il diritto commerciale d’oggi
    III.12 – dicembre 2004

STUDÎ & COMMENTI

 

GIANLUCA BERTOLOTTI

Società cooperative a mutualità prevalente:
agevolazioni riservate e limiti all’autonomia statutaria

 

Sommario: 1. Società cooperative a mutualità prevalente e società cooperative diverse: l’unità del fenomeno e il senso della distinzione. – 2. Società cooperative a mutualità prevalente: fattispecie e condizioni per le fruizione delle agevolazioni riservate.– 3. Le clausole di compressione del lucro soggettivo recate dall’art. 2514 cod. civ.: utili, riserve, remunerazione degli strumenti finanziari e limiti dell’autonomia statutaria.

 

   1. Società cooperative a mutualità prevalente e società cooperative diverse: l’unità del fenomeno e il senso della distinzione. – La legge di delega per la riforma del diritto societario, legge 3 ottobre n. 366 del 2001, era stata duramente criticata dagli operatori e dagli interpreti del sistema della cooperazione i quali lamentavano la distinzione ivi proposta tra cooperazione ispirata ai valori tradizionali della democraticità e della mutualità e dunque “costituzionalmente riconosciuta”, e cooperazione spuria, più sensibile alle istanze di remunerazione del capitale investito, e dunque fuori dal perimetro tracciato dall’art. 45 cost.
   L’art. 5 della citata legge n. 366 del 2001, infatti, fissava due gruppi di criteri: un primo gruppo volto ad informare la disciplina delle società cooperative costituzionalmente riconosciute, che non trovava applicazione per le società cooperative “diverse” e che ricomprendeva, fra gli altri, il criterio di delega volto a favorire il perseguimento dello scopo mutualistico e la valorizzazione dei relativi istituti.
   Il secondo gruppo di criteri, invece, regolava esclusivamente le società cooperative “diverse” da quelle costituzionalmente riconosciute. In tale gruppo era ricompreso, fra gli altri, il criterio di cui alla lett. d), comma 2 dell’art. 5 secondo cui occorreva consentire la deroga al voto capitario «in considerazione dell’interesse mutualistico del socio cooperatore e della natura del socio finanziatore».
   Le critiche della dottrina, che lamentava pure l’incoerenza del legislatore delegante per aver prospettato l’esigenza di un’adeguata patrimonializzazione di tutte le società cooperative accordando però i relativi strumenti alle solo società cooperative “diverse” (1) e ancora, per aver prospettato un favor per la partecipazione dei soci cooperatori alle deliberazioni assembleari valorizzando gli istituti delle assemblee separate e quello della delega di voto solo in riferimento alle cooperative “diverse” (2,) sembrano avere trovato accoglimento (3).
   Tali critiche hanno senza dubbio convinto l’estensore della Relazione di accompagnamento (4) al d.lgs. del 17 gennaio del 2003, n.6 (5), secondo cui la conformità di tale decreto delegato ai criteri individuati dalla legge delega – in particolare al criterio del «perseguimento della funzione sociale delle cooperative nonché dello scopo mutualistico da parte dei soci cooperatori» recato dall’art. 5. comma 1, lett. a della legge n. 366 del 2001 – avrebbe potuto comportare «una definizione di società cooperativa priva del tradizionale riferimento oggettivo allo scopo mutualistico» (6).
   Sul presupposto che la funzione sociale, realizzata attraverso lo strumento della mutualità caratterizzi l’intero fenomeno cooperativo (7) e che allora le cooperative posseggono «una meritevolezza particolare, che le distingue dalle imprese ordinarie lucrative» (8), il d. lgs. n. 6 del 2003 prevede che tutte le società cooperative siano ammesse a godere di uno statuto privilegiato rispetto alle altre società.
