il diritto commerciale d’oggi
    III.12– dicembre 2004

GIURISPRUDENZA

 

TRIBUNALE TARANTO, 27 ottobre 2004 – Giud. Un. Cavallone – I. S. e S. M. L. c. Banca Intesa s.p.a.
   Qualora una banca proponga ad un cliente investitore di acquistare strumenti finanziari particolarmente rischiosi (obbligazioni emesse dalla Cirio) e non dimostri di aver correttamente informato l'investitore dei notevoli rischi cui andava incontro, il contratto di acquisto dei titoli non è nullo, ma dà luogo a responsabilità della medesima banca per inadempimento ai suoi doveri, con conseguente diritto del cliente al risarcimento del danno subito, nella misura del capitale investito, con gli interessi legali dalla data dell'investimento.

   Motivi della decisione. – Va, anzitutto, rilevato che non possono esservi dubbi circa il fatto che, al rapporto negoziale di cui si tratta (e cioè all’ordine d’acquisto delle obbligazioni in oggetto, accettato dalla Banca), debbano applicarsi le norme vigenti al momento della sua conclusione, non certo quelle anteriori ed oramai integralmente abrogate o sostituite da discipline successive.
   Né la regola trova deroga per la circostanza che gli attori, il 25 giugno 1997, avessero sottoscritto con la filiale di Taranto dell’allora Banca Commerciale Italiana un regolare contratto avente per oggetto il cosiddetto conto gestione famiglia e rapporti collegati (concernente l’attivazione non solo di un rapporto di conto corrente cointestato a firma disgiunta agli attori, ma anche di un collegato rapporto di deposito titoli con connesso incarico per la prestazione del servizio di negoziazione, sottoscrizione e raccolta di ordini su strumenti finanziari): infatti, se è vero che tale negozio ben poteva e doveva sottostare alle regole vigenti in quel momento, in relazione a quegli effetti che si esaurivano nell’ambito temporale di loro vigore, è altrettanto vero che lo stesso non prevedeva che le parti si fossero accordate al fine di ritenere inoperante una normativa successivamente intervenuta in relazione allo svolgimento di quell’originario e programmatico contratto nei singoli negozi via via nel tempo conclusi tra le parti (ed è ben difficile che ciò potesse, logicamente, neppure essere previsto, attesa l’imperatività d norme che si andrà ad esaminare).
Sicché, né la legge n. 1 del 1991 (peraltro quasi completamente abrogata già prima dell’anzidetto contratto del 1 dall’art. 66 d. lgs. 415 del 1996), né lo stesso d. lgs. 415 del 1996 [anch’esso successivamente abrogato ex art. 214, c.1 °, lett. jj) del d .lgs. 58 del 1998] possono essere le discipline di riferimento nel caso de quo.
   Al riguardo si pensi che persino lo svolgimento di un rapporto negoziale (che non si sviluppi in ulteriori e successivi accordi negoziali, ma i cui effetti si producano nel corso del tempo) è, secondo la Suprema Corte, soggetto alla disciplina vigente nel momento in cui esso si dipana producendo effetti, piuttosto che a quella in vigore nel momento in cui lo stesso è stato concluso.
   Si veda, ad esempio, in tal senso, Cass. Sez. 1 Sentenza n. 13739 del 18/09/2003, secondo cui, in tema di contratti bancari, la clausola (stipulata anteriormente all’entrata in vigore della legge sulla trasparenza bancari 17 febbraio 1992, n. 154) che determini gli interessi dovuti dalla clientela misura superiore a quella legale, limitandosi a fare riferimento condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza, è in ogni caso divenuta inoperante a partire dal 9 luglio 1992 (data di acquisto dell’efficacia delle disposizioni della detta legge 17 febbraio 1992, n. 154), atteso che la previsione imperativa posta dall’art. 4 di essa, laddove sancisce la nullità delle clausole di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi interesse, se non incide, in base ai principi regolanti la successione delle leggi nel tempo, sulla validità delle clausole contrattuali inserite in contratti già conclusi, impedisce tuttavia che esse possano produrre per l’avvenire ulteriori effetti nei rapporti ancora in corso, non ancora esauriti alla data di inizio dell’operatività della norma; si veda, ancora, la fattispecie relativa alla normativa in tema di interessi che superino il tasso soglia usurario nel corso del rapporto (L. 7 marzo 1996, n. 108), per la quale, in virtù del contrario avviso della Cassazione (con le note sentenze nn. 1126, 5286 e 14899 del 2000), solo un’espressa disposizione normativa in tal senso (l’art. 1 del D.L. 29 dicembre 2000, n. 394, convertito con modificazioni nella L. 28 febbraio 2001, n. 24) ha chiarito che le disposizioni applicabili nella fase dello svolgimento del rapporto fossero quelle vigenti al momento della stipula, piuttosto che al momento della maturazione dei relativi effetti.
