il diritto commerciale d’oggi
    III.10 – ottobre 2004

STUDÎ & COMMENTI

 

RITA GISMONDI

Le prime applicazioni giurisprudenziali
in tema di “centro degli interessi principali” del debitore insolvente

 

1. Premessa
   A distanza di due anni dall’entrata in vigore del Regolamento (CE) n. 1346/2000 del Consiglio, del 29 maggio 2000, relativo alle procedure di insolvenza (il “Regolamento”) (1), si riscontrano le prime applicazioni giurisprudenziali dei principi in esso contenuti, in relazione a fattispecie sottoposte all’esame dei giudici nazionali di diversi Stati membri.
   Le decisioni sinora pubblicate (e, segnatamente, una nota vicenda nel contesto della procedura di amministrazione straordinaria alla quale sono sottoposte svariate società del gruppo Parmalat) (2) offrono lo spunto per esaminare la concreta operatività delle disposizioni di cui all’art. 3 del Regolamento, con riferimento alla nozione di “centro degli interessi principali” del debitore insolvente (l’espressione è la traduzione di centre of main interests, di seguito il “Comi”), la cui determinazione è essenziale ai fini dell’apertura della procedura di insolvenza cd. “principale” (main insolvency proceedings).
   Da una prima analisi delle suddette decisioni emergono, inoltre, alcuni inconvenienti che il disposto normativo in esame può comportare in sede applicativa, i quali si traducono essenzialmente in un possibile conflitto positivo di giurisdizioni, nel caso in cui due giudici di Stati membri diversi si ritengano contemporaneamente competenti ad aprire una procedura di insolvenza principale a carico dello stesso debitore.

2. L’art. 3 del Regolamento ed il Comi
   Ai sensi dell’art. 3, commi 1 e 2 del Regolamento, sono competenti ad aprire la procedura di insolvenza principale i giudici dello Stato membro nel cui territorio è situato il Comi del debitore; negli altri Stati membri sarà possibile aprire successivamente una diversa procedura di insolvenza soltanto se il debitore possiede una dipendenza nel territorio degli stessi, ma con effetti limitati ai beni che si trovano in quel territorio.
   La procedura di insolvenza principale potrà essere volta alla liquidazione o al risanamento dell’impresa insolvente e ha carattere universale, in quanto comprende tutti i beni del debitore, salvo che questi ultimi beni siano assoggettati ad un procedimento locale, il quale è per sua natura territoriale e liquidatorio (cfr. art. 3, comma 3 del Regolamento). Si veda, a tal proposito, anche il 22° considerando del Regolamento, secondo il quale la «procedura ha portata principale e tende a comprendere tutti i beni del debitore. Per tutelare i diversi interessi il Regolamento permette di aprire una procedura secondaria in parallelo con la procedura principale» (3).
   In ossequio al principio di universalità attenuata o temperata delle procedure concorsuali, il sistema adottato dal Regolamento appare caratterizzato da un doppio binario, nel quale l’efficacia automatica dell’apertura della procedura principale rappresenta il principio di universalità, mentre la possibilità di aprire procedure secondarie costituisce l’affermazione del principio di territorialità (4).
   È prevista, in ogni caso, la possibilità di aprire una procedura da parte dello Stato membro nel cui territorio si trovi una dipendenza, anche se l’impresa non è stata assoggettata ad alcuna procedura negli altri Paesi (cd. “procedura di insolvenza territoriale”), purché vengano rispettate le condizioni di cui all’art. 3, comma 4 del Regolamento (5).
   Al fine di individuare la competenza internazionale per la dichiarazione dello stato di insolvenza è essenziale, pertanto, formulare correttamente la nozione di Comi. Il Regolamento, tuttavia, non contiene una definizione precisa ed univoca della stessa, limitandosi a prevedere che «per le società e le persone giuridiche si presume che il centro degli interessi principali sia, fino a prova contraria, il luogo in cui si trova la sede statutaria» (cfr. art. 3, comma 1 del Regolamento).
   Una indicazione importante proviene, tuttavia, dal 13° considerando del Regolamento, secondo il quale «per centro degli interessi principali dovrebbe intendersi il luogo in cui il debitore esercita in modo abituale e, pertanto, riconoscibile dai terzi, la gestione dei suoi interessi» (6).
   Il Comi si distacca, pertanto, dalla nozione di sede statutaria, nella misura in cui si attribuisca rilevanza a fattori sostanziali piuttosto che al dato formale. In altri termini, la sede statutaria coincide con quella principale solo in via presuntiva e la scelta del Legislatore comunitario sembra essere orientata nel senso di preferire il parametro sostanziale, al fine di evitare che la localizzazione fittizia di una società in un determinato Stato membro possa impedire l’apertura di una procedura principale nel luogo ove si svolge effettivamente l’attività d’impresa, in frode ai creditori (7).
   A tal riguardo si è sostenuto che «in principle therefore it ought not to be possible for a debtor to gain advantages, at creditors’ expense, from having resorted to evasive or confusing techniques of organizing his business or personal affairs, in a way calculated to conceal the true location from which interests are systematically administered» (8).
   Il dato principale da considerare sembra essere rappresentato, pertanto, dal luogo in cui vengono effettivamente svolte le funzioni direttive della società; infatti, «it is where the head office functions are carried out that the company conducts the administration of its interests on a regular basis within the approach of Recital 13» (9).
   Il sistema delineato dal Regolamento dovrebbe evitare, in ultima analisi, che la localizzazione fittizia di una società in un determinato Stato membro possa impedire l’apertura di una procedura principale nel luogo ove si svolge effettivamente l’attività d’impresa. Si veda, a tal proposito, il 4° considerando del Regolamento, secondo il quale «è necessario, per un buon funzionamento del mercato interno, dissuadere le parti dal trasferire i beni o i procedimenti giudiziari da uno Stato all’altro al fine di ottenere una migliore situazione giuridica (forum shopping)». Particolari cautele devono essere adottate, peraltro, nel caso in cui si tratti della localizzazione di una società facente parte di un gruppo (10).

