il diritto commerciale d’oggi
    III.10 – ottobre 2004

STUDÎ & COMMENTI

 

MARIA RAFFAELLA SANCILIO

Primo commento alla Direttiva n. 2004/39/CE
in tema di servizi di investimento e mercati degli strumenti finanziari

 

La nuova Direttiva
   Nel mese di aprile è stata emanata la Direttiva 2004/39/CE relativa ai mercati degli strumenti finanziari (1), che abroga la precedente Direttiva 93/22/CEE ed introduce importanti novità alla disciplina dei mercati e dei servizi di investimento. Gli Stati membri dovranno provvedere al recepimento entro il 30 aprile 2006.
   La ratio legis della nuova Direttiva si rinviene nella necessità di modificare il quadro giuridico comunitario che disciplina tutte le attività destinate agli investitori in considerazione della maggiore complessità dei mercati degli strumenti finanziari rispetto a quelli esistenti nel periodo di emanazione della Direttiva 93/22/CEE. Infatti nel secondo considerando della Direttiva in commento si fa presente che «negli ultimi anni è cresciuto il numero degli investitori che operano nei mercati finanziari e l’ampia gamma di servizi e strumenti che viene offerta è diventata ancora più complessa. … A tal fine è indispensabile assicurare il grado di armonizzazione necessario per offrire agli investitori un livello elevato di protezione e consentire alle imprese di investimento di prestare servizi in tutta la Comunità, nel quadro del mercato unico, sulla base della vigilanza dello Stato membro di origine».

La “Direttiva Eurosim”
   La Direttiva n. 93/22 (c.d. “Direttiva Eurosim”) relativa alla prestazione di servizi di investimento (2), insieme alla Direttiva n. 93/6 relativa all’adeguatezza patrimoniale delle imprese di investimento e degli enti creditizi, hanno rappresentano il percorso obbligato e necessario per creare le condizioni minime per la libera circolazione dei servizi finanziari nell’Unione Europea (3). In particolare la Direttiva Eurosim non solo ha individuato i servizi di investimento, dettandone una disciplina organica, ma ha anche introdotto il principio del mutuo riconoscimento e del home country control, dal quale è discesa per ciascuna impresa d’investimento, autorizzata a prestare uno o più di tali servizi in uno Stato Membro, la libertà di esercitare gli stessi servizi in tutti gli altri Stati comunitari, sulla base dell’autorizzazione ricevuta nello Stato di origine (4).
   L’armonizzazione minima ha rappresentato il presupposto per il mutuo riconoscimento, in quanto la realizzazione di un minimo di regolamentazione comune a tutti gli Stati garantisce che siano soddisfatti i requisiti fondamentali e che un’impresa che ottiene nel proprio Paese di origine l’autorizzazione a svolgere determinate attività, possa esercitare quelle stesse attività in qualunque Stato Membro.
   Questi due principi hanno danno luogo a due importanti “corollari”. In primo luogo si è realizzata un’autorizzazione “unica” dell’impresa (la c.d. licenza europea), valida per tutti gli Stati Membri dell’Unione Europea. In secondo luogo l’impresa, ovunque operi, è soggetta alla normativa del proprio Stato di origine che pertanto esercita il controllo sull’attività (principio del home country control).
   I principi contenuti nella Direttiva 93/22/CEE furono introdotti in Italia con il D. lgs. n. 415/96 (c.d. “Decreto Eurosim”) e successivamente con il D. lgs. n. 58/98 (c.d. “Testo Unico della Finanza”.