   All’interno del genus società cooperative è poi enucleata la species delle società cooperative a mutualità prevalente – denominazione che soppianta quella recata dalla legge delega di cooperative “costituzionalmente riconosciute” (9) - fattispecie che si caratterizza per essere destinataria in esclusiva di una parte dell’intero sistema delle agevolazioni e cioè delle agevolazioni, secondo l’opinione corrente e sostanzialmente indiscussa (10), c.d.”fiscali”.
   Peraltro, ove si osservi che il d.l. 15 aprile 2002, n. 63 ha esteso il regime delle riserve indivisibili alla quota di utili annuali che deve essere destinata alla riserva minimima obbligatoria e che tale disposizione trova applicazione a tutte le società cooperative (quindi, non soltanto a quelle a mutualità prevalente), si deve concludere che anche le società cooperative “diverse” da quelle a mutualità prevalente fruiscono dell’intassabilità degli utili destinati a riserva legale minima (11), ossia di un agevolazione palesemente “fiscale”.
   Pertanto, la connotazione “fiscale” delle agevolazioni di cui godono esclusivamente le società cooperative a mutualità prevalente e conseguentemente la relativa caratterizzazione di tali società, seppur in linea di massima condivisibile, non mi pare del tutto appropriata.
   In proposito riterrei preferibile discorrere di agevolazioni riservate piuttosto che di agevolazioni fiscali e ciò non solo per il rilievo che precede sul d.l. n. 63 del 2002 e sulla conseguente intassabilità di parte degli utili di tutte le società cooperative, ma anche per ulteriori considerazioni.
   In primo luogo, infatti, la portata del termine “fiscale” non è univoca, con la conseguenza che ogni volta si dovrebbe procedere alla qualificazione di un’agevolazione per decidere se della stessa possano beneficiare tutte le società cooperative o soltanto quelle a mutualità prevalente.
   Di poi, il legislatore potrebbe decidere di riservare anche l’esercizio di talune attività e anche la fruizione di agevolazioni palesemente “non fiscali” alle società cooperative a mutualità prevalente.
Infine, nel novellato codice civile non si dispone che le società cooperative a mutualità prevalente possono godere in esclusiva delle sole agevolazioni fiscali.
   La fiscalità delle agevolazioni è menzionata solo dalle norme di attuazione e transitorie. In particolare, l’art. 111 decies, che fa riferimento alla decadenza «dai benefici fiscali» e l’art. 223 duodecies, secondo cui «Le disposizioni fiscali di carattere agevolative previste dalle leggi speciali si applicano soltanto alle cooperative a mutualità prevalente».
   Tale ultima prescrizione si preoccupa di chiarire che le agevolazioni fiscali devono essere necessariamente riservate alle società cooperative a mutualità prevalente, non già al fine di circoscrivere il tipo di agevolazioni che possono essere riservate in esclusiva a queste società, sibbene per evitare che di quel determinato tipo di agevolazioni, quelle fiscali appunto, non approfittino le “altre” società cooperative.
In sostanza il penultimo comma dell’art. 223 duodecies persegue finalità antielusive.
   Nulla impedisce, però, che alcune attività e agevolazioni anche “non fiscali” siano riservate alle sole società cooperative a mutualità prevalente.
   In sintesi, dunque, tutte le società cooperative godono di “agevolazioni”, fatte salve le agevolazioni riservate – e in questa prospettiva le agevolazioni fiscali sono, in genere e salvo eccezioni (12), agevolazioni necessariamente riservate - che invece spettano in esclusiva alle società cooperative a mutualità prevalente.