3. Le prime applicazioni giurisprudenziali in tema di Comi
   Anche le prime applicazioni giurisprudenziali dell’art. 3 del Regolamento sembrano adottare una nozione sostanziale e non formale di Comi. Si vedano, a tal proposito: la decisione Enron Directo SA (11), nella quale il centro degli interessi principali di una società del gruppo Enron avente sede legale in Spagna è stato individuato nel Regno Unito, in base alla circostanza che la gestione della società e le principali decisioni venivano svolte a Londra; il caso Crisscross Telecommunications Group (12), con riferimento al quale il Comi è stato individuato nel Regno Unito per varie società di un gruppo aventi sede in diversi Stati membri ed in Svizzera, previo accertamento della circostanza che la gestione del gruppo era svolta in modo unitario e coordinato nel Regno Unito; il caso BRAC Rent-a-Car International, Inc. (13), relativo ad una società incorporata nel Delaware (e, dunque, al di fuori dell’Unione Europea) la cui attività di gestione veniva condotta quasi interamente dal Regno Unito.
   In particolare, nel leading case in tema di COMI, noto come Daisytek-ISA Limited, la High Court di Leeds ha ammesso a procedura concorsuale (Administration) quattordici società facenti parte di un gruppo, delle quali tre con sede legale in Germania ed una in Francia, sul presupposto che il centro operativo delle stesse (e, quindi, il centro degli interessi principali, ai sensi dell’art. 3 del Regolamento) fosse situato in Inghilterra (14). Nel caso Daisytek è stato attribuito particolare rilievo alla riconoscibilità del Comi da parte dei terzi che intrattengono rapporti con il debitore insolvente, nonché ad una serie di dati di fatto (i.e. amministrazione coordinata svolta dagli uffici inglesi, rilascio di garanzie dalla capogruppo alle controllate), che hanno consentito di dichiarare aperta nel Regno Unito una procedura di insolvenza principale.
   Con riferimento alle prime sentenze italiane in tema di Comi si segnalano: a) una decisione del Tribunale di Roma, la quale ha ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice italiano per la dichiarazione di insolvenza in base alla disciplina della legge fallimentare, delle norme di diritto internazionale privato e del Regolamento con riferimento ad una società del gruppo Cirio, con sede legale in Lussemburgo, ma con centro degli interessi principali in Italia, essendo «certo che in Italia vi è il centro strategico e direzionale delle scelte di impresa, che gli amministratori sono cittadini italiani che operano in Italia, che la gestione del gruppo è unitariamente individuata in Italia» (15); b) una serie di decisioni in termini del Tribunale di Parma che hanno disposto, previo accertamento dello stato di insolvenza, l’ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria di svariate società controllate del gruppo Parmalat, aventi sede legale in diversi Stati membri (Olanda, Lussemburgo, Irlanda) e centro degli interessi principali in Italia (16).
   Con particolare riferimento ad una società del gruppo con sede legale in Irlanda (Eurofood IFSC), le motivazioni addotte dal Tribunale di Parma ai fini della estensione della procedura sono incentrate sulla considerazione che il Comi della stessa, al di là della formale ubicazione della sede statutaria, era in realtà situato in Italia, presso la sede della controllante (Parmalat S.p.A.), in quanto «sede effettiva dell’impresa» e «luogo in cui si svolgono di fatto le sue attività direttive ed organizzative».
   La suddetta localizzazione viene desunta, in particolare, da una serie di circostanze univoche (controllo totalitario; garanzie prestate dalla controllante a fronte dei prestiti obbligazionari e delle operazioni finanziarie poste in essere dalla controllata; organo amministrativo mero esecutore delle direttive provenienti dalla sede della controllante), le quali hanno indotto l’organo giudicante a ritenere che «la società in questione fosse un mero tramite della politica finanziaria della Parmalat S.p.A. e sia stata costituita all’estero e dotata di una sede sostanzialmente solo formale all’esclusivo fine di agevolare i flussi di denaro all’interno del gruppo in un’ottica di un non contestato vantaggio fiscale (…) ma che comunque avesse come punto di riferimento esclusivamente gli interessi della controllante, di cui può considerarsi semplice articolazione finanziaria» e che «la sede principale nel senso di sede operativa effettiva coincida con quella in cui agiva il centro propulsore di direzione della Parmalat (…)».
   Al fine di individuare l’effettiva localizzazione dell’attività di impresa, un criterio di tipo sostanziale analogo a quello poc’anzi delineato viene richiamato, del resto, in sede di interpretazione giurisprudenziale dell’art. 9 del R. D. 16 marzo 1942, n. 267, secondo il quale si applica la legge italiana «se la sede dell’amministrazione è situata in Italia, ovvero se in Italia si trova l’oggetto principale» della società. La competenza a dichiarare il fallimento spetta, in via generale, al tribunale del luogo ove l’impresa ha la sua sede principale (ove cioè promuova sul piano organizzativo i suoi affari) e tale luogo, di regola, si presume coincidente con quello della sede legale. Tale presunzione di coincidenza, tuttavia, può essere vinta dalla prova del carattere fittizio o solo formale della sede legale, restando irrilevanti in ogni caso i trasferimenti della sede stessa non accompagnati dal reale trasferimento del centro propulsore dell’impresa o contestuali alla effettiva cessazione dell’impresa medesima (17).
   Nella fattispecie in esame il Tribunale di Parma ha individuato, infine, anche il requisito della riconoscibilità da parte dei terzi, di cui al 13° considerando, dal momento che «i terzi che contrattavano con Eurofood non potevano non riconoscere, dietro il suo fragile schermo societario, il vero soggetto giuridico ed economico con cui stavano negoziando e su cui facevano affidamento sotto il profilo economico» e «se le operazioni di private placement non fossero state garantite da Parmalat S.p.A., nessun avveduto investitore istituzionale si sarebbe mai reso titolare di obbligazioni emesse da una scatola vuota, priva di assets e di possibili garanzie patrimoniali».