Ambito di applicazione della nuova Direttiva
   L’ambito di applicazione della Direttiva n° 2004/39/CE (in breve “Direttiva”) è segnato da quattro concetti: “impresa di investimento”, “servizi di investimento”, “mercato regolamentato” e “sistemi multilaterali di negoziazione”.
   Al riguardo tra le principali novità introdotte dalla Direttiva si segnala la modifica alle norme che disciplinano il regime di autorizzazione e le condizioni di fornitura dei servizi di investimento, essendo venuta meno la facoltà di imporre sul loro territorio la c.d. «regola della concentrazione delle negoziazioni nel mercato regolamentato in cui le azioni sono quotate» che impone l’obbligo di veicolare tutti gli ordini di negoziazione verso un mercato regolamentato. Nell’intento del legislatore comunitario, tale “liberalizzazione” dovrebbe mettere in concorrenza i diversi sistemi di negoziazione incentivandone lo sviluppo a beneficio degli investitori.
   In fase di recepimento di tali nuovi principi in Italia sarà necessario rivedere l’art. 7 del Regolamento Consob in materia di Mercati, che, in attuazione dell’art. 25 del D. lgs. n° 58/98 c.d. Testo Unico Finanza, prevede che «Gli intermediari autorizzati eseguono o fanno eseguire le negoziazioni di strumenti finanziari, diversi dai contratti a premio e da ogni altro strumento finanziario derivato, esclusivamente nei mercati regolamentati …».
   Tra le definizioni contenute nell’art. 4 della Direttiva, quella di “impresa d’investimento” è stata aggiornata descrivendola come qualsiasi persona giuridica la cui occupazione o attività abituale consiste nel prestare uno o più servizi d’investimento a terzi e/o nell’effettuare una o più attività d’investimento a titolo professionale.
   Gli Stati Membri possono includere nella definizione di “impresa di investimento” una persona fisica che fornisca determinate garanzie in materia di vigilanza prudenziale e tutela degli interessi dei terzi, in particolare per quanto riguarda i casi in cui le persone fisiche siano ammesse a prestare servizi che implicano la detenzione di fondi o di valori mobiliari di terzi.
   Particolarmente innovativa è la definizione di “internalizzatore sistematico” individuato in un’impresa d’investimento che, in modo organizzato, frequente e sistematico, negozia per conto proprio – ovvero impegnando posizioni proprie - eseguendo gli ordini del cliente al di fuori di un mercato regolamentato o di un sistema multilaterale di negoziazione.
   La definizione di “mercato regolamentato” è stata modificata facendo riferimento ad un sistema multilaterale che funziona regolarmente, è autorizzato ai sensi della Direttiva ed amministrato e/o gestito da un gestore del mercato (che può anche coincidere con il mercato stesso) e consente o facilita l’incontro – al suo interno ed in base alle sue regole non discrezionali – di interessi multipli di acquisto e di vendita relativi a strumenti finanziari in modo da dar luogo a contratti su strumenti finanziari ammessi alla negoziazione secondo le sue regole di funzionamento.
   Tipologia intermedia tra l’impresa d’investimento e il mercato regolamentato, il sistema di scambi organizzato o “sistema multilaterale di negoziazione” è regolamentato dalla Direttiva, dato il suo notevole sviluppo negli ultimi anni in molti Stati membri e l’assenza di norme adeguate a garanzia del buon funzionamento dei mercati e degli interessi degli investitori. È gestito da un’impresa d’investimento o un gestore del mercato e consente l’incontro – al suo interno e in base a regole non discrezionali – di interessi multipli di acquisto e vendita di terzi in modo da dare luogo a contratti disciplinati dalle stesse norme applicabili alle imprese d’investimento.
   Innovativa è anche la definizione di “market maker” individuata dalla Direttiva nella persona che si propone sui mercati finanziari, su base continua, come disposta a negoziare per conto proprio acquistando e vendendo strumenti finanziari impegnando posizioni proprie a prezzi da essa definiti.
   Occorre, inoltre, segnalare l’inserimento, per la prima volta in modo chiaro ed esplicito, di una definizione di “cliente professionale” e, a contrario, di “cliente al dettaglio”. L’Allegato II descrive in termini generali il primo come un cliente che possiede l’esperienza, le conoscenze e la competenza necessarie per prendere le proprie decisioni in materia di investimenti e valutare correttamente i rischi che assume.
   La Direttiva ampia il novero degli “strumenti finanziari” che, oltre alle fattispecie già previste dalla previgente Direttiva 93/22/CEE, include tra l’altro: contratti di opzione, future e swap, accordi per scambi futuri di tassi d’interesse e altri contratti su strumenti derivati connessi a valori mobiliari, valute, tassi di interesse o rendimenti, indici finanziari o misure finanziarie che possono essere regolati con consegna fisica del sottostante o attraverso il pagamento di differenziali in contanti; contratti di opzione, future e swap nonché accordi per scambi futuri di tassi di interesse e altri contratti su strumenti derivati connessi a merci; strumenti finanziari derivati per il trasferimento del rischio di credito; contratti finanziari differenziali; contratti di opzione, future e swap e altri contratti su strumenti derivati connessi a variabili climatiche, tariffe di trasporto, quote di emissione, tassi di inflazione o altre statistiche economiche ufficiali, beni, diritti, obblighi, indici e misure.
   In proposito la Direttiva ritiene in generale «opportuno includere nell’elenco degli strumenti finanziari derivati su merci e altri derivati costituiti e negoziati in modo tale da richiedere un approccio di regolamentazione comparabile a quello degli strumenti finanziari tradizionali» (5).
   La nozione di “valori mobiliari” non è cambiata e ricomprende: i) azioni e altri titoli ad esse equivalenti compresi azioni di società e altri titoli equivalenti, certificati di deposito azionario, ii) obbligazioni ed altri titoli di credito inclusi i certificati di deposito, iii) qualsiasi altro valore mobiliare che permetta di acquisire o vendere tali valori o che comporti un regolamento a pronti determinato sulla base di valori mobiliari, valute, tassi d’interesse o rendimenti, merci o altri indici o misure.
   Con riferimento alla nozione di “strumenti del mercato monetario”, sono stati indicate delle esemplificazioni quali i buoni del tesoro, i certificati di deposito e le carte commerciali, ad esclusione degli strumenti di pagamento.
   È importante segnalare tra le novità importanti introdotte dalla Direttiva, l’ampliamento della gamma dei “servizi d’investimento” e dei “servizi accessori”.
   In particolare tra i servizi di investimento sono stati inseriti la consulenza in materia di investimenti, il collocamento di strumenti finanziari senza impegno irrevocabile e la gestione di sistemi multilaterali di negoziazione.
   Con particolare riferimento alla consulenza in materia di investimento, il terzo considerando della Direttiva spiega tale scelta «per via della sempre maggiore dipendenza degli investitori dalle raccomandazioni personalizzate, per cui è opportuno includere la consulenza in materia di investimenti tra i servizi di investimento che richiedono un’autorizzazione».
   Tra i servizi accessori sono inclusi la ricerca su investimenti e l’analisi finanziaria o altre forme di raccomandazione generale riguardanti le operazioni relative a strumenti finanziari, nonché i servizi e attività di investimento ed accessori collegati a strumenti derivati.

