1. Premessa
Con i Decreti Legislativi n° 6/2003 (“Riforma organica della disciplina delle Società di Capitali e Società Cooperative”) e n° 5/2003 (“Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia”), entrambi in attuazione della legge delega del 3 ottobre 2001, n° 366 si completa (1) la riforma del nostro diritto societario, iniziata con l’emanazione del “Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria” (Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n° 58).
L’intervento riformatore del Legislatore delegato si è dispiegato a tutto campo e non è questa la sede per esaminare, neppure per sommi capi, i temi, numerosi ed assai eterogenei tra loro, sui quali il Decreto Legislativo n° 6/2003 va ad incidere: il presente lavoro infatti si pone un più limitato obiettivo, quello di esaminare l’impatto della riforma sul peculiare istituto della procedura “semplificata” di fusione, che, nell’attesa dell’entrata in vigore delle nuove disposizioni, trova cittadinanza nel sistema attraverso l’art. 2504-quinquies cod. civ.
Un’accurata disamina delle novità introdotte in tema di “fusione semplificata” non può prescindere da più generali considerazioni preliminari sugli impatti generati dall’intervento riformatore sulla disciplina delle operazioni di fusione.
Solamente avendo ben presenti i principi ed i criteri che hanno ispirato gli estensori delle nuove disposizioni in tema di fusione “tradizionale” si potranno leggere, interpretare e commentare le innovazioni apportate al procedimento “semplificato” di fusione.
A fronte di quanto stabilito dall’art. 7, comma 1, lett. a) della Legge Delega n° 366/2001 – che disponeva testualmente: “La riforma della disciplina della trasformazione, fusione e scissione è ispirata ai seguenti principi e criteri direttivi: semplificare e precisare il procedimento, nel rispetto, per quanto concerne le Società di Capitali, delle Direttive Comunitarie” (2” , stante la necessità di coniugare intenti semplificatori e vincoli di derivazione comunitaria (3), il Legislatore Delegato ha ritenuto di operare su due livelli: “da un lato, per quanto riguarda le fusioni cui partecipano società il cui capitale è rappresentato da azioni (alla quale si applicano le previsioni della Direttiva Comunitaria) sfruttando, al fine di semplificare e precisare il procedimento, taluni margini consentiti dalla Direttiva stessa e non “sfruttati” dal Decreto Legislativo 16 gennaio 1991, n° 22; dall’altro lato, per quanto riguarda le fusioni cui, invece, non partecipano società il cui capitale è rappresentato da azioni, derogando altresì a talune indicazioni previste come tassative dalla Direttiva stessa” (4).
È subito da dire che, sebbene in molteplici occasioni sia stato rilevato come la genericità della formulazione del principio e del criterio direttivo posto dall’art. 7 della Legge Delega, al pari di altri, sia “al limite dell’osservanza del precetto costituzionale (art. 76)” (5), per quanto concerne gli interventi sul procedimento di fusione la necessità di rispettare i vincoli posti dalla Direttiva Europea ha rappresentato per il legislatore delegato un argine ben più consistente del vincolo di delega alla sua attività di normazione.
“Semplificazione”: pare dunque essere questa la parola chiave attraverso cui leggere l’intervento riformatore, l’obiettivo tendenziale perseguito con costanza dal legislatore delegato nel ridisegnare la disciplina delle operazioni straordinarie.
Tale esigenza di semplificazione ci pare giustificata alla luce della considerazione che essendo le fusioni, al pari delle altre operazioni straordinarie, strumenti privilegiati per addivenire alla razionalizzazione dell’attività societaria, la riduzione, per quanto possibile, degli “oneri” – economici e procedurali – connessi con l’articolata scansione del procedimento imposta dai precetti comunitari consenta di accentuare la competitività delle imprese italiane sul mercato internazionale.
Nel prosieguo del lavoro, con specifico riferimento all’istituto del procedimento “semplificato” di fusione, si cercherà di capire innanzitutto, attraverso un accurato esame della nuova disciplina, se il legislatore della riforma abbia “centrato” l’obiettivo prefissatogli dalla legge delega; non tralasceremo ovviamente di esaminare i dubbi ed i problemi interpretativi che già, nell’attesa che le novellate disposizioni entrino in vigore, taluni studiosi hanno evidenziato commentando le norme di nuovo conio, né ci esimeremo dal lanciare uno sguardo al passato, per capire se le incertezze e le querelle che hanno affaticato la dottrina relativamente a specifici profili del tema in questione, possano, grazie alla riforma, dirsi superate e risolte.2. L’attuale formulazione dell’art. 2504-quinquies cod. civ.
Come anticipato in sede di considerazioni preliminari, la procedura “semplificata” di fusione trova attualmente cittadinanza nel sistema attraverso l’art. 2504-quinquies cod. civ., che dispone testualmente: “Alla fusione per incorporazione di una società in un’altra che possiede tutte le azioni o le quote della prima non si applicano le disposizioni dell’art. 2501-bis, primo comma, numeri 3), 4) e 5) e degli artt. 2501-quater e 2501-quinquies”.
È opinione largamente condivisa quella secondo cui la procedura semplificativa non consente di identificare una fattispecie di fusione nuova rispetto a quella di derivazione comunitaria; piuttosto la norma è il portato di un principio di economia procedurale che vuole la disapplicazione di certe regole laddove particolari circostanze le rendono inutili, non necessarie o addirittura inapplicabili.
Nella fattispecie in questione la circostanza è quella del possesso da parte della società incorporante di tutte le azioni o quote della società incorporata, fatto che comporta la non alterazione in conseguenza della fusione delle reciproche relazioni di partecipazione dei soci della società incorporante, e quindi il venir meno della necessità di fissare un rapporto di cambio e di conseguenza la superfluità delle norme che lo prevedono e lo disciplinano, ivi comprese quelle sulle relazioni degli amministratori e degli esperti.
Del resto, anche anteriormente all’introduzione dell’art. 2504-quinquies, la dottrina più attenta, muovendo dalla considerazione che nella fusione per incorporazione di una società interamente posseduta fosse necessario procedere all’annullamento della partecipazione detenuta dall’incorporante nell’incorporata, avevano negato in quell’ipotesi l’obbligatorietà della determinazione del rapporto d cambio e dell’applicazione delle norme ad essa relative.
Ci pare opportuno esaminare ora, sul presupposto che il primo comma della norma di nuovo conio riproduce sostanzialmente quanto già disposto dall’art. 2504-quinquies, quali siano i benefici, in termini di semplificazione del procedimento, di cui si gode laddove vi siano le condizioni per addivenire ad una fusione attraverso la procedura semplificata.
Quando la società incorporante possiede tutte le azioni o le quote della società incorporanda o, come si avrà modo di vedere assai più dettagliatamente in seguito, si versi in situazioni alle quali la norma medesima si possa analogicamente applicare, l’articolato e costoso procedimento di fusione “tradizionale” viene sensibilmente semplificato: dal progetto di fusione, primariamente, non devono risultare il rapporto di cambio delle azioni o quote, le modalità di assegnazione delle azioni o delle quote della società incorporante, la data dalla quale tali azioni o quote partecipano agli utili (art. 2501-bis, primo comma, numeri 3, 4 e 5).
In secondo luogo, non deve essere redatta da parte degli amministratori delle società partecipanti alla fusione la relazione illustrativa e giustificativa, sotto il profilo giuridico ed economico, del progetto di fusione e, in particolare, del rapporto di cambio (art. 2501-quater).
Infine, non deve essere redatta la relazione degli esperti, prevista dall’art. 2501-quinquies, circa la congruità del rapporto di cambio.