   Ma se, quindi, salvo diverso avviso del legislatore, gli effetti di un negozio giuridico sono disciplinati dalle disposizioni vigenti al momento in cui gli stessi maturano, piuttosto che in quello in cui s’è concluso l’accordo che li determina, tanto non può che esser vero, a maggior ragione, nell’ipotesi in oggetto, in cui l’originario contratto programmatico è stato via via attuato mediante ulteriori accordi negoziali mano a mano conclusi tra le parti (essendo peraltro logico che l’accordo attuativo di altra precedente pattuizione sottostia alle norme imperative del momento in cui è concluso).
   Un’ultima precisazione, in tema, appare ad ogni modo opportuna: quand’anche il ragionamento che precede non fosse corretto, le considerazioni che seguiranno ben potrebbero esser fondate (piuttosto che sulla normativa più giù richiamata) sull’art. 17, c. 1°, lett. a) e b), del d. lgs. 415 del 1996 (che ricalca il c. 1°, dell’art. 21 del d. lgs.58 del 1998, di cui si dirà a breve), sull’art. 18, c. 5°, del d. lgs. 415 del 1996 (a sua volta praticamente identico all’art. 23, comma 6°, del d. lgs.58 del 1998, anch’esso a breve menzionato) e, infine, sull’art. 6 della deliberazione CONSOB n. 8850 del 9 dicembre 1994 (nella quale, in maniera non dissimile da quanto previsto dalla successiva deliberazione 1 luglio 1998 n. 11522, si statuisce che «gli intermediari autorizzati, quando ricevono da un cliente disposizioni relative ad operazioni che ... non appaiano adeguate per il cliente ..., lo informano compiutamente di tali circostanze e delle ragioni per cui non è opportuno procedere all’esecuzione di tali operazioni»).
   Venendo, invece, alla disciplina che si reputa operante al momento della conclusione dell’accordo relativo alla specifica negoziazione per cui è causa, deve dirsi che è, anzitutto, applicabile al caso de quo l’art. 6, c. 2°, del d. lgs. 58 del 1998, secondo cui, nell’ambito dei rapporti tra gli intermediari finanziari e gli investitori, «la CONSOB … disciplina con regolamento: … b) il comportamento da osservare nei rapporti con gli investitori, anche tenuto conto dell’esigenza di ridurre al minimo i conflitti di interessi e di assicurare che la gestione del risparmio su base individuale si svolga colti modalità aderenti alle specifiche esigenze dei singoli investitori e che quella su base collettiva avvenga nel rispetto degli obbiettivi di investimento dell’OICR; c) gli obblighi informativi nella prestazione dei servizi …». In particolare, poi, secondo il c. l °, dell’art. 21 del medesimo decreto, «nella prestazione dei servizi di investimento e accessori i soggetti abilitati devono: a) comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, nell’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati; b) acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siam sempre adeguatamente informati …».
   La CONSOB, nello specificare tali doveri posti a carico degli intermediari, ha, in particolare, chiarito che:
   «1. Prima della stipulazione del contratto di gestione e di consulenza in materia di investimenti e dell’inizio della prestazione dei servizi di investimento e dei servizi accessori a questi collegati, gli intermediari autorizzati devono: a) chiedere all’investitore notizie circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, nonché circa la sua propensione al rischio. L’eventuale rifiuto di fornire le notizie richieste deve risultare dal contratto di cui al successivo articolo 30 ovvero da apposita dichiarazione sottoscritta dall’investitore; b) consegnare agli investitori il documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari di cui all’Allegato n. 3. 2.
