dato il vaglio che l’ente pubblico deve effettuare prima di avviare l’iniziativa.
   Per fare in modo che tutto ciò si realizzi, con soddisfazione di tutte le parti interessate, occorre che la missione dell’università o del centro pubblico di ricerca si allarghi per comprendere, oltre alla ricerca in sé, anche lo sviluppo dell’economia e dell’occupazione, in generale ed in ambito locale. Questa finalità va perciò considerata come una funzione non secondaria che la ricerca scientifica deve perseguire per meritare la tutela ad essa assegnata – tra i princìpi fondamentali del nostro ordinamento giuridico – dalla nostra Costituzione (art. 9).

 

* Intervento svolto nel seminario “Invenzioni e tecnologia”, organizzato presso l’Università degli Studi Roma Tre nel marzo 2003

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