il diritto commerciale d’oggi
    III.1 – gennaio 2004

STUDÎ E COMMENTI

 

GIANLUCA BERTOLOTTI

Riducibilità d’ufficio della clausola penale

 


     Sono ben note le difficoltà che s’incontrano quando occorre stabilire il quantum da liquidare al creditore danneggiato dall’inadempimento o dall’adempimento inesatto del debitore. Al riguardo basti pensare alla necessità di un, generalmente gravoso e non celere, processo di cognizione nel quale il creditore dovrà provare il danno che ha subito.
     Ben si comprende, allora, perché nella prassi contrattuale sia frequentissimo l’accordo con il quale si conviene a priori che in caso d’inadempimento o di ritardo nell’adempimento il debitore sarà tenuto ad effettuare una prestazione in favore del creditore, prestazione che normalmente, ma non necessariamente, consisterà nella dazione di una somma di denaro: è la c.d. “clausola penale” (1) regolata dagli artt. 1382 e ss. del cod. ci v.
     La clausola penale, limitando il risarcimento del danno alla prestazione convenuta, salvo che si pattuisca il risarcimento anche del danno ulteriore (ma in questo caso occorrerà dar prova dell’intero ammontare del danno, danno che allora resta svincolato da qualsivoglia quantificazione pattizia), potrebbe rappresentare un mezzo agevole per eludere la previsione di cui all’art. 1229 cod. civ. per la quale, come è noto, «qualsiasi patto che esclude preventivamente la responsabilità del debitore per dolo o colpa grave è nullo» (2). Per la realizzazione del ricordato intento elusivo sarebbe infatti sufficiente pattuire una penale di ammontare irrisorio, tanto più che nel nostro ordinamento, a differenza ad esempio dell’ordinamento francese (3), al giudice non spetta il potere di aumentare il valore della penale convenuta.
     E si tratta di un inconveniente di notevole gravità perché in caso di penale irrisoria che non si concretizzi in una clausola in frode alla legge, dunque nulla ex art. 1344 cod. civ., ovvero in una penale abusiva, allora inefficace ex art. 1469-quinquies cod. civ., non esistono rimedi ordinamentali per reagire allo squilibrio contrattuale.
     L’ipotesi inversa, quella cioè della possibilità di ridurre la penale ritenuta troppo gravosa per il debitore, è invece contemplata dall’ordinamento. La clausola con cui si conviene che un contraente è tenuto ad una determinata prestazione nel caso di inadempimento o di ritardo nell’adempimento può essere, infatti, “equamente” ridotta dal giudice – “avuto sempre riguardo all’interesse che il creditore aveva all’adempimento”- sia nell’ipotesi che l’ammontare della stessa sia manifestamente eccessivo e sia nell’ipotesi che l’obbligazione principale sia stata parzialmente eseguita (art. 1384 cod. civ.).
     È comune opinione che l’art. 1384 cod. civ. non può essere derogato dalle parti, con la conseguente nullità di ogni patto avente ad oggetto la rinuncia della facoltà di chiedere la riduzione della penale (4).
     Presupposto della riduzione della clausola penale è la sua validità (5): se la clausola penale è nulla allora non produrrà alcun effetto e dunque, ovviamente, non potrà essere ridotta.
     In coerenza con tale impostazione la giurisprudenza di legittimità ha negato che la manifesta eccessività della clausola penale possa determinarne la nullità (6): al giudice spetta un mero potere di equo adeguamento, non anche la facoltà di eliminare completamente la clausola penale in ragione della ritenuta manifesta eccessività (7).
     Peraltro, il giudizio circa l’effettiva riducibilità nel caso concreto della clausola penale è questione di merito e come tale non è sindacabile in sede di legittimità (8).
     La dottrina e la giurisprudenza assolutamente prevalenti ritengono che il giudice non possa ridurre la penale manifestamente eccessiva senza un’esplicita istanza di parte. A sostegno di tale tesi si richiama il carattere “dispositivo” del vigente ordinamento processuale: il giudice non può pronunciarsi se non nei limiti delle domande e delle eccezioni proposte dalle parti giacché opinando diversamente si perverrebbe a limitare, senza alcuna giustificazione, l’autonomia contrattuale garantita alle parti dall’art. 1322 cod. civ.