4. I conflitti positivi di giurisdizione
   Come già anticipato dalla più attenta dottrina, dalle prime decisioni giurisprudenziali in tema di Comi emerge che il criterio di prevenzione suggerito dal Regolamento rischia di non essere sufficiente né idoneo ad evitare un contrasto di giudicati (rectius, un conflitto positivo di giurisdizione).
   Si può sostenere che il pericolo di conflitti positivi di giurisdizione sia immanente nel sistema delineato dal Regolamento, con particolare riferimento a fenomeni di gruppo ed in assenza di indicazioni certe ed univoche in tema di provvedimenti cautelari e conservativi nelle more della dichiarazione di insolvenza (18). Non a caso, mentre nel leading case Daisytek sopra menzionato la Corte di Versailles (peraltro, in senso difforme dalla decisione del giudice di primo grado) ha negato la propria giurisdizione, evitando in tal modo un contrasto di giudicati, nel caso Eurofood sia il Tribunale di Parma, sia la High Court di Dublino si sono dichiarati competenti ad aprire una procedura di insolvenza principale (19).
   Sul piano teorico, un conflitto positivo di giurisdizioni dovrebbe trovare immediata soluzione alle luce delle previsioni contenute nel Regolamento e, segnatamente, dell’automatico riconoscimento dell’apertura della procedura principale, del criterio temporale della prevenzione, nonché del principio di fiducia reciproca fra gli Stati membri. Il 22° considerando, infatti, dispone quanto segue: «Il riconoscimento automatico dovrebbe (…) avere per conseguenza che gli effetti che il diritto dello Stato di apertura della procedura comporta per la stessa si estendono ai rimanenti Stati membri. Il riconoscimento delle decisioni pronunciate dai giudici degli Stati membri dovrebbe poggiare sul principio di fiducia reciproca. A tale riguardo, i motivi del mancato riconoscimento dovrebbero essere ridotti al minimo necessario. Si dovrebbe risolvere secondo tale principio anche il conflitto che insorge quando i giudici di due Stati membri si ritengono competenti ad aprire una procedura principale di insolvenza. La decisione del giudice che apre per primo la procedura dovrebbe essere riconosciuta negli altri Stati membri, senza che questi ultimi abbiano la facoltà di sottoporre a valutazione la decisione del primo giudice».
   L’unico caso in cui è possibile rifiutare il riconoscimento di una procedura di insolvenza aperta in un altro Stato membro o l’esecuzione di una decisione presa nell’ambito di detta procedura è quello in cui, ai sensi dell’art. 26 del Regolamento, il riconoscimento o l’esecuzione possano produrre effetti palesemente contrari all’ordine pubblico, in particolare ai principi fondamentali o ai diritti e alle libertà personali tutelati sul piano costituzionale (20).
   Nella fattispecie in esame, tuttavia, una risoluzione “naturale” del conflitto non si è verificata, in quanto entrambi i giudici nazionali aditi (i.e. il Tribunale di Parma e la High Court di Dublino) si sono dichiarati competenti e non hanno ritenuto di dover riconoscere la procedura avviata nell’altro Stato membro. Tale situazione di stallo ha determinato sia il ricorso ai rimedi impugnatori interni (21), sia il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia delle Comunità europee (la “Corte di Giustizia”), ai sensi dell’art. 234 (ex 177) del Trattato, al fine di ottenere una pronuncia sulla interpretazione delle norme del Regolamento (22).
   In sintesi, è stato richiesto alla Corte di Giustizia di statuire (i) quando una procedura di insolvenza principale può dirsi aperta, ai sensi dell’art. 3, comma 1 del Regolamento, (ii) quali sono gli elementi rilevanti e decisivi per individuare il Comi di una società facente parte di un gruppo, e (iii) in quali circostanze può essere invocato il principio di ordine pubblico, di cui all’art. 26 del Regolamento, al fine di negare il riconoscimento di una procedura di insolvenza aperta in un altro Stato membro.