Condizioni per l’autorizzazione e l’esercizio di attività da parte delle imprese d’investimento
   Interessanti novità, introdotte dalla Direttiva in commento, riguardano la disciplina dei requisiti imposti alle imprese d’investimento per l’autorizzazione e l’esercizio dei servizi di investimento (6).
   Gli artt. 5 e 6 della Direttiva prevedono che, come in passato, l’autorizzazione venga richiesta all’autorità competente dello Stato d’origine e, una volta concessa, è riconosciuta valida in tutta la Comunità per la prestazione dei servizi in essa specificati (che non possono mai essere esclusivamente accessori), forniti sia mediante stabilimento di succursali che in regime di libera prestazione. Il rispetto dei requisiti per l’ottenimento dell’autorizzazione iniziale è soggetto a controllo periodico e continuo da parte dell’autorità competente.
   Fra le innovazioni, si rileva l’istituzione obbligatoria di un “registro” di tutte le imprese di investimento autorizzate presso ogni Stato membro, che sia accessibile al pubblico, indichi i servizi per i quali le imprese sono autorizzate e venga aggiornato regolarmente. L’estensione della gamma di servizi inizialmente autorizzati può essere concessa dall’autorità su presentazione di relativa richiesta da parte dell’impresa (7).
   Se da un lato risulta immutata la procedura per la concessione e la revoca dell’autorizzazione, sono stati più dettagliati i requisiti che devono essere rispettati per ottenerla (8). Oltre alla comunicazione obbligatoria dell’identità di soci ed azionisti con partecipazioni qualificate che, come in passato, devono risultare idonei alla sana e prudente gestione dell’impresa, ora si tiene conto anche della sufficiente onorabilità e professionalità dei dirigenti dell’impresa che richiede l’autorizzazione.
   Si evidenzia al riguardo che l’art. 10 della Direttiva conferisce all’autorità competente poteri per intervenire in caso di pregiudizio alla sana e prudente gestione dell’impresa, che possa essere arrecato da azionisti con partecipazioni qualificate o dirigenti e amministratori. Nei loro confronti l’autorità può imporre sanzioni, sospendere i diritti di voto inerenti alla partecipazione detenuta o richiedere anche l’irrogazione di provvedimenti giudiziari.
   L’art. 12 della Direttiva conferma il requisito, per le imprese che richiedono l’autorizzazione, di disporre di un sufficiente capitale iniziale e rinvia esplicitamente a quanto previsto dall’art. 67 della Direttiva 93/6/CEE nell’attesa della sua revisione.
   È invece nuovo il richiamo esplicito all’ottemperanza, da parte dell’impresa al momento dell’autorizzazione, degli obblighi previsti dalla Direttiva 97/9/CE relativa ai “sistemi di indennizzo” degli investitori (9).
   In tema di requisiti di organizzazione, l’art. 12 della Direttiva prescrive alle imprese di predisporre sistemi organizzativi ed amministrativi efficaci per adottare tutte le misure ragionevoli destinate ad evitare che i “conflitti di interesse” incidano negativamente sugli interessi dei loro clienti. La norma non specifica cosa debba intendersi per misure “ragionevoli” ma rinvia per questo all’adozione di norme di livello 2 (10). Essa risulta cioè altrettanto generica quanto lo era il disposto dell’art. 10 della Direttiva 93/22/CEE che richiedeva che l’impresa fosse strutturata e organizzata in modo tale da «ridurre al minimo il rischio che gli interessi dei clienti siano lesi dai conflitti d’interessi tra l’impresa e i suoi clienti e tra singoli clienti». Altrettanto vago il quarto comma dell’art. 10 che impone alle imprese di adottare misure ragionevoli per «garantire la continuità e la regolarità nella prestazione di servizi e nell’esercizio di attività d’investimento», utilizzando sistemi, risorse e procedure «appropriati e proporzionati».
   Si pone invece chiaramente, e per la prima volta, il problema delle funzioni operative affidate in outsourcing a terzi, per le quali le imprese d’investimento sono tenute responsabili al fine di evitare ogni indebito aggravamento del rischio operativo, di garantire comunque il controllo interno e di permettere all’autorità di vigilanza di controllare che le imprese di investimento adempiano a tutti i loro obblighi.
   Sempre in merito al rischio, fra i requisiti si legge anche quello per cui l’impresa si deve dotare di procedure amministrative e contabili, meccanismi di controllo interno e procedure efficaci per la valutazione del rischio e di meccanismi di controllo e tutela in materia di elaborazione elettronica dei dati. Si parla peraltro non più di “registri”, bensì di “registrazioni sufficienti” che l’impresa deve conservare al fine di permettere all’autorità di controllare che siano stati adempiuti tutti gli obblighi nei confronti dei clienti (11).
   L’art. 14 della Direttiva contiene norme specifiche per quanto riguarda le regole e procedure che imprese di investimento ed gestori di sistemi multilaterali di negoziazione devono adottare per l’accesso ai loro sistemi di negoziazione ed esecuzione degli ordini.
Le norme devono garantire trasparenza, oggettività e non discrezionalità dei criteri di accesso degli investitori, dell’ammissione di strumenti finanziari, nonché del regolamento delle operazioni concluse.
   La Direttiva precisa peraltro che solo le operazioni che i membri di un sistema multilaterale di negoziazione concludono per conto dei loro clienti, eseguendo ordini sul sistema multilaterale di negoziazione, sono soggette alle norme in materia di protezione degli investitori, ad esclusione quindi delle operazioni concluse fra gli stessi membri di un sistema multilaterale di negoziazione o fra il sistema multilaterale di negoziazione ed i suoi membri.