In particolare, si osserva che il potere di ridurre la penale manifestamente eccessiva sarebbe previsto dalla legge nell’esclusivo interesse del debitore, con la conseguenza che solo a quest’ultimo dovrebbe essere rimessa la valutazione dell’“eccessività” della penale convenuta.
     Inoltre, a corroborare ulteriormente l’assunto per il quale il giudice non potrebbe esercitare d’ufficio il potere riconosciutogli dall’art. 1384 cod. civ., si adduce la necessità di precisi oneri di allegazione da parte del debitore il quale, da un lato, dovrebbe provare la sproporzione della penale rispetto all’interesse del creditore, dall’altro lato, dovrebbe provare che tale sproporzione è “manifesta”. Il debitore sarebbe pertanto chiamato a svolgere una serie di accertamenti che non potrebbero essere compiuti “spontaneamente” dal giudice (9).
     Corollari di tale impostazione sono, per un verso, la necessità che la richiesta di riduzione della penale deve specificare le ragioni della assunta “eccessività”, non essendo sufficiente una contestazione generica circa la sproporzione della stessa (10).
     Per altro verso si ritiene che l’eccezione del debitore di “nulla dovere” a titolo di penale non è idonea a ricomprendere anche l’istanza di riduzione della penale ex art. 1384 cod. civ., perché le due domande hanno presupposti di fatto e di diritto inconciliabili fra loro. Con l’ulteriore conseguenza che, ove la parte abbia chiesto solo la disapplicazione della penale e tale richiesta non sia stata accolta, non si può provvedere alla riduzione della stessa (11).
     La pronuncia in epigrafe aderisce invece, ma senza motivare, all’ orientamento minoritario secondo cui il potere di riduzione ad equità della penale manifestamente “eccessiva” è esercitabile dal giudice anche d’ufficio, a prescindere, dunque, da un’ esplicita domanda di parte in tal senso (12).
     Il rilievo degli interessi in gioco e il valore sistematico della questione meriterebbero un’indagine particolarmente approfondita, indagine che all’evidenza non è possibile svolgere in questa sede.
Può comunque rilevarsi che le motivazioni poste a sostegno del poc’anzi menzionato orientamento minoritario appaiono maggiormente convincenti rispetto a quelle sulle quali si fonda la ricordata tesi “di maggioranza”.
     Invero, stando all’ orientamento minoritario seguito dal lodo in epigrafe, la clausola penale è un rimedio volto a consentire un bilanciamento delle prestazioni, limitando l’autonomia dei contraenti al fine di “impedire che il risultato dell’accordo sia usurario” (13). In questa prospettiva l’intervento giudiziale svolge la funzione di contemperare l’interesse privato alla validità della clausola con l’interesse pubblico al controllo della pena ed eventualmente alla sua equa riduzione (14).
     Per questa via, la corrente di pensiero che si è indicata come “minoritaria” sposta, rispetto alla tesi prevalente, il piano degli interessi tutelati dall’art. 1384 cod. civ.: dal piano soggettivo si passa a quello oggettivo.
     In sostanza, si muove dal condivisibile presupposto che la clausola penale, una volta soddisfatta la funzione risarcitoria finisce per svolgere anche una funzione afflittiva ed è proprio a questo punto che l’ordinamento manifesta la necessità del controllo da parte del giudice il quale ha il compito di evitare che la pena, perché troppo gravosa sul versante sanzionatorio, degeneri in iniquità (15). Tale compito è assolto riducendo l’entità della pena, dunque, riconducendola ad equità e ciò anche a prescindere da un esplicita iniziativa del debitore in tal senso il quale non è titolare, o quantomeno non è l’unico titolare, degli interessi protetti dall’art. 1384 cod. civ. (16) .


