il diritto commerciale d’oggi
    III.3 – marzo 2004
STUDÎ E COMMENTI

RANIERI RAZZANTE

Le nuove regole contro il riciclaggio

 

     Il Consiglio dei Ministri del 13 febbraio ha posto fine al tormentato iter legislativo del recepimento, in Italia, della direttiva europea 2001/97/CE, a sua volta modificativa di quella del 1991 (1).
     Pur essendo l’entrata in vigore delle nuove regole subordinata al loro recepimento da parte di alcuni regolamenti ministeriali da emanarsi entro 240 giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, per quanto concerne i nuovi soggetti obbligati al rispetto della legge n. 197/1991, si possono provare a tracciare le linee guida della nuova regolamentazione.
     Viene intanto ad essere rinforzata la congerie di strumenti di contrasto del reato, vi è un aumento delle pene (anche per le violazioni cosiddette amministrative), vi è un allargamento notevole della platea dei soggetti obbligati, vi sono norme di non poco momento in materia di strumenti monetari.
     A chi critica il provvedimento e la normativa antiriciclaggio in generale, è forse opportuno rammentare, in premessa, che chi “ricicla” denaro o ricchezze di origine illecita le occulta a chi le ha sottratte, al fisco, alle Autorità, guadagnando sia dall’operazione in sé (l’impunità sul reato commesso, e che ha dato origine ai proventi oggetto di riciclaggio) sia dal successivo “lavaggio” della ricchezza illegalmente conseguita, impiegata in operazioni economico-finanziarie all’apparenza perfette, ma che nascondono una infinità di pericoli per chi le subisce, soprattutto involontariamente. Le cronache giudiziarie recenti, legate a note vicende di frodi fiscali e finanziarie da parte di grossi gruppi industriali italiani e non solo, confermano nella maniera più eloquente questa impostazione metodologica di approccio alla materia.
     Si tenga presente che la stessa direttiva europea oggi recepita fornisce, all’articolo 1, comma 1, lettera e), una definizione di “attività criminosa”, questa volta molto più vasta e completa rispetto alla direttiva del 1991, quasi a prendere atto che il menoma del crimine è cambiato e che i presupposti per creare riciclaggio si sono - all’evidenza - moltiplicati.
     Infatti si parla di “qualsiasi tipo di coinvolgimento criminale nella perpetrazione di un reato grave”, laddove per “grave” viene ritenuto un reato che rientri nell’elenco ivi indicato (2).
     È bene ribadire altresì, onde sgombrare il campo da qualsiasi dubbio che, più o meno artificiosamente, viene insinuato da parte degli operatori o di taluna dottrina, piuttosto che in sede di difesa processuale a fronte di operazioni sospette non segnalate (da chi vi è tenuto, per l’appunto) alle Autorità competenti, che nemmeno questo provvedimento richiede l’assunzione di obblighi di natura inquirente ai nuovi soggetti obbligati, ma svolge, o quanto meno riteniamo sia questa l’intenzione del legislatore comunitario, una consistente e quanto mai attuale opera di “persuasione morale” nei confronti di tutti i soggetti, finanziari e non, i quali possano in qualche modo contribuire al contrasto del fenomeno del riciclaggio.
     L’elenco dei soggetti obbligati all’osservanza della direttiva citata, e del decreto in commento, è corposo, e riteniamo utile riassumerlo qui di seguito, con l’aggiornamento a tutt’oggi.