   2. Società cooperative a mutualità prevalente: fattispecie e condizioni per le fruizione delle agevolazioni riservate. – Alla luce delle considerazioni svolte nel paragrafo che precede è allora evidente la necessità d’individuare la fattispecie – o come altri preferisce dire per sottolineare, se ben s’intende, l’unità del fenomeno, “la sottospecie” della fattispecie generale società cooperativa (13) - “società cooperativa a mutualità prevalente”.
   L’ordine con cui si susseguono nel codice civile le disposizioni in tema di cooperazione e soprattutto le rubriche delle stesse indurrebbero a qualificare società cooperative a mutualità prevalente (14) quelle che, alternativamente, in ragione del diverso scambio mutualistico (15), i) svolgono la loro attività prevalentemente in favore dei soci, consumatori o utenti di beni o servizi (in questo caso lo scambio mutualistico si realizza per effetto di contratti di compravendita conclusi fra la società cooperativa e il socio e dunque trattasi di società cooperativa c.d. “di consumo”); ii) si avvalgono prevalentemente, nello svolgimento della loro attività, delle prestazioni lavorative dei soci (qui lo scopo mutualistico si realizza per il tramite di rapporti di lavoro che la società cooperativa instaura con i soci e dunque trattasi di società cooperativa c.d. “di produzione e lavoro”); iii) si avvalgono prevalentemente, nello svolgimento della loro attività, degli apporti di beni o servizi da parte dei soci (si tratta di una fattispecie di chiusura prevista dal legislatore per evitare di lasciare fuori tipologie di scambi mutualistici per cosi dire “di confine”: le società cooperative di trasformazione e dalle cooperative di servizio formate da imprenditori) (16).
   Tuttavia, è fin troppo agevole constatare che il requisito della prevalenza “economica” è solo uno degli elementi che concorre all’individuazione della fattispecie “società cooperativa a mutualità prevalente” perché l’art. 2545 octies cod. civ. dispone che la qualifica di cooperativa a mutualità prevalente si perde, oltre che per il mancato rispetto (per due esercizi consecutivi) di quel requisito, anche quando si modificano “le previsioni statutarie di cui all’art. 2514”. Con la conseguenza che la presenza nello statuto delle clausole (volte a comprimere la distribuzione del lucro ai soci) indicate da tale ultima norma rappresenta l’altra necessaria condizione affinché una società cooperativa possa qualificarsi “a mutualità prevalente”.
   Le società cooperative, in ogni caso, non fruiscono delle agevolazioni riservate per il solo fatto di essere a mutualità prevalente.
   La condizione che la società cooperativa svolga l’attività economica intrattenendo prevalentemente, nel senso che si è ricordato, rapporti con soci e la presenza nello statuto delle clausole di compressione del lucro sono gli elementi che individuano la fattispecie della società cooperativa a mutualità prevalente; esse sono pure le condizioni necessarie per la fruizione delle agevolazioni riservate, ma tuttavia non sono a tal fine sufficienti.
   Per godere delle agevolazioni riservate, infatti, la società cooperativa a mutualità prevalente deve iscriversi (specificando altresì la “categoria” di appartenenza, ad esempio: cooperativa di lavoro agricolo, banca popolare, cooperativa di trasporto, consorzi e cooperative di garanzia e fidi etc. v. art. 4, D.M. 23 giugno 2004) nella (prima) sezione “cooperative a mutualità prevalente” dell’albo delle società cooperative istituito con D.M. del 23 giugno 2004, in attuazione dell’art 9 del d. lgs n. 6 del 2003 e dell’art. 223 sexiesdecies delle norme di attuazione e transitorie del codice civile.
   L’iscrizione in parola non è una semplice “formalità” né costituisce un mero atto dovuto da parte della pubblica amministrazione (17).
   Da un lato, la domanda d’iscrizione (che deve essere firmata dal legale rappresentante della società cooperativa) rivolta all’ufficio delle Camere di commercio dove la cooperativa ha sede può essere rifiutata dall’ufficio stesso (anche se soltanto) per irregolarità di tipo formale. L’ufficio, cui è affidata la verifica della completezza formale della domanda (art. 4), può peraltro invitare la società a completarla ovvero a rettificarla o ad integrarla.
   Dall’altro lato, altra forma di controllo spetta alla Direzione generale per gli enti cooperativi. La Direzione generale, infatti, esercita un penetrante potere di controllo a carattere per così dire “preventivo”, che si esplica in sede di accesso all’albo e un potere di verifica successiva sulle società cooperative una volta che siano state iscritte all’albo.
   Invero, la Direzione generale può rifiutare - con provvedimento motivato e soggetto a riesame da parte della stessa Direzione su istanza della cooperativa interessata - la domanda d’iscrizione nella sezione delle cooperative a mutualità prevalente e sembrerebbe, confrontando l’art 4 e l’art 9 del D.M. in esame e argomentando dalla circostanza che la formula adottata da tale ultima norma non circoscrive il controllo alle verifiche di tipo formale, anche per ragioni sostanziali, dunque a prescindere dalla circostanza che l’atto sia formalmente regolare.
   Del resto, tale soluzione mi pare avvalorata anche dal rilievo che la Direzione generale è deputata a verificare la correttezza dell’iscrizione della società cooperativa (o più in generale dell’”ente”) in una delle due sezioni, non solo sulla base della documentazione depositata annualmente (oltre che dell’eventuale dichiarazione sostitutiva di cui all’art. 6 del d. lgs. n. 220 del 2002, secondo cui il possesso dei requisiti mutualistici al fine della fruizione di agevolazioni può essere attestato da una dichiarazione del presidente dell’ente, asseverata dal presidente del collegio sindacale, quando l’ente non dispone del certificato di revisione o dell’attestazione di revisione), ma anche «sulla base delle risultanze dell’attività di vigilanza» (art. 5, 3° comma).
   Qualora l’esito del procedimento sia positivo e dunque la società venga iscritta nella sezione delle cooperative a mutualità prevalente, si deve ritenere che il godimento delle agevolazioni riservate abbia effetto retroattivo e decorra, in ogni caso, dal momento di presentazione della domanda d’iscrizione al suddetto albo.
   L’opposta conclusione, infatti, facendo ricadere sulla società le lungaggini o addirittura l’inazione della pubblica amministrazione, rischierebbe di vanificare quel sacrifico delle aspettative lucrative (tipico della cooperazione e in particolare della cooperazione a mutualità prevalente) sopportato dai soci anche in vista della fruizione delle agevolazioni riservate.