La ratio ispiratrice della norma è di agevole individuazione: laddove la fusione si realizzi attraverso l’incorporazione di una società controllata al 100% nella sua controllante, non essendovi pluralità di soci, non vi è necessità di determinare il rapporto di cambio e conseguentemente di incaricare un esperto per la redazione del parere sulla congruità dello stesso, né occorre redigere la relazione degli amministratori.
In particolare, come fa notare la dottrina più attenta, tale ultimo documento non occorre in quanto “la ragione giustificatrice della fusione, consistente nella semplificazione dell’organizzazione societaria è in sé evidente e ben conosciuta dalla società incorporante nel momento in cui voterà nell’assemblea della società controllata e destinata all’incorporazione per realizzare un progetto al quale essa è interessata, senza però che questo suo interesse si ponga in conflitto con quello della società controllata, perché anche questo, nella logica economica del gruppo in cui si iscrive, viene soddisfatto dalla fusione” (6).
“Il possesso totalitario del capitale sociale esclude infatti la presenza di soci di minoranza, per così dire, esterni al gruppo di comando e perciò particolarmente bisognosi di tutela, sul piano informativo e sostanziale” (7).
È da notare che il poter usufruire della procedura semplificata di fusione consente alle Società partecipanti anche un rilevante risparmio in termini di costi “amministrativi” (onorari da corrispondere agli esperti, fees da riconoscere alle Società di Revisione) del procedimento, stante la citata non necessità di incaricare uno o più esperti – per le società quotate su mercati regolamentati, necessariamente una Società di Revisione iscritta nell’apposito Albo – per la redazione della relazione sulla congruità del rapporto di cambio.
3. L’art. 2504-quinquies: dubbi interpretativi e problemi applicativi
Un intervento del Legislatore delegato era fortemente auspicato ed atteso dalla dottrina e dagli operatori, nella speranza che venissero finalmente dipanate le numerose incertezze, peraltro alimentate da una giurisprudenza ricca di orientamenti divergenti, che hanno accompagnato l’interpretazione dell’articolo di cui trattiamo.
Se la norma di nuovo conio sia in grado di fornire le risposte alle domande formulate a più riprese dai tecnici, lo si vedrà nel seguito del lavoro e non si vogliono qui anticiparne le conclusioni.
Nel decennio scorso è stata a lungo dibattuta la questione del carattere eccezionale della norma che si commenta e quindi la possibilità o meno di una sua applicazione analogica.
Oggi, quali che fossero gli orientamenti iniziali, l’evoluzione dottrinale e giurisprudenziale sembra essersi orientata ed attestata su un indirizzo interpretativo che va nel senso di considerare l’art. 2504-quinquies come norma di carattere eccezionale.
La più rilevante delle questioni dibattute riguarda pertanto l’ammissibilità del procedimento semplificato di fusione in fattispecie esulanti da quella espressamente considerata dall’art. 2504-quinquies, concernente, come abbiamo visto l’incorporazione di una società da parte della sua controllante totalitaria.
In dottrina si rinvengono due indirizzi principali: una parte, minoritaria, tra cui vi è chi sostiene che la disposizione può trovare applicazione soltanto nel caso esplicitamente previsto dall’articolo che si esamina (8) o, ancor più restrittivamente, che la procedura semplificata può attuarsi solo laddove le società partecipanti all’operazione siano del medesimo tipo, ritenendone pertanto impossibile l’applicabilità a fusioni tra società di capitali e società di persone (9).
Tale tesi ha trovato conforto in una pronuncia del Tribunale di Paola del 7 giugno 1994, secondo il quale, in considerazione del carattere eccezionale della norma in questione e come tale non applicabile fuori dei casi tassativamente previsti, “l’adozione della procedura semplificata di cui all’art. 2504-quinquies è esclusa quando, a seguito della fusione, si verifica un mutamento del patrimonio dell’incorporante, e ciò quand’anche i soci delle società partecipanti alla fusione siano i medesimi e le reciproche partecipazioni sociali restino immutate”.
Un’altra tesi, maggioritaria (10), ritiene invece di poter estendere l’applicabilità della procedura semplificata anche ad altre ipotesi non espressamente contemplate dal testo della norma, sulla scorta della Relazione ministeriale all’art. 16 del Decreto Legislativo 16 gennaio 1991, n° 22, che ha espressamente spiegato che “la cosiddetta procedura semplificata non costituisce una nuova forma di fusione, ma semplicemente una mancanza di diritto al cambio”.
La dottrina, spesso assecondata dalla giurisprudenza, ha individuato non pochi casi nei quali il procedimento semplificato può ricevere applicazione in via analogica; il primo di questi riguarda la fusione di società le cui compagini sociali siano composte dagli stessi soci, ciascuno dei quali sia titolare della medesima quota di partecipazione in tutte le società che si fondono: in tal caso non è configurabile la fissazione di un rapporto di cambio né appare necessaria la relazione degli esperti sul rapporto di cambio (11).
Un’ulteriore ipotesi è quella rappresentata da una fusione che coinvolga società partecipate tutte dallo stesso unico socio, che costituisce l’estrema semplificazione della fattispecie delineata in precedenza (12); si rinviene altresì una pronuncia della giurisprudenza di merito che interpreta “iperestensivamente” la norma di cui all’art. 2504-quinquies, ritenendola applicabile anche laddove il capitale sociale della società incorporanda sia posseduto per metà dall’incorporante e per l’altra metà dai soci di questa, nelle identiche proporzioni.
Ci sembra il caso soltanto di accennare ad ulteriori ipotesi alle quali la dottrina ha ritenuto applicabile la procedura “semplificata” di fusione:
– quando l’incorporante incorpori una società di cui detiene tutte le azioni, salvo quelle proprie detenute dall’incorporata ai sensi degli artt. 2357 e ss.;
– quando si realizzi, con un unico procedimento di fusione, l’incorporazione nella società Alfa della società Beta, interamente posseduta dall’incorporante, e della società Gamma, interamente posseduta da Beta;
– quando l’incorporante Alfa possieda soltanto una frazione del capitale dell’incorporata Beta, se la rimanente parte è posseduta da Gamma e Gamma, a sua volta, è interamente posseduta da Alfa, nella quale viene contestualmente fusa per incorporazione insieme a Beta (13).
Dottrina e giurisprudenza hanno variamente motivato gli orientamenti “liberali” e le interpretazioni estensive assunte.
Ci sembra tuttavia che la chiave di lettura del problema dell’applicabilità o non applicabilità estensivo-analogica della procedura semplificata a fattispecie esulanti da quella espressamente considerata dall’art. 2504-quinquies risieda nell’individuazione degli interessi che i documenti omessi – relazione degli amministratori e relazione sulla congruità del rapporto di cambio redatta da uno o più esperti – vanno a tutelare.
Se si dovesse giungere alla conclusione che i documenti omessi hanno come esclusiva finalità la tutela dei soci e non di altri “stakeholders” – ad esempio, dei creditori o dei terzi in generale – troverebbe allora conforto la tesi che sostiene l’applicabilità analogica anche al di là della fattispecie espressamente prevista.
Sul punto la dottrina appare divisa: vi è chi, aderendo agli orientamenti più tradizionali, ritiene che la relazione degli esperti sulla congruità del rapporto di cambio sia stata prevista tanto nell’interesse dei soci quanto nell’interesse dei terzi e possa pertanto venire omessa unicamente nei casi, previsti dalla legge, in cui non risulti alterato il rapporto proporzionale fra le partecipazioni originarie dei soci.
Ad ulteriore sostegno della tesi, vengono addotte anche considerazioni sul piano procedurale (14).
