il diritto commerciale d’oggi
    II.9 – ottobre 2003

 

Giurisprudenza

TRIBUNALE ROMA, 6 giugno 2003– Muscolo Giud. Unico – Effigi c. Banca di Roma s.p.a.
     È valida la clausola di un conto corrente bancario che, ai fini della variazione del tasso di interesse, fa riferimento ai tassi debitori applicati usualmente dalle aziende di credito su piazza, a loro volta diretta conseguenza del tasso ufficiale di sconto.
    Nel contratto di conto corrente bancario è nulla, per violazione dell’art. 1283 cod. civ., la clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori.

 

 

     SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – Con atto di citazione, la Effigi s.r.l., Gaetano, Alfonso e Ludovico Specchio hanno convenuto in giudizio la Banca di Roma s.p.a. Gli attori hanno chiesto l’accertamento del quantum effettivamente dovuta dalla Effigi s.r.l., debitore principale, in relazione ai conti correnti nn. 118.05 (relativo al contratto di apertura di credito in conto corrente, anche nelle forme di anticipato utilizzo di assegni bancari s.b.f.), 566.51 (di concessione di fido in valuta estera) e 119.59 (relativo ad un fido concesso nelle forme dell’anticipo su fatture). Più in particolare, le contestazioni dei saldi predisposti dalla Banca di Roma si sono fondate sull’applicazione di un tasso di interessi in misura ultralegale e sulla sua variazione unilaterale in senso sfavorevole in assenza di accordo scritto; sulla applicazione di commissioni di massimo scoperto, e sul relativo tasso, anch’essi sforniti di previo accordo scritto; sulla capitalizzazione trimestrale degli interessi, nonché sulla circostanza che la banca convenuta anticipasse o ritardasse le valute delle operazioni in base a quanto per essa più conveniente. Gli attori hanno altresì richiesto di dichiararsi liberati i fideiussori Gaetano, Alfonso e Ludico Specchio e non più esistente la relativa obbligazione di fideiussione ai sensi degli artt. 1956 e 1957 cod. civ.
     Si è costituita la Banca di Roma s.p.a. eccependo la decadenza degli attori ed avanzando domanda riconvenzionale di condanna al pagamento di quanto risultante dai saldi dei conti anzidetti, oltre che degli interessi sui saldi annuali dei conti per il periodo 1994-1998, non contabilizzati per mero errore materiale.
     Rigettata l’istanza proposta dalla convenuta ex art. 186 ter c.p.c., disposta C.T.U., ritenuta matura la causa, le parti precisavano le conclusioni come in epigrafe e la causa veniva trattenuta in decisione.