   3. Le clausole di compressione del lucro soggettivo recate dall’art. 2514 cod. civ.: utili, riserve, remunerazione degli strumenti finanziari e limiti dell’autonomia statutaria. – Il discorso che si viene facendo palesa la necessità di determinare sino a che punto può spingersi l’autonomia dei soci, per restare nell’ambito della fattispecie “società cooperativa a mutualità prevalente” e dunque beneficiare delle agevolazioni riservate, nel predisporre le clausole di statuto relative agli oggetti disciplinati dall’art. 2514 cod. civ.: utili e riserve.
   In via preliminare si deve comunque considerare che in tema di agevolazioni riservate neanche la riforma, come già la disciplina previgente, ha avuto cura di chiarire quale sia la portata delle clausole di compressione del lucro (in passato previste dalla legge Basevi e ora disciplinate appunto dall’art. 2514 cod. civ.) e, più in generale, quale sia il valore dell’ essere la società cooperativa “formalmente” a mutualità prevalente.
   In altri termini resta tuttora aperto il vecchio interrogativo se alla società cooperativa in regola con i requisiti formali all’uopo previsti spettino automaticamente le agevolazioni riservate (18).
   Sotto il vigore della pregressa disciplina la giurisprudenza di legittimità era orientata nel senso che la presenza dei c.d. “requisiti mutualistici” - e dunque in particolare delle clausole c.d. “di non lucratività” - negli statuti delle società cooperative fosse idonea a determinare, non più di una mera presunzione di mutualità e che l’amministrazione finanziaria avrebbe sempre potuto provarne la mancanza in concreto(Cass. 25 maggio 1993, n. 870).
   Secondo alcune pronunce della Suprema Corte, poi, l’amministrazione finanziaria avrebbe potuto provare la mancanza di mutualità anche ricorrendo a criteri meramente presuntivi (Cass. 7 novembre 1990, n. 10739).
   Del resto non mancavano orientamenti ancora più rigidi della giurisprudenza che in un caso aveva addirittura ritenuto che spettasse allo stesso consorzio, in quanto soggetto interessato a far valere un’agevolazione di carattere tributario, fornire la prova della ricorrenza delle condizioni di legge per poterne beneficiare e ciò in ossequio al criterio generale sull’onere della prova sancito dall’art. 2697 cod. civ.(Cass. 21 gennaio 1994, n. 555).
   Se è facile immaginare che il perdurante silenzio del legislatore probabilmente confermerà l’orientamento giurisprudenziale restrittivo poc’anzi menzionato, il mutato quadro di riferimento normativo, e in particolare rafforzamento del sistema dei controlli su tutte le società cooperative (19), m’induce a ritenere che le agevolazioni riservate spettano automaticamente alle società cooperative per il solo fatto di essere, al tempo stesso, a mutualità prevalente e iscritte nella omonima sezione dell’albo delle società cooperative istituito presso il Ministero delle attività produttive, senza che residuino spazi di discrezionalità per un diniego da parte dell’amministrazione finanziaria, all’infuori dell’emersione di situazioni di irregolarità rilevate in occasione dei controlli previsti dalla disciplina generale di cui al codice civile (artt. 2545 quaterdecies e ss.) e dalla legislazione speciale di settore eventualmente applicabile.
   È dunque vieppiù opportuno verificare la compatibilità delle scelte statutarie con l’art. 2514 cod. civ.
   In via preliminare occorre tuttavia sgombrare il campo dal diffuso convincimento che le società cooperative già beneficiarie delle agevolazioni riservate perché in possesso dei requisiti mutualistici prescritti dalla legge Basevi non debbano adeguare lo statuto relativamente alle clausole di compressione del lucro, clausole che, secondo tale orientamento, sarebbero rimaste invariate nel passaggio tra vecchio e nuovo regime.
   È vero, infatti, che le clausole statutarie cui si riferisce l’art. 2514 cod. civ. riprendono in larga misura quelle recate dall’art. 26 della legge Basevi.