- enti creditizi;
- revisori e società di revisione, contabili esterni e consulenti tributari;
- agenti immobiliari;
- notai e altri liberi professionisti legali, quando prestano la loro opera assistendo i loro clienti nella progettazione o nella realizzazione di operazioni riguardanti: 1) l’acquisto e la vendita di beni immobili o imprese commerciali - 2) la gestione di denaro, strumenti finanziari o altri beni dei clienti - 3) l’apertura o la gestione di conti bancari, libretti di deposito e conti di titoli - 4) l’organizzazione degli apporti necessari alla costituzione, gestione o amministrazione di società - 5) la costituzione, gestione o amministrazione di trust, società o strutture analoghe - 6) l’agire in nome e per conto dei clienti in una qualsiasi operazione finanziaria o immobiliare;
- commercianti di oggetti di valore elevato quali pietre o metalli preziosi o opere d’arte e case d’asta, ogniqualvolta il pagamento sia effettuato in contanti e per un importo pari o superiore a quindicimila euro;
- case da gioco;
- società fiduciarie;
- sim;
- sgr;
- imprese assicurative;
- poste italiane;
- istituti di moneta elettronica;
- sicav;
- società di riscossione tributi;
- intermediari finanziari iscritti negli albi di cui agli artt. 106 e 107 TUB;
- soggetti operanti nel settore finanziario di cui agli artt. 113 e 155 TUB;
- società di recupero crediti;
- società di trasporto valori;
- mediatori creditizi;
- agenzie in attività finanziaria;
- promotori finanziari;
- consulenti del lavoro;
- enti della pubblica amministrazione che effettuino movimentazioni di denaro (3).

     La vera, spinosa novità del nuovo decreto consiste, senza ombra di dubbio, nella estensione dell’obbligo di segnalare operazioni “sospette”, rispettando la riservatezza (ossia tutte le cautele previste dall’art. 3-bis della legge n. 197/1991) e ponendo in essere procedure ad hoc per l’occorrenza.
     I soggetti, in sintesi, obbligati alla segnalazione di operazioni sospette sono:

- le società concessionarie della riscossione dei tributi;
- le società di revisione e revisori contabili, i dottori e ragionieri commercialisti, i notai ed avvocati, i consulenti del lavoro;
- le società di gestione accentrata di strumenti finanziari (es. Monte Titoli);
- le società di gestione di mercati (es. Borsa Italiana Spa);
- gli uffici della pubblica amministrazione;
- i soggetti previsti dal d. lgs. n. 374/1999 (case d’asta, case da gioco, commercianti in oro e preziosi, agenti immobiliari, agenti in attività finanziaria, attività di custodia e trasporto valori, recupero crediti, mediatori creditizi).

     Per quanto concerne i liberi professionisti interessati dalle nuove regole e, soprattutto, per alcuni (i notai e gli avvocati), si pongono problemi operativi, anche se il campo di applicazione della norma sull’identificazione della clientela e sulla segnalazione di eventuali operazioni sospette è limitato, come abbiamo visto, a determinate operazioni (trasferimento di immobili e attività economiche, gestione di denaro e strumenti finanziari, apertura o gestione di conti e depositi bancari, organizzazione di apporti per costituire, gestire ovvero amministrare società, e lo stesso compimento di queste ultime operazioni).
     Non vi è infatti dubbio circa l’impatto che la normativa regolamentare dovrà necessariamente produrre sui rapporti di diritto privato (mandato) con i professionisti e, vieppiù, con i clienti-società, tanto più che i liberi professionisti medesimi potranno non segnalare operazioni sospette se le notizie in loro possesso vengono acquisite “nel corso dell’esame della posizione giuridica del loro cliente o dell’espletamento dei compiti di difesa o di rappresentanza del medesimo in un procedimento giudiziario o in relazione a tale procedimento, compresa la consulenza sull’eventualità di intentare o evitare un procedimento”. Formula vaga, ampia, dubbia, che lascerà inevitabilmente spazi amplissimi, come abbiamo già detto in altre occasioni (4), per interpretazioni “a soggetto” delle discriminanti appena elencate.
     Esaminare infatti la posizione giuridica di un cliente è atto sempre dovuto e propedeutico a qualsivoglia procedimento o consulenza, per cui ciò parrebbe vanificare l’obbligo in parola.
     Se poi i nuovi soggetti obbligati hanno un collegio sindacale, a quest’ultimo viene estesa la responsabilità come prevista dall’art. 10 della legge n. 197/1991, nel momento in cui i suoi membri non diano notizia al Tesoro di infrazioni alla normativa stessa (disposizione oggi applicabile solo agli intermediari finanziari).
     In quest’ultima ipotesi, ci si chiede se si parli di organi di controllo genericamente intesi, dato che, come noto, la riforma del diritto societario ne modifica profondamente la fisionomia.
     Vi sono, poi, nuovi soggetti “abilitati” rispetto al passato.
     Infatti, l’art. 4 del nuovo decreto conferisce l’abilitazione ad effettuare operazioni di trasferimento di denaro e mezzi di pagamento (come stabilisce l’art. 1 della legge n. 197/1991) anche alle società di riscossione dei tributi e agli istituti di moneta elettronica (5).