     MOTIVI DELLA DECISIONE – 1. Gli attori hanno chiesto l’accertamento del quantum effettivamente dovuto dalla Effigi s.r.l., in relazione ai conti correnti nn. 118.05, 566.51 e 119.59.
     Quanto alla ricostruzione dei fatti, giova precisare che, nel febbraio 1998 la Effigi s.r.l. aveva aperto presso la filiale dell’Aquila della Cassa di Risparmio di Roma (oggi Banca di Roma s.p.a.) il conto corrente di corrispondenza n. 118/05, sul quale era stata concessa un’apertura di credito, oltre ad altro conto, n. 119/59, utilizzato per gli anticipi su fatture, le quali venivano accreditate, per l’80%, sul conto principale n. 118/05 e corrispondentemente addebitate sul conto 119/59, dove confluiva successivamente l’incasso delle fatture medesime. Nel gennaio 1991 era stato, infine, aperto il conto corrente di corrispondenza n. 566/51, relativo a fido in valute estere. Tali rapporti debitori erano garantiti da fideiussione omnibus di Gaetano, Alfonso e Ludovico Specchio.
     Risulta, inoltre, che sui saldi risultanti da tali conti la Banca convenuta abbia praticato tassi di interesse in misura ultralegale, ed operato maggiorazioni di tali tassi, oltre ad applicare commissione di massimo scoperto fino al 1993, altresì maggiorando unilateralmente il relativo tasso. Su tali conti è stata, inoltre, operata una capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori, con un saggio dell’interesse anatocistico in misura ultralegale.
     Dagli atti risulta, inoltre, che la Effigi s.r.l. aveva sottoscritto i contratti n. 119/69, 118/51 e 566/51 con enunciazione espressa di un tasso debitore della misura di 20,25% annuo, e con la previsione della facoltà della banca di modificare i tassi in relazione alle condizioni usualmente praticate sulla piazza.
     Successivamente, nel 1992, la banca convenuta è receduta dai rapporti con la società attrice e, da allora fino al 1998, erano intercorse tra le parti trattative per il rientro dal debito. È inoltre incontroverso che, a decorrere dall’1.1.1994 all’1.7.1998, non erano stati contabilizzati interessi su tali conti. (Omissis)
     In via preliminare, occorre escludere l’applicabilità dell’art. 1832, comma 2, cod. civ. Ed, infatti, il termine decadenziale ivi previsto, di sei mesi dalla data di ricezione dell’estratto conto, è esclusivamente riferibile agli “errori di scritturazione o di calcolo, per omissioni o duplicazioni”, alle operazioni di accredito o addebito, cioè, esclusivamente sotto il profilo contabile, rimanendo pienamente azionabili i profili di validità ed efficacia dei rapporti obbligatori intrattenuti tra correntista e banca.
     Sempre in via preliminare, quanto all’eccezione di prescrizione sollevata dalla convenuta all’udienza di precisazione delle conclusioni, la stessa non può essere esaminata nel merito in quanto tardiva.
     Venendo al merito delle domande attoree, in relazione alla circostanza, dedotta da parte convenuta, dei ripetuti atti di riconoscimento del debito sottoscritti dagli attori, occorre sottolineare che non possono considerarsi tali le dichiarazioni degli attori funzionali alla predisposizione di “piani di rientro”, e quindi, aventi finalità transattive.
     In particolare, poi, per ciò che riguarda la lamentata applicazione di tassi di interesse in misura ultralegale, nonché l’unilaterale variazione di detti tassi (circostanze prospettate sia in merito agli interessi ordinari, che agli interessi collegati alla commissione di massimo scoperto), le contestazioni riguardano l’assenza di precedente accordo scritto sul punto. Tali contestazioni sono prive di pregio, avendo la Banca di Roma s.p.a. prodotto copia dei contratti di conto corrente nn. 118/51, 119/59 e 566/51.
     Né ha pregio, sul punto, l’eccezione degli attori della mancanza di firma del funzionario della banca nei documenti prodotti. Per costante giurisprudenza, infatti, il contraente la cui sottoscrizione non figuri nel contratto per il quale la legge postula la forma scritta a pena di nullità, può validamente perfezionarlo con la sua produzione in giudizio, al fine di farne valere gli effetti nei confronti dell’altro contraente sottoscrittore, o manifestare a questi, con proprio atto scritto, la volontà di avvalersi del contratto: in tale caso la domanda giudiziale o il successivo scritto assumono valore equipollente della firma (si veda, per tutte Cass. Civ. n. 3970/1997). Nel caso in specie risulta che, in data 25.11.1988, con atto sottoscritto dai funzionari della banca convenuta ed indirizzato alla Effigi s.r.l., è stata data conferma dei fidi di cui ai conti correnti nn. 118/51 e 119/59. Allo stesso modo la lettera del 6.7.1992 inviata dalla convenuta agli attori per sollecitare il pagamento dei crediti di cui al conto corrente n. 566/05 manifesta inequivocabilmente la volontà della banca di avvalersi di tale contratto; infine la banca ha depositato la copia della scrittura privata portante in contratto.
     Sotto diverso profilo, e stante la affermata forma scritta, merita attenzione la verifica il contenuto di tali pattuizioni sugli interessi, ove si legge che il tasso, originariamente fissato in 20,25%, poteva essere modificato in base a quanto previsto dall’art. 7 delle “norme”, facendosi ragionevolmente riferimento alle “norme che regolano i conti correnti di corrispondenza e servizi connessi”, riportate a tergo dei singoli contratti. In costanza di patto scritto, si pone, infatti, semmai, il problema della determinabilità dell’oggetto del contratto, in relazione al potere unilaterale della banca di variare i tassi d’interessi. E, tuttavia, avendo le parti fatto riferimento, ai fini della variazione del tasso, ai tassi debitori applicati usualmente dalle aziende di credito su piazza, a loro volta diretta conseguenza del tasso ufficiale di sconto, la validità della clausola deve ritenersi accertata. Ed, infatti, anche in considerazione dei rilevamenti dei tassi effettuati su larga scala e resi pubblici dall’ABI, la modifica dei tassi debitori in base alle condizioni generalmente praticate su piazza risulta essere clausola con caratteristiche di determinabilità, in quanto basata su parametri oggettivi di riferimento per la modifica, che circoscrivono la discrezionalità della banca sul punto, assicurando la determinabilità dell’oggetto della prestazione.