   Tuttavia, mentre la lett. a), comma 1 dell’art. 26 di tale ultima legge adotta come parametro «l’interesse legale ragguagliato al capitale effettivamente versato», la lettera a) dell’art. 2514 cod. civ. fa riferimento all’interesse massimo dei buoni postali fruttiferi (20).
   La frattura tra il regime pregresso e quello attuale è dunque evidente giacché, per l’individuazione del limite alla distribuzione di dividendi, si è passati da un criterio sostanzialmente “rigido”, quello contenuto nella legge Basevi ad uno invece “elastico” e correlato alla situazione di mercato, quello contenuto nella lett. a) dell’art. 2514 cod. civ. (21).
   Al riguardo occorre considerare che la remunerazione dei buoni postali è fissata con decreto ministeriale e che allora nello statuto si potrebbe prevedere un rinvio a detto decreto per determinare la percentuale massima di dividendi che può essere distribuita ai soci cooperatori.
   Sicché, qualora lo statuto, come frequentemente accade, contenesse un generico rinvio “ai requisiti mutualistici” (riferimento letterale alla rubrica dell’art. 26 della legge Basevi e dunque al criterio “rigido” di limitazione alla distribuzione di dividendi) si deve ritenere che siffatta genericità non consente d’intendere tale riferimento come una sorta di relatio ad ogni e qualunque “requisito mutualistico” previsto dalla legislazione vigente (22).
   La relatio, in sostanza, andrebbe esclusa perché, mentre la presenza nello statuto delle clausole di cui all’art. 2514 cod. civ. è funzionale al godimento delle agevolazioni riservate solo alle società cooperative a mutualità prevalente, tutte le società cooperative indistintamente, dunque anche quelle che non conformano il loro statuto alle prescrizioni indicate dall’art. 2514 cod. civ., si caratterizzano per la presenza dello scopo mutualistico e dunque necessariamente sono anche esse dotate di “requisiti mutualistici” (23). Insomma, allo stato attuale il riferimento ai “requisiti mutualistici” è riferimento del tutto generico che non consente d’individuare la cooperazione che gode delle agevolazioni riservate, tale essendo esclusivamente quella dove la mutualità è “prevalente”.
   Con la conseguenza che si deve ritenere, contrariamente al diffuso orientamento, che le società cooperative che intendono fruire delle agevolazioni riservate devono provvedere a modificare i propri statuti in conformità con le prescrizioni recate dall’art. 2514 cod. civ.
   Quanto poi ai limiti dell’autonomia statutaria sulla remunerazione degli strumenti finanziari, la riforma offre importanti opportunità al riguardo, perlomeno se si privilegia una lettura razionale e sistematica dell’art. 2514 cod. civ. piuttosto che una lettura meramente ossequiosa del dato letterale.
   L’analisi testuale della prescrizione di cui alla lett. a) dell’art. 2514 cod. civ., infatti, sembrerebbe suggerire che il limite alla distribuzione di dividendi ivi contenuto abbia una portata generale e valga dunque indistintamente per azioni, obbligazioni e più in generale per tutti gli strumenti finanziari mentre, sotto il profilo soggettivo, parrebbe che detto limite valga per i soci cooperatori come per i soci c.d. finanziatori.
   Tuttavia, se tale interpretazione fosse corretta, non avrebbe alcun senso la prescrizione recata dalla successiva lett. b) del più volte citato art. 2514 cod. civ., secondo cui la remunerazione degli strumenti finanziari offerti in sottoscrizione ai soci cooperatori non può essere superiore di due punti rispetto al limite previsto per i dividendi (24).
   Ai fini che qui interessano è poi da osservare che tale ultima prescrizione, mentre indica un “tetto” per la remunerazione degli strumenti finanziari quando sono sottoscritti dai soci cooperatori, non indica alcun limite per l’ipotesi che detti strumenti siano sottoscritti da soci “finanziatori”.