Condizioni all’esercizio dell’attività
   In tema di condizioni all’esercizio dell’attività da parte delle imprese di investimento, il Capo II del Titolo II della Direttiva contiene una disciplina che rispetto a quanto previsto dalla Direttiva 93/22/CEE, è finalizzata a stabilire un quadro più stringente per la prestazione di servizi e l’esercizio dell’attività d’investimento, allo scopo di garantire una maggior tutela degli investitori e la trasparenza ed integrità del mercato.
   Ancora in tema di “conflitti d’interesse”, l’art. 18 della Direttiva prescrive che sia adottata ogni misura ragionevole per identificare i conflitti d’interesse tra l’impresa di investimento - inclusi dirigenti, dipendenti ed agenti collegati o persone direttamente/indirettamente connesse – e i suoi clienti, nonché fra più clienti della stessa impresa all’occasione della prestazione di servizi (primari, accessori o entrambi). Le imprese sono tenute ad informare preventivamente i clienti sulla natura e/o le fonti di conflitti nei casi in cui le disposizioni adottate si rivelino insufficienti per assicurare, con ragionevole certezza, che il rischio di nuocere agli interessi dei clienti sia evitato.
   Spetta alla Commissione, mediante misure di attuazione di livello 2, chiarire cosa si possa ragionevolmente richiedere che le imprese adottino al fine di rilevare, prevenire, gestire e/o divulgare i conflitti d’interesse che possono sorgere nell’esecuzione dell’attività e quali siano quelli potenzialmente lesivi degli interessi dei clienti.
   Il rinvio alla normativa di secondo livello dovrebbe permettere di aggiornare le contromisure relative ai conflitti d’interesse a seconda dell’evoluzione delle pratiche di mercato, mantenendo valido il principio per cui l’impresa deve essere vigilante e avvertire il cliente permettendogli di decidere se richiedere ugualmente il servizio malgrado la sussistenza di un conflitto d’interessi.
   In materia di “regole di comportamento” da rispettare al momento della prestazione di servizi d’investimento, l’art. 19 della Direttiva amplia e specifica quelle che all’art. 11 della Direttiva 93/22/CEE erano indicazioni minime.
   Oltre a sancire i principi di base a cui l’attività deve ispirarsi – onestà, equità e professionalità – la Direttiva descrive nel dettaglio quello che l’impresa deve comunicare ai clienti o potenziali tali affinché possano ragionevolmente comprendere la natura del servizio e il tipo specifico di strumenti finanziari loro proposti nonché i relativi rischi e siano in grado di prendere le decisioni in materia di investimenti con cognizione di causa.
   L’obbligo di informativa in capo all’impresa è duplice: da un lato, essa deve informare il cliente in merito alle specifiche del servizio, dall’altro deve raccogliere le informazioni presso il medesimo cliente quanto alle sue conoscenze relativamente al tipo di servizio e strumento finanziario da trattare, al fine di stabilire se il servizio o prodotto proposto sia adatto al cliente.
La Direttiva rende molto più stringente l’obbligo di applicare il c.d. “know your customer principle” e mira a responsabilizzare le imprese di investimento nei riguardi degli investitori al dettaglio che costituiscono la categoria meno esperta e più a rischio, cercando tuttavia di non appesantire i meccanismi di gestione dei rapporti con la clientela professionale, né di interferire con norme già in vigore in materia di attività degli enti creditizi o di credito al consumo. In base allo stesso criterio, qualora l’impresa fornisca un servizio di mera esecuzione e/o ricezione e trasmissione di ordini, essa è dispensata dal procedere a tutti gli accertamenti di adeguatezza sopra indicati solo se le condizioni seguenti sono tutte soddisfatte: (i) il servizio è prestato ad iniziativa del cliente; (ii) esso concerne una gamma di strumenti “non complessi”; (iii) il cliente è stato chiaramente informato che, per tale servizio, l’impresa non è tenuta a verificarne l’idoneità e che egli non beneficia pertanto della corrispondente protezione offerta dalla Direttiva; (iv) l’impresa rispetta tutti i requisiti in materia di gestione dei conflitti d’interesse. La forma scritta assicura che siano chiaramente precisati i diritti ed obblighi in capo alle parti ed i servizi effettivamente prestati.
   Altro fondamentale principio previsto dalla Direttiva e solo accennato all’art. 11 della Direttiva 93/22/CEE, è quello c.d. dell’esecuzione al meglio (“best execution”). Pur rinviando a misure di livello 2 per l’ulteriore definizione dei relativi criteri, già l’art. 21 della Direttiva impone agli Stati membri di fare in modo che le imprese d’investimento adottino tutte le misure ragionevoli per ottenere, nell’esecuzione degli ordini, il miglior risultato possibile per i loro clienti. Molti i parametri, tuttavia, da tenere in conto per stabilire quando l’esecuzione sia “al meglio” per il cliente: non solo il prezzo ma anche i costi , la rapidità e il grado di probabilità d’esecuzione e di regolamento, le dimensioni e la natura dell’ordine e qualsiasi altra considerazione pertinente ai fini dell’esecuzione. Risulta cioè quanto mai relativo il concetto di miglior esecuzione, che resta affidato alla valutazione dell’impresa, benché debba essere incorporato in una strategia che essa è tenuta a definire e rispettare e che il cliente deve preventivamente ed esplicitamente approvare. Resta poi a carico delle imprese l’onere di dimostrare ai clienti, su loro richiesta, che esse hanno eseguito gli ordini in conformità alla strategia. Maggior chiarezza si ha solo nel caso in cui sia il cliente stesso ad impartire all’impresa istruzioni specifiche e vincolanti sulle modalità di esecuzione.
   Nel caso di ordini con limiti di prezzo provenienti da clienti su azioni quotate, che non siano eseguiti immediatamente alle condizioni prevalenti del mercato, le imprese devono adoperarsi per facilitarne l’esecuzione il prima possibile ove non disposto diversamente dal cliente, pubblicandoli in modo da renderli facilmente accessibili al mercato.
   A questo scopo, agli Stati membri è lasciata la possibilità di imporre la trasmissione di tali ordini a un mercato regolamentato o ad un sistema multilaterale di negoziazione e, in questo caso, possono anche decidere di esentare dall’obbligo di pubblicazione quegli ordini con limite di prezzo che riguardano volumi elevati rispetto alle dimensioni normali del mercato. Detta facoltà pare in realtà un tentativo di reintrodurre la regola di concentrazione laddove la Direttiva dovrebbe eliminarla ponendo in concorrenza fra loro le imprese, i mercati regolamentati e i sistemi multilaterali di negoziazione.
   Le regole di comportamento sopra descritte sono principalmente destinate a tutelare gli investitori al dettaglio: pertanto esse non trovano applicazione alle operazioni che le imprese concludono con “controparti qualificate”, ovverosia soggetti rientranti nella categoria dei clienti professionali, ad esclusione dei negoziatori su merci e strumenti derivati. La Direttiva fa salvo tuttavia il diritto di tali controparti di richiedere di poter beneficiare della tutela riservata ai clienti al dettaglio, secondo procedure che spetta alla Commissione definire mediante misure di livello 2. Va notato che la categoria delle controparti qualificate è più ristretta rispetto a quella dei clienti professionali, elemento che in realtà non contribuisce alla chiarezza dell’impianto normativo.
   Tra le novità più importanti vi è l’introduzione di nuovi obblighi di trasparenza per le imprese di investimento, per i mercati ed i sistemi multilaterali di negoziazione (12).
   Viene mantenuto il regime di trasparenza nei confronti dell’autorità competente: a prescindere dal luogo di esecuzione – mercato regolamentato o meno – di un’operazione su strumenti quotati, l’impresa che la effettua deve comunicarne i dettagli (direttamente o tramite un terzo o mediante un sistema di confronto degli ordini c.d. “trade matching system”) all’autorità competente il più rapidamente possibile e, al più tardi entro il giorno lavorativo seguente. Quest’ultima provvederà poi a trasmetterli all’autorità che è competente per il mercato più pertinente in termini di liquidità rispetto a tali strumenti, così da rendere più trasparente la loro situazione su vasta scala. Le imprese sono tuttavia esentate dall’obbligo di effettuare la comunicazione all’autorità laddove le informazioni siano a questa pervenute dal mercato regolamentato o sistema multilaterale di negoziazione eventualmente utilizzati per concludere l’operazione. A fini di controllo, le imprese sono comunque tenute a conservare per almeno 5 anni a disposizione dell’autorità competente i dati delle operazioni effettuate, per conto proprio o dei clienti.
   Nei confronti del pubblico, invece, la Direttiva istituisce un regime di trasparenza valido, sia pur con talune differenze, sia per gli internalizzatori sistematici che per i sistemi multilaterali di negoziazione ed i mercati regolamentati. Questa costituisce una notevole innovazione rispetto al funzionamento degli scambi introdotto dalla Direttiva 93/22/CEE che imponeva obblighi solo in capo ai mercati regolamentati.
   Pur mirando ad uniformare il regime di trasparenza di internalizzatori sistematici, mercati regolamentati e sistemi multilaterali di negoziazione, la Direttiva riconosce ai primi la specificità legata alla loro natura di imprese e permette che essi possano, su base di criteri oggettivi e non discriminatori di politica commerciale, rifiutarsi di intrattenere relazioni commerciali con determinati investitori o limitare il numero totale delle transazioni per uno stesso cliente o ancora il numero di transazioni di clienti diversi da eseguire nello stesso momento se è superata notevolmente la quantità di regola ricercata.
   Se gli obblighi di trasparenza pre-negoziazione sono imposti esplicitamente agli internalizzatori sistematici, quelli di post-negoziazione valgono più in generale per le imprese d’investimento che hanno concluso, per conto proprio o dei clienti, operazioni al di fuori di un mercato regolamentato o un sistema multilaterale di negoziazione. Tali obblighi concernono la comunicazione di volume, prezzo e momento d’esecuzione delle operazioni, che deve avvenire per quanto possibile in tempo reale, deve essere accessibile facilmente e a condizioni commerciali ragionevoli per i partecipanti al mercato.
   Come sopra accennato, norme analoghe di trasparenza pre- e post-negoziazione sono previste anche per i sistemi multilaterali di negoziazione ed i mercati regolamentati. L’obbligo di rendere pubblici i prezzi correnti di acquisto e di vendita nonché lo spessore degli interessi di negoziazione espressi a tali prezzi per azioni quotate vale tanto per i primi quanto per i secondi. Ad operazioni concluse, lo stesso obbligo si applica ai prezzi, volumi e momento di esecuzione delle transazioni avvenute. La messa a disposizione del pubblico deve essere assicurata in entrambi i casi a condizioni commerciali ragionevoli ed in modo continuo durante il normale orario di contrattazione. La stessa esenzione dall’obbligo di pubblicazione pre-negoziazione, o dall’obbligo di pubblicare in tempo reale le operazioni concluse, è peraltro concessa dalle autorità competenti a beneficio di entrambi, per ordini di dimensioni elevate rispetto a quelle normali del mercato delle azioni negoziate. Sarà la Commissione mediante misure di livello 2 a stabilire i criteri per l’applicazione dell’esenzione, inclusi i tipi di mercati o i metodi di negoziazione utilizzati da un sistema multilaterale di negoziazione che, per loro natura, possono beneficiare dell’esenzione.