NOTE

     (1) In argomento, senza alcuna pretesa di esaustività si vedano, fra le opere a carattere monografico, MAZZARESE, Le obbligazioni penali, Padova, 1990; ZOPPINI, La pena contrattuale, Milano, 1991; DE LUCA, La clausola penale, Milano, 1998; M. TATARANO, L’adeguamento della penale tra clausola e rapporto: prime riflessioni, Napoli, 2000.

     (2) La giurisprudenza di legittimità ha più volte censurato la penale irrisoria per violazione dell’art. 1229 cod. civ. V. fra le altre, Cass., 28 luglio 1997, n. 7061 in Foro it. Rep., 1997, voce Contratto in genere, n.421 secondo cui l’intento elusivo deve desumersi dal “raffronto tra la misura della penale e l’entità presumibile dell’eventuale, futuro, danno da risarcire, ricostruibile secondo una prognosi ex post” e non invece comparando la misura della penale con l’entità del danno concretamente verificatosi.

     (3) Sulla legge francese del 9 luglio 1975, n. 597 v. NEGRI, La legge francese sulla clausola penale, in Riv .dir. civ., 1977, I, p.440 e ss.

     (4) In dottrina per tutti v. MAZZARESE, La clausola penale, in Comm. cod. civ. diretto da Schlesinger, Milano, 1999, pp 70 e ss. e spec. pp. 622 e ss. ivi ampi riferimenti bibliografici. In giurisprudenza v. Cass. 1960, n. 163, in Foro pad., 1961, I, p.320; Cass., 7 luglio 1981, n. 4425, in Foro it. Rep., 1981, voce Contratto in genere, n. 236.

     (5) Principio pacifico in dottrina. Per tutti v. GORLA, Il contratto, Milano, 1955, I, p. 261.

     (6) Cass., 23 maggio 1985, n. 3120, in Foro it. Rep., 1987, voce Contratto in genere, n. 195.

     (7) Cass., 5 agosto 1989, n. 3600, in Foro it. Rep., 1989, voce Contratto in genere, n. 294.

     (8) Cass., 9 giugno 1990, n. 5625, in Foro it. Rep., 1990, voce Contratto in genere, n.281. Da ultimo Cass. 8 maggio 2001, n. 638 cit.

     (9) In dottrina per tutti cfr. ROPPO, Il contratto, Milano, 2001, p.997 ivi ulteriori riferimenti. Per la giurisprudenza cfr., ex multis, Cass. 25 gennaio 1997, n. 771, in Foro it. Rep., 1997, voce Contratto in genere, n.16; Cass. 21 ottobre 1998, n. 10439, in Foro it. Rep., 1998, voce Contratto in genere, n. 417; Cass. 27 ottobre 2000, n. 1472, in Foro it., 2001, I, 2924.

     (10) Sugli specifici oneri di allegazione e di prova che gravano su chi deduce l’eccessivo importo della penale si veda da ultimo Cass., 21 gennaio 1985, n. 218, in Foro it. Rep., 1985, voce Contratto in genere, n.197; Cass. 4 marzo 2000, n. 2478, in Foro it. Rep., 2000, voce Contratto in genere, n. 486.

     (11) Da ultimo Arb. Roma, 30 aprile 1999, in Foro it. Rep., voce Contratto in genere, n. 414.

     (12) Ritiene che possa essere esercitato anche d’ufficio il potere di ridurre la penale di eccessivo importo Cass. 24 settembre 1999, n. 10511, in Foro it., 2000, I, 1929. In dottrina aderiscono a questo orientamento, fra gli altri, MARINI, La clausola penale, Napoli, 1984, passim; ALPA, L’equità, in I contratti in generale, diretto da Alpa e Bessone, I, Torino, 1999, p.133 (aggiornamento 1991-1998).

     (13) V. Relazione del Guardasigilli al Codice Civile, Roma, 1943, n. 632. In dottrina, ex multis, MARINI, La clausola penale, cit., p.134. Il principio si trova ribadito anche nelle più recenti pronunce della Suprema Corte: Cass. 5 novembre 2002, n. 15497, in Foro it. Rep., 2001, voce Contratto in genere, n. 412; Cass. 23 marzo 2001, n. 4208, in Foro it. Rep., 2001, voce Contratto in genere, n. 283; Cass. 8 maggio 2001, n. 638, in Foro it. Rep., 2001, voce Contratto in genere, n. 410.

     (14) Sul rapporto fra le ragioni dell’“equità” e l’autonomia delle parti cfr. per tutti GAZZONI, Equità e autonomia privata, Milano, 1970.

     (15) Cfr. DE CUPIS, Sulla riduzione della penale, in Giust. Civ., 1983, II, p. 236.

     (16) Nota in proposito E. GABRIELLI, Clausola penale e sanzioni private nell’autonomia contrattuale, in Rass. dir. civ., 1984, p.927, che è proprio in ragione della circostanza che al giudice viene affidata la vigilanza sull’equità della sanzione convenuta dalle parti che “egli può legittimamente procedere alla sua disapplicazione senza la necessità della domanda della parte interessata”.

 

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