5. Conclusioni
   In attesa che la Corte di Giustizia si pronunci sulla questione sottoposta al suo esame, non appare superfluo avanzare alcune brevi considerazioni. È stato osservato che il Regolamento attribuisce alle parti interessate da un fenomeno di insolvenza un certo margine di manovra per radicare la procedura nell’ordinamento che esse ritengono più idoneo a proteggere i loro rispettivi interessi (23).
   Il forum shopping risulta, peraltro, accentuato dall’assenza di una disposizione sulla litispendenza, analogamente a quando previsto nell’art. 27 del Regolamento (CE) n. 44/2001, del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, il quale impone al giudice successivamente adito di sospendere il proprio giudizio, in attesa che il giudice previamente adito accerti la propria giurisdizione (ed eventualmente, in caso di accertamento positivo, di dichiarare la propria incompetenza a favore del giudice previamente adito). Potranno essere depositate istanze di apertura presso giudici di diversi Stati membri, anche in vista dell’ottenimento di provvedimenti cautelari, e finirà per prevalere la competenza dello Stato che sia più veloce nel dichiarare l’insolvenza (24).
   Il momento determinante per l’apertura di una procedura di insolvenza principale dovrebbe coincidere con il provvedimento che in concreto disponga l’apertura della procedura e non con la mera iniziativa o con una fase meramente provvisoria e cautelare. Nella sentenza del Tribunale di Parma poc’anzi citata si osserva, infatti, come «la mera presentazione dell’istanza di liquidazione e la nomina del provisional liquidator da parte del giudice irlandese non siano di ostacolo alla dichiarazione di insolvenza da parte del giudice italiano ed alla qualificazione della stessa come procedura principale, ai sensi dell’art. 3, comma 3 del citato Regolamento, in quanto nello Stato estero non è ancora stata aperta formalmente una procedura principale che debba essere riconosciuta ai sensi dell’art. 16: la semplice presentazione dell’istanza, invero, non può certo qualificarsi come apertura della procedura». In altri termini, la nomina di un provisional liquidator appare riconducibile ad una fase provvisoria, con finalità essenzialmente conservativa e cautelare, soggetta a successiva conferma (25).
   Appare evidente, in conclusione, che i contrasti giurisprudenziali aventi ad oggetto l’interpretazione e l’applicazione delle norme del Regolamento derivano dalla difficoltà di contemperare l’interesse ad una gestione unitaria dell’insolvenza con l’esigenza di tutela dei vari interessi coinvolti nel dissesto, e sembrano essere aggravati dall’assenza, nell’impianto normativo del Regolamento, non solo di norme idonee a risolvere i potenziali conflitti positivi di giurisdizione, ma anche di disposizioni specificamente dettate per disciplinare l’insolvenza dei gruppi societari transnazionali (26).