Diritti delle imprese di investimento
   Con riferimento ai diritti delle imprese di investimento, l’art. 31 della Direttiva ribadisce il principio del c.d. “passaporto europeo” in base al quale un’impresa autorizzata e sottoposta alla vigilanza nel suo paese d’origine è libera di prestare servizi di investimento sul territorio di un altro Stato Membro senza dover subire l’imposizione di obblighi supplementari. I servizi accessori possono essere prestati soltanto insieme ad un servizio e/o ad un’attività di investimento.
   L’impresa che desideri prestare servizi cross-border per la prima volta, o modificare la gamma di quelli già offerti, deve ora comunicare all’autorità competente (dello Stato membro) “d’origine”, oltre alle informazioni che erano già richieste ai sensi della Direttiva 93/22/CEE - Stato ospitante in cui intende operare e programma di attività con indicazione dei servizi d’investimento previsti - anche la lista dei servizi accessori e l’eventuale intenzione di avvalersi di agenti collegati, nonché la loro identità. Il termine per la comunicazione di tali informazioni fra autorità “d’origine” e autorità (dello Stato membro) “ospitante” è sempre di un mese. Benché meno chiaro di quello dell’art. 18 della Direttiva 93/22/CEE, il disposto dell’art. 31 della Direttiva dovrebbe comunque permettere all’impresa di iniziare la prestazione dell’attività anche prima della scadenza, qualora la comunicazione avvenga “nel corso del mese”.
   Fra i diritti riconosciuti alle imprese d’investimento è confermato quello di avere libero accesso ai mercati regolamentati di Stati membri ospitanti, senza l’imposizione di obblighi aggiuntivi rispetto alle imprese locali. L’accesso può essere in forma diretta mediante stabilimento di succursali, o remota se i sistemi e le procedure di funzionamento del mercato non richiedono una presenza fisica. Peraltro, sono ora estese anche alle imprese ed ai gestori di sistemi multilaterali di negoziazione le disposizioni che la Direttiva 93/22/CEE già prevedeva per i mercati regolamentati relativamente al loro diritto di installare dispositivi per l’accesso remoto degli utenti ai propri sistemi nel territorio di altri Stati membri.
   Nessun sostanziale cambiamento, invece, per quanto riguarda lo stabilimento di succursali, salvo il fatto che tra le informazioni da fornire all’autorità “d’origine”, ora vi è anche l’eventuale intenzione della succursale di servirsi di agenti collegati. È mantenuto il regime di vigilanza sulle succursali, come in passato affidata alle autorità “ospitanti”, inclusa la previsione che le autorità “d’origine” possano, nell’esercizio delle loro responsabilità e previa informazione dell’autorità “ospitante”, procedere a verifiche in loco presso le succursali di imprese autorizzate nello Stato membro d’origine.
   Un’importante modifica risulta invece l’intervento del legislatore sui sistemi di post-trading. Quello che la Direttiva 93/22/CEE menzionava timidamente come accesso ai sistemi di compensazione e regolamento, insistendo molto di più sul diritto al libero accesso ai mercati, viene ora regolamentato in modo più approfondito nell’art. 34 della Direttiva, includendo il diritto di accesso anche ai sistemi di controparte centrale. Gli Stati sono infatti tenuti a garantire che l’accesso a tali strutture sia subordinato a criteri non discriminatori, trasparenti ed obiettivi per tutte le imprese senza distinzione di provenienza (locale o meno) e che sia consentito alle imprese di utilizzarli anche per operazioni effettuate sul territorio di altri Stati membri. Diventa cioè un diritto dell’impresa designare l’infrastruttura che desidera utilizzare per finalizzare le transazioni effettuate, senza che il mercato presso il quale sono avvenute possa vincolare tale scelta. Stesso diritto ha l’impresa o il gestore di sistemi multilaterali di negoziazione quando voglia concludere accordi con una controparte centrale, una stanza di compensazione o un sistema di regolamento per le operazioni svolte presso i propri sistemi. I limiti sono ovviamente quelli di ordine tecnico (che si possa materialmente utilizzare una struttura sita in uno Stato diverso da dove si trova fisicamente il mercato) e quelli di tutela del buon funzionamento del mercato nel suo complesso (che l’autorità riscontri l’esistenza delle condizioni tecniche necessarie al funzionamento armonioso del mercato).
   Se lo spirito della norma è condivisibile nella misura in cui sposa l’idea di una totale apertura delle infrastrutture senza più barriere fra mercati nazionali, lascia tuttavia perplessi la previsione finale dell’art. 34 della Direttiva che permette ai gestori dei sistemi di controparte centrale, compensazione e regolamento di rifiutare l’accesso ai servizi richiesti per ragioni commerciali legittime. Tale limitazione al libero accesso può trovare spiegazione nella crescente presenza, sul territorio dell’Unione, di infrastrutture di post-trading che operano anche come enti creditizi ed offrono, insieme alle funzioni di controparte centrale, compensazione e regolamento, anche servizi in concorrenza con gli intermediari finanziari.