La dottrina maggioritaria propende invece per la tesi che vede i documenti omessi posti ad esclusiva tutela degli interessi dei soci, in primaria considerazione del fatto che il dossier informativo introdotto dal Decreto Legislativo 22/1991 ha la funzione precipua di fornire la più ampia e dettagliata informazione possibile ai soci e che quindi possano essere i soci stessi, ricorrendone i presupposti, a rinunciare a parte di detto dossier.
Tale dottrina ritiene che, essendo lo scopo delle due relazioni quello di fornire ai soci informazioni ampie e dettagliate sul rapporto di cambio, non si vede quale pregiudizio possa derivare ai creditori sociali ed ai terzi in genere dall’omissione di tali relazioni (15).
A parere di chi scrive, è questa seconda la tesi da condividere, sulla base di due considerazioni: la prima, che la tutela dei creditori sociali è assicurata dallo strumento dell’opposizione alla fusione di cui all’art. 2503 cod. civ.; la seconda, che i soci delle società partecipanti, al momento dell’assunzione della deliberazione di fusione, possono approvare l’operazione anche qualora la relazione redatta dagli esperti giudichi non congruo il rapporto di cambio determinato dagli amministratori e ciò in quanto i motivi che li spingono a votare a favore possono esulare da quelli indicati nelle relazioni.
Nelle realtà aziendali complesse, caratterizzate da una organizzazione di gruppo con società di holding o sub-holding al vertice di numerose società divisionali totalmente possedute, le ragioni operative che possono indurre ad un accorpamento delle singole aziende o al oro ricollocamento, possono ben sfuggire alla considerazione dei soci, specie se piccoli; nei fatti, l’operazione di incorporazione in tali particolari contesti, tende a scivolare nell’area dell’ordinaria amministrazione, al punto che la stessa delibera di fusione viene ad essere vissuta dagli azionisti come una formalità fastidiosa e costosa, ma fino ad oggi inevitabile.
Un’ulteriore conferma della validità di questa tesi ci pare possa desumersi per relationem dalla massima n. 3 in diritto societario del Consiglio Notarile di Milano, che recepisce un recente decreto della Corte d’Appello di Milano (16) e che statuisce: “non è necessaria la relazione dell’esperto sulla congruità del rapporto di cambio, ai sensi dell’art. 2501-quinquies, allorché tutti i soci delle società partecipanti alla fusione o alla scissione vi abbiano rinunciato, e di ciò si faccia constare nei relativi verbali assembleari, ferma restando l’eventuale applicabilità dell’art. 2343 c.c.”.
Nella motivazione si legge testualmente: “i soci, così come possono approvare l’operazione straordinaria nel caso l’esperto rilasci giudizio sfavorevole, possono validamente rinunciare alla redazione stessa della relazione peritale, in quanto unici titolari – come affermato in giurisprudenza – del potere di valutazione dell’idoneità dei mezzi prescelti a presidio degli interessi di cui sono portatori”, in coerenza con l’indirizzo che considera derogabili, sempre per volontà esclusiva della compagine sociale, i termini di cui agli artt. 2501-bis e 2501-sexies c.c.; l’ordinamento, infatti, tutela diversamente l’interesse dei terzi, consentendo ai creditori sociali di interporre opposizione all’operazione in corso (art. 2503, c.c.) e disponendo addirittura – in tema di scissione – la responsabilità solidale di ciascuna delle società coinvolte nel procedimento, secondo quanto previsto dall’art. 2504-decies, comma 2, c.c.” (17).
Riteniamo di aver sufficientemente illustrato il primo e più rilevante problema interpretativo; ci pare opportuno dare conto, prima di passare all’esame delle disposizioni di nuovo conio, di un’altra questione dibattuta, rappresentata dalla risposta da dare alla domanda su quale sia, per poter fruire della procedura semplificata di fusione, il termine ultimo in cui il possesso dell’intero capitale sociale della società incorporata debba risultare in capo all’incorporante o, applicando analogicamente la norma, debba verificarsi in capo alla controllante il possesso della totalità delle azioni o quote delle due controllate oggetto dell’operazione straordinaria di concentrazione.
Il tema appare di grande rilevanza pratica, con specifico riferimento all’ambito dei Gruppi di società, laddove le operazioni straordinarie – fusioni e scissioni, ma anche cessioni di partecipazioni – all’interno di complessi piani di razionalizzazione e riorganizzazione, si susseguono e molto spesso si configurano l’una come il presupposto dell’altra.
Anche su questo tema si registrano posizioni non univoche: si va da interpretazioni assai rigide e restrittive che ritengono che, per essere applicabile la procedura semplificata, il possesso totalitario delle azioni o delle quote deve necessariamente precedere la redazione del progetto di fusione, ad altre che ritengono invece possibile che il controllo totalitario sopravvenga nel lasso di tempo intercorrente tra il deposito del progetto e la delibera di approvazione; tale orientamento è sostenuto alla luce della considerazione che, pur nel presupposto che il progetto di fusione non sia modificabile dall’assemblea, “non bisogna confondere le condizioni di legittimità della fusione, che devono esistere al momento in cui questa viene attuata e comprendono i vari momenti dell’iter procedimentale, e quelle del progetto, che appunto può fondarsi sui presupposti non ancora esistenti, ma già anticipati nella previsione degli autori del documento; l’assemblea potrà perciò approvare l’originario progetto, escludendo la parte relativa alla determinazione del concambio e delle altre parti logicamente collegate, senza che debba essere redatto un nuovo progetto, fatte salve le necessarie previsioni iniziali circa l’eventuale aumento di capitale” (18).
Un’impostazione formalistica, che non ci pare da condividere, escluderebbe qualsiasi possibilità di modifica da parte dell’Assemblea e comporterebbe conseguentemente l’inizio di un procedimento ex novo, con la presentazione di un nuovo progetto privo della determinazione del rapporto di cambio.
Una tesi ancor più liberale, ritiene che il possesso totalitario potrebbe sopraggiungere anche dopo la delibera di approvazione del progetto, ma prima dell’iscrizione dell’atto di fusione nel registro delle imprese, a patto che la prova del possesso totalitario del capitale della società incorporata venga fornita al momento del deposito per l’iscrizione dell’atto di fusione (19); tuttavia, l’orientamento dominante (20) è nel senso dell’inattuabilità della fusione in forma semplificata laddove il possesso totalitario intervenga dopo l’approvazione della fusione in forma completa: in questo caso, infatti, non ricorrerebbero le condizioni richieste per l’adozione della procedura semplificata.4. L’intervento operato dal Legislatore Delegato: l’art. 2505 cod. civ.
Passiamo ora ad esaminare nel dettaglio le novità introdotte in tema di procedura semplificata di fusione dal Decreto Legislativo 6/2003.
Preliminarmente, notiamo che il Legislatore Delegato è intervenuto sulla stessa dislocazione topografica della fattispecie, che “slitta” dalla vecchia sede dell’art. 2504-quinquies per collocarsi, una volta sdoppiatasi nelle due fattispecie dell’incorporazione di società interamente possedute e dell’incorporazione di società possedute al novanta per cento, agli artt. 2505 e 2505-bis cod. civ.
Il primo comma dell’art. 2505 riproduce sostanzialmente il primo comma del vecchio art. 2504-quinquies, mutando esclusivamente i numeri degli articoli ai quali si fa rinvio (2501-ter e 2501-quinquies e -sexies in luogo dei precedenti 2501-bis e 2501-quater e -quinquies); restano pertanto immutati gli elementi che caratterizzavano la fattispecie nel vigore della norma nella sua vecchia formulazione: la non necessità dell’indicazione nel progetto di fusione del rapporto di cambio, delle modalità di assegnazione delle azioni o quote della società incorporante e della data dalla quale tali azioni o quote partecipano agli utili; l’insussistenza dell’obbligo degli amministratori di redigere la relazione che illustri e giustifichi il progetto di fusione e in particolare il rapporto di cambio; la non necessità del parere degli esperti.