   Del resto, l’art. 2526 cod. civ. non pone alcun vincolo alla remunerazione degli strumenti finanziari, limitandosi a stabilire che spetta allo statuto disciplinare i diritti patrimoniali degli stessi, salva comunque l’intangibilità delle riserve indivisibili di cui all’art. 2545 ter cod. civ.
   Tali ultime considerazioni, peraltro, valgono solo per le società cooperative che non adottano la disciplina della società a responsabilità limitata ai sensi dell’art. 2519 cod. civ.
   Le società cooperativa cui si applicano le norme sulla società a responsabilità limitata, infatti, possono emettere strumenti finanziari dotati solo di diritti patrimoniali e possono offrirli in sottoscrizione esclusivamente a “investitori qualificati” (v. art. 2526 cod. civ., ult. comma).
   Il quadro degli adempimenti statutari necessari per qualificare la società come cooperativa a mutualità prevalente si completa con la clausola che vieta la distribuzione delle riserve fra i soci cooperatori e con quella che obbliga i soci a devolvere, in caso di scioglimento della società, il patrimonio ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione.
   Quanto al divieto di distribuzione delle riserve e dunque quanto al tradizionale istituto delle “riserve indivisibili”, la scelta effettuata dal legislatore della riforma all’art. 2514 cod. civ. sembra, perlomeno stando al tenore letterale della disposizione, più lasca rispetto al sistema previgente.
   Invero, il divieto di distribuzione delle riserve sembra ora sussistere solo nei confronti dei soci cooperatori, senza estendersi ai soci finanziatori come accadeva invece vigente l’art. 26 della legge Basevi: si riteneva infatti che le riserve non potessero essere assegnate ai soci sovventori (25).
   Peraltro, sostenere che siffatto divieto non operi rispetto ai soci finanziatori non equivale a ritenere che detti soci possano vantare diritti nei confronti delle riserve indivisibili.
   La previsione di cui alla lett. c del più volte menzionato art. 2514 cod. civ. va infatti coordinata con il secondo comma dell’art. 2526 cod. civ., secondo cui i privilegi eventualmente spettanti ai soci finanziatori «nella ripartizione degli utili e delle riserve non si estendono alle riserve indivisibili».
   Con la conseguenza, allora, che limitare ai soci cooperatori il divieto di distribuzione delle riserve significa consentire all’autonomia statutaria di prevedere la formazione di apposite riserve che siano invece divisibili fra i soci finanziatori.
   Semmai il problema, che qui mi limito a segnalare, è rappresentato dalla questione, peraltro non nuova, delle modalità di effettuazione del calcolo della quota di utili da imputare annualmente a riserva obbligatoria (ma il problema si pone anche per la quota di utili da destinare ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione), non essendo tuttora sciolto il dubbio se il computo vada fatto sulla base di tutto l’avanzo di gestione e dunque comprendendo anche il c.d. “avanzo mutualistico”, o se invece il riferimento sia solo all’utile in senso stretto.
   La questione si collega ovviamente con il problema del rapporto sussistente tra utile e ristorno, problema a cui neanche il legislatore della riforma - che pure per la prima volta ha introdotto nel codice civile una disposizione (art. 2545 sexies cod. civ.) in tema di ristorni - ha voluto dare una soluzione.
   In proposito, fermo restando che la distinzione sostanziale tra utili e ristorni resta tuttora una delle questioni più controverse del diritto della cooperazione (tale distinzione invece è nitida sul piano concettuale: gli utili remunerano il capitale e si distribuiscono in proporzione al conferimento, i ristorni rappresentano il vantaggio mutualistico, spettano esclusivamente ai soci cooperatori che hanno avuto scambi mutualistici con la cooperativa e si distribuiscono in proporzione alla quantità e alla qualità di detti scambi), mi limito a ricordare che una importante pronuncia della Suprema Corte ha affermato che i limiti legislativi previsti per la distribuzione dei dividendi non si applicano con riferimento ai ristorni (26).