I Mercati regolamentati
   Il Titolo Terzo della Direttiva è dedicato alla disciplina dei “Mercati regolamentati”; oltre a quanto sopraesposto in tema di obblighi di trasparenza pre- e post-negoziazione, va sottolineato che la Direttiva instaura per la prima volta una disciplina generale per i mercati regolamentati, ampliando le scarne disposizioni che la Direttiva 93/22/CEE aveva loro dedicato. Il Titolo III non solo prescrive che anche i mercati devono ottenere l’autorizzazione dall’autorità del loro Stato d’origine (ovvero lo Stato in cui sono registrati o è situata la loro amministrazione centrale), ma fissa anche i criteri per il rilascio e la revoca di tale autorizzazione, gli obblighi inerenti alla gestione del mercato, i requisiti di organizzazione, i principi che devono ispirare le regole di ammissione degli strumenti finanziari alla negoziazione, la loro sospensione e ritiro dal mercato, i rapporti fra i mercati e le infrastrutture di post-trading. Gli Stati membri devono compilare e tenere aggiornato “l’elenco dei mercati regolamentati” che autorizzano all’esercizio sul loro territorio.
   In primo luogo, la Direttiva incorpora la figura del “gestore del mercato”, sviluppatasi successivamente alla Direttiva 93/22/CEE ed individuata nella persona o persone che gestiscono e/o amministrano l’attività di un mercato regolamentato. Trova così traduzione giuridica la situazione di molti mercati in cui la gestione dell’attività è trasferita ad una struttura societaria separata, spesso anch’essa quotata su altri mercati. In altri casi, invece, il gestore può anche coincidere con il mercato stesso, ma conserva la medesima funzione: esso ha la responsabilità di garantire che il mercato che gestisce soddisfi tutti i requisiti previsti dalla Direttiva ed esercita i diritti da questa conferiti.
   I mercati regolamentati sono tenuti a rispettare in ogni momento le disposizioni relative al rilascio dell’autorizzazione, che può essere revocata qualora tale obbligo non sia rispettato o quando il mercato non si avvalga dell’autorizzazione entro 12 mesi dal rilascio, vi rinunci espressamente o abbia cessato la sua attività da più di 6 mesi (13).
   Anche ai dirigenti effettivi dei mercati (ivi compresi quelli già autorizzati al momento dell’entrata in vigore della Direttiva) si richiede il rispetto dei requisiti di onorabilità e professionalità validi per le imprese. In merito all’assetto proprietario dei mercati, il gestore deve comunicare l’identità delle parti che sono in grado di esercitare un’influenza significativa sulla gestione del mercato, senza peraltro che siano specificate soglie. Analoghi anche i requisiti di organizzazione rispetto a quelli richiesti alle imprese d’investimento per quanto attiene alla individuazione e gestione di eventuali conflitti d’interessi, senza tuttavia l’obbligo di applicare procedure altrettanto strutturate. Più importanti invece per i mercati sono le regole e procedure che devono essere instaurate per la prevenzione ed attenuazione dei rischi compresi quelli di disfunzione del sistema, la corretta ed ordinata esecuzione degli ordini, la finalizzazione efficiente e tempestiva delle operazioni eseguite.
   L’art. 40 della Direttiva si occupa delle regole di ammissione degli strumenti finanziari, non già per definirle nel dettaglio (compito lasciato alla Commissione con norme di livello 2), quanto piuttosto per richiamare i mercati alla chiarezza e alla trasparenza, all’equità, all’ordine e all’efficienza, fatto salvo l’esplicito riferimento alla necessità di regole ad hoc per gli strumenti derivati. Sono menzionati poi gli obblighi che gli emittenti devono assolvere in materia di informativa iniziale, continuativa e ad hoc, obblighi che decadono in caso di quotazione senza il loro consenso su mercati regolamentati successivamente alla prima ammissione. La sospensione e il ritiro di strumenti finanziari possono essere impartiti sia dal gestore che dall’autorità competente in caso di violazione delle regole del mercato regolamentato, salvo qualora ciò possa causare danni significativi agli interessi degli investitori o all’ordinato funzionamento del mercato. Pienamente associati alla lotta contro gli abusi di mercato, i gestori dei mercati regolamentati sono peraltro tenuti in prima istanza a controllare i loro membri e partecipanti al fine di rilevare i comportamenti riconducibili alla fattispecie identificata dalla Direttiva 2003/6/CE e a fornire piena assistenza all’autorità competente nell’investigare e perseguire gli abusi commessi.
   Tra i requisiti per l’acquisizione della qualità di membro di un mercato, oltre a quanto già enunciato dalla Direttiva 93/22/CEE, sono previsti criteri per i soggetti che non sono né enti creditizi né imprese d’investimento, ma possono nondimeno diventare membri di un mercato: devono soddisfare i requisiti di onorabilità e professionalità e disporre di sufficiente capacità di negoziazione e competenza, di dispositivi organizzativi e di risorse sufficienti per il ruolo che devono svolgere, secondo quanto fissato dal mercato stesso. È importante notare che i membri del mercato non sono vincolati, nei loro reciproci rapporti, dalle norme di comportamento sopra descritte vigenti per i rapporti con i clienti. Solo con questi ultimi essi devono rispettare gli obblighi di informazione, di esecuzione al meglio e di gestione degli ordini.