I soggetti “abilitati alle movimentazioni di contante e titoli sopra i 12.500 euro complessivi”:
- banche;
- poste;
- sim;
- sicav;
- sgr;
- imel;
- assicurazioni;
- agenti di cambio;
- società fiduciarie;
- concessionarie dei tributi.


Obblighi di identificazione e registrazione
     A tutti i soggetti sopra elencati si applicano del pari gli obblighi di identificare e censire la clientela, ma con forme e modalità che verranno stabilite con decreto del Ministero dell’Economia, sentiti l’UIC e le competenti autorità e amministrazioni, entro 240 giorni dall’entrata in vigore del decreto.
     Il legislatore delegato dovrebbe, è auspicabile, rendere quanto più possibile semplici siffatti obblighi, ad esempio con la previsione della tenuta di appositi registri cartacei - scartando, mi auguro, la tenuta dell’Archivio Unico Informatico (6), costosa e complessa per chi non è intermediario - e chiarire indefettibilmente quali informazioni andranno acquisite da chi dovrà procedere alle identificazioni (anagrafiche) (7).
     Per le case da gioco, viene innalzata a 1500 (dai 1000 della precedente versione del decreto in commento) euro la soglia oltre la quale scatta l’identificazione obbligatoria del prenditore di fiches.
Libretti di deposito bancario e postali al portatore.
     Come noto, i libretti bancari e postali di importo superiore ai 12500 euro, da chiunque posseduti (persone fisiche o giuridiche) non si potevano che tenere nominativi, come prevede l’art. 1, comma 2-bis, della legge n. 197/1991.
     La nuova disposizione, contenuta nell’art. 6 del decreto, stabilisce una data e una sanzione (prima non previste) per porre fine al fenomeno dei libretti al portatore: difatti, chi non li estinguerà (o ricondurrà entro la soglia, se superiori ai 12500 euro) entro il 31 gennaio 2005, si vedrà applicare una sanzione amministrativa pecuniaria fino al 20% del saldo (se quest’ultimo non supera i 250 mila euro) o tra il 20 e il 40% se detto saldo supera i 250 mila euro.
     Una disposizione importante, ma che sarebbe stata ancora più efficace, a parere di chi scrive, se si fosse colta l’occasione per sancire l’abolizione totale dei suddetti titoli al portatore, quantomeno a fini antiriciclaggio.
     Si pone, poi, sempre il problema degli altri titoli al portatore, come i certificati di deposito, dei quali il decreto non fa menzione.
     Ciò andiamo affermando da tempo, proprio perché la normativa, all’art. 1 - intitolato per l’appunto “limitazioni all’utilizzo del contante e dei titoli al portatore” - intendeva (e intende) circoscrivere al massimo l’utilizzo di strumenti che, per antonomasia, si prestano a riciclaggio.
     E l’abolizione della possibilità di emetterli, ancorché solo a fini antiriciclaggio, non costituirebbe, a parer nostro, che una limitazione alla libertà del cittadino opportunamente giustificata da esigenze, come in questo caso, di ordine e sicurezza pubblica.

Le sanzioni
     Nella parte dedicata alle sanzioni, contenute nell’art. 5 della legge antiriciclaggio, va rimarcata una sostanziale modifica apportata dal decreto: vi si pongono i limiti inferiori, prima non presenti, e ciò al fine di consentire l’oblazione, ai sensi dell’art. 16 della legge n. 689 del 1981 (8).
     Particolari sanzioni vengono stabilite, o inasprite, nel caso delle violazioni agli obblighi che potremmo definire di “collaborazione attiva”, sulla scorta di quanto chiedono le Autorità. Si ribadisce (art. 8, comma 1), l’importanza dei sistemi di controllo interno e della formazione di dipendenti e collaboratori. Quest’ultima è un’altra delle disposizioni che evidentemente interfacciano le norme societarie e, per chi le ha, quelle speciali attinenti la vigilanza.