NOTE

   (1) (1) Cfr., G. BONFANTE, La riforma della cooperazione della commissione Vietti, in Società, 2002, p. 1333.

   (2) Cfr., G. MARASÀ, I Problemi attuali della legislazione cooperativa nelle prospettive di riforma, in Riv. dir. civ., 2002, II, pp. 292-293.

   (3) Per la notazione secondo cui le critiche della dottrina prevalente alla legge delega, pur condivisibili sul piano della politica legislativa giacché un’interpretazione rigorosa della legge n. 366 del 2001 avrebbe inevitabilmente mortificato l’anima più importante del fenomeno cooperativo ossia la cooperazione agevolata, non sono altrettanto condivisibili quanto all’accusa di incoerenza mossa al legislatore delegante, sia consentito il rinvio, pure per ulteriori approfondimenti, a G. BERTOLOTTI, Le prestazioni accessorie nel diritto delle società, Roma, 2003, ed. provv., p. 99, nota n. 156.

   (4) Di seguito indicata anche come la “Relazione”.

   (5) Si tratta, come è noto, del decreto recante la riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, di seguito indicato anche come “riforma del diritto societario” o semplicemente “la riforma”.

   (6) Così la Relazione, § 15.

   (7) Secondo l’insegnamento tradizionale l’art. 45 cost. individuerebbe il carattere comune della cooperazione. Fra gli Autori che si sono occupati del tema prima dell’entrata in vigore del d. lgs. n. 6 del 2003, cfr., G. DE FERRA, Principi costituzionali in materia di cooperazione e carattere di mutualità, in Riv.soc., 1964, p. 790 ss.; P. VERRUCOLI, L’istituto cooperativo nel quadro delle forme associative, in Cooperazione e cooperative, a cura di BUONOCORE, Napoli, 1977, p. 40; A. BASSI, Delle imprese cooperative e delle mutue assicuratrici, in Commentario del codice civile, diretto da SCHLESINGER, Milano, 1988. Contra G. MINERVINI, La cooperazione e lo Stato, in Riv.dir.civ., 1969, I, p. 621 ss.
   Nota G. BONFANTE, sub. art. 2511, in Il nuovo diritto societario, commentario diretto da Cottino, Bonfante, Cagnasso, Montalenti, Bologna, 2004, p. 2379, «l’aver considerato elemento causale essenziale per tutte le cooperative lo scopo mutualistico è valso a superare le vischiosità dell’art. 5, l. 366/2001 che pareva distinguere fra un’indefinita funzione sociale della cooperazione e uno scopo mutualistico proprio dei cooperatori».

   (8) Così, ancora, la Relazione, § 15.

   (9) La diversa denominazione adottata dal legislatore delegato rispetto a quella proposta in sede di legge delega vuole all’evidenza eliminare il rischio di un’identificazione della cooperazione agevolata a fini fiscali con la cooperazione riconosciuta e tutelata dall’art. 45 cost., ciò anche se la Relazione ritiene “equivalenti” le due espressioni, cooperazione “costituzionalmente riconosciuta” e cooperazione “a mutualità prevalente”, asserendo di preferire la seconda perchè “più compatibile con lo stile espressivo classico del codice civile”, v. § 15.
   L’idea è sempre quella di comprendere tutto il fenomeno della cooperazione, e non solo la cooperazione agevolata a fini fiscali, nel perimetro tracciato dal costituente. V. supra nota 7.

   (10) Sul punto da ultimo G. MARASÀ, , Problemi della legislazione cooperativa, in Le cooperative prima e dopo la riforma del diritto societario, a cura di Marasà, Padova, 2004, p. 4 ss. e spec. p. 5, dove la notazione, comune in dottrina, che «la diversità di trattamento tra cooperative mutualità prevalente e cooperative diverse, riguarda le sole agevolazioni fiscali». Fra i primi commentatori della novella Cfr. per tutti E. TONELLI, sub art. 2511, in La riforma delle società, a cura di Sandulli e Santoro, vol. 4, Torino, 2003, p. 14, nota 11.

(11) In questo senso correttamente G. BONFANTE, sub art. 2545 quater, in Il nuovo diritto societario, cit., p. 2616.

(12) Un’eccezione è ad esempio rappresentata dal del d.l. n.63 del 2002 ricordato poc’anzi nel testo.

(13) In questi termini G. MARASÀ, Problemi della legislazione cooperativa, in Le cooperative prima e dopo la riforma del diritto societario, a cura di Marasà, Padova, 2004, p. 5.