 

NOTE

   (1) L’art. 47 del Regolamento (pubblicato in G.U.C.E. n. L 160 del 30 giugno 2000) fissa l’entrata in vigore delle norme in esso contenute al 31 maggio 2002.

   (2) Il riferimento è alla vicenda relativa alla società Eurofood IFSC, tuttora in corso di svolgimento (cfr. infra, par. 4).

   (3) Come è stato osservato da Moss-Fletcher-Isaacs, The EC Regulation on Insolvency Proocedings, A Commentary and Annotated Guide, 2002, p. 168, il generale principio di universalità delle procedure di insolvenza “has been compromised in the Regulation and is limited by the possibility of the opening of one or more sets of insolvency, having territorial effect, in the other member States where the debtor has an establishment”.

   (4) Il riferimento al principio di universalità attenuata ricorre sia in numerosi commenti al Regolamento (si vedano, ex multis, Caponi, Il regolamento comunitario sulle procedure di insolvenza, in Foro it., 2002, I, p. 220; Vitalone, Il Reg. 1346 del 2000 relativo alle procedure di insolvenza, in Giust. civ. 2002, p. 320; Di Amato, Le procedure di insolvenza nell’UE: competenza, legge applicabile ed efficacia transfrontaliera, in Fall. 2002, p. 693; Panzani, Il regolamento sulle procedure di insolvenza, in Contratto e Impresa EU 2002, p. 439; Fumagalli, Il regolamento comunitario sulle procedure di insolvenza, in Riv. dir. proc., 2001, p. 686; De Cesari, Giurisdizione, riconoscimento ed esecuzione delle decisioni nel regolamento comunitario relativo alle procedure di insolvenza, in Riv. dir. int. priv. e proc., 2003, p. 55), nonché in altri strumenti, come la Convenzione di Istanbul su alcuni aspetti internazionali del diritto fallimentare, aperta alla firma il 5 giugno 1990 da parte del Consiglio d’Europa e mai entrata in vigore, oppure la Model Law on Cross-Border Insolvency proposta dall’Uncitral nel 1997.