“Le principali sanzioni”
1) Omessa segnalazione operazione sospetta: pecuniaria, dal 5 fino al 50% dell’importo non segnalato;
2) Mancato rispetto norme sugli assegni e trasferimenti denaro: pecuniaria, dall’1 al 40% dell’importo dell’operazione;
3) Mancato assoggettamento dei libretti di deposito fino a 250.000 euro alla nuova limitazione: pecuniaria, fino al 20% del saldo;
4) Mancato assoggettamento dei libretti di deposito sopra i 250.000 euro alla nuova limitazione: pecuniaria, dal 20% al 40% del saldo;
5) Omessa comunicazione da parte del collegio sindacale delle irregolarità riscontrate nelle procedure antiriciclaggio aziendali: penale, con reclusione fino a un anno e multa da euro 103,29 a euro 1032,91.

     È forse bene ricordare che la presa d’atto di queste disposizioni comunitarie da parte del Governo assume una valenza particolare in questo momento storico, dato che il riciclaggio di denaro sporco è la linfa che alimenta i circuiti malavitosi sia di stampo mafioso che terroristico.
     Un problema che la direttiva recepita non risolve (e resta un quesito inevaso), è quello di una maggiore tutela della riservatezza di coloro che segnalano operazioni cosiddette “sospette”.
     Si poteva forse indugiare di più (si è persa una buona occasione) sugli strumenti da porre a presidio (e ad incentivo) degli operatori che devono ottemperare agli obblighi di identificazione, registrazione e segnalazione di tutte le operazioni finanziarie di un certo tipo (9).
     Pare opportuno rammentare, in conclusione, che la segnalazione di sospetti dovrà fondarsi su anomalie concrete e riscontrabili sui comportamenti della clientela, giammai su congetture che non trovino un riscontro in atti e comportamenti documentabili o documentati.


NOTE

     (1) Per approfondimenti sulla normativa ancora vigente, si veda il nostro La normativa antiriciclaggio in Italia, Giappichelli, Torino, 1999, ristampa 2000.

     (2) Si tratta, in buona sostanza, di tutti i reati in qualche modo connessi a quelli di criminalità organizzata o notoriamente propedeutici al riciclaggio, con l’aggiunta esplicita della frode, della corruzione e di una interessante formula di chiusura, la quale contempla quei reati che possano “fruttare consistenti proventi” e siano punibili “con una severa pena detentiva in base al diritto penale dello Stato membro”.

     (3) Categoria, questa, ancora da chiarire nella sua entità sia concettuale che numerica, attendendo i pronunciamenti del Ministero dell’Economia in sede, magari, di predisposizione dei decreti attuativi.

     (4) Si veda la memoria prodotta da chi scrive su richiesta della Commissione Finanze della Camera dei Deputati (Atto Camera n. 292).

     (5) In poche parole, significa che attraverso uno dei soggetti indicati nella tabella si possono compiere movimentazioni di denaro e mezzi di pagamento superiori ai 12.500 euro senza violare il divieto di cui all’art. 1 della legge antiriciclaggio; con qualsiasi altro soggetti questi movimenti si ponessero in essere, si incorrerebbe in sanzione.

     (6) Si tratta dell’archivio previsto dall’art. 2 della legge n. 197/1991, che gli intermediari finanziari, dopo un periodo di transizione in cui si sono avvalsi di forme cartacee, hanno trasformato in un “software” gestionale in grado di registrare in automatico le operazioni ed i rapporti rientranti nel campo di applicazione della legge. La tenuta informatica potrebbe, forse, essere prevista come “facoltativa”, cosa che ad oggi, lo ricordiamo, non è per gli intermediari già obbligati.

     (7) Sul concetto di “identificazione” a fini antiriciclaggio ci si consenta di rinviare al nostro Il nuovo decalogo della Banca d’Italia contro le operazioni sospette, in Dir. ban. mer. fin., n. 2/2001, pag. 92.

     (8) Per questo aspetto si rinvia, tra i tanti, a Toscano-Razzante, Il segreto bancario nelle indagini tributarie e antiriciclaggio, Giuffrè, Milano, 2002.

     (9) L’attuazione dell’Anagrafe dei conti e dei depositi, prevista nella legge n. 413/1991 e nella 507/2000, e mai avvenuta, è quanto mai auspicabile, soprattutto in questo momento storico.

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