Le Autorità competenti
   Il Titolo Quarto della Direttiva detta disposizioni in tema di “Autorità competenti”, e tra le novità, è importante segnalare la possibilità di delega, da parte dell’autorità pubblica designata, di talune delle sue funzioni ad altre autorità secondo criteri definiti (14). Tale possibilità - per alcuni paesi innovativa, per altri conferma di prassi già consolidate – è subordinata alla verifica da parte della delegante che il soggetto delegato sia in possesso di capacità e risorse in grado di consentirgli di espletare le funzioni ad esso affidate. In nessun caso la delega può comportare l’esercizio di pubblici poteri né l’uso di poteri discrezionali di giudizio. È l’autorità designata dallo Stato membro che rimane comunque responsabile finale della vigilanza sul rispetto delle norme della Direttiva.
   La possibilità di delega è prevista per mansioni puramente amministrative, di preparazione o accessorie al rilascio delle autorizzazioni o al controllo periodico delle imprese, nonché per la tenuta del registro degli agenti collegati (in questo caso la delega può essere data ad una stessa impresa d’investimento). Viene conferita sulla base di un chiaro inquadramento di mansioni e poteri, con garanzia di evitare i conflitti d’interesse.
   Sempre valido il principio, già espresso dalla Direttiva 93/22/CEE, della collaborazione a cui devono essere improntati i rapporti fra più autorità di uno stesso Stato membro e fra autorità di Stati membri diversi, nella forma principalmente di scambio di informazioni. Esse possono anche concludere veri e propri accordi di collaborazione nel caso in cui l’impatto dell’attività di un mercato sito in uno Stato membro sulla tutela degli investitori di un altro Stato membro sia tale da necessitare un rapporto più stabile e strutturato. Analoghi accordi di collaborazione per lo scambi o di informazioni possono essere stipulati anche con paesi terzi, purché esistano garanzie equivalenti a quelle richieste agli Stati membri in merito al rispetto del segreto professionale.
   A compendio dell’obbligo di collaborazione esiste peraltro ora per l’autorità la possibilità, limitata a casi specifici, di rifiutare di prestare la propria collaborazione.
   Nuovi anche i poteri, sia per il loro numero (minimo) che per la loro intensità, riconosciuti alle autorità competenti nell’esercizio delle loro mansioni. Ai sensi dell’art. 50 della Direttiva, esse possono, tra l’altro, avere accesso a qualsiasi documento in qualsiasi forma e averne copia, ottenere informazioni da chiunque anche mediante interrogatorio, eseguire ispezioni in loco, ottenere le registrazioni di comunicazioni telefoniche e scambi di dati, adottare misure per far rispettare gli obblighi di legge alle imprese tra cui richiedere la sospensione dalla negoziazione di strumenti finanziari, nonché richiedere l’intervento dell’autorità giudiziaria o di polizia per provvedimenti di maggior vigore. Il potere sanzionatorio di cui già godevano le autorità nazionali in virtù della Direttiva 93/22/CEE è confermato, con l’esplicito richiamo a che le sanzioni siano efficaci, proporzionate e dissuasive, anche mediante la loro divulgazione al pubblico.