     Quanto alla commissione di massimo scoperto, della quale si contesta la legittimità dell’applicazione in quanto la relativa pattuizione sarebbe priva di forma scritta, tale circostanza è sconfessata dalla produzione documentale di parte convenuta, leggendosi tale clausola all’art. 7 dei contratti di apertura dei conti correnti di corrispondenza. Né, come precedentemente specificato, sorgono problemi di determinabilità del relativo tasso, atteso la medesima clausola di rinvio a quelli usualmente praticati dalle aziende di credito su piazza.
     Quanto alla capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori, deve riconoscersi la nullità della relativa clausola per violazione dell’art. 1283 cod. civ.
     Come chiarito dall’indirizzo ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità, la disposizione delle norme bancarie uniformi che prevede la capitalizzazione trimestrale dei tassi di interesse debitori ha natura di uso negoziale, e non normativo, non sottraendosi, pertanto, la clausola negoziale che a tale uso i richiama, alla sanzione di illiceità, per contrarietà alla norma imperativa che sancisce il divieto di interessi anatocistici. Né può portare a diversa soluzione la lettura dell’art. 25 del d.lgs. n. 342 del 1999, essendo stata dichiarata incostituzionale per eccesso di delega (C. Cost. sent. n. 425 del 2000) la disposizione che dichiarava valide ed efficaci le clausole relative alla capitalizzazione degli interessi inserite nei contratti bancari anteriormente alla data di emanazione della delibera del CICR cui si era demandata la specificazione della disciplina di dettaglio inargomento. Non appare, inoltre, ragionevole, in considerazione della diversità causale, estendere ai contratti bancari regolari in conto corrente la disciplina prevista dal contratto di conto corrente ordinario, avendo i primi, e non il secondo, la funzione di mutuo o deposito, a seconda del tipo di contratto bancario in discorso, e non di contratto normativo volto a regolare i rapporti di corrispettivo credito-debito tra le parti intercorrenti in ragione di altri e diversi rapporti obbligatori tra le stesse parti intrattenuti.
     In riferimento alla contestazione del c.d. “gioco delle valute”, deve previamente evidenziarsi che disposizione che specificatamente si occupa della questione è l’art. 120, comma 1, del testo unico bancario. Tale norma regola la decorrenza degli interessi in relazione a versamenti in denaro, di assegni circolari emessi dalla stessa banca e di assegni bancari tratti sulla stessa filiale presso la quale viene effettuato il versamento, imponendo di effettuare in tali casi il conteggio della valuta dal giorno del versamento medesimo. Seppure nella prospettazione di parte si lamenta in modo quanto mai generico l’illegittimo conteggio dei giorni di valuta, tale circostanza è del tutto sfornita di prova, e non può, pertanto, portare ad alcun ricalcalo dei saldi dei conti per cui è causa.
     Quanto ai contestati aumenti di tasso d’interesse sugli sconfinamenti del fido, operati in base alle prospettazioni degli attori, nei contratti prodotti non c’è traccia di tale potere di aumentare i tassi sugli sconfinamenti in capo alla banca convenuta. Sotto tale profilo, tale condotta è illegittima, e i saldi dei contratti bancari in conto corrente di cui si discute dovranno essere depurati di tale maggiorazione.
     Ai fini della domanda di accertamento proposta dagli attori deve dichiararsi, pertanto, dovuta la somma di cui ai saldi, depurata dagli effetti della capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori e dagli aumenti di tasso sugli sconfinamenti.
     2. Con la seconda domanda gli attori hanno chiesto di dichiararsi liberati i fideiussori e non più esistente la relativa obbligazione di fideiussione ai sensi degli artt. 1956 e 1957 cod. civ.
     La domanda non merita accoglimento.
     In riferimento alla prospettazione della mancata proposizione di alcuna istanza giudiziale nei confronti del debitore principale dal maggio 1992, quando la banca era receduta dai finanziamenti, e per oltre sei anni, con la conseguente applicabilità del disposto di cui all’art. 1957 cod. civ., tale allegazione è priva di pregio. Va, infatti, esclusa l’operatività dell’art. 1957 cod. civ. per effetto della deroga convenzionale di cui alla lettera f) del contratto di garanzia dell’1.2.1988, non costituendo disciplina sottratta alla volontà delle parti quella indicata nel medesimo articolo, ed essendo stata tale clausola specificamente sottoscritta dai garanti.
     Quanto all’art. 1956 cod. civ., gli attori sottolineano che la banca aveva avuto conoscenza della precarietà della situazione finanziaria della Effigi s.r.l. già dal 31 luglio 1991 – come può evincersi dalla comunicazione di pari data indirizzata alla Effigi s.r.l. dalla Banca di Roma s.p.a., in cui questa fa riferimento ad un “negativo quadro andamentale” e ad “attuali difficoltà” – mentre aveva perseverato nel concedere credito alla Effigi s.r.l. fino all’8 maggio 1992. L’invocazione di tale norma non ha tuttavia fondamento, in considerazione della clausola di cui alla lett. e) del citato contratto di garanzia, in cui si concorda la dispensa la banca dall’autorizzazione di cui all’art. 1956 cod. civ. e si pone a carico dei garanti l’onere di informarsi delle condizioni patrimoniali del debitore principale. Ed, infatti, in tema di fideiussione omnibus in favore di un istituto di credito stipulata in epoca anteriore alla legge n. 154/1992, la clausola di rinuncia preventiva ad avvalersi della liberazione dagli obblighi di garanzia nelle ipotesi di credito concesso senza l’autorizzazione di cui all’art. 1956 cod. civ. è validamente prestata, non avendo alcun effetto retroattivo la disposizione, da intendersi innovativa della medesima disciplina, che dispone l’irrinunciabilità di tale diritto alla liberazione.
     La domanda deve essere, pertanto, rigettata.
(Omissis)
    

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