   Gli intermediari autorizzati non possono effettuare o consigliare operazioni o prestare il servizio di gestione se non dopo aver fornito all’investitore informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento» (così l’art. 28 della deliberazione 1 luglio 1998 n. 11522, come modificato dalla deliberazione 1 marzo 2000 12409);
   «1. Gli intermediari autorizzati si astengono dall’effettuare con o per conto degli investitori operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza o dimensione.
   3. Gli intermediari autorizzati, quando ricevono da un investitore disposizioni relative ad una operazione non adeguata, lo informano di tale circostanza e delle ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione. Qualora l’investitore intenda comunque dare corso all’operazione, gli intermediari autorizzati possono eseguire l’operazione stessa solo sulla base di un ordine impartito per iscritto ovvero, nel caso di ordini telefonici, registrato su nastro magnetico o su altro supporto equivalente, in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute» (art. 29 della deliberazione 1 luglio 1998 n. 11522, commi 1 ° e 3).
Ed ancora, nella specie è utile richiamare l’art. 190 del d. lgs. 58 del 1998, secondo cui (comma 1 °) «i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione o di direzione e i dipendenti di società o enti, i quali non osservano le disposizioni previste dagli articoli … 21 … ovvero le disposizioni generali o particolari emanate … dalla CONSOB in base ai medesimi articoli, sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniari, da lire un milione a lire cinquanta milioni».
   Infine, secondo l’art. 23, comma 6°, del d. lgs. 58 del 1998 «nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l’onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta» (principio, invero, oramai desumibile, in relazione ad ogni inadempimento negoziale, sulla base della nota Cass. n. 13533 del 30 ottobre 2001, Sezioni Unite, in ordine alla cui portata espansiva, anche al campo professionale, si dirà oltre).
   Questo essendo il quadro normativo, nella specie la Banca convenuta avrebbe dovuto dimostrare di aver acquisito «le informazioni necessarie dai clienti», in particolare circa la loro esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la loro situazione finanziaria, i loro obiettivi di investimento, la loro propensione al rischio (ovviamente non certo 4 anni prima, ma al momento in cui si stava per effettuare l’investimento de quo), con eventuale rifiuto da far risultare dal contratto scritto ovvero da apposita dichiarazione sottoscritta; la Banca avrebbe dovuto, inoltre, dimostrare di aver operato in modo che essi fossero «sempre adeguatamente informati …» «sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio» (così il c. 1°, dell’art. 21 del d. lgs.58 del 1998, integrato dall’art. 28 della deliberazione CONSOB 1 luglio 1998 n. 11522, come modificata dalla deliberazione 1 marzo 2000 n. 12409).
   Di più.
   Essendo stato ammesso dalla medesima Banca convenuta che l’operazione presentava profili di rischio tali da renderla inadeguata per chi la stava compiendo, la stessa avrebbe dovuto dimostrare di aver informato l’investitore che si trattasse di una operazione non adeguata e delle ragioni per cui non fosse opportuno procedere alla sua esecuzione, e di aver dato corso all’operazione «solo sulla base di un ordine impartito per iscritto ovvero … registrato su nastro magnetico o su altro supporto equivalente», in cui fosse «fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute» (art. 29 della deliberazione 1 luglio 1998 n. 11522, commi 1° e 3°).
   (Omissis)
   Sicché la conclusione non può che essere che, contrariamente a quanto affermato, la Banca convenuta non ha affatto ottemperato agli specifici e circostanziati obblighi che la disciplina di settore le imponeva nei riguardi del cliente investitore, lasciando, in definitiva, costui (si deve presumere, in mancanza di prova contraria) nell’ignoranza circa i reali rischi che l’operazione comportava. Problema susseguente è quello di qualificare tale fatto e di verificarne le conseguenze.
   Ebbene, è teoricamente possibile la ricostruzione della fattispecie in termini di nullità della complessa pattuizione. In particolare, potrebbe teoricamente parlarsi, come accennano gli attori nell’ipotesi principale prospettata, di nullità del contratto per violazione di norme imperative.