(14) In questa sede non interessa esaminare quei peculiari fenomeni di cooperazione, come ad esempio le banche popolari, le banche di credito cooperativo, cooperative agricole o le cooperative sociali di cui alla legge n. 381 del 1991, per i quali i criteri di prevalenza sono differenti da quelli recati dall’art. 2512 cod. civ.
   Del resto il sistema delle deroghe ai criteri di prevalenza è per un verso vasto e per l’altro non definito visto che l’art. 111 undecies delle disposizioni di attuazione e transitorie consente al Ministero delle attività produttive, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, di derogare ai criteri di prevalenza «in relazione alla struttura dell’impresa e del mercato in cui le cooperative operano, a specifiche disposizioni normative cui le cooperative devono uniformarsi e alla circostanza che la realizzazione del bene destinato allo scambio mutualistico richieda il decorso di un periodo di tempo superiore all’anno di esercizio».
   Al riguardo questione di notevole rilievo è rappresentata dall’individuazione dei limiti al summenzionato potere di deroga del Ministero delle attività produttive. Per la tesi che il Ministero non potrebbe comunque fissare deroghe più severe ai criteri di prevalenza, sulla base dell’argomento che “il regime derogatorio presuppone di per sé un trattamento migliorativo e non peggiorativo” cfr. G. BONFANTE, sub art. 2513, in Il nuovo diritto societario cit., p. 2397.
   Sull’argomento si vedano pure le puntuali considerazioni di E. TONELLI, sub. art. 2513, in La riforma delle società cit., p. 37 il quale osserva che i principi di deroga recati dall’art. 111 undecies sono estremamente vaghi e che comunque l’intervento della pubblica amministrazione può consentirsi solo se i criteri di prevalenza fissati in generale dall’art. 2513 cod. civ. “siano oggettivamente impraticabili”, giacché diversamente opinando si renderebbero del tutto inutili le indicazioni generali recati dallo stesso art. 2513.

   (15) La dottrina concorda sulla circostanza che, malgrado la formulazione dell’art. 2512 cod. civ. non sia “chiarissima”, i tre requisiti di prevalenza ivi indicati non devono coesistere in ciascuna cooperativa: i singoli requisiti si riferiscono alla diversa tipologia di scambio che si riscontra nelle società cooperative. Per tutti cfr. G. BONFANTE, sub. art. 2512 cod. civ., cit., p. 2390.

   (16) In questo senso G. BONFANTE, sub. art. 2512 cod. civ., cit., p. 2390.

   (17) In senso contrario, con riferimento al “vecchio” registro prefettizio, era orientata la giurisprudenza di legittimità. Per tutti cfr. Cass. S.U. 6 gennaio 1981, n. 44, in Giust. civ., 1981, I, p. 1721.

   (18) Cfr., anche per i riferimenti giurisprudenziali citati di seguito nel testo, C.F. GIAMPAOLINO,La disciplina delle agevolazioni, in Le cooperative prima e dopo la riforma del diritto societario, a cura di Marasà, Padova, 2004, pp.107 e ss.

   (19) Si pensi in proposito che mentre in passato il filtro della “compatibilità” recato dall’art. 2516 cod. civ. e la circostanza che le società cooperative avevano un autonomo e specifico sistema di controlli governativi avevano indotto la dottrina prevalente a negare l’applicabilità del controllo giudiziario ex art. 2409 cod. civ., oggi, seppure con la regola della c.d. “prevenzione” (secondo cui l’attivazione di un tipo di controllo impedisce l’effettuazione dell’altro tipo), il controllo giudiziario delle società cooperative ha avuto riconoscimento normativo nell’art. 2545 quinquiesdecies cod. civ. Per i termini del dibattito Cfr. G. Di Cecco, sub. art. 2545 quinquiesdecies, in La riforma delle società, a cura di Sandulli e Santoro, vol. IV, Torino, 2003, p. 219 ss.

   (20) Il punto è svalutato da MARASÀ, Problemi della legislazione etc. cit., p. 6.

   (21) Cfr. E. TONELLI, sub. art. 2514 cod. civ., in La riforma delle società, a cura di Sandulli e Santoro, vol. 4, Torino, 2003, p. 40.

   (22) Sulle condizioni necessarie per l’ammissibilità della relatio nei negozi formali e per i relativi riferimenti bibliografici sia consentito rinviare a G. BERTOLOTTI, L’estinzione anticipata di obbligazioni bancarie tra diritto cartolare e trasparenza bancaria, in Riv. dir. comm., 2002, I, p.327 ss. e spec. p. 329.

   (23) Per la considerazione della mutualità quale tratto comune di tutta la cooperazione e non soltanto di quella che fruisce delle agevolazioni riservate si vedano le riflessioni svolte al § 1.

   (24) La discrasia era stata segnalata, già in sede di primo commento al decreto di riforma, da E. TONELLI, op. cit., p. 43. In senso conforme si è espresso da ultimo G. BONFANTE, sub. art. 2514, cit., p. 2401.

   (25) Per ogni riferimento v. G. BONFANTE, sub. art. 2514 cod. civ., cit., p. 2402.

   (26) Cfr. Cass., 8 settembre 1999, n. 9513. Contra Trib. Ascoli Piceno, 22 ottobre 1974, secondo cui sarebbe illegittima la clausola statutaria che non indica il limite massimo dei ristorni attribuibili ai soci.

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