Le vere novità sono rappresentate dal secondo e dal terzo comma, di nuova introduzione.
Il secondo comma dispone testualmente: “L’atto costitutivo o lo Statuto può prevedere che la fusione per incorporazione di una società in un’altra che possiede tutte le azioni o le quote della prima sia decisa, con delibera risultante da atto pubblico, dai rispettivi organi amministrativi, sempre che siano rispettate, con riferimento a ciascuna delle società partecipanti alla fusione, le disposizioni dell’art. 2501-ter e, quanto alla società incorporante, anche quelle dell’art. 2501-septies, primo comma, numeri 1 e 2”, mentre il terzo comma riporta: “I soci della società incorporante che rappresentano almeno il cinque per cento del capitale sociale possono in ogni caso, con domanda indirizzata alla Società entro otto giorni dal deposito di cui al terzo comma dell’art. 2501-ter, chiedere che la decisione di approvazione della fusione da parte dell’incorporante medesima sia adottata a norma dell’art. 2502”.
Una considerazione preliminare va svolta in merito all’indicazione dell’atto costitutivo in aggiunta allo Statuto quale documento contrattuale idoneo ad ospitare la citata norma interna.
Posto che “entrambi i documenti, integrandosi a vicenda vanno a costituire il contratto sociale” (21), al primo viene di norma riservato il contenuto degli elementi essenziali per la costituzione della società, mentre al secondo sono destinate le norme relative alla sua organizzazione e al suo funzionamento, nonché una considerevole varietà di clausole atipiche che la prassi ha generato; da quanto premesso, discende che lo Statuto appare il documento più idoneo ad accogliere la norma in questione.
Notiamo in prima battuta che l’intervento del legislatore della riforma ha introdotto tre modifiche di assoluto rilievo:
– a patto che l’atto costitutivo o lo statuto lo prevedano, la fusione viene decisa con deliberazione risultante da atto pubblico da parte dei rispettivi organi amministrativi;
– devono essere rispettate per tutte le società partecipanti le prescrizioni relative al progetto di fusione e, solamente per la società incorporante, quelle relative al deposito degli atti presso la sede della società;
– è riconosciuta ai soci che rappresentino almeno il cinque per cento del capitale dell’incorporante la facoltà di richiedere tempestivamente (otto giorni) che la decisione in ordine alla fusione sia adottata dai soci e non dall’organo amministrativo.
Quanto al primo punto, notiamo preliminarmente che il legislatore ha sfruttato appieno il margine di discrezionalità concesso agli stati membri dagli artt. 25 e 27 della Direttiva 78/855/CEE del 9 ottobre 1978, nell’intento di perseguire l’obiettivo di semplificazione del procedimento postogli dalla Legge Delega.
È indubbio che, sempre che ne sussistano i presupposti (22), attraverso questa traslazione di competenza in merito alla decisione di fusione dal tradizionale organo assembleare all’organo amministrativo – consiglio di amministrazione nel modello tradizionale, consiglio di gestione nel modello c. d. dualistico, sempre consiglio di amministrazione nel modello c. d. monistico – si addivenga ad una notevole e ulteriore semplificazione del procedimento: si pensi soltanto all’accorciamento dei tempi necessari alla convocazione dell’assemblea.
Nella norma che si commenta, troviamo dispiegato anche un altro principio cardine della riforma del diritto societario, ossia la centralità dell’autonomia privata, che pervade tutto il “nuovo” sistema e che si sostanzia in una maggiore libertà lasciata ai soci, al momento della stipula del contratto sociale, di ritagliare, sfruttando le maglie larghe e gli spazi liberi di un sistema che ha rinunciato alle seduzioni del dirigismo, un abito “su misura” ed adatto alla realtà economica in cui operano (23).
La traslazione di competenza dall’organo assembleare, istituzionalmente deputato a deliberare sulle modificazioni organizzative della società, all’organo amministrativo non incide, come ovvio, sull’assetto di potere della società controllata totalitariamente, bensì su quello della controllante incorporante: si potrà porre sul punto un qualche problema relativo alle forme di tutela dei soci di minoranza della società incorporante, che vengono in tal modo estromessi dalla decisione in ordine alla fusione.
Ci pare però che il tema sia adeguatamente presidiato, con riguardo alle specifiche esigenze di tutela dei soci di minoranza: innanzitutto, dal 2° comma dell’art. 2505, che impone che vengano comunque rispettate le disposizioni di cui all’art. 2501-ter sulla formazione e la pubblicità del progetto di fusione e, limitatamente alla società incorporante – ma non poteva essere altrimenti, dal momento che la società incorporante non può non conoscere i documenti da depositarsi ai sensi del 2501-septies – all’art. 2501-septies sugli obblighi di informazione societaria interna; quindi, dalla facoltà concessa dal terzo comma dell’art. 2505 ai soci che rappresentino almeno il cinque per cento del capitale sociale di richiedere che la decisione venga adottata nel rispetto delle ordinarie regole di competenza.
In sede di primi commenti alla nuova formulazione della norma, vi è chi (24), esaminando il secondo comma si è posto la domanda se “l’atto costitutivo o lo statuto” cui la disposizione fa riferimento debba essere quello dell’incorporante, dell’incorporata oppure di tutte e due. Egli ritiene in proposito che, “tenuto conto della realtà della società interamente posseduta, dovrebbe essere sufficiente che sia l’atto costitutivo dell’incorporante a prevedere questa possibilità e che, pur in assenza di una delibera di questo genere, anche per l’incorporata sia l’organo amministrativo facoltizzato a decidere; non avrebbe infatti senso convocare un’assemblea dove unico socio è l’incorporante” (25).
Va osservato in proposito che, mentre l’art. 8 della Direttiva Comunitaria fa riferimento alla sola società incorporante, il comma 2 dell’art. 2505 attribuisce la facoltà di spostare la competenza a deliberare in capo all’organo amministrativo tanto per l’ipotesi che la società si trovi nella posizione di incorporante , tanto per quella che si trovi ad essere incorporanda in altra società che possieda il suo capitale nella sua totalità.
L’estensione della facoltà a questa seconda ipotesi, lungi dall’essere una forzatura del disposto comunitario, ne appare quasi un naturale corollario, in considerazione del fatto che, comunque, la volontà assembleare della società incorporanda si risolverebbe in quella della società incorporante che la possiede interamente; appare logico pensare che, pur in mancanza di un’apposita previsione statutaria, l’attribuzione della competenza a decidere la fusione in capo all’organo amministrativo dell’incorporanda debba implicitamente e specularmente ammettersi ogniqualvolta nella società incorporante che la possiede interamente sia l’organo amministrativo a decidere in virtù di espressa clausola statutaria.
Non avrebbe senso, infatti, convocare un’assemblea dove l’unico socio è la società incorporante se in quest’ultima la decisione è già demandata all’organo amministrativo; a tanto inducono sia considerazioni di ordine logico, sia un principio di economia procedurale che porta ad escludere atti meramente formali e privi di qualsivoglia significato o formalità.
Contrariamente alle disposizioni sul progetto di fusione, che trovano applicazione a tutte le società partecipanti alla fusione, quelle sul deposito degli atti e sul diritto dei soci a prenderne visione e a riceverne copia gratuitamente (art. 2501-septies, comma 1, nn. 1 e 2) si applicano alla sola società incorporante, come richiesto dallo stesso art. 8, lettera B della Direttiva Comunitaria.