   (5) In particolare, ai sensi dell’art. 3, co. 4 del Regolamento, una procedura d'insolvenza territoriale di cui al paragrafo 2 può aver luogo prima dell'apertura di una procedura principale d'insolvenza di cui al paragrafo 1 nei seguenti casi: a) allorché, in forza delle condizioni previste dalla legislazione dello Stato membro in cui si trova il centro degli interessi principali del debitore, non si può aprire una procedura d'insolvenza principale, di cui al paragrafo 1, ovvero b) allorché l'apertura della procedura territoriale d'insolvenza è richiesta da un creditore il cui domicilio, residenza abituale o sede è situata nello Stato membro nel quale si trova la dipendenza in questione, ovvero il cui credito deriva dall'esercizio di tale dipendenza.

   (6) Si segnala, a tal riguardo, anche l’art. 60 del Regolamento CE n. 44/2001, del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, che individua, alternativamente, la nozione di domicilio delle persone giuridiche nel luogo ove si trova la sede statutaria, ovvero l’amministrazione centrale, ovvero il centro di attività principale.

   (7) È pienamente condivisibile l’opinione di Fabiani, Gruppi di imprese ed insolvenza transfrontaliera: spazi residui di forum e law shopping nella disciplina comunitaria, in Int’L Lis 2004, fasc. 2, p. 96, secondo il quale il Legislatore comunitario sembra aver optato per il parametro sostanziale, dal momento che ai sensi dell’art. 3 del Regolamento la sede statutaria coincide con quella principale solo in via presuntiva.

   (8) Così Moss-Fletcher-Isaacs, The EC Regulation on Insolvency Proocedings, cit., p. 39.

   (9) In tal senso Moss-Fletcher-Isaacs, The EC Regulation on Insolvency Proocedings, cit., sub art. 3, p. 169.

   (10) Va segnalato, infatti, che una delle principali obiezioni mosse dai primi commentatori al Regolamento è rappresentata proprio dall’assenza di previsioni riguardanti l’insolvenza transnazionale dei gruppi.

   (11) High Court of Justice, Chancery Division, 4 luglio 2002, Lightman J.

   (12) High Court of Justice, Chancery Division, 20 maggio 2003, Rimer J.

   (13) High Court of Justice, Chancery Division, 7 febbraio 2003, Lloyd J.

   (14) High Court of Justice di Leeds, 16 maggio 2003. Con riferimento alla stessa vicenda si veda anche Corte d’Appello di Versailles, 4 settembre 2003, Klempa c. SAS ISA Daisytek, in Recueil Dalloz, 2003, 2352, la quale, in senso difforme dalla decisione di primo grado, ha negato la giurisdizione delle corti francesi in merito alla suddetta vicenda, evitando in tal modo un contrasto di giudicati.

   (15) Tribunale Roma 26 novembre 2003 (Cirio Finance Luxembourg S.A.), in Foro it., I, 2004, p. 1567, con nota di Fabiani.

   (16) Si veda, per tutte, Tribunale Parma 20 febbraio 2004, relativa alla società Eurofood IFSC Ldt., in Foro it. 2004, I, p. 1567, con nota di Fabiani.

   (17) In tema di applicabilità dell’art. 9 l. fall., si vedano, ex multis, Cassazione 21 marzo 2003, n. 4206; Cassazione 28 agosto 2002, n. 12640.

   (18) A tale proposito Fabiani, Gruppi di imprese, cit., p. 98, osserva come nel sistema del Regolamento sia stato trascurato un problema nevralgico quale è la gestione provvisoria dell’impresa nel periodo successivo all’apertura della procedura concorsuale.

   (19) Questi i momenti salienti della vicenda: in seguito all’avvio in Italia della procedura di amministrazione straordinaria nei confronti di Parmalat S.p.A., ai sensi del Decreto Legge 23 dicembre 2003, n. 347 (successivamente convertito con modificazioni nella legge 18 febbraio 2004, n. 39, poi modificata dal decreto legge 3 maggio 2004, n. 119, a sua volta convertito con modificazioni nella Legge 5 luglio 2004, n. 166), nel mese di gennaio, a seguito di istanza depositata da un creditore, la High Court ha nominato un provisional liquidator di Eurofood.
   Successivamente, nel mese di febbraio 2004 il giudice italiano, affermando la propria giurisdizione e competenza, ha dichiarato lo stato di insolvenza della società e ne ha disposto l’ammissione alla procedura, ai sensi dell’art. 3, comma 3 della Legge n. 39/2004, dichiarando l’apertura di una procedura di insolvenza principale ex art. 3, comma 1 del Regolamento. Infine, nel marzo 2004 la High Court, ritenendo a sua volta sussistenti nella fattispecie in esame i requisiti necessari per l’apertura di una procedura di insolvenza principale in Irlanda in base alla presunzione di coincidenza con la sede legale dell’impresa, ha ordinato la liquidazione (winding-up) di Eurofood secondo la legge irlandese, sul presupposto che gli effetti del provvedimento di liquidazione possano retroagire, ai fini dell’apertura di una procedura di insolvenza principale, al momento della nomina del provisional liquidator.