 

NOTE

   (1) La Direttiva 2004/39/CE è stata adottata il 21 aprile 2004 e pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea il 30 aprile 2004.

   (2) In argomento cfr. F. ANNUNZIATA, Commento alla Direttiva ‘93/22/CEE e ‘93/6/CEE, Corriere Giuridico 1994 p. 32; B. BIANCHI, Direttiva sui servizi di investimento, Atti del convegno di Milano 8/5/1995 p. 155; M. DRAGHI, Effetti della Direttiva Servizi di Investimento sul sistema finanziario italiano, ibidem; G. FERRARINI, Intermediari e mercati mobiliari nello scenario europeo: rischi ed opportunità della Direttiva Servizi di Investimento, ibidem; G. FERRARINI, Le Direttive europee sui servizi d’investimento e adeguatezza patrimoniale, Banca, Borsa e Titoli di Credito n. 1 1994, p. 57; R. TEDESCHI , La Direttiva Eurosim, Milano 1996, p. 31 e ss.; G. GODANO, Nuove direttive sulle società di investimento nel settore dei valori mobiliari, Foro it., 1994, IV, p. 159.

   (3) Sul punto cfr. G. PASCAZIO, 1992: liberalizzazione europea dei servizi finanziari, Impresa Banca, 1993, p. 25.

   (4) Sul punto cfr. S. D’ARCANGELIS, Servizi di investimento a dimensione europea, Amministrazione e Finanza n. 18 1993, p. 1123 ss.; F. ANNUNZIATA, Il mercato unico dei servizi finanziari: la Direttiva comunitaria n. 93/22/CEE sulle imprese di investimento, Rivista Milanese di Economia n. 4-5 1995, p. 15 ss.; R.TEDESCHI, La Direttiva Eurosim, Milano 1996, p. 34 ss; C. CATTANEO, op. cit., p. 491 ss.

   (5) Cfr. il 4° Considerando della Direttiva in commento.

   (6) Cfr. le disposizioni contenute nel Titolo II, Capo I della Direttiva.

   (7) Cfr. art. 6, comma 2, della Direttiva in commento.

   (8) Cfr. artt. 7, 9 e 10 della Direttiva in commento.

   (9) Cfr. art. 11 della Direttiva in commento.

   (10) Come precisato nelle Disposizioni Finali della Direttiva (artt. 64 e ss.), l’impianto della Direttiva stessa si basa sulla procedura Lamfalussy e l’utilizzo delle regole della c.d. comitatologia. L’art. 64 rinvia infatti alla decisione 1999/468/CE in cui sono descritte le funzioni dei comitati che devono assistere la Commissione nell’espletamento dei suoi poteri di esecuzione. Per l’elaborazione delle norme di attuazione previste dalla Direttiva, sarà il comitato dei valori mobiliari, composto da rappresentanti degli Stati Membri, a fornire alla Commissione un parere vincolante sulle proposte di norme di livello 2 che la Commissione predisporrà dopo aver ricevuto parere tecnico dal comitato europeo delle autorità di vigilanza dei mercati in valori mobiliari (CESR).

   (11) Cfr. art. 13 della Direttiva in commento.

   (12) Cfr. artt. 25 e ss. della Direttiva in commento.

   (13) Cfr. art. 36, comma 5 della Direttiva in commento.

   (14) Cfr. art. 48 della Direttiva in commento.

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