Una siffatta previsione non avrebbe ovviamente alcun significato ove riferita alla società incorporando, il cui socio unico, la società incorporante, è già a conoscenza di quegli atti.
L’ultimo comma dell’articolo in commento riprendendo la disposizione che l’art. 8, lettera c) della Direttiva Comunitaria, quale ulteriore condizione, attribuisce ad una minoranza qualificata dei soci della società incorporante, pari al cinque per cento, il diritto di chiedere e di ottenere l’applicazione della regola generale dell’art. 2502, comma 1, in luogo della norma interna, e quindi di riportare in capo all’Assemblea la competenza a decidere sul progetto di fusione.
La richiesta va presentata alla società entro otto giorni dal deposito del progetto di fusione nel Registro delle Imprese; l’esiguità di tale termina, però, pare tale da lasciare ben poco spazio all’iniziativa dei soci.
Va notato che, nella fissazione della soglia minima di capitale ai fini dell’insorgenza del diritto, il legislatore ha scelto il valore massimo consentito dalla Direttiva, che dispone che “la percentuale minima non può essere fissata a più del cinque per cento”.
Nel caso in cui alla fusione partecipino società con capitale rappresentato da azioni, la Direttiva dà facoltà agli stati membri di escludere dal calcolo della suddetta soglia le azioni prive del diritto di voto; dal silenzio sul punto del nostro legislatore si deve argomentare per l’attribuzione del diritto di voto anche ai titolari di azioni prive del diritto di voto.
Il più rilevante problema interpretativo sorto nel vigore della precedente disposizione – quello delle applicabilità o meno della procedura semplificata a casi esulanti da quello esplicitamente contemplato dalla formulazione letterale dell’articolo – ci pare non venga chiarito dall’intervento del legislatore della riforma; anzi, da una lettura più generale del nuovo corpus di norme dedicate all’istituto della fusione in generale, ci pare che i dubbi, in parte superati – come abbiamo visto diffusamente in precedenza – da un’interpretazione “liberale” data dalla prassi giurisprudenziale, possano trovare nuovo alimento.
Come si è visto, una delle argomentazioni favorite di chi negava l’applicabilità estensiva della norma in discorso era legata alla previsione dell’art. 2501-quinquies (Relazione degli esperti) – “l’esperto risponde dei danni causati alle società partecipanti alla fusione, ai loro soci e ai terzi. Si applicano le disposizioni dell’art. 64 del codice di procedura civile”; dalla previsione normativa che stabiliva la responsabilità dell’esperto per danni anche nei confronti dei terzi, si deduceva che la relazione fosse posta anche nell’interesse di costoro e se ne negava conseguentemente la disponibilità da parte dei soci.
Come evidenziato da uno dei primi commentatori della norma di nuovo conio, “oggi, la novità che potrebbe far dubitare della bontà delle conclusioni cui si era giunti è data dalla norma del 2505-quater, che riguarda le fusioni cui non partecipano società con capitale rappresentato da azioni; se alla fusione non partecipano società con capitale rappresentato da azioni, non si applicano una serie di norme. In particolare, la disposizione che viene in considerazione è questa: le disposizioni dell’art. 2501-sexies, possono essere derogate con il consenso di tutti i soci delle società partecipanti alla fusione. Una lettura terra terra della norma potrebbe portare a concludere: il principio qui è affermato espressamente, ma solo per il caso in cui all’operazione non partecipino società per azioni: se il legislatore ha ritenuto di ammettere questa possibilità in questo caso, vuol dire che questa possibilità non può essere esercitata nel caso in cui all’operazione non partecipino società per azioni”.
Il medesimo autore supera brillantemente il problema ricorrendo all’analisi dell’art. 2506-ter, quarto comma dedicato alla relazione degli esperti nel procedimento di scissione (26), ma è indubbio che, anche alla luce di quanto testé riferito, i dubbi lasciati aperti dalle diverse interpretazioni fornite in passato siano ben lungi dall’essere dipanati.5. L’intervento operato dal Legislatore Delegato: l’art. 2505-bis cod. civ.
Con l’art. 2505-bis il Legislatore delegato introduce nel sistema la nuova ipotesi della fusione per incorporazione di società posseduta per almeno il novanta per cento dalla società incorporante, novità assoluta nell’ottica del diritto interno anche se già prevista a livello comunitario nell’art. 27 della già menzionata Direttiva CEE in tema di fusioni.
Come già anticipato in sede di considerazioni preliminari e come chiarito nella stessa Relazione al Decreto Legislativo, il legislatore, dovendo muoversi nel rispetto della Direttiva comunitaria, ha potuto apportare soltanto quelle semplificazioni da essa consentite e tuttavia trascurate dal più volte citato Decreto Legislativo 22/1991 che alla predetta Direttiva ha dato attuazione.
Tra gli spazi ancora “sfruttabili” vi erano quelli offerti dagli artt. 27 e 28 che davano facoltà agli stati membri di intervenire, a determinate condizioni, sia nel senso di “non imporre l’approvazione della fusione da parte dell’assemblea generale della società incorporante, sia nel senso di disapplicare le disposizioni relative alle relazioni degli esperti e degli organi di amministrazione.
La nuova disposizione recita testualmente: “Alla fusione per incorporazione di una o più società in un’altra che possiede almeno il novanta per cento delle loro azioni o quote, non si applicano le disposizioni dell’art. 2501-sexies, qualora venga concesso agli altri soci della società incorporata il diritto di far acquistare le loro azioni o quote dalla società incorporante per un corrispettivo determinato alla stregua dei criteri previsti per il recesso. L’atto costitutivo o lo statuto possono prevedere che la fusione per incorporazione di una o più società in un’altra che possiede almeno il novanta per cento delle loro azioni o quote sia decisa, quanto alla società incorporante, dal suo organo amministrativo, con deliberazione risultante da atto pubblico, sempre che siano rispettate le disposizioni dell’art. 2501-septies, 1° comma, nn. 1) e 2), e che l’iscrizione prevista dall’art. 2501-ter sia fatta, per la società incorporante, almeno un mese prima della data fissata per la decisione di fusione da parte della società incorporata. Si applica la disposizione di cui al terzo comma dell’art. 2505”.
Notiamo subito che, rispetto alla fattispecie trattata al paragrafo precedente, le agevolazioni che vengono concesse a questa operazione sono più ridotte, sostanziandosi nella possibilità di fare a meno, qualora sia soddisfatta la condizione che vedremo infra, della relazione di stima richiesta dall’art. 2501-sexies e, sempre al sussistere di determinate condizioni, nella possibilità di spostare la competenza in merito alla deliberazione di fusione, quanto alla società incorporante, dall’organo assembleare a quello amministrativo.
Ci si potrebbe chiedere per quale ragione la semplificazione del procedimento si fermi alla possibilità di omettere la relazione di stima.
È agevole individuarla: nell’ipotesi contemplata dall’art. 2505-bis, rispetto a quella prevista nell’articolo che lo precede in cui non vi erano interessi estranei a quelli del gruppo di controllo da tutelare, vi sono, bisognosi di tutela, i soci di minoranza della società incorporata.
La disapplicazione della norma che impone la redazione da parte di uno o più esperti della relazione sulla congruità del rapporto di cambio è condizionata all’attribuzione ai soci di minoranza della società incorporanda del “diritto di far acquistare le loro azioni o quote dalla società incorporante per un corrispettivo determinato alla stregua dei criteri previsti per il recesso”.
A questi soci, che in caso di fusione subirebbero con tutta probabilità l’applicazione di un rapporto di cambio sfavorevole, con la conseguenza di vedere diminuito il valore economico e sociale della loro partecipazione, il legislatore della riforma offre lo strumento di tutela rappresentato dal diritto di far acquistare le loro azioni o quote dalla società incorporante per un corrispettivo determinato alla stregua dei criteri previsti per il recesso.
Tale criterio di determinazione del corrispettivo appare ragionevole e in grado di soddisfare la condizione dell’art. 28 della Direttiva Comunitaria che richiede genericamente che la “contropartita sia corrispondente al valore delle loro azioni”.
L’attribuzione del diritto ai soci di minoranza è condizione necessaria e sufficiente al verificarsi degli effetti semplificatori previsti dalla norma, non richiedendosi né il consenso di tali soci in sede di decisione, né l’acquisto effettivo delle loro partecipazioni che dovrà realizzarsi nella fase attuativa susseguente alla decisione in ordine alla fusione.
Proprio perché il vendere le loro azioni o quote al prezzo stabilito secondo le regole fissate dall’art. 2437-ter è per i soci di minoranza un diritto e non un obbligo, se questi decidono di non vendere, avranno diritto di ricevere le azioni dell’incorporante.
Possono quindi venire a crearsi tre differenti situazioni, a seconda che i soci di minoranza aderiscano tutti alla proposta di acquisto da parte dell’incorporante, che vi aderisca solo una parte di essi, che nessuno di essi si determini a cedere la partecipazione.
Conseguentemente, il progetto di fusione non solo deve prevedere e disciplinare l’acquisto, ma anche dare conto dei possibili differenti esiti dell’operazione: deve contenere la determinazione del rapporto di cambio sulla base dell’articolazione delle partecipazioni al momento della sua redazione, determinazione che troverà applicazione nell’ipotesi in cui nessuno dei soci di minoranza aderisca alla proposta di acquisto; al tempo stesso, per l’ipotesi di adesione solo parziale alla suddetta proposta, deve prevedere che la determinazione del rapporto di cambio possa avvenire in un momento successivo alla sua approvazione ed in funzione appunto dell’esito della vicenda.
Naturalmente, nel caso in cui venga acquistata la totalità delle partecipazioni minoritarie, non si darà luogo ad alcun concambio.
Una delibera che approvi un progetto di fusione così articolato appare legittima, a condizione che termini e modalità dell’acquisto siano adeguatamente definiti.
In presenza di tale condizione, non si ravvisano profili di criticità legati all’incertezza nel verificarsi dell’evento futuro a cui si subordina la determinazione del rapporto di cambio: ciò in quanto, nell’ambito di una serie di eventi previsti, uno certamente si produrrà, sia esso l’acquisto della totalità delle partecipazioni di minoranza, di parte di esse o di nessuna.
Qualche maggior problema potrebbe evidenziarsi in relazione ad un possibile abuso di discrezionalità da parte degli organi amministrativi: ci sembra però che anche questo sia superabile, a condizione che la determinazione del rapporto di cambio per le ipotesi di adesione solo parziale alla proposta di acquisto venga opportunamente e necessariamente ancorata a parametri rigidi e obiettivi.
Si pone sul punto piuttosto un problema in merito alla determinazione dell’aumento di capitale da effettuare a servizio dell’operazione: appare logico pensare che, stante l’impossibilità di conoscere a priori quanti soci di minoranza aderiranno alla proposta di acquisto, ci sarà un aumento di capitale massimo, che si andrà a determinare in sede di fusione in relazione alla vicenda che si è determinata.
In analogia con quanto già visto a proposito della soglia minima fissata dall’art. 2505 (cinque per cento), anche nel caso dell’art. 2505-bis il legislatore ha omesso di specificare di quale tipologia siano le azioni o quote che concorrono al raggiungimento della soglia del novanta per cento.
Nel silenzio della norma, si ritiene che il legislatore abbia comunque voluto conformarsi al dettato dell’art. 27 della Direttiva Comunitaria che, riferendosi alle sole società con capitale rappresentato da azioni, parla di titolarità “delle azioni e degli altri titoli che conferiscono diritto di voto nell’assemblea generale”.
Si pone sul punto una domanda, cui la disposizione di nuovo conio non sembra fornire immediatamente una risposta: in quale momento dovrà effettuarsi l’acquisto delle azioni o quote dei soci di minoranza?
L’art. 2505-bis non fissa né un dies ad quem entro il quale i soci possono optare per la vendita della propria partecipazione, né un termine entro il quale la società incorporante deve acquistare le azioni poste in vendita.
È chiaro che l’operazione di acquisto dovrebbe essere perfezionata prima della stipula dell’atto di fusione, per evitare che, essendoci già stato il concambio delle azioni dell’incorporata con quelle dell’incorporante, la società risultante dalla fusione si troverebbe ad acquistare azioni proprie.
Passando all’esame del secondo comma dell’articolo in commento, si nota che, a differenza di quanto disposto dal secondo comma dell’art. 2505 in precedenza esaminato – che consentiva l’introduzione della norma derogatoria delle competenze dell’Assemblea anche per la società incorporata – questo dispone, rispettando in toto il limite posto dall’art. 27 della Direttiva, solo per la società incorporante.
Abbiamo visto che, nel caso dell’art. 2505, la ragione della maggior flessibilità dimostrata dal legislatore risiedeva nella circostanza del possesso totalitario, che implica relativamente all’approvazione della fusione la perfetta riproduzione della volontà della società incorporante in capo all’incorporanda interamente posseduta.
Nel caso in questione, invece, il possesso è solamente qualificato e persiste l’autonomia delle volontà sociali in merito alla fusione: non vi è pertanto giustificazione alcuna per apportare deroghe alla disposizione comunitaria.
Si accennava in precedenza alle condizioni che devono essere soddisfatte per poter trasferire la competenza dall’Assemblea della società incorporante all’organo amministrativo della medesima: rispetto a quanto stabilito per la fattispecie di cui all’art. 2505, il novero si arricchisce.
Non è più sufficiente che vi sia una conforme previsione statutaria, che si sia provveduto al deposito degli atti presso le sedi sociali e che si sia verificata una condizione negativa, ossia che i soci dell’incorporante che rappresentino almeno il 5% del capitale sociale non abbiano presentato la domanda di cui al terzo comma del 2501-ter; è necessario altresì che l’iscrizione nel Registro delle Imprese del progetto di fusione, ex art. 2501-ter, 3° comma, sia stata fatta, per l’incorporante, almeno un mese prima per la data fissata per la decisione di fusione da parte della società incorporata e che siano state rispettate le disposizioni dell’art. 2501-septies, comma 1, nn. 1 e 2 (al numero 1 si dispone il deposito del progetto di fusione, dei bilanci e delle situazioni patrimoniali nella sede sociale durante i trenta giorni che precedono la decisione; al n. 2 si dispone il diritto dei soci di prendere visione di questi documenti e di ottenerne gratuitamente copia).
La prima delle due condizioni trova la sua matrice nell’art. 27, lettera a) della più volte ripresa Direttiva Comunitaria; tale disposizione va ad integrare quella dell’art. 2501-ter, comma 4, adeguandola alla fattispecie di fusione qui in commento, in cui soltanto nella società incorporando è l’organo assembleare a decidere in ordine alla fusione: la data di quella decisione è dunque il momento rispetto al quale misurare il termine di un mese tanto per la società incorporanda, ai sensi dell’art. 2501-ter, comma 4, tanto per la società incorporante ai sensi appunto dell’art. 2505-bis, comma 2.
Ci pare che poi, ove ai sensi dell’art. 2501-ter, comma 4, i soci della società incorporanda, nel cui interesse è posto, rinuncino al suddetto termine con consenso unanime, l’obbligo di rispettarlo verrebbe anche per l’organo amministrativo della società incorporante.
La seconda delle due condizioni, anch’essa corrispondente a quella posta dall’art. 27, lettera b) della Direttiva Comunitaria, potrebbe apparire pleonastica posto che le norme in essa richiamate configurano tra quelle disapplicate dal primo comma dell’art. 2505-bis.
Tale “sovrabbondanza” ci pare spiegabile alla luce dell’intento del Legislatore di evidenziare il rispetto dell’art. 8 della Direttiva Comunitaria.6. Conclusioni
Esaurito l’esame delle disposizioni di nuovo conio, è giunto il momento di lanciare uno sguardo d’insieme sull’intervento operato dal Legislatore delegato, per vedere se abbia o meno raggiunto l’obiettivo di semplificazione fissatogli dalla Legge Delega 366/2001 e se abbia dipanato le incertezze e chiarito i dubbi interpretativi emersi in passato con riguardo a taluni specifici profili della fattispecie in questione.
Abbiamo visto che i tratti caratterizzanti della riforma sono individuabili da un lato nell’estensione dell’ambito dell’autonomia statutaria, dall’altro nel rafforzamento delle prerogative dell’organo amministrativo.
Se si tiene conto che il legislatore della riforma ha dovuto rispettare non tanto i limiti, per verità assai generici, postigli dalla legge delega, quanto i vincoli assai più rigidi di derivazione comunitaria, il giudizio sull’intervento semplificatore può dirsi positivo: ci pare che siano stati sfruttati appieno gli spazi di libertà concessi agli Stati membri dalla Direttiva n° 78/855/CEE.
La possibilità di trasferire, in presenza di determinate condizioni, la competenza in ordine alla decisione di fusione dalla tradizionale sede assembleare all’organo amministrativo rappresenta senza dubbio un’agevolazione che sarà particolarmente gradita agli operatori di realtà aziendali complesse.
Forse il legislatore avrebbe potuto meglio disciplinare taluni aspetti specifici, evitando di lasciare alla giurisprudenza il compito di interpretare all’insorgere dei primi casi concreti; pensiamo ad esempio al già accennata questione circa quali tipologie di azioni debbano concorrere alla formazione delle soglie fissate dal comma 3 dell’art. 2505 (cinque per cento) e dall’art. 2505-bis (novanta per cento).
Considerazioni di segno opposto riteniamo però di muovere con riferimento alla seconda “chiave di lettura” della portata dell’intervento riformatore: ci pare che il legislatore abbia perso una buona, e forse non tanto presto ripetibile, occasione per dirimere i dubbi esistenti su taluni specifici profili della fattispecie di cui abbiamo trattato.
Ci riferiamo in particolare alla questione della possibilità o meno di applicare analogicamente la procedura “semplificata” di fusione anche al fuori dei casi espressamente previsti a livello testuale dagli articoli in commento ed al tema del momento in cui debba realizzarsi, per poter fruire del procedimento semplificato ex art. 2505, il possesso azionario totalitario in capo all’incorporante delle azioni o quote dell’incorporanda.
In sede di riforma “a tutto campo”, il legislatore avrebbe ben potuto sancire, recependo quanto nei fatti quasi univocamente ammesso dalla dottrina e dalla giurisprudenza, l’applicabilità analogica anche a fattispecie diverse da quelle testualmente disciplinate, così come avrebbe potuto dettare una disciplina finalmente chiarificatrice dei tempi di verificazione del presupposto della procedura semplificata di fusione.
Nel silenzio della norma ed in attesa dei primi responsi giurisprudenziali, riteniamo ancora valide le impostazioni “liberali” date dalla dottrina più attenta e dalla gran parte della giurisprudenza più recente in materia, certi che interpretazione più formalistiche e restrittive rappresenterebbero un grave passo indietro e frustrerebbero gli intenti semplificatori perseguiti dal legislatore delegato.NOTE
(1) Seppure in modo non definitivo, stante la facoltà attribuita al Governo dall’art. 1, comma 5 della Legge n° 366/2001, di emanare, entro un anno dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei Decreti Legislativi, disposizioni correttive ed integrative nel rispetto dei principi e dei criteri direttivi fissati nella Legge medesima.
(2) Come nota Giuliana Scognamiglio, tale inciso “ha il sapore dell’ovvietà, giacché è scontato che, nell’elaborazione delle norme interne, si debbano osservare i vincoli imposti dalle Direttive Comunitarie, data l’appartenenza dello Stato Italiano all’Unione Europea”, Rivista del Notariato, LVI, 2002.
(3) In particolare, quelli imposti dalla Direttiva 78/855/CEE del 9 ottobre 1978, cui è stata data attuazione in forza del Decreto Legislativo 16 gennaio 1991, n° 22.
(4) Relazione al Decreto Legislativo n°6/2003, paragrafo 14.
(5) DE ANGELIS, Le operazioni di trasformazione, fusione e scissione nella legge delega per la riforma del diritto societario, in Riv. Soc., 2002, 4.
(6) SALAFIA, Incorporazione di società interamente posseduta e casi simili, in Le Società, 2000, 5, 517.
(7) AA. VV. “Diritto delle Società di Capitali, Manuale Breve, MILANO, 2003, 335.
(8) Tra questi, DONZELLI, Nota a Trib. Paola, 7 giugno 1994, in Riv. Not. 1995, 327; e PETTARIN, Acquisizione, fusione e scissione di società, MILANO, 1992.
(9) Tale tesi particolarmente rigida è sostenuta da SCARDULLA, “La trasformazione e la fusione delle Società, in Trattato di diritto civile e commerciale MILANO, 2000, 436. Il Tribunale di Milano è però di diverso avviso, avendo esplicitamente riconosciuto che “nel caso di fusione tra una società di capitali e una società di persone possedute da un unico socio o da soci che possiedono tutte le azioni o quote nella medesima proporzione, pur non essendo richiesta la relazione dell’esperto sulla congruità del rapporto di cambio, è necessaria la relazione di stima della società incorporanda quando la società incorporante deliberi un aumento di capitale in funzione della fusione”, Massime del Tribunale di Milano in tema di omologazione, pubblicate in Riv. Soc., 1996, 270.
(10) Tra i tanti, SALAFIA, op. cit., 517; MANZINI, Trasformazione, fusione, scissione di società, PADOVA, 1998, 332; SPOLIDORO, Fusioni e scissioni di società. Commento al D. Lgs. 16 gennaio 1991, n°22, TORINO, 1994, 176; DE ROSA, Applicazione analogica per la fusione semplificata, Not., 1996, 465.
(11) Si rinvengono numerose pronunce giurisprudenziali a sostegno di questa tesi: Trib. Roma, decr. 14 agosto 1997, Romagest SpA e Gestifondi SpA, in Società, 1998, 195; Trib. Trieste, decr. 3 febbraio 1995, Società, 1995, 1190; Trib. Udine, decr. 16 ottobre 1995, in Notariato, 1996, 463.
(12) In argomento, SALAFIA, op. cit., 518, commenta: “il soggetto, unico socio di entrambe le società coinvolte, rimarrà titolare di tutto il capitale della società incorporante, così come lo era prima della fusione, anche se il valore reale delle azioni possedute sarà influenzato dall’assunzione da parte dell’incorporante del patrimonio dell’incorporata”.