   (20) Si veda, a tal proposito, il Virgos-Schmit Report, in Moss-Fletcher-Isaacs, The EC Regulation on Insolvency Proocedings, cit., par. 202 e 215, pag. 310, secondo il quale il principio di fiducia reciproca comporta che «the court which is required to open secondary proceedings cannot verify the correctness of the appraisal of the first court, whose judgment benefits from the trust placed in judgments delivered by Community courts” e che “the only ground for opposing recognition is that the judgment handed down in another state is contrary to the public policy».

   (21) Si fa riferimento alla opposizione alla dichiarazione di insolvenza di Eurofood dinanzi al Tribunale di Parma e all’appello avverso la sentenza della High Court irlandese dinanzi alla Supreme Court.

   (22) L’art. 234 (ex 177) del Trattato CE, infatti, dispone che la Corte di Giustizia è competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale, anche sulla validità e l’interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni della Comunità europea. Quando una questione del genere è sollevata dinanzi ad una giurisdizione di uno degli Stati membri, tale giurisdizione può domandare alla Corte di Giustizia di pronunciarsi sulla questione, qualora reputi necessaria una decisione sul punto per emanare la sua sentenza. Il rinvio alla Corte di Giustizia, peraltro, è obbligatorio per gli organi di ultima istanza.
   Anche nel Virgos-Schmit Report (in Moss-Fletcher-Isaacs, The EC Regulation on Insolvency Proocedings, cit., par. 79, p. 283), del resto, viene prevista la possibilità di ovviare al conflitto di giurisdizioni concorrenti ed alla situazione di stallo che ne deriva con una «request for a preliminary ruling to the Court of Justice of the European Communities, guaranteeing the uniformity of the contents of the criteria for international jurisdiction and its appropriate interpretation in the given case».

   (23) Così, ad esempio, Benedettelli, Centro degli interessi principali del debitore e forum shopping nella disciplina comunitaria delle procedure di insolvenza transfrontaliera, in Riv. dir. int. priv. e proc., 2004, p. 526.

   (24) È stato paventato il rischio che il soggetto interessato a che la procedura principale venga gestita dai giudici di uno Stato membro piuttosto che da quelli di un altro possa strumentalmente presentare una seconda istanza di apertura, contando sulla maggiore celerità della fase preliminare nel secondo Stato (in tal senso Daniele, Il Regolamento n. 1346/2000 relativo alle procedure di insolvenza: spunti critici, in Dir. fall. 2004, p. 304). Si vedano sul punto anche De Cesari, Giurisdizione, riconoscimento, cit., p. 65; Di Amato, Le procedure di insolvenza, cit., p. 698.

   (25) In tal senso Fabiani, Gruppi di imprese, cit., p. 95. Nella sentenza del Tribunale di Parma si legge, inoltre, che la nomina di un provisional liquidator che costituisce semplicemente “un provvedimento cautelare (…) volto ad evitare che si verificassero determinati effetti nel tempo necessario a decidere l’eventuale liquidazione, ma che se può aver efficacia a specifici fini (prendere possesso dei beni di Eurofood, gestirne gli affari, ecc.) non può certo avere quello di impedire la dichiarazione principale di insolvenza in altro Stato membro, non producendo ancora gli effetti propri della procedura concorsuale”. Come si è poc’anzi rilevato, tuttavia, il Tribunale di Parma ha ritenuto irrilevante nel caso di specie la pendenza di un procedimento provvisorio in Irlanda, mentre il giudice irlandese investito della questione è stato di contrario avviso.

   (26) Così Fabiani, nota a Trib. Parma 20 febbraio 2004, in Foro it., cit., p. 1575.

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