   In tal senso militerebbe non solo l’art.1418, 1° comma, cod. civ., ma la disciplina anzidetta, la quale, già solo per essere possibile fonte di responsabilità sotto il profilo sanzionatorio amministrativo (per quegli operatori nell’intermediazione di valori mobiliari che la violino, secondo il più sopra riportato art. 190 del d. lgs. 58 del 1998, 1° comma), manifesta la sua natura di disciplina emanata a protezione di un interesse pubblico (in tal senso condividendosi quella la giurisprudenza per la quale la sanzione amministrativa, di per sé, è indice significativo della rilevanza in termini di interesse pubblico della norma alla cui protezione è posta: così Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11247 del 18/07/2003 e Cass. sent. 14381 del 03.11.2000 sezione: 3; ma si vedano, in senso contrario, Cass. Sez. 2 Sentenza n. 9380 del 27/06/2002, Cass. Sez. 1 Sentenza n. 3272 del 07/03/2001 e Cass. Sez. 3 Sentenza n. 2135 del 25/02/2000, le ultime due avendo ritenuto, addirittura, non significativa la comminatoria di una sanzione penale, con principio non condiviso da questo giudice, poiché proprio laddove vi sono sanzioni irrogabili d’ufficio dalla pubblica amministrazione appare chiaro che vi sia, quantomeno anche, un interesse della collettività al rispetto della norma violata).
   In ogni caso, sono evidenti gli interessi di carattere eminentemente pubblicistico alla cui tutela la disciplina anzidetta chiaramente mira.
   Infatti, secondo la stessa Suprema Corte, «non par dubbio che la normativa introdotta dalla legge 2.1.1991 n. 1» (e, quindi, anche quelle di cui alle leggi e norme secondarie che si sono ad essa succedute) «consideri interessi di carattere generale, che vanno dalla tutela dei risparmiatori uti singoli, a quella del risparmio pubblico, come elemento di valore della economia nazionale, a quella della stabilità del sistema finanziario, come considerata dalla direttiva 93/22 CEE del 10.5.1993, alla esigenza di preservare il mercato da inquinamenti derivanti dall’impiego di risorse provenienti da circuiti illegali, a quella di rendere efficiente il mercato dei valori mobiliari, più sopra riportato art. 190 del d. lgs. 58 del 1998, comma 1°), manifesta la sua natura di disciplina emanata a protezione di un interesse pubblico (in tal senso condividendosi quella la giurisprudenza per la quale la sanzione amministrativa, di per sé, è indice significativo della rilevanza in termini di interesse pubblico della norma alla cui protezione è posta: così Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11247 del 18/07/2003 e Cass. sent. 14381 del 03.11.2000 sezione: 3; ma si vedano, in senso contrario, Cass. Sez. 2 Sentenza n. 9380 del 27/06/2002, Cass. Sez. 1 Sentenza n. 3272 del 07/03/2001 e Cass. Sez. 3 Sentenza n. 2135 del 25/02/2000, le ultime due avendo ritenuto, addirittura, non significativa la comminatoria di una sanzione penale, con principio non condiviso da questo giudice, poiché proprio laddove vi sono sanzioni irrogabili d’ufficio dalla pubblica amministrazione appare chiaro che vi sia, quantomeno anche, un interesse della collettività al rispetto della norma violata).
   In ogni caso, sono evidenti gli interessi di carattere eminentemente pubblicistico alla cui tutela la disciplina anzidetta chiaramente mira. Infatti, secondo la stessa Suprema Corte, «non par dubbio che la normativa introdotta dalla legge 2.1.1991 n. 1» (e, quindi, anche quelle di cui alle leggi e norme secondarie che si sono ad essa succedute) «consideri interessi di carattere generale, che vanno dalla tutela dei risparmiatori uti singoli, a quella del risparmio pubblico, come elemento di valore della economia nazionale, a quella della stabilità del sistema finanziario, come considerata dalla direttiva 93/22 CEE del 10.5.1993, alla esigenza di preservare il mercato da inquinamenti derivanti dall’impiego di risorse provenienti da circuiti illegali, a quella di rendere efficiente il mercato dei valori mobiliari, con vantaggi per le imprese e per la economia pubblica, interessi tutti chiaramente prevalenti su quelli del privato, che pure di riflesso ne rimane tutelato» (Cass. Sez. 1 Sentenza n. 3272 del 07/03/2001).
   Ma se ciò è, ne consegue che la disciplina anzidetta, posta a tutela di interessi generali, quindi pubblici, ben potrebbe esser fonte, laddove fosse violata, di nullità di quegli atti negoziali che siano conclusi in contrasto con essa.
   Sennonché, si reputa che nella specie possa fondatamente parlarsi di inadempimento, da parte della Banca convenuta, di un contratto già perfezionatosi, piuttosto che della conclusione di un contratto nullo.