Come commenta DE ANGELIS, in Le operazioni di trasformazione, fusione e scissione nella legge delega per la riforma del diritto societario, Rivista delle Società, 2002, 41 e ss., “in questa ipotesi non solo la determinazione di un rapporto di cambio – e dunque la relazione degli esperti sulla sua congruità – sarebbe superflua, ma sarebbe addirittura impossibile, stante l’inesistenza di una pluralità di soci”.(13) Cfr. Trib. Alba, decr. 22 settembre 2000, in Giur. Comm., II, 2001.
(14) DE ANGELIS, op. cit., 66, “la relazione degli esperti precede, nell’ordine temporale, le deliberazioni assembleari delle società partecipanti alla fusione; tant’è vero che deve restare depositata presso le sedi di queste nei trenta giorni che precedono le assemblee di tali società e finché la fusione non sia deliberata. Gli amministratori delle predette società non possono sapere, prima di allora, se tutti i soci delle società partecipanti all’operazione interverranno alle rispettive assemblee e se, in quella sede, delibereranno, o meno, di rinunziare alla relazione di cui trattasi. Portare in assemblea una proposta di fusione senza il corredo di tale relazione rappresenterebbe una grave imprudenza, suscettibile di comportare l’irregolarità del procedimento e, dunque, di renderne necessaria la ripetizione ab ovo qualora uno solo dei soci di tutte le menzionate società eccepisca la mancanza della relazione medesima, con loro possibile responsabilità se da ciò abbia a derivare un danno”. A meno che gli amministratori non siano stati resi cogniti delle volontà dei soci assunte in sede extra assembleare: ma ciò, oltre a non escludere il diritto al ripensamento dei soci, potrebbe pure far emergere profili di invalidità delle delibere, relativamente alle quali la volontà degli stessi si sia formata al di fuori dell’Assemblea”.
(15) CALÌ, in Incorporazione di controllata indirettamente e procedura semplificata ex art. 2504-quinquies a commento del decreto Trib. Alba 22 settembre 2002, in Giur. Comm. II, 2001, commenta: “l’unico serio pericolo che essi corrono sembra essere quello di una diminuzione dei patrimoni delle società partecipanti alla fusione, con conseguente depauperamento delle garanzie patrimoniali: perciò potrebbe ammettersi anche una modifica del tipo sociale prescelto o del capitale della società risultante dalla fusione, che non toccano la consistenza patrimoniale delle società interessate, in quanto la fissazione di un capitale inferiore a quello stabilito nel progetto, in virtù dell’indistribuibilità della riserva di fusione, non sarebbe idonea ad arrecare pregiudizi ai creditori” .
(16) App. Milano, 12 gennaio 2001, in Soc., 2001, 434.
(17) Nella motivazione, si esaminano anche le posizioni di altre categorie di terzi: “né sembra possibile prevenire a diversa conclusione avuto riguardo a paventati pregiudizi di altre categorie di terzi – i creditori particolari del socio e l’erario – dipendenti da eventuali inadeguatezze del rapporto di cambio formato dagli amministratori. A questo proposito è opportuno richiamare, in via preliminare, l’opinione giurisprudenziale secondo cui l’entità della partecipazione assegnata con il rapporto di cambio dipende anche da valutazioni inerenti a nuovi equilibri aziendali o a prospettive legate al diverso assetto, che non possono trovare, necessariamente, riscontri di natura contabile-estimativa. Per quanto più specificatamente attiene alla posizione delle due categorie sopra indicate, la stessa giurisprudenza opportunamente nota che: “a) i creditori particolari del singolo socio, come nelle più disparate ipotesi in cui questi compia atti di disposizione su partecipazioni sociali di cui è titolare, troveranno tutela in forza degli istituti generali volti ad eliminare gli effetti di atti comportanti pregiudizio e lesione del patrimonio del debitore; b) eventuali spostamenti di ricchezza a titolo gratuito perseguiti con la fusione determinano – in presenza di effetti elusivi o evasivi – l’esercizio del potere accertativo dell’Amministrazione finanziaria, ma non si riflettono sulla validità della deliberazione”.
(18) SPOLIDORO, op. cit., 178, ma anche FIMMANO’, Fusione, rapporto di cambio ed art. 2504-quinquies, in Riv. Not., 1996, 295 e MANZINI, Applicazione iperestensiva della procedura semplificata di fusione, in Not., 2000, 43.
(19) Aderisce a questa tesi SPOLIDORO, op. cit. 179.
(20) FIMMANÒ, Presupposti della procedura semplificata di fusione, in Notariato, 1995, 48.
(21) DI SABATO, Manuale delle società, UTET, Torino, 1995, 238.
(22) Necessità che vi sia il possesso del capitale dell’incorporata al 100%, che sia rispettato dall’incorporante e dall’incorporata quanto disposto dall’art. 2501-ter, che per l’incorporante si sia provveduto al deposito degli atti presso la sede sociale e che, infine, si verifichi una condizione negativa, ossia che i soci dell’incorporante che rappresentino almeno il 5% del capitale sociale non abbiano presentato la domanda di cui al terzo comma del 2501-ter.
(23) Riferendosi al ruolo centrale dell’autonomia privata, VIETTI, in Le linee guida della riforma del diritto societario, Relazione al Convegno di Alba del 23 novembre 2002, pubblicato in Le società, 2 bis, 2003, 267, spiega: “per la verità la nostra concezione nasce sul presupposto di una sussidiarietà della regola rispetto al libero dispiegamento degli interessi, con la precisazione che la regola si giustifica e ha senso solo se assolve alla funzione di tutela degli interessi fondamentali della comunità e se la tutela di questi interessi può essere realizzata con mezzi tecnici che rendano non illusoria la loro protezione e non eludibile il loro precetto”.
(24) MISEROCCHI, Riunioni di studio sulla riforma delle società, a cura del Consiglio Notarile di Milano, 16.
(25) MISEROCCHI, cit., 8.
(26) MISEROCCHI, op. cit., prosegue: “in tema di scissione, l’art. 2506-ter, quarto comma, dopo aver stabilito al primo comma: “l’organo amministrativo delle società partecipanti alla scissione redige una situazione patrimoniale e una relazione illustrativa; dopo aver detto al terzo comma: “si applica alla scissione l’art. 2501-sexies”, al 4° comma dice: “con il consenso unanime dei soci e dei possessori di altri strumenti finanziari che hanno diritto di voto nelle società partecipanti alla scissione, l’organo amministrativo può essere esonerato dalla redazione dei documenti previsti nei precedenti commi”; il primo problema esegetico verte su quali siano i documenti previsti dai commi precedenti. Tenuto conto del fatto che viene usato un termine impersonale, dalla redazione, non dal redigere, anche se non è un elemento di particolare forza probante, ma tenendo conto anche del fatto che la relazione dell’esperto è un controllo su una situazione patrimoniale ed una relazione predisposta dagli amministratori, il ritenere che questa norma del quarto comma, si riferisca solo alla possibilità di omettere la situazione patrimoniale e la relazione illustrativa, ma non la relazione dell’esperto sembra assolutamente insostenibile. La relazione dell’esperto senza la situazione patrimoniale assume tutt’altro significato, anzi, non ha più significato. Ma allora, se la norma vuol dire che in questo caso, con il consenso di questi soggetti, è possibile omettere anche la relazione di stima, vuol dire che la relazione di stima è posta nell’interesse dei soci, con la sola aggiunta della necessità del consenso anche dei portatori degli strumenti finanziari aventi diritto di voto”.
* Lo studio è stato elaborato nell’ambito del Corso di perfezionamento per giuristi d’impresa presso l'’Università Bocconi di Milano.