Infatti, pur non essendo, per gli effetti pratici a cui mira parte attrice rilevante la precisazione che segue, deve dirsi che nel caso in esame non pare che si possa parlare di vizio genetico, relativo alla conclusione del contratto, bensì di vizio funzionale, che inerisce il contratto oramai perfezionatosi, e cioè di difetto che riguarda le prestazioni che dovevano esser rese sulla base del negozio concluso.
   Al riguardo, la posizione della Banca e dei suoi dipendenti appare del tutto simile a quella di un qualsivoglia altro professionista (medico, avvocato, notaio) che, ricevuto un incarico per la soluzione di un determinato caso sottoposto al suo vaglio, non fornisca al richiedente quelle informazioni grazie alle quali lo stesso può operare una scelta consapevole e dar seguito o meno ad ulteriori sviluppi, anche negoziali, rispetto all’originaria prestazione di mera consulenza o diagnosi.
   Non pare, qui, fuorviante richiamare l’ipotesi del consenso informato che un paziente deve esprimere, dopo un primo approccio col medico che stabilisce di fargli seguire una determinata terapia o di sottoporlo ad un determinato intervento: infatti, così come è senza dubbio inadempiente (e risponde delle conseguenze dell’intervento terapeutico o chirurgico non preventivate al paziente, pur se lo stesso sia stato tecnicamente ben eseguito) quel medico che omette di informare il paziente dei rischi che la terapia o l’intervento comportino (sì da averne un consenso privo di cognizione di causa in merito ad essi), analogamente non può che rispondere del suo comportamento quell’intermediario finanziario che, richiesto di curare un investimento mobiliare, accetti l’incarico (e, quindi, concluda il relativo contratto professionale col cliente), ma ometta, poi, di avvertire, in modo specifico, chi a lui si è rivolto dei rischi a cui va incontro con il determinato investimento prospettato.
   Non è superfluo richiamare alcuni principi sanciti dalla Cassazione in tema di responsabilità professionale per violazione di obblighi informativi gravanti sul professionista officiato di una determinata prestazione (che evidenziano e qualificano in termini di inadempimento contrattuale tale fatto). In particolare, proprio in tema di responsabilità medica da omessa acquisizione del consenso informato, è stato giustamente rilevato: «che il contratto d’opera professionale si conclude tra il medico ed il cliente quando il primo, su richiesta del secondo, accetta di esercitare la propria attività professionale in relazione al caso in relazione al caso prospettatogli; che tale attività si scinde in due fasi, quella, preliminare, diagnostica, basata sul rilevamento dei dati sintomatologici, e l’altra, conseguente, terapeutica o di intervento chirurgico, determinata dalla prima; che l’una e l’altra fase esistono sempre, compongono entrambe l’iter dell’attività professionale, costituendo perciò entrambe la complessa prestazione che il medico si obbliga ad eseguire per effetto del concluso contratto di opera professionale; che, poiché solo dopo l’esaurimento della fase diagnostica sorge il dovere del chirurgo d’informare il cliente sulla natura e sugli eventuali pericoli dell’intervento operatorio risultato necessario, questo dovere d’informazione, diretto ad ottenere la prosecuzione dell’attività ..., non può non rientrare nella complessa prestazione»; che, da tanto, discende «la natura contrattuale della responsabilità derivante dall’omessa informazione» (così Cass. Sez. 3 Sentenza n. 7027 del 2001, tra l’altro richiamando, adesivamente, l’indirizzo giurisprudenziale fatto proprio da Cass. sent. 29 marzo 1978 n. 1132, Cass. 26 marzo 1981 n. 1773 e Cass. agosto 1985 n. 4394; in tema si veda anche, più di recente, Cass. 11453 d 2003, sulla necessità di acquisizione del consenso informato, e Cass. 28.5.2004 n. 10297 sez. 3, la quale ha non solo ribadito il principio della responsabilità contrattuale sia dell’ente ospedaliero presso cui sì svolge l’attività sanitaria, sia del medico che in concreto la presta, ma ha, coerentemente, tratto da ciò – e dall’anzidetta Cass. n. 13533 del 30 ottobre 2001 Sezioni Unite – le dovute conseguenze in tema dì onere della prova, asserendo, in particolare, così confermando, anche su tale punto, la predetta Cass. 7027 del 2001, che «il paziente dovrà dimostrare l’esistenza del contratto e l’aggravamento della situazione patologica o l’insorgenza di nuove patologie per effetto dell’intervento, restando a carico del sanitario o dell’ente ospedaliero la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile»).
   Sicché, come la responsabilità della casa di cura, nel cui ambito è stata fornita una prestazione sanitaria, è responsabilità per inadempimento dell’obbligazione di apprestare, correttamente, la propria organizzazione aziendale per l’esecuzione dell’intervento richiesto (per cui di quanto fatto dai vari operatori l’impresa risponde ai sensi dell’art. 1228 codice civile: in tal senso, ad esempio, Cass. Sez. Un. Sentenza n. 9556 del 01/07/2002), analogamente deve ritenersi che la Banca non può che rispondere dell’operato dei suoi dipendenti nel caso de quo, in cui la stessa non ha dimostrato che gli stessi abbiano correttamente informato l’investitore dei notevoli rischi cui andava incontro con l’acquisto delle obbligazioni in questione.
   Ed ancora, in argomento si vedano (in ordine alla configurabilità in termini di inadempimento contrattuale del comportamento del notaio per omessa informazione di chi gli si rivolga per la conclusione di un rogito), ad esempio, Cass. sez. 3 sent. 5946 del 15/06/1999 (che ha, addirittura, statuito che, oltre all’informativa al cliente, in caso di presenza di iscrizioni pregiudizievoli sull’immobile oggetto dell’atto da stipulare, è obbligo del notaio quello di dissuadere, il cliente stesso dalla sua stipula) e Cass. sez. 2 sent. 6514 del 19/05/2000.
   Inoltre, pur tenendo presente la atecnicità con cui talvolta si esprime il legislatore nei testi di legge più recenti, deve considerarsi che l’art. 23 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, che disciplina i contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento e accessori, dopo aver previsto, nei primi tre commi, due espresse ipotesi di nullità degli stessi (nel caso di inosservanza della forma prescritta e nel caso di rinvio agli usi per la determinazione del corrispettivo dovuto dal cliente e di ogni altro onere a suo carico), statuisce, al comma 6°, che «nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l’onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta»: con ciò evidenziando che l’aver agito con la specifica diligenza richiesta è oggetto dei giudizi risarcitori, laddove l’azione risarcitoria è tipicamente connessa, nell’ambito contrattuale, con l’inadempimento di un contratto già perfezionato, piuttosto che con l’azione volta a farne accertare la nullità, nella quale ultima, al più, potrebbe parlarsi di ripetizione di quanto attribuito in virtù del negozio invalido.
   In definitiva, va qualificato in termini di inadempimento il comportamento tenuto dalla convenuta e dai suoi operatori, atteso che (analogamente a quanto anzidetto circa le conseguenze pregiudizievoli che non siano state preventivate al paziente, il quale abbia prestato un consenso medico disinformato), nella specie, è pacifico essersi verificato il rischio che avrebbe dovuto costituire oggetto di apposita ed espressa informativa (il default in relazione alle obbligazioni emesse, con effetti, peraltro, descritti dalla stessa convenuta alle pagg. 30 e 35 della conclusionale, oltre che nella comparsa di risposta), e cioè essersi determinata l’assoluta incertezza in ordine al recupero del capitale investito, da parte del risparmiatore.
   In relazione a tale pregiudizio è, allora, indubbio il diritto dell’investitore al recupero del capitale in danno della parte che, col suo inadempimento, l’ha posto, senza che egli ne avesse consapevolezza, nella situazione de qua (con sostanziale accollo dei rischi di recupero in capo all’inadempiente). La domanda risarcitoria proposta dall’I. è, dunque, da accogliere, con conseguente condanna della convenuta al rimborso della somma di € 47.258,15: e cioè € 50.000,00 (oggetto dell’investimento) – € 2.741,85 (che è pacifico che su di esso siano stati percepiti).
   Quanto agli accessori, non essendo stato dimostrato che investimenti finanziari alternativi avrebbero reso interessi superiori al tasso legale, appare giusto ed equo attribuirli in tale misura, dalla data dell’investimento, 10.4.2001, al saldo, alla luce del certo mancato godimento della somma per tale periodo. (